Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance
Ricorda la storia  |      
Autore: StEfYLuPaCcHiOtTa    28/11/2007    6 recensioni
[COMPLETA] Gerard rimane solo, nel cimitero che ora è tornato silenzioso. Fissando la foto di Nicole, si sfila finalmente le lenti scure, girandosi poi un’ultima volta verso Geena. "E’passata soltanto una settimana, cristo santo. Che cos’è una settimana in confronto a una vita? E’ così poco tempo…" Lei si volta glaciale, stretta nella felpa dei My Chemical Romance, il cappotto piegato sul braccio. Quella felpa era stato l'ultimo regalo di Nicole, per ringraziarla di averla accompagnata fino a Chigago a vedere un loro show. In quel momento i suoi occhi captano il moto incerto di una farfalla bianca che si posa sulla lapide dell’amica.
Genere: Triste, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gerard Way, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Care lettrici, per un attimo tralascio il ruolo di sognatrice per abbandonarmi a quella che la gente chiama "triste realtà". Prendere coscienza di ciò che succede alle persone a te care ti stronca, è come se ti mancasse il terreno sotto ai piedi. Avrei potuto prenderne atto in mille modi: lacrime, grida, disperazione. Invece, ho ripiegato tutto nell'unica cosa che so realmente fare: scrivere.

[Disclaimer: Mi sembra inutile dire che il personaggio di Gerard Way non mi appartiene, e che, con questo mio racconto, non intendo assolutamente dare immagine veritiera del suo carattere, nè tantomeno offenderlo. Il testo finale appartiene ai Three Doors Down. I restanti personaggi, invece, sono di mia proprietà, in maniera più o meno reale. ]

{ A Sherry. Un angelo che non aveva perso le sue ali. Che ha preso il volo per l'ultima volta. }

28 Novembre.
Piove, il che non sorprende nessuno. Piove sempre, in queste occasioni. Chi la chiama coincidenza, chi, romanticamente, associa l’evento atmosferico con un’affinità ultraterrena, come se il cielo avvertisse i sentimenti del gruppo di persone che stanno camminando sul ciottolato, e li esprimesse in quel continuo scrosciare.
Il cielo piange.
Geena si allontana da Anne, che la teneva stretta sotto l’ombrello, e si scopre alle pioggia. Solleva il capo verso il cielo, a cercare un sole che non vede da tempo ormai. Gocce leggere le bagnano il viso, cadendole sulle guance, facendole colare il trucco, solitamente sempre impeccabile. Si gira verso l’amica che non si accorge di una lacrima furtiva che le scorre sulla guancia, nascondendosi tra i segni della pioggia sul suo viso.

-         “Tears to the rain…” - sussurra impercettibilmente. Solo Nicole avrebbe capito quella frase. Un brivido la percorre, si stringe nel suo cappotto.

-         Geena, per favore, vieni qui. Ti stai bagnando. – la voce rassicurante di Anne la richiama sotto l’ombrello. Lei scuote il capo.

-         Sto bene. – mormora. E quasi le viene da ridere, ricordandosi la scena di uno dei film che lei e Nicole guardavano sempre insieme, in cui Orlando, il suo Orlando, ripeteva quelle due parole all’infinito, più per convincere se stesso che gli altri che davvero stava bene. Mai come in quel momento si è sentita come lui. Si da mentalmente della stupida. Perché ripensa a certe cose? Vuole forse farsi del male più di quanto già non stia soffrendo? Si siede su una panca di marmo, e Anne la affianca. Rimangono in silenzio. Poi Geena fruga tra le tasche, estraendone una montagna di fogli stropicciati. Una foto, sotto il London Eye, un’altra da Starbucks. E una lettera. Li osserva, li stringe tra le dita, fino a che non sente le pieghe della carta premerle contro la pelle, tanto da farle male. Si dice che il sorriso di una persona, se fotografato, e le parole che uno dice, i suoi pensieri, se scritti, rimarranno impressi per sempre. Ma a che pro? A che cosa sarebbe servito, conservare quei fogli? Nonostante ormai siano stretti nel suo palmo, Geena non riesce a buttarli. Li stringe ancora un po’, come se, indirettamente, le lasciassero stringere la mano che li ha macchiati di frasi con un inchiostro rosso rubino. Solo lei poteva pensare di scrivere con quel colore, aveva girato mezza città per trovare la cartoleria che vendesse le cartucce per la sua adorata stilografica. Si morde il labbro, sollevando il capo, osservando Anne. La guarda, una profonda tristezza negli occhi, in silenzio. In realtà, non sa cosa dirle. In questi casi, non c’è mai niente da dire, e poi, tra loro non erano mai servite molte parole.

