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Autore: __Orange    12/05/2013    0 recensioni
-Sposami.
-Chiquandodovecomecosa?
-Hai capito, Effy. Sposami.
Lo guardai, incredula -Tu ti droghi, Mike.
Mike mi fissò sbuffando. Niente di nuovo, insomma.
-Dai, Effy! Ragiona per un secondo! Io..
-“Tu” una cippa Mike! Dio non posso crederci! Non è un gioco, non lo è!
-Nessuno dice che è un gioco! Non sarà un gioco!
-Credi che sia stupida? – lo fissai con disprezzo – Lo so perché lo fai.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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YOU ARE MY SUNSHINE, MY ONLY SUNSHINE.


-Sposami.

-Chiquandodovecomecosa?
-Hai capito, Effy. Sposami.
Lo guardai, incredula.
-Tu ti droghi, Mike.
Mike mi fissò sbuffando. Niente di nuovo, insomma.
-Dai, Effy! Ragiona per un secondo! Io..
-“Tu” una cippa Mike! Dio non posso crederci! Non è un gioco, non lo è!
-Nessuno dice che è un gioco! Non sarà un gioco!
-Credi che sia stupida? – lo fissai con disprezzo – Lo so perché lo fai.
 
Dieci anni prima.
 

-E perciò tu saresti Effy..
Jason mi guardava con una faccia da schiaffi. Il classico fighetto della scuola idiota, quello che crede che tutto stia ai suoi piedi, che basta chiedere e tutto gli sarebbe stato dato.
Che fine aveva fatto adesso? Ah sì, lavorava al Burger King.
-S..sì, ciao. Tu sei Jason vero?- risposi io titubante, nei miei vestiti troppo larghi.
Non ero esattamente un peso piuma a quell’età, ecco. E diciamo che le mie origini non aiutavano neanche più di tanto.
Jason il belloccio annuì accennando un sorriso, rivelando una fila di denti bianchi che in quel momento mi sembrarono perfetti. A pensarci meglio ora, erano pure storti.
-E da dov’è che vieni?- continuò
Deglutii – Beh, sono colombiana..mi sono trasferita da poco..
-Ah, dev’essere un bel posto l’Africa. Sai, leoni, giraffe, zebre..ci sarai abituata insomma.
Lo guardai stranita. Africa? Ma faceva sul serio? Ok, la mia carnagione non era proprio bianchissima, anzi, il mio colorito “ebano” era facilmente visibile in quella scuola dove metà della gente era bionda, pallida, magra e smunta. Ma dai..Africa? Veramente?
Mi sembrava di essere un tacchino al giorno del Ringraziamento. Orribile.
Non mi azzardai a ribattere sul fatto che, fino a prova contraria, la Colombia era esattamente in Sud America. Non era esattamente il genere di persona che avrei voluto correggere.
Lui, alto, biondo, muscoloso (ma nemmeno tanto!), con una mascella squadrata che sembrava un ripiano per attaccare le mensole, la pelle bianca e nemmeno un accenno di barba. Sì insomma, per i miei standard e per la mia età, era un bronzo di Riace.
Io bassa, con i capelli neri e ricci, non proprio con un fisico da fotomodella.
Che è un’espressione carina per dire che ero un po’ in carne.
Che è un’espressione carina per dire che avevo il sedere di una portaerei ancorata nell’Atlantico.
-Guarda che la Colombia è in Sud America, intelligentone.
Mi voltai. Una voce beffarda era arrivata alle mie spalle, dando voce ai miei pensieri.
Un ragazzo alto, magro e dai capelli rossi stava guardando con disprezzo Jason, gli occhi azzurri scintillanti di sfida.
-Williams..!- esclamò Jason con tono canzonatorio –Guarda guarda chi abbiamo qui, il difensore delle minoranze sociali.
-Credo sia capacissima di difendersi da sola, Trent.
-E tu?- sogghignò l’altro avvicinandosi fino a trovarsi a due centimetri dalla sua faccia –Tu ne sei capace? O sei solo una..checca?- disse l’ultima parola con un odio nella voce che non avevo mai sentito.
Michael rimase impassibile a fissarlo con gli occhi puntati sui suoi.
-Sai benissimo che ne sono capace- sibilò con disprezzo.
Jason si staccò di lui con una risata di scherno –Come no, certo. Lo sanno tutti che sei gay, Williams, è inutile che tenti di nasconderlo. Non sarò io a rovinarti, sarà la scuola a deriderti per quello che sei, in realtà.- e se ne andò ridendo, verso gli spogliatoi.
Mike mi si avvicinò, senza scomporsi minimamente, finché non mi si parò davanti, con una mano tesa verso di me, sorridendo amabilmente.
-Sono Michael, ma tu puoi chiamarmi Mike. Lo fanno tutti qui.
 
