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Autore: lostinthemusicsound    11/05/2013    1 recensioni
Possibile essere in pensiero per una persona che neanche si conosce?
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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 Corridoio d'ospedale: pavimento bianco e pareti verdi. Ma non quel verde speranza, quel verde che mette tristezza. Eccomi, seduta qui ad aspettare notizie. Stesso luogo dell'ultima volta. Stesso tempo, ma accanto a me questa volta non c'è nessuno. Ad dir la verità non c'è nessuno su tutto il piano. Terapia intensiva: ecco cosa dice il cartello verde in calligrafia bianca, vicino alle scale. Qui è iniziato tutto.

 

10 GIORNI FA

Senza cuffiette! Di nuovo! Ad aspettare il mio turno qui, su questa panchina di merda in un corridoio deserto. Odio fare visite mediche da sola. È vero che puoi leggere, ascoltare musica o pensare, ma qualunque cosa tu faccia sembra che il tempo non passi mai. Qualcuno si è seduto sulla panchina di fronte alla mia. Ospedale di merda! Fai sembrare tutti tristi ( o forse perché lo sono davvero?). Lei, occhi come il cielo fuori: grigi, freddi, incorniciati da lunghe ciglia nere. Pelle bianca,quasi trasparente, sembra così fina e delicata che non avrei mai il coraggio di toccarla. Squilla un telefono. Una canzone triste. La riconosco, ma non ci voglio-posso credere. La ragazza in pigiama risponde. The Black Parade. La guardo meglio, sembra un mix perfetto tra gioia e tristezza con delle stupende lentiggini come tocco finale. Entra nella sala 133a. Io devo andare nella 134b. Nessuno sa che medico ci sia nella sala accanto alla tua. Nella 130c so che c'è un endocrinologo, nella 134b un dentista, nella 125f uno psicologo, ma la 133a per me rimane un mistero. 5 minuti, 10 minuti, 15 minuti. Possibile essere in pensiero per una persona che neanche si conosce?

20 minuti, 25 minuti, 30 minuti. Il mio turno ancora non è arrivato. Sono preoccupata. Quegli occhi grigi con quel velo di tristezza li ho impressi nella nella. Chiedo ad un'infermiera che passa se sa che medico ci sia nella 133a. “Cara, non so...mi sembra che sia collegato a terapia intensiva comunque, ti serviva qualcosa?” mi chiede “Semplice curiosità, grazie”.

Sono di nuovo sola in questo corridoio. La maniglia gira, la porta si apre e la ragazza si va a risiedere dove era prima. Qualcosa nel suo sguardo è cambiato. Sembra rassegnata. Tocca a me. Entro. 3 minuti. Esco. Devo tornare domani, le infezioni sono una brutta rogna. Lei è ancora là, seduta, delicata, come se vivesse in un mondo tutto suo. Vorrei parlarle, ma mi vergogno troppo, è così perfetta che ho paura di rovinarla.

 

9 GIORNI FA

Non sono riuscita a dimenticarla. Troppo bella, perfetta e triste. Sono di nuovo seduta in questo corridoio. Quando sono arrivata lei era già qua, ma questa volta con le cuffiette. Lei mi guarda, io la guardo, sguardi che sembrano durare anni. Vorrei tanto sapere cosa sta ascoltando. Ok, ho deciso, mi siedo accanto a lei. Vorrei parlarle, ma non ne ho le forze. Non è giornata, oggi è andato tutto male: casa, scuola, amici, famiglia, me stessa, e tra tutte queste cose ancora non ho trovato le cuffiette.