-         Forse è meglio andare. – le dice pacatamente Anne, dopo un po’. I rintocchi dell’orologio le richiamano a ciò che sta per iniziare.

Si alzano e riprendono a camminare, affiancate da altri ragazzi. Percorrono insieme la scalinata di pietra, in silenzio, per poi aprire il portone di legno, che cigola e lascia che quel rumore risuoni nell’aria, mentre, uno per uno, fanno il loro ingresso e prendono posto sulle panche.
Geena cammina, supera chi è entrato con lei e chi già era seduto, più avanti, fermandosi solo in fondo. Si blocca, alla vista di ciò che si trova dinnanzi.
Nicole è sdraiata, le braccia lungo i fianchi. Il morbido velluto rosso della bara la avvolge, le guance hanno perso la sfumatura rosea che le colorava quando faceva freddo, o arrossiva. Un turbine di emozioni avvolgono Geena. Improvvisamente, sente un macigno gravarle sul petto, come se le impedisse di respirare. Nicole, la sua Nicole, è lì, di fronte a lei, senza vita. Rimane a fissarla per lunghi minuti, finchè il parroco non le posa una mano sulla spalla, ridestandola dallo stato di trance in cui pareva essere caduta. Come a volerle fare forza, le stringe leggermente il braccio, sospingendola verso il pulpito. Percorre quei gradini coperti dal tappeto rossastro molto lentamente. Uno, due, tre, non si rende nemmeno conto di quanti sono. Arriva davanti al banchetto di legno, ne stringe le estremità tra le mani, sollevando infine lo sguardo sulle persone che la osservano, sedute sulle panche sotto di lei. Non manca nessuno. La famiglia di Nicole, gli amici più stretti, alcuni giunti direttamente da oltre manica o oltreoceano per essere lì, e anche quelli che l’avevano abbandonata quando ne aveva più bisogno, e che ora si presentano lì sperando di essere redenti dai loro peccati dal signore misericordioso solo per aver presenziato al funerale. Quanta ipocrisia. Infila la mano nell’altra tasca, estraendo un foglio, stavolta piegato con precisione, fin troppa forse. Lo stende sul leggio, e subito l’inchiostro rosso rubino brilla sotto la luce alle sue spalle. Ha scritto quel memoriale la sera prima, rinchiusa in camera dell’amica, nella casa in cui convivevano da un anno, utilizzando proprio la sua amata penna stilografica. Forse l’ha fatto per cercare di rendere meno fasulle le parole impresse sui fogli, come se, usando il suo inchiostro, Nicole le avesse dato indirettamente il permesso di buttare giù quell’innumerevole serie di vaccate che aveva scritto, in fondo, solo per far contenti i presenti alla cerimonia.

-         Se mai mi dovesse succedere qualcosa, voglio che sia tu a commemorarmi. - Se n’era spuntata fuori così, una sera di non molte settimane prima, mentre guardavano insieme, rannicchiate nel lettone matrimoniale della sua camera, il DVD dell’ultimo film di Johnny Depp.

-         Ma sei scema? Ma che pensieri sono? – era sbottata lei, sgranocchiando l’ennesima patatina.

-         Beh, capita…

-         Capita un tubo! Non devi dire queste stronzate, hai capito? – non l’aveva fatta finire, tirandole una cuscinata in faccia. Si erano messe a fare la lotta, mentre Johnny recitava, vestito da pirata, sullo schermo del piccolo televisore, rovesciando le rimanenti patatine per terra, per l’estrema felicità della loro gatta, Consuelo, che le aveva sgranocchiate in quattro e quattr’otto.

