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Autore: _Pobluchan_    11/05/2013    1 recensioni
Tutti i giorni. Tutti i giorni mi fermavo su quella panchina. Quella panchina era la cosa che mi legava di più alla vita. Lì ci avevo passato l'utimo momento felice della mia vita tre anni prima.
[...] Per due anni ci eravamo telefonate tutte le sere, anche solo per darci la buonanotte. Poi me l'avevano portata via.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Un po’ più in là della tua solitudine, c’è la persona che ami. 

 (Dino Buzzati) 

 

Tutti i giorni. Tutti i giorni mi fermavo su quella panchina. Quella panchina era la cosa che mi legava di più alla vita. Lì ci avevo passato l'utimo momento felice della mia vita tre anni prima. 

*flashback* 

"Devi proprio andare?" 

Guardai la mia migliore amica e la sua valigia. 

"Sofy, lo sai che dipende dai miei genitori e non da me. Se fosse per me non ti abbandonerei mai" 

"Mi chiamerai vero?" 

"Scherzi?! Ovvio che ti chiamerò! Però ogni tanto devi chiamare anche tu" 

"Ma..." 

"Niente ma! Lo so che hai paura ad usare il telefono, ma lo devi fare!" 

Sospirai. 

"Va bene, Mo" 

Lei mi sorrise e mi strinse in uno dei suoi mega abbracci che ti frantumano le ossa. 

"Mi mancherai Sof" 

"Anche tu Mo" 

Trattenere le lacrime mi fu impossibile, cominciarono a scendere come un fiume in piena che non ha intenzione di smettere. Lei mi guardò coi suoi occhi dolci. 

"Non piangere che se no comincio anch'io e tu sai quanto ODIO piangere..." 

Cercai di sorriderle, ma mi venne fuori una smorfia che la fece ridere. 

"Assomigli alla Galeotti quando vede le scarpe di coccodrillo della prof Toschi!" 

A quell'immagine scoppiai a ridere anch'io. Per un attimo lei non stava più per partire per la Francia, non eravamo più sulla panchina della stazione. Eravamo solo due migliori amiche che ridevano su una panchina. Quando si alzò per partire non c'erano più lacrime sul mio viso, ma solo un sorriso per lei. Lei che aveva sorriso per tutta la vita anche al posto mio, che ero una musona asociale di prima categoria. 

"Sof promettimi che sorriderai sempre" 

"Finché esisterai tu lo farò" 

"Allora spero tu muoia prima di me" 

"Stronza!" le dissi abbracciandola. 

Rimasi su quella panchina anche dopo che il treno me la rubò, anche dopo che quel fottuto treno mi portò via la cosa migliore della mia vita. 

*fine flashback* 

Per due anni ci eravamo telefonate tutte le sere, anche solo per darci la buonanotte. Poi me l'avevano portata via. 

"Gli hanno trovato un tumore in fase avanzata, non c'è stato nulla da fare. È morta dopo due mesi" 

Così mi avevano detto i suoi genitori in lacrime. Quanto li odiavo. Loro me l'avevano portata via per puro egoismo. E ora lei non c'era più. Non avevo potuto neanche starle accanto. Era morta senza di me. Solo una telefonata una settimana prima della sua morte in cui avevo potuto sentire la sua risata che diceva che stava bene. E ora non c'era più. Ora stava con gli angeli: l'angelo più bello e sorridente che si sia mai visto. Un bellissimo angelo di diciassette anni dai capelli rossi e occhi verdi smeraldo. Sapevo che era al sicuro, eppure ero arrabbiata perché mi aveva lasciata sola. Non uscivo mai di casa, in classe parlavo poco e di amici non ne avevo. Tutti i pomeriggi scappavo su questa panchina: una ragazza di diciotto anni che a volte scoppiava a piangere su una panchina. Forse avrei dovuto raggiungerla. 

"Tesoro..." 

La vecchietta che vendeva rose mi si avvicinò. 

"Mi dispiace Mary, ma non ho con me il portafoglio oggi" 

"Non sono qui per questo. Cara sei tutti i giorni qui a piangere" 

"Sono sola e questo è il posto migliore che conosco" 

Lei mi sorrise mostrando i buchi che aveva al posto dei denti. 

"Ricorda cara: un po’ più in là della tua solitudine, c’è la persona che ami" 

Mentre io la guardavo sparire tra la folla di viaggiatori lei continuò a sorridermi. 

"Credo che si stesse riferendo a me" 

Mi voltai e un ragazzo rosso dagli occhi verdi mi sorrise. 

"Come?!" 

"Si... La vecchia Mary si riferiva a me. Se tu ti fossi guardato in giro avresti notato che sono mesi che ti aspetto su questa panchina e resto qui finché non te ne vai" 

Lo guardai meglio: effettivamente era sempre lì. 

"Sof, possibile che tu non veda mai oltre il tuo naso?!" 

Risi al ricordo di quella svampita di Mo che mi sgridava perché non trovavo mai niente. 

"Io parlo sul serio..." disse il ragazzo corrugando la fronte. 

"Lo so" sorrisi. "Non ridevo per quello che hai detto, ma per il fatto che non riesco a vedere oltre il mio naso" 

"Forse dovresti metterti gli occhiali" 

Gli sorrisi. 

"Quando sorridi metti di buon umore" mi disse. 

Io diventai color pomodoro. 

"G-Grazie" 

"Mi chiamo Giovanni, anche conosciuto come pel di carota" 

Gli strinsi la mano che mi tendeva. 

"Sofia, o meglio nota come la musona asociale" 

"Lo so" 

"Lo sai?!" 

"Sono nella classe di fronte alla tua" 

"E com'è che non ti ho mai visto?!" 