L'ho soprannominata Luna, la ragazza con gli occhi grigi. Penso legga nei pensieri o sia telepatica, non so. Con le sue mani aggraziate ed bianche si sfila un'auricolare e me lo porge. Bastano le prime cinque note per riconoscere la canzone e cominciare a piangere sulle note di “ The Light Behind Your Eyes”; insieme piangiamo, due sconosciute, per un corridoio di ospedale, piangiamo per una canzone. Ci alziamo. Ci dimentichiamo delle rispettive visite mediche e camminiamo per l'ospedale. Ci fermiamo davanti al bar al piano +1. oggi piove. Il bar ha grandi finestre che si affacciano sul prato che circonda l'ospedale. In lontananza i monti e i vari paesi dei Castelli Romani. Offro io, lei è solo con il suo Ipod e il suo pigiama. Chissà in che reparto sta. Due cioccolate bianche con smarties. Il tavolino vicino alla finestra sembra perfetto per noi due. Azzurra si chiama, romancer fino alla morte. Il suo corpo è la trappola del suo spirito e della sua anima che vorrebbero volare lontano. Così mi dice. Io racconto poco di me. Mi vergogno. C'è uno strano feeling tra di noi: potrei stare ore seduta al suo fianco senza dire niente. Solo io, lei e la musica. Tre volte abbiamo ascoltato tutta la discografia completa dei MCR. Ricominciamo a camminare. Ormai sono le 20:00. la sua voce è un sospiro di vento, musicale e leggera. Mi chiede di accompagnarla al suo reparto. Dentro di me un misto di ansia e paura, vorrei sapere dove stiamo andando. Corridoi infiniti si susseguono, numeri di stanze, nome di dottori si susseguono davanti ai nostri occhi. Ala di ospedale riservata alle lunghe degenze, quarto piano, stanza 60. ormai fuori è buio, nella stanza c'è solo lei, gli altri tre letti sono liberi. Dalle tende scostate della finestra si intravedono le stelle. Sul tavolino vicino al letto la sua cena, ormai fredda e la sua cartella clinica. Azzurra leggera si sposta per la stanza come se non toccasse il pavimento. Lei, così vicina, odora di cocco ed è ancora più bella. Mi perdo nei suoi occhi. Mi tocca la guancia con la sua mano. Io ho paura a toccarla. Lei è così delicata, ho paura di farle male. Le sfioro la spalla. I nostri volti si avvicinano, le nostre bocche si sfiorano, delicate, come due rose. Sospira. I nostri volti si riavvicinano. Un bacio deciso. Interrotte da un'infermiera che mi chiede di lasciare il reparto. Rimaniamo così, a metà. Ho ancora il sapore di cocco sulla mia bocca.

 

8 GIORNI FA

Anche se sono strapiena di compiti devo ricavarmi del tempo per andare da lei. Azzurra è diventata il mio pensiero fisso e il suo sapore di cocco ancora me lo sento addosso.

A mamma ho detto che andavo a studiare da un'amica e invece eccomi qui.

Abito a sole 5 fermate di autobus da lei. Questa mattina le ho fatto recapitare nella stanza delle rose blu, come piacciono a lei. La porta della stanza 60 è chiusa. Busso. Non risponde nessuno. Giro piano la maniglia, cercando di non fare rumore. Lei dorme, coperta solo dal lenzuolo bianco. Sul tavolo, in un vaso trasparente le rose. Accanto al letto c'è una poltroncina su cui mi siedo. Mi piace guardarla dormire, sembra una bambina piccola, con le guance arrossate. Sbatte delicatamente le palpebre,mi guarda. Non sembra sorpresa di vedermi. Le esce un sorriso naturale. La conosco da solo due giorni ma a me sembrano anni. “Grazie delle rose. Se mi aspetti mi preparo e andiamo a farci un giro” questa frase le esce come un sussurro; io in risposta non riesco a dire niente, acconsento con un accenno di testa. Vorrei aprire la sua cartella clinica e leggerla, sapere di più su di lei. “Aprila se vuoi, io non ho niente da nascondere”, non l'ho sentita arrivare, è spuntata da dietro la mia spalla come dal nulla. Parla, mi racconta della sua vita. È sola, non ha più nessuno, da quando se ne è andata di casa non ha più visto nessuno dei suoi famigliari. Pochi giorni. Ecco cosa dice la sua cartella. Le mancano pochi giorni di vita. Non sono riuscita a fermare le lacrime. Seduta sulla poltroncina con lei sulle mie ginocchia, lei così leggera e delicata, lei così perfetta, io che a malapena la conosco, io piango per lei. Grandi gocce salate mi rigano il volto. Lei anche nella sofferenza riesce a sorridere. Passiamo il pomeriggio così, parlando, ascoltando musica e a ridere per qualche Frerard. Vorrei farla ridere, divertire, vorrei che questi suoi giorni siano i migliori della sua vita. Prima di ritornare a casa vorrei risentire quel sapore di cocco sulle mia labbra. Sento l'infermiera per il corridoio; un saluto veloce, un bacio sfuggente e vengo invitata ad uscire.