-         Ok, ok… - aveva annuito lei, cercando di ripararsi dal cuscino - …però, seriamente Geena…hai un dono stupendo, scrivi come se la tua mano fosse guidata dagli angeli. Visto che dubito che ce ne saranno molti ad accompagnarmi, vorrei che almeno quelli che ti aiutano mi facessero compagnia, insieme alle meravigliose parole che so che scriverai. – l’aveva baciata su una guancia e si era alzata dal letto, senza lasciarle tempo di rispondere.

“Come ti sbagliavi, amica mia…” pensa ora, osservando i fogli stesi sul ripiano. Alza ancora lo sguardo, lasciandolo scorrere nuovamente sulla gente. Tutti tirati, in severi abiti scuri e fazzoletti alla mano per nascondere le lacrime furtive…alcune veritiere, altre un po’ meno. Non è questo che lei avrebbe voluto. Non sono quelle scritte, le parole che lei avrebbe voluto sentire, a cui si riferiva quel giorno. Con un gesto nervoso appallottola il discorso, ficcandoselo con rabbia in tasca.

-         Nicole. – esordisce, le labbra vicine al microfono, la voce che finalmente si spande dagli altoparlanti della piccola cappella. – Sappiamo tutti bene che ci sono tante, tantissime cose da dire su questa ragazza. Ognuno di noi ha la sua versione di Nicole, ne conosceva alcuni aspetti, altri meno, altri invece, la conoscevano alla perfezione. Ma siccome è stato un suo desiderio che fossi io, a ricordarla… - per un momento, le parole le muoiono in gola. Deglutisce, riprendendo a parlare. - …visto che lei ha voluto così, oggi vi darò la mia versione di Nicole. – si zittisce un attimo, guardando ora in fondo alla chiesa, dove si apre appena una porticina laterale, facendo entrare una figura infagottata in un cappotto nero, lungo fino alle ginocchia, occhiali scuri. Negli occhi di Geena si accende un lampo, subito osserva il corpo della sua amica. – Era…una persona meravigliosa. Con tanti difetti, tantissimi. Certe volte litigavamo talmente tanto da non rivolgerci la parola per ore. Ma, nonostante tutto, la mia testardaggine e il suo orgoglio, sapevamo di poter sempre contare l’una sull’altra. Abbiamo condiviso esperienze che molti di voi non possono nemmeno immaginare, che alcuni di voi nemmeno sanno. Esperienze che ci hanno unito, come sorelle, e che vicendevolmente hanno curato le ferite che qualcuno ci aveva inflitto. Nicole, e io come lei, quando ci siamo conosciute avevamo ben poche speranze e buone prospettive. Eravamo ciniche e disilluse verso il mondo. Non che dopo le cose siano cambiate, ma ci siamo insegnate a vicenda che, su una valangata di persone pessime, qualcuno che era in grado di darti speranza ancora esisteva. Lei era per me quella persona, io ero quella persona per lei. E poi…e poi abbiamo trovato entrambe qualcun altro, capace di comunicarci questa sensazione. Un sogno. Un bellissimo, utopico, inafferrabile, inconsistente, dolcissimo sogno. E insieme, abbiamo iniziato a perseguirlo. Molti di voi ci hanno criticato, giudicato male, per questa nostra continua ricerca. Ma prima di dar aria alla bocca, vi siete mai realmente chiesti che cosa ci spingesse a partire nel cuore della notte per prendere un aereo, a viaggiare in scomodissimi autobus all’alba, a fare ore di coda, dormendo per strada, avvolte in bandiere dell’italia o in felpe striminzite? – fa aleggiare questa domanda nell’aria, lasciando che colpisca i presenti come uno schiaffo in pieno viso. – Certo, che non ve lo siete chiesti. Avete semplicemente bollato tutto questo come pazzia, immaturità, bisogno di crescere, perdita di tempo, spreco di denaro, fissazioni