"Te l'ho detto forse è il caso che tu metta gli occhiali" 

 

Due anni dopo. 

"Cazzo Gio! Muoviti! Non posso fare tardi anche oggi!" 

"Arrivo! Arrivo!" 

Giovanni scese le scale di casa sua e mi raggiunse nell'atrio del condominio. 

"Muoviti! Io ho lezione tra dieci minuti!" 

"Allora guido io!" 

"Scordatelo! Voglio continuare a vivere!" 

"Però vuoi arrivare in tempo e se guidi tu non arriveremo mai" 

Con sguardo truce gli consegnai le chiavi dell'auto. Sfrecciando come un autista di formula una Gio mi portò all'università in sette minuti. 

"Ci vediamo alla solita ora nel solito posto" 

"Si si! Sono mesi che lo facciamo lì" disse con sguardo malizioso. 

"Sei un pervertito!" 

"Io mi riferivo al pranzo..." 

"Certo certo... Dovresti trovarti una ragazza e dare sfogo alle tue fantasie perverse" 

"Vai a lezione o farai tardi" 

Gli diedi un bacio veloce sulla guancia e correndo mi diressi in aula. Alle dodici ero di nuovo libera. Andai dalla panchina della stazione dove era finito e iniziato tutto. Era in ritardo. Come sempre. Sbuffai. Era stato puntuale solo all'inizio della nostra amicizia, poi si era rivelato come un gran ritardatario. 

"Sof! Eccomi! Ci sono!" 

"E che cavolo Gio! Mai una volta che tu sia puntuale!" 

"Scusa, è che ho seguito il tuo consiglio" 

"Io ti avrei dato un consiglio?! E quando?!" 

"Stamattina: hai detto di trovare una ragazza. Ci ho pensato e hai ragione: ho bisogno di una ragazza seria" 

"Incredibile: Giovanni che mette la testa a posto" 

"Avevo pensato alla Francesca" 

"Ma chi? La Farruzzi?!" 

"Si" 

Gli diedi uno scapellotto. 

"Scordatelo! Quella è una troia e la dà via per niente" 

"Appunto" 

"Se ti metti con lei non ti parlo più Gio. Lei non va bene" 

"Allora la Grimaldi" 

"Quella?! Quella è una suora! Non riuscirai neanche ad avvicinarla" 

"La Bertacchi?!" 

"Rischi di ritrovarti il portafoglio vuoto: è piuttosto firmata con lo shopping firmato" 

"Allora la Sautto?" 

"Quella?! Solo se ti tieni dei tappi sulle orecchie 24 su 24" 

"La Rossi" 

"Chi?!" 

"La Rossi" 

"E chi sarebbe?!" 

Lui rise scuotendo la testa. 

"Tu stupida! Tu di cognome fai Rossi" 

Il cuore cominciò a battermi a mille e il cervello non connetteva bene le cose. 

"I-Io?!" 

"Tu Sof. Vuoi essere la mia ragazza?" 

Volevo essere la sua ragazza? 

"Si! Porca miseria si! E se provi a nominare ancora la Farruzzi ti" 

Fui interrotta dalle sue labbra calde che si posarono sulle mie. Perché non era successo prima: sapevano di cioccolato. Dio quanto amavo il cioccolato. 

 

Molti anni dopo  

"Rallenta Sof!" 

"Perdiamo il treno!" 

"Ahahah ma tu hai un vestito troppo lungo per correre! Dopo ti farai male!" 

Sbuffai. 

"Scusa se per sposarti ho indossato un vestito troppo lungo, la prossima volta me ne ricorderò. Ora andiamo!" 

Per fortuna riuscimmo a prenderlo e a sederci col fiatone. 

"Ti ho già detto..... Che con quel vestito sei ancora più sexy?!" disse col fiatone e alzando un sopracciglio. 

"Siamo in un treno Gio..." 

"Vorrà dire che mi limiterò ad un bacio" 

Sorridendo mi baciò. Quando si staccò gli angoli della mia bocca si curvarono all'insù per sorridere. 

"Sei così bella quando sorridi" 

"Lo so" gli risposi arricciando il naso. 

"Non smettere mai" 

"Non lo farò. Per Mo" 

"E per me?!" 

"Anche per te" 

Mi baciò di nuovo. 

"Mo sarebbe fiera di te" 

"Lo so" 

"E ricordati: un po’ più in là della tua solitudine, c’è la persona che ami" 

"La mia è qui di fronte a me" 

"Ti amo" 

"Anch'io" 

 

Due anni dopo 

"Ehi" 

Sorridendo Gio entrò nella stanza dell'ospedale in punta di piedi. 

"Ehi" 

Con calma si avvicinò al mio letto. 

"Ciao piccolina" 

Nostra figlia gli fece una smorfietta prima di cominciare a piangere. 

"Mi sa che non gli piaci Gio" dissi cullandola. 

"Si dovrà abituare: ho intenzione di vivere con lei per mooolti anni" 

"Lo spero per te" dissi dopo aver ricevuto il mio bacio. 

Per un po' restammo imbambolati a guardarla. 

"Come la chiameremo?!" chiesi. 

"Mo" 

Io lo guardai con gli occhi spalancati. 

"Monica, Mo" 

"Sei sicuro Gio?" 

"Certo. Lo so che ti piacerebbe. Lei ne sarebbe fiera" 

"Oh Gio..." dissi con gli occhi lucidi. 

Lui mi baciò dolcemente accarezzandomi una guancia. 

"Mo. Sarà Monica il suo nome" 

"Ti amo Gio" 

"Ti amo anch'io Sof" 

"Ti voglio bene Mo" pensai. Ora Mo era tornata da me. La mia piccola Mo.

  
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