***
 
-Michael George Williams!- tuonai correndogli incontro attraverso il giardino della scuola
-Da quand’è che mi chiami per nome?- rise lui, ben attento, però, a stare sulla difensiva.
-Da quando ho trovato Melanie a piangere nel bagno a dire che non vuoi andare al ballo con lei! Ma perché! Ti avevo detto di andarci, te lo avevo imposto! Sarai cretino!
-Oh, eddai Effy, lo sai! Qui sono Mike l’omosessuale! Insomma, pensa alla sua reputazione per un secondo! Cos direbbero se la vedessero entrare nella sala da ballo con me? Sarebbe “la ragazza che è andata al ballo con quello omosessuale”! Per favore.
Io sbuffai, lasciandomi cadere e sedendomi vicino a lui sull’erba secca e bruciata dal sole.
-Ti facevo più intelligente Williams, o almeno, più intelligente per non stare a sentire dei discorsi idioti come questo.
-Ah ah – rise sarcasticamente senza entusiasmo, sfregandosi gli occhi arrossati e interrompendosi per fare un sonoro sbadiglio.
-Hai fatto tardi anche ieri?
-Mh.
-L’avrai finito quel film ormai!
-Effy, lo sai che ci vogliono mesi per sistemare le inquadrature, le luci giuste, le messe a fuoco, gli effetti sonori..
-Mike- lo interruppi dolcemente – è il tuo lavoro di una vita. Ho visto quel film un mese fa ed era perfetto! Invialo ora, senza pensarci troppo! Fallo.
Lui sbuffò e si lasciò cadere supino sulla distesa d’erba, gli occhi azzurri a scrutare il cielo senza nuvole, con l’espressione di chi sta combattendo con sé stesso.
Rimasi a guardare il mio migliore amico, ricordandomi di tutte le giornate spese ad aiutarlo a fare le riprese, sistemare i cavalletti delle telecamere, guardarlo fisso davanti al computer con le cuffie e i bicchieri di caffè che, a poco a poco, si accumulavano sulla scrivania. Avrei fatto di tutto per Mike, l’avrei aiutato come lui mi era stato accanto in quegli anni, l’avrei aiutato ad entrare all’Accademia per diventare un regista, il suo sogno più grande da quando, a dieci anni, aveva visto Karate Kid, a sentire lui.
-E tu con chi ci vai al ballo?- mi chiese improvvisamente con finta noncuranza.
Io arrossii fino alla punta dei capelli. In certe cose non ero proprio cambiata.
-Ehm..con..R..Ryandellaclassediletteratura- buttai lì, in fretta, sussurrando appena.
Ma lo sapevo che mi aveva sentito.
-Quel Ryan che si veste da rapper, sempre buttato sul banco a far finta di seguire, mentre in realtà disegna?
-Lui.
-Beh, mi sembra simpatico!
Arrossii ancora di più, facendo scoppiare Mike in una risata sguainata, quella da pazzo, con la quale spaventava sempre tutti. Soprattutto i bambini. Sembrava una donna isterica che stava morendo soffocata con qualcosa conficcato in gola
-Quando comincerai a pensare come una persona normale e metterai via tutti i tuoi castelli mentali?
Storsi la bocca. Era vero. Era un anno fa che Jason e la squadra di pallanuoto mi aveva chiamato “grassona!” a mensa, e da quel momento avevo deciso di cambiare. E non l’avevo fatto realmente perché ci credevo, ma solo perché ero totalmente insicura del mio aspetto e volevo solamente essere accettata.
Andiamo, ero una colombiana grassa e secchiona. Chi mi poteva volere anche solo un po’?
Avevo raggiunto un fisico normale rimpinzandomi di beveroni e frullati dietetici, andando a correre quasi tutti i giorni e stando lontano dal mio amato Mc Donald, di cui mia madre usufruiva sempre quando non voleva preparare la cena. Allungavo perfino la strada per non doverlo vedere, quell’edificio maligno e tentatore, approfittandone per fare esercizio fisico. Tanto per, ecco.
Mike mi aveva sempre sostenuta e aiutata, mangiando con me insalate senz’olio e scondite, senza mai lamentarsi.
Peccato che ogni volta che andavo a casa sua, sotto il letto di camera sua trovavo sempre più accumuli di involucri di patatine del Burger King. Si può dire che l’ordine non era il suo forte, proprio no.
-Ah ah- risposi sarcasticamente imitando lui poco prima.
Lui si girò verso di me, notando il mio disappunto, sorridendo come un’idiota e cominciando a cantare
-You are my sunshine, my only sunshine..
-Dai, Mike, odio questa canzone, solo perché nel tuo film preferito..
-..You make me happy, when skies are greeeeeey – cominciò a urlare, contorcendosi a terra come una rockstar.
-Mike..è da ragazzini, dai..
-You’ll never knooow, deaaar..
-CI guardano!
-..how much I love you!
-Ok, è troppo, me ne vado, giuro!
Mi alzai di scatto ma mi sentii afferrare per la vita e venni trascinata faccia a terra sul suolo erboso
-Please don’t taaake my sunshine aaaway!- urlò infine precisamente dentro il mio orecchio, a peso morto sopra di me.
Cominciai a ridere,soffocata dal suo peso. –Ti odio, Michael Williams!
 