di adolescenti non cresciute. Chi più chi meno, eravamo tutti consapevoli del fatto che Nicole non stesse bene. Qualcuno di voi si è mai realmente chiesto, perché i pochi momenti in cui sorrideva erano quando aveva nelle orecchie le cuffiette del suo scassatissimo lettore mp3, e ascoltava quella musica? Si, quella, quella che avete criticato, che avete deriso. Quella che la faceva sentire viva. Nessuno di voi era presente quando, dopo ore di fila in un gelido inverno londinese, è uscita da un negozio stringendo al petto un autografo, nelle orecchie ancora le parole gentili che le erano state rivolte. Era felice, felice come non era mai stata. Nessuno di voi ha visto il sorriso sul suo volto, il luccichio nei suoi occhi, le lacrime che le pizzicavano, smaniose di uscire, trattenute solo dall’orgoglio di non dar spettacolo dei suoi sentimenti davanti a tutti. Perché Nicole era così, non dava sfoggio di ciò che realmente provava, ma aveva occhi talmente profondi che sarebbe bastato soffermarsi su di essi un po’ di più, per capire cosa realmente la stesse attraversando in quel momento. Io, quelle ore le ho fatte accanto a lei, come lei le ha fatte accanto a me. E vederla così felice, mi è valso il gelo nelle ossa, il dolore al ginocchio, come so che per lei i miei sorrisi sono valsi la febbre che la tormentava, o l’ansia che l’assaliva. La felicità, l’amore, sono sentimenti così semplici. Eppure sembra che per tutti siano così difficili da comprendere, in questi casi, solo perché indirizzati verso un qualcosa meno tangibile del portone di casa, o dell’angolo della strada, o del lampione di fronte al cancelletto. Solo perché dedicati a qualcosa di più ambizioso, più difficile da raggiungere. Ma, avete mai riflettuto sul fatto che forse, è proprio questo a rendere tutto speciale? Un sogno che permette a tutti di essere raggiunto, attraversando stati, frontiere, oceani, che si fa rincorrere come una bolla di sapone, che sfugge proprio quando ti sembrava di averla catturato, ma che ti sfida, ti sprona, ti dà la voglia di alzarti e rincorrerla, quella bolla, ti dà la forza di saltellare per sfiorarla con le dita, solo per il gusto di vederla esplodere in un tripudio di colori dell’arcobaleno, e bearti dei lievi schizzi di acqua che ti ricadono addosso. E’ vero, quell’esplosione è durata solo pochi secondi. Ma ti ha offerto uno spettacolo che ti ha aperto il cuore, e che riproverai soltanto scoppiandone un’altra. Ma solo dopo averla inseguita, dopo averci giocato. Perché è anche la rincorsa che ti fa sentire viva. Di rincorse ne abbiamo fatte tante, io e lei. Fino a riempircene i polmoni. Qualcuno diceva che non conta l’età, ma solo i chilometri. Beh, io e Nicole ne abbiamo sempre avuti tanti, di chilometri. E anche se agli occhi di tutti potevamo sembrare come due bambine immature, dentro sapevamo di non esserlo. Avevamo vissuto esperienze che le nostre coetanee nemmeno si sognano, troppo impegnate a bearsi nel calduccio di casa, per viverle. Sono cose che ti fanno crescere, che ti bruciano sulla pelle. Credete fossero controproducenti? – dice, osservando ancora le persone presenti, abbassando quindi appena la manica del maglione, osservando il proprio polso, posato contro il leggio. – Mentre migliaia di ragazzi, al giorno d’oggi, scaricano la loro tristezza, la loro rabbia e tutto quanto hanno di represso in netti tagli sulle braccia, ricavati da lamette arrugginite, sui nostri polsi non troverete niente di tutto questo. Noi, sui polsi, abbiamo tatuato quanto di più importante