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Autore: nuttyshake    14/05/2013    2 recensioni
E se Clary si fosse già imbattuta in Jace e nel Mondo Invisibile prima del Pandemonium, un giorno di sole al parco, e non potesse ricordarlo?
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarissa, Jace Lightwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ci tengo a precisare una cosa: questa non è stata una mia idea. Ho preso ispirazione da questi due post su Tumblr: http://papermacheprincess.tumblr.com/post/50287593044/what-if e http://lizthefangirl.tumblr.com/post/50268036761/just-before-the-events-of-the-mortal-instruments e ho pensato, perché non scriverci una one shot?
Sappiate che le continue ripetizioni e lo smarrimento di Clary sono dovute alle sue memorie che vengono cancellate non appena vede o sente qualcosa di appartenente al Mondo Invisibile. Non sono impazzita, LOL. E so che dovrebbe dimenticare ciò che vede nel momento in cui le vede, e non poco dopo, quindi perché questa storia abbia senso fate finta che l'incantesimo stia iniziando a fare cilecca perché i due anni si sono conclusi e Clary e Jocelyn dovrebbero presto tornare da Magnus per rinnovarlo.
Le recensioni sono sempre gradite :D
 
Clary aveva sempre amato i weekend. Da quando aveva otto anni, lei e sua madre avevano preso l'abitudine di andare a Central Park ogni domenica, comprare un gelato e sedersi su una panchina, e guardare le vite degli altri svolgersi sotto i loro occhi, le foglie ingiallire e il sole fare un giro completo nel cielo fino a sparire dietro la rosea linea dell'orizzonte quando si faceva buio ed era ora di andar via. Jocelyn portava sempre con sé il suo cavalletto e i suoi pennelli, approfittando dell'ispirazione che la colpiva ogni volta che si immergeva nella natura, e Clary, gli occhi verdi grandi e curiosi, la osservava dipingere per ore le chiome degli alberi, uno stormo di uccelli che si alzava in volo, un barbone che dormiva su una panchina poco distante, coperto solo da dei fogli di giornale, una coppia che correva tenendosi per mano. A volte Clary le chiedeva di poter disegnare con lei, e Jocelyn tirava fuori un album e dei pastelli e glieli porgeva, un sorriso sempre sul suo volto mentre la incoraggiava a disegnare le siepi o i rami degli alberi.

In un giorno particolarmente soleggiato, Simon si era unito a loro. Lui e Clary erano stesi sul prato - o meglio, Clary era stesa sul prato, la testa appoggiata su un gomito mentre l'altro braccio era impegnato a disegnare, mentre Simon correva intorno a lei e le dava fastidio di proposito, toccandole ripetutamente la spalla e gridandole nell'orecchio, cercando di convincerla a lasciare l'album per poter fare qualcosa insieme. Lei rideva e provava ad ignorarlo, a volte mettendogli lo sgambetto per farlo cadere a terra, ma Simon si rialzava subito e cercava di attirare l'attenzione di Jocelyn, che lo ascoltava a malapena e liquidava la questione con un "fate i bravi", come se fossero solo dei bambini capricciosi. Era a pochi metri di distanza, le spalle rivolte verso di loro e gli occhi puntati sul cielo che si stava colorando di tonalità calde e sul sole che stava tramontando dietro gli alberi, il pennello alla mano che scivolava sulla tela.

Clary alzò lo sguardo dal suo disegno a un rumore improvviso, un rumore di foglie spostate e ramoscelli spezzati a poca distanza di lei. Si guardò attorno, sistemandosi i riccioli rossi dietro le orecchie per vedere meglio. Era tutto perfettamente fermo, immobile, come bloccato nel tempo. Rivolse uno sguardo a Simon, che sembrava non aver sentito niente e insisteva per andare a prendere un gelato. Sarà stato il vento, si convinse, e scrollò le spalle e tornò ai suoi disegni.

Poi lo sentì di nuovo, un rumore, più forte e a ancora più vicino a lei. Il braccio di Clary tremò e la matita le sfuggì di mano, disegnando delle forme incoerenti sul foglio. Scoccò un'occhiata a Jocelyn, aspettandosi di vederla coraggiosa come al solito, assicurandole che andava tutto bene, ma era ancora concentrata sul panorama che aveva davanti. Clary tornò a cercare la fonte del rumore, e vide in lontananza uno strano bagliore, come un lampo di luce, che illuminava quasi a giorno un angolino del parco.

"Clary? Ehi, Clary?" era la cantilena che le risuonava nell'orecchio.

"Sì, Simon." sbottò Clary, lasciando le matite colorate sull'album e alzandosi improvvisamente in piedi. Probabilmente non era niente, ma la sua paura si era trasformata in pura curiosità. "Andiamo al chiosco."

Lo sguardo di Simon sembrò illuminarsi sotto gli occhiali troppo grandi. I due iniziarono a camminare, Clary in testa e Simon proprio accanto a lei, anche fin troppo vicino per i suoi gusti, ma vicino abbastanza per due persone che sono state migliore amiche per dieci anni da non essere troppo strano.

Era piuttosto sicura che ci fosse stato un motivo per cui si era alzata, qualcosa che non era prendere un gelato con Simon, ma poi si fermò di colpo, confusa. Il chiosco era dall'altra parte. Simon la guardava preoccupato, come se avesse perso la testa, eppure Clary non capiva il perché. Lei stava disegnando, Simon la stava assillando, lei si era stancata delle sue lamentele e aveva deciso di accompagnarlo a prendere un gelato. Niente di strano in tutto questo.

Quando furono abbastanza lontani da Jocelyn la testa di Clary si voltò di scatto, seguendo la direzione di un rumore. Proveniva da dietro un cespuglio. Stavolta fu seguito da alcuni gemiti, un tonfo e un urlo, ma Clary non trasalì. I suoni erano decisamente umani, e non sembravano nemmeno troppo pericolosi. I suoi passi si affrettarono, eccitata di scoprire quale fosse la fonte di quel suono e di avere qualcosa da fare.

"Ehi!" Simon le urlò dietro. "Il chiosco è da quella parte!"

"Chi arriva ultimo paga il gelato!" Si voltò per sorridergli con fare scherzoso. Simon sembrò rendersi conto di non avere molti soldi in tasca e dell'ampio vantaggio