***
 
Sentii bussare alla porta mentre vegetavo sul letto.
-Non c’è nessuno!- urlai coprendomi il viso con le coperte
-Effy, aprimi!                                                      
-No Mike, non voglio vedere nessuno!
-Ma se mi hai chiamato un’ora fa lasciando un messaggio in segreteria dicendomi di correre al college subito!
-No! Non voglio! Sono solo un peso per tutti! Tu hai lasciato le lezioni per correre da me, che sto saltando le lezioni per piangere dentro un letto! Lasciami morire da sola!
-Effy, sei una cretina, lasciatelo dire!
MI ricoprii con le coperte sporche di mascara per proteggermi dal mondo.
Mike sbuffò da dietro la porta: -Ti giuro che urlo se non apri subitò.
-Non oseresti.
-Oserei, lo sai.- mi minacciò
Rimasi in silenzio, immobile. Nascosta al buio delle mie lenzuola con i coniglietti.
Eh vabbè, sono carini e allora?
-L’hai voluto tu. – sentii sibilare. –Effy! Non puoi lasciarmi così! Non puoi cancellare tutto quello che abbiamo passato insieme! Non potrai mai cancellare quelle notti di fuoco!- cominciò a urlare battendo i pugni sulla porta.
-Ma che  cazz…? – sbarrai gli occhi. Nononononono
-Effy! Non mi lasciare, so che sei lì dentro! Non mi importa che tu sia lesbica, voglio solo essere tra le tue braccia ancora una volta! Tu…. –
Mi catapultai, quasi inciampando, verso la porta, per mettere fine a quel supplizio a cui stava assistendo tutta l’ala femminile del mio college.
-Che tu sia maledetto. – sibilai a Mike sbattendo la porta alle sue spalle e guardando il suo ghigno malvagio.
Mi rituffai nel mio letto, la mia ancora di salvezza, nascondendo la testa nel cuscino.
Sentii Mike sedersi vicino a me a gambe incrociate, aspettando una mia parola, che prontamente non arrivò.
-Cos’è successo stavolta?- mi chiese dolcemente.
-Mi ha…mi ha lasciata!- riuscii a formulare in mezzo alle lacrime.
-Beh, l’avevi intuito quando ti ha chiesto una pausa..quanto? tre settimane fa?
-Grazie, Michael, il tuo tatto è stata la cosa che mi ha colpito di te a prima vista sai?
-Oh intendi quando ho corretto quel tizio che pensava venissi dalla giungla?
-Già, la tua aria da saputello mi ha sempre affascinata..
Mike rise, stendendosi vicino a me e abbracciandomi forte.
Era da anni che non lo facevamo, da quando dormivamo insieme al liceo, quando facevamo la maratona di film horror. Avevamo smesso, in effetti non so perché.
Ma quella sera successe una cosa ben diversa da quella che accadeva anni prima, dopo i film horror: mi sentii in imbarazzo totale, sentendolo troppo vicino  a me, sentendo una cosa che non avevo mai sentito gli anni prima, dei brividi lungo tutta la schiena.
Ma che cazzo stava succedendo? OK, io ero cambiata, Mike era cambiato, tutti erano cambiati, i cani erano cambiati, le piante erano cambiate..ok stavo sparando cavolate.
Ma possibile che fossero cambiati anche i miei sentimenti? Insomma, dai! E’ di Mike che stavamo parlando! Mike quello stupido, che piangeva guardando Toy Story 3, quello che si arrabbiava se provavi a nominare le “mestruazioni”. Neanche “ciclo” si poteva dire. <> gli avevo chiesto una volta, sorpresa. <> aveva risposto <>
E poi, diciamolo, Mike era l’imbarazzo fatto persona: la sua risata inquietante, la sua mania di camminare senza guardare dove andava, il spalmarsi letteralmente sulla vetrina dei gelati. Era terribilmente imbarazzante.
Però era Mike. Quello che era corso da un college che distava un’ora dal mio, che era steso di fianco a me ad abbracciarmi, quello che anni prima aveva litigato con un ragazzo perché credeva fossi africana.
A dire la verità era proprio idiota.
Mi chiesi cosa stesse provando, se tutto era così naturale, per lui, o aveva ricevuto, come me, un pugno nello stomaco tanto da farlo quasi vomitare. Bell’immagine, però.
 