ci fosse nella nostra vita. Qualcosa che quei tagli ce li hanno evitati, che ci hanno aiutato ad andare avanti. Ditemi, come può questo essere una cosa malvagia? – congiunge le mani, posandovi sopra il viso. – Nicole non era pazza. Non era immatura. Non era avventata. Soffriva, è vero. Ma semplicemente perché si è vista tarpare le ali. Si è vista privare del suo sogno. Se era quello, che la teneva in vita, strapparglielo è stato condannarla. Tutte le convenzioni, cosa fosse bene, cosa fosse male, cosa si addicesse a lei e cosa no, cosa fosse giusto fare e cosa era il caso di fare per fare una buona impressione. Sono cose che la soffocavano. Non ha retto. Era troppo debole, per farlo. Eppure, in camera ha sempre tenuto appesa una citazione di uno dei suoi libri preferiti. – fece una lieve pausa, cercando di arrestare il battito frenetico che avverte nel petto. - “Tutti abbiamo i nostri sogni. L'unica differenza è che alcuni lottano e non rinunciano a realizzare il proprio destino, a costo di affrontare qualunque rischio, mentre gli altri si limitano a ignorarli, timorosi di perdere quel poco che hanno. E così non potranno mai riconoscere il vero scopo della vita.” – la cita a memoria, senza un indugio. L’ha letta talmente tante volte, la sera prima, da averla impressa nel suo cuore. – Fino all’ultimo lei ha sognato, ha tentato di non rinunciare, affrontando dei rischi. Ma qualcosa di più forte l’ha schiacciata. E io non credo potrò mai perdonarmi di averlo permesso. – la voce le si affievolisce appena. Guarda i volti dei presenti. Alcuni impassibili, probabilmente convinti che lei sia una pazza, altri profondamente commossi. – La citazione, continuava. – segue poi, riacquistando un po’ di sicurezza nel tono. – “Alcune cose saranno sempre più forti del tempo e della distanza, più profonde del linguaggio e delle abitudini: seguire i propri sogni e imparare a essere se stessi, condividendo con gli altri la magia di quella scoperta.” – si zittì, nella speranza che, almeno qualcuno, riflettesse davvero su quelle parole. – Io sono convinta che lei avrebbe voluto condividere con tutti voi, la magia di quella scoperta, se glielo aveste permesso, proprio come l’ha condivisa con me. Questa, era la mia Nicole. Alla perenne ricerca della sua “Isola che non c’è”. Spero che ora stia viaggiando proprio in quella direzione. – le labbra le tremano, capisce che ormai, ha parlato sin troppo a lungo. China il capo, stringe gli occhi, cercando di trattenere le lacrime. Percorre a ritroso i gradini, abbandonando il pulpito. Si ferma accanto alla sua amica, distesa, un placido sorriso sul viso, merito dei trattamenti delle pompe funebri. “Il tuo sorriso era molto più bello.” pensa Geena. Allunga una mano, a toccare quella gelida di quella che era stata a tutti gli effetti una sorella, per lei. E' fredda, proprio come quella volta che avevano aspettato fuori da un teatro un’intera giornata, in una sera di settembre che pareva già inverno. Solo che questa volta non si sarebbe riscaldata attorno a una tazza di cioccolata calda. Non più. – Seconda stella a destra, e poi dritta fino al mattino. – le sussurra, stringendo quelle dita rigide, con le unghie ancora laccate di nero, mangiucchiate sui bordi. – Non ti perdere. – la guarda un altro istante, mentre le lacrime si fanno sempre più prepotenti. – Mi manchi tanto, amica mia… - si allontana, costringendosi ad abbandonarla definitivamente, rannicchiandosi tra le braccia di Anne, seduta sulla panca, stringendo convulsamente il suo cappotto d’angora.