 

7 GIORNI FA

Oggi non posso andare a perdermi nei suoi occhi grigi. Domani devo assolutamente liberarmi.

 

6 GIORNI FA

Azzurra non è nella stanza, Azzurra non è in bagno, non è al bar. “Mi scusi, sa dove sai la paziente della stanza 60?” chiedo all'infermiera del corridoio “È fuori per un day hospital, torna domani”mi risponde. Mi sento il mondo crollare, la sua presenza era una certezza. Sapevo che l'avrei sempre trovata lì. Entro nella sua stanza e mi siedo vicino al tavolino. So che ho un'orribile calligrafia, ma spero che Azzurra la capisca. Due righe per dirle che sono passata e lasciarla il mio numero di telefono in caso di emergenza. Non averla vista non mi tranquillizza, anzi mi preoccupa.

 

5 GIORNI FA

Oggi è tornata a dormire nella sua stanza. Questa mattina sono stata svegliata nel miglior modo possibile: con un suo messaggio. Un semplice buongiorno accompagnato da un cuore. Cosa c'è di meglio?

Sono in classe. Il telefono squilla. Azzurra. Andare in bagno fingendo un malore è l'unico modo per riuscire a rispondere. Al di là della cornetta la sento stanca, anzi, affaticata.

“Tutto bene?”

“Sì, tutto ok...”

“Quando ho visto il tuo numero di telefono comparire sul mio telefono mi sono preoccupata”

“Ti volevo solo chiedere se potevi venire oggi. Ho una visita importante, ma nel pomeriggio mi hanno concesso di uscire dall'ospedale”

“Ovvio che vengo! E me lo chiedi pure?”. Attacco. Sono stata via troppo tempo dalla classe anche per gli standard di una persona con un malanno. Devo di ricordarmi di prendere la macchinetta fotografica. Voglio farmi delle foto con lei per rendermi conto che non è solo un sogno o frutto della mi immaginazione. Dovrò dar buca ad un gruppo di amici, ma farei di tutto pur di stare con lei.

Stiamo sull'autobus, la porto nel mio pub preferito al centro. Abbiamo scattato 57 foto ed ancora non siamo arrivate. Lei in ognuna sembra perfetta. Mangiamo qualcosa al volo e andiamo a camminare in giro, a vagabondare senza meta. Le persone si girano al nostro passaggio, ci guardano, ma camminare mano nella mano con lei mi rende completa.

Squilla il telefono. Sono le 23:30. Non so chi possa essere a quest'ora. Vado sul balcone a rispondere, altrimenti sveglio i miei genitori. Il numero è quello di Azzurra ma la voce non è la sua. Dottor Matthews, stanza 133a. La ragazza con gli occhi azzurri come la luna ha avuto una ricaduta. Mi vesto di nascosto ed esco furtivamente di casa, senza fare rumore, sperando che nessuno se ne accorga. Lei è lì, nel suo letto che dorme beatamente. Niente rompe il silenzio al di fuori del “bip-bip-bip” del macchinario a lei attaccato. Il medico dice che c'era da aspettarselo. Nelle condizioni di salute precarie come quelle della ragazza niente è certo.

 

OGGI

Ed eccomi qui. Solita panchina. Aspetto sue notizie. Lei sta facendo una visita medica. Le sue condizioni e il suo aspetto stanno peggiorando a vista d'occhio. Ho paura. Non voglio rimanere sola.

Ora capisco cosa significa soffrire per una persona a cui tieni. Lei è diventata tutto per me.

La maniglia gira e la porta si apre. Esce. Ha gli occhi persi nel vuoto, lei. Lei che sorrideva davanti ad ogni difficoltà. “Come è andata? Cosa ha detto il dottore?” la mia voce se vuole essere sicura, trema, tentenna. Ho paura della risposta.

“Sta arrivando la mia Black Parade”.

  
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