***
 
-Credi che sia stupida? Lo so perché lo fai.
La cucina del mio appartamento era diventata all’improvviso fredda e silenziosa. Mi ritrovai a pensare che l’uomo di fronte a me era davvero cambiato. Era cresciuto, di altezza e aveva messo su qualche muscolo. Non troppi, però, perché era troppo pigro per stare veramente attento alla dieta.
Gli occhi erano contornati da occhiaie spesse, reduci  da notti insonni per qualche ora di troppo passata al montaggio. I capelli rossi erano l’unica cosa che era rimasta invariata completamente: lunghi e scompigliati. Credo di non averli mai visti diversi da così.
-Effy, non credo che tu sappia il perché lo sto facendo.
Risi amaramente –Come no. Perché mi ami follemente! Ah no aspetta! Perché aspetto, forse eh, tuo figlio?-
Urlai, trattenendo le lacrime, poggiando una mano sul ventre, ancora piatto, ma dove il mio corpo stava ospitando.. qualcuno. E non un qualcuno qualcuno. Quel qualcuno. Mio figlio. Suo figlio.
Il mio migliore amico rimase in silenzio, abbassando gli occhi a terra. Io, rimasi immobile, tremante di rabbia, dolore, disperazione, chi più ne ha più ne metta.
-Risolveresti tutti i tuoi problemi così. Tuo padre.. tu lo sai cosa pensa di queste cose, quanto cattolico sia. Ho il dovere di sposarti, o non ti darà i soldi per mantenerlo, lo sai..
-Ah, dovere! Tu hai il dovere di sposarmi?! Non voglio essere il dovere di nessuno. Non voglio che consideri tuo figlio uno sbaglio di una notte passata a bere troppa tequila.
-Effy, quella è stata la prima notte. Non credo che nelle successive ci fosse stata la tequila. Anzi, ne sono certo.
Mi ricordavo di quella prima notte,un anno prima, in vacanza in montagna, quando, dentro un mobile di legno avevamo trovato della tequila, presumibilmente del proprietario. Da cosa nasce cosa, ci eravamo trovati la mattina successiva, nudi, abbracciati e ubriachi.
Eppure da lì tutto era cambiato. Non riuscivamo a starci lontani, ma neppure troppo vicini, emotivamente, perché non capivamo cosa ci stesse succedendo. Finivamo per baciarci, per poi ritrovarci, ancora a letto insieme, ma ancora troppo lontani. La notte non dormivo, pensando a quello che eravamo diventati. Non lo sapevo, cercavo di capirlo, in ogni istante. Non avevamo provato a parlarne, eravamo troppo spaventati, ma una forza incontrollabile continuava a riunirci, a far confondere i nostri corpi l’uno con l’altro.