La cerimonia è finita, il cimitero si è svuotato. Ha anche smesso di piovere. Geena ha pregato Anne di lasciarla sola, e ora siede sulla lapide di Nicole, carezzando l’incisione, proprio sotto la foto che la ritrae sorridente in uno dei loro ultimi viaggi. “Think happy thoughts”… “Pensa pensieri felici”. Sospira, asciugandosi una lacrima all’angolo dell’occhio. Il rumore della ghiaia alle sue spalle la fa voltare. Non è sorpresa, quando vede il ragazzo nel cappotto nero farsi avanti.

-         Mi chiedevo quanto ci avresti messo, ad avvicinarti. Giri lì intorno da mezz’ora. – dice Geena.

-         Non…non volevo disturbarti. – balbetta lui, passandosi una mano tra i capelli neri, già scompigliati. Non accenna a togliersi gli occhiali da sole, anche se Geena intravede la pelle attorno agli occhi arrossata e tirata.

-         Non avresti disturbato. – risponde lei, carezzando appena la pietra lucida. – La stavo salutando, ma domani tornerò di nuovo. – quindi lo guarda ancora, notando che il suo viso è fisso verso la tomba. – Sembra che tu non dorma da giorni.

-         E’ così. Da quando ho ricevuto la tua lettera…

-         E’ stato più di una settimana fa, Gerard. Ho consegnato quella lettera a Worm dopo il vostro ultimo concerto. Lei era ancora viva. – il tono di Geena si fa duro, mentre infila le mani in tasca.

-         Lo so…ma…credevo di avere più tempo… - balbetta lui, senza staccare lo sguardo dalla foto di Nicole.

-         Tempo per cosa? Per lasciarla morire da sola? – sbotta la ragazza, mentre le lacrime nuovamente iniziano a scenderle sul viso. – Lei doveva essere salvata, Gerard. E sappiamo benissimo entrambi che non potevo salvarla io, che non potevano salvarla i suoi genitori. L’unico che poteva salvarla, l’unico da cui lei voleva essere salvata, eri tu. Proprio tu, fottutissimo signor Way. Ti ha aspettato fino all’ultimo.

-         No… - Gerard si prende la testa tra le mani, scuotendo il capo. – No! – grida a voce più alta. – Che avrei dovuto fare, uh? – chiede quindi, voltandosi verso la ragazza, afferrandola per le spalle. – Dimmelo!! Era una fan, per dio! Avrei dovuto afferrarla tra la folla e baciarla? Cristo, lo sai benissimo anche tu, non siamo nel mondo delle favole! Le favole non esistono! – la voce del ragazzo rimbomba nel cimitero deserto. Geena allunga una mano, fino a piantare un sonoro ceffone sulla pallida guancia di Gerard, che subito s’arrossa, lasciando la nitida impronta delle cinque dita della ragazza.

-         Ma chi vuoi prendere in giro? – ritrae la mano, rinfilandola in tasca con una freddezza di cui non si credeva capace. – Mi chiedi cosa avresti dovuto fare? Sapevi che stava male…avresti dovuto prendere il primo aereo e raggiungerla. Cosa che lei ha fatto con te per anni. Non appena ti vedeva un po’ triste, un po’ sbattuto, prendeva un aereo, e ti raggiungeva. Ovunque tu fossi. Parigi, Londra, Newark, New York, Los Angeles…lei era lì, per farti sorridere, per tirarti su, per non farti sentire solo. Dietro le transenne, dietro le grate, dietro le file di bodyguard. Tu lo sai. Lo sai che lei era sempre lì, l’hai vista, le hai parlato, l’hai toccata, siete stati insieme, centinaia di volte. E anche quando non te la trovavi davanti, lo sentivi, lo avvertivi, che lei era lì, da qualche parte, tra la folla. Tu avevi bisogno di lei, e lei c’era. Tu non ci sei stato, quando lei ha avuto bisogno di te. – è talmente arrabbiata che quasi le viene il fiatone, che si condensa in nuvolette davanti alla sua bocca. – Non sono una stupida, come non lo era Nicole. Nessuno si è mai aspettato che tu la prendessi in mezzo alla folla e la baciassi. Ma non era una fan, Gerard. Lei era molto di più, e tu lo sai. Ti amava, in un modo tutto suo, speciale, come mai ha amato qualcuno in vita sua. E lo sapevi, cosa provava. Te l’ha detto più d’una volta. Nelle sue lettere, nei suoi sguardi, nei suoi sorrisi, nelle carezze che ti dava, nei vostri momenti insieme. Tu sei stato fottutamente fortunato, a te erano destinati pensieri, palpitazioni, lacrime, che ora nessun’altro potrà mai avere. Tutto quello che dovevi fare, era tenderle la mano nel buio in cui stava cadendo. – Gerard la guarda, da dietro gli occhiali scuri. Una forte morsa al petto gli comprime il cuore, come se stesse per scoppiare. – Solo che ora…sei in ritardo. – Geena conclude il suo monologo, fredda, glaciale. Guarda un’ultima volta la foto dell’amica, quindi si allontana, senza preoccuparsi di spostarsi, lasciando che la sua spalla si scontri con quella di lui.

Gerard rimane solo, nel cimitero che ora è tornato silenzioso. Fissando la foto di Nicole, si sfila finalmente le lenti scure, girandosi poi un’ultima volta verso Geena.

-         E’passata soltanto una settimana, cristo santo. Che cos’è una settimana in confronto a una vita? E’ così poco tempo… - lei si volta glaciale, stretta nella felpa dei My Chemical Romance, il cappotto piegato sul braccio. Quella felpa era stato l'ultimo regalo di Nicole, per ringraziarla di averla accompagnata fino a Chicago a vedere un loro show. In quel momento i suoi occhi captano il moto incerto di una farfalla bianca che si posa sulla lapide dell’amica.

-         Il tempo vola Gerard... - dice, guardando quella creatura – Il tempo vola…

Gerard segue a sua volta il moto dell'animale che sbatte placidamente le ali, posato sul marmo levigato. Il rumore della macchina di Geena gli da conferma di essere rimasto l’unico essere vivente in quel luogo, assieme alla farfalla. E, finalmente, può abbandonarsi alle proprie emozioni. Cade in ginocchio, abbracciando senza remore quella fredda lastra di marmo, come più di una volta aveva abbracciato Nicole. La morsa nel petto peggiora, stringe più forte, gli fa male. Calde lacrime gli colano lungo il viso, cadendo a terra. Singhiozza come un bambino, per lungo tempo. Stringendola, come avrebbe sempre dovuto fare.

-         Sono in ritardo…sono in ritardo… - questo riesce solo a dire, tra un respiro soffocato e l’altro. E’ in ritardo. Non potrà mai dirle che l’amava. Che da quando aveva incontrato i suoi occhi la prima volta, anni addietro, ne era rimasto folgorato. Che anche in mezzo a una folla immensa, avvertiva il suo calore, la sua presenza, che gli dava la forza di andare avanti. Che ogni volta che la rivedeva il cuore gli balzava in petto, come un ragazzino alla sua prima cotta. Che avrebbe voluto che ogni loro incontro, ogni attimo passato insieme, fosse durato più a lungo. Non saprà mai delle notti insonni, passate a pensarla, combattuto tra i suoi pregiudizi nei confronti delle fans e l’inspiegabile sentimento che lo legava a lei, sentimento a cui si era lentamente abbandonato. Non potrà mai dirle che aveva cercato, con un matrimonio-lampo, di togliersela dalla mente, ma che, veloce come era nato, quel matrimonio era crollato, distrutto dal bisogno disperato che aveva di lei, e che proprio le pratiche del divorzio lo avevano tenuto occupato nell'ultima settimana. Voleva arrivare da lei, libero, libero di viverla. Ma non aveva fatto in tempo. Era in ritardo. – Perdonami…perdonami… - altre parole sgorgano a singulti dalle labbra di lui che poi, frenetiche, si chinano a baciare la piccola foto, che subito si appanna. La guarda, osserva l’opaco svanire a poco a poco, mostrando nuovamente il dolce viso di Nicole. Calmatosi, appoggia la schiena alla lapide, rinchiudendo il viso tra le ginocchia. Il pianto disperato lascia ora spazio a quello più profondo, doloroso, con la consapevolezza della sua totale perdita. Lacrime che non più sgorgano dagli occhi, ma direttamente dal cuore. Tremando, estrae dalla tasca un taccuino, e una penna. Inizia a scrivere, con una grafia incerta, ancora sconvolta dal pianto che non accenna ad abbandonarlo. Scrive a lungo, stringendo tra le dita quel taccuino, come se ogni parola espiasse parte del dolore che in quel momento prova. Si ferma solo dopo molto tempo. Le dita sono intirizzite dal freddo, quasi congelate attorno alla penna. La rimette in tasca, staccando quindi il foglio dal blocco. Lo osserva, lo rilegge, mentre ancora le lacrime gli bagnano il volto. – Sono in ritardo anche con questa. – mormora amaramente, incastrando il foglietto accanto alla foto. – Addio… - un sussurro, impercettibile, mentre con le dita sfiora un’ultima volta l’immagine, per poi portare la stessa mano a stringere un ciondolo, un regalo che lei gli aveva fatto per il suo compleanno, l’anno prima. Gliela aveva messa tra le mani fuori dagli studi di uno show televisivo, in Giappone. L'aveva notata subito, quel viso dai lineamenti delicati in mezzo a un mare di visi orientali. Tutte infilate in colorate uniformi, e lei, come al solito, avvolta in abiti scuri, gli occhi castani circondati da quello spesso strato di matita nera che più d'una volta Gerard aveva visto colare assieme alle lacrime, dopo un suo tocco, una sua carezza, un suo sussurro.

- Sei ancora qui? - le aveva chiesto lui in tono divertito, a mascherare la dolcissima sensazione che gli provocava vederla un'altra volta.

- Sarò sempre qui... - gli aveva risposto lei, quindi gli aveva preso la mano, lasciandogli scivolare sul palmo quel ciondolo, beandosi dei quel contatto tra le loro dita. - Buon compleanno.

Si volta, stringendo gli occhi, costringendo le ultime lacrime a scivolar via, cadere su quel terreno, come se potessero nutrirlo col dolore e l’amore che prova. Si passa una mano sul volto, costringendosi a non voltarsi verso di lei, non più. Si rimette gli occhiali, stringendosi nel suo cappotto pesante, quindi si allontana, seppur ad ogni passo indugi, con la voglia di tornare indietro. Ma non può, e lo sa. Deve andare. Ma il suo cuore, quello gliel’ha lasciato lì, e non tornerà mai più indietro a riprenderselo. Gerard sa di avere perso una cosa importante. Non una fan, non un’amante. Ma una persona che lo amava incondizionatamente per ciò che era, senza lustrini e luci della ribalta, ma per i suoi sorrisi genuini, per i suoi occhi stanchi che brillavano nel vedere il proprio lavoro apprezzato, senza chiedere niente in cambio, se non la gioia di osservare da lontano la sua felicità anche senza farne parte. E trovare chi ti ami in questo modo, è una cosa che non capita tutti i giorni, che tu sia uno sconosciuto qualunque, o una rockstar da migliaia di copie vendute.
Pochi altri passi, e nel cimitero torna il silenzio, gravoso di un addio difficile da dimenticare, anche per i muti abitanti di quel luogo. Una lieve brezza si solleva, agitando le foglie autunnali, smuovendole. Il foglietto incastrato alla foto vacilla, resiste, poi vacilla di nuovo, ma poco dopo viene spazzato via, sollevato in aria insieme alle foglie, trascinato via proprio come fosse una bolla di sapone, perdendosi nel cielo grigio, insieme alle parole che conserva.

“A hundred days have made me older
Since the last time that I saw your pretty face
A thousand lies have made me colder
And I don't think I can look at this the same
But all the miles that separate
Disappear now when I'm dreaming of your face

I'm here without you baby
But you're still on my lonely mind
I think about you baby
And I dream about you all the time
I'm here without you baby
But you're still with me in my dreams
And tonight it's only you and me

The miles just keep rollin'
As the people leave their way to say hello
I've heard this life is overrated
But I hope that it gets better as we go

I'm here without you baby
But you're still on my lonely mind
I think about you baby
And I dream about you all the time
I'm here without you baby
But you're still with me in my dreams
And tonight girl its only you and me

Everything I know, and anywhere I go
It gets hard but it wont take away my love
And when the last one falls
When it's all said and done
It gets hard but it wont take away my love

I'm here without you baby
But you're still on my lonely mind
I think about you baby
And I dream about you all the time
I'm here without you baby
But you're still with me in my dreams
And tonight girl its only you and me”

  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance / Vai alla pagina dell'autore: StEfYLuPaCcHiOtTa