-Le altre notti Mike?- gli urlai contro, il viso contorto in un’espressione d’odio. –E per te cos’hanno significato le altre notti, eh?
-Effy, io non riesco a parlarne, lo sai..
-Non abbiamo più sedici anni, porca miseria! Ne abbiamo ventisei, credo di essere matura abbastanza per affrontare questo tipo di discussione! Vedi di crescere Mike, e fallo adesso. Perché, tanto per informarti, tu non hai il dovere di sposarmi. Hai il dovere, invece, di diventare padre, E questo, caro mio, significa crescere perché dovrai far crescere un’altra persona. Tuo figlio un padre lo merita, ma io non sono un tuo dovere.-
Mike rimase in silenzio ancora una volta, la fronte corrugata, le mani che si torturavano.
Non sopportai più quella visione, mi alzai di scatto andando in camera mia, scoppiando a piangere, la testa sotto il cuscino, come facevo da piccola per cercare di dormire.
Che tu sia maledetto Michael Williams.
Io lo sapevo fin troppo bene cosa provavo. Lo avevo capito quella sera di due anni prima, quando avevo dormito nella camera del mio college abbracciata a lui, tra le lenzuola con i coniglietti.
Io amavo Michael Williams. Lo amavo mentre lui mi raccontava di tutte le ragazze del suo corso di regia, quando mi aveva presentato la sua ragazza, quando mi aveva invitato con loro nella casa al mare e me l’ero dovuto sorbire a sbaciucchiarsela ovunque.
E lo amavo tuttora, mentre lui rifiutava di accettare il fatto che fossi incinta di suo figlio.
 
Mi risvegliai all’alba, ancora vestita dalla sera prima, con la testa pesante per il troppo pianto. Mi tirai su, decisa ad andare in bagno a lavarmi la faccia. Aprii la porta, quando questa si blocco, rivelando qualcuno steso per terra, appoggiato al water.
-Ma che cazzo..?- mi ritrovai a dire, stupita
Un rantolio di risposta. –Mike!- esclamai guardandolo mentre si svegliava e si rendeva conto di essere con la testa quasi dentro al water.
-Effy- mi chiamò con la voce impastata di sonno.
-Ma che cavolo hai fatto, demente?
-…gin tonic, nel mobile degli alcolici.
-Sei un coglione, lasciatelo dire.- sbuffai esasperata, tirandolo su per le spalle e facendolo sedere sul bordo della vasca.
-Ce n’è rimasto un po’ ancora, se lo vuoi, ma te lo ricompro, lo so che ti piace- provò a formulare lui.
-Sono incinta, imbecille, non credo farebbe bene ad un bambino sai?
Lui ridacchiò, sbattendosi la mano sulla fonte. –Ah, giusto, è vero!
Scossi la testa, aiutandolo ad alzarsi e portandolo sul divano, dove si addormentò in due secondi.
 
Quando si svegliò era pomeriggio inoltrato, ed io ero in cucina a lavorare a computer.
Si avvicinò al tavolo e si sedette, come la sera prima, davanti a me, in silenzio.
-C’è del caffè sul fuoco, se vuoi.- gli comunicai senza guardarlo in faccia.
Lui non si alzò e rimase impassibile, appoggiato coi gomiti sul ripiano del tavolo.
-Mi dispiace- disse.
-Oh, fa niente, il gin me lo ricomprerai tra nove mesi.
-Non parlavo di quello. Parlavo di tutto.
Deglutii, alzando lo sguardo su di lui, che per la prima volta mi guardava con gli occhi spenti, timorosi.
-Io non so cosa mi prenda, con te. Anzi, forse l’ho sempre saputo, solo che non ho mai voluto davvero pensarci. Non credo di essere finito a letto con te, quella sera, perché ero totalmente ubriaco. Anzi, ne sono la conferma le sere successive, quando nessuno dei due lo era. Ubriaco,intendo. Ma io lo sapevo che per te era davvero qualcosa di importante e fingevo che per me non lo fosse, ma non era così cazzo.
Tu sei importante, Effy. Sei sempre stata l’unica cosa importante. Non il cinema, non l’Accademia, non le altre ragazze, sei sempre stata, solo tu. Io credo..ma cosa dico credo, io SO di amarti. TI ricordi quella sera, quando Tom ti aveva lasciata e sono corso da te?
-E hai cominciato ad urlare che ero lesbica, fuori dalla porta- puntualizzai
-Sì, ecco. Quella sera, forse non ti ricordi, cavolo, sono passati due anni, ma quella sera ti ho abbracciato steso sul tuo letto, e..ed ho sentito come..non saprei come spiegarlo..come..
-Come un pugno dello stomaco così forte da farti salire da vomitare?- lo aiutai io
Lui sorrise –Non avrei usato immagine migliore.
Rimasi in silenzio, lo stomaco in subbuglio, a guardare il mio migliore amico sorridere, con il cuore in mano, per me. E sorrisi, sicura che tutto sarebbe andato a posto.
 
***
 
-Certo che potevi evitare di svenire, Mike!
-Era il caldo, Effy, lo sai!
-Il caldo, come no! Guarda che tra poco la portano qui, ti ricordo che sono io quella che ha partorito una bambina di quattro chili e mezzo, mica tu, se potessi alzarti da quel lettino te ne sarei grata!
Mike rise e si alzò. Mamma mia era completamente sudato e agitato. Che razza di uomo è così agitato il giorno della nascita della propria figlia?
-Certo che avevano ragione al liceo quando ti davano dell’omosessuale! Svieni come una checca!
-Ah ah. Simpatia.- ribattè lui.
L’infermiera entrò, porgendomi mia figlia in un asciugamano rosa, un pupazzetto leggerissimo e profumato, dolcemente addormentata.
-Bene, avete deciso il nome?
Io e Mike ci guardammo, sorridendo.
-Sunshine.- disse lui, sorridendo. –Il suo nome è Sunshine.
********* Sciao :) Questa è una storia che avevo in un altro account, che ho cancellato perché avevo deciso di dedicarmi a recensire un po', ma vabbè, a quanto sembra non riesco a non scrivere! :) Se vi va recensite pure, ditemi cosa ne pensate! Un bacio a todosss :) Anna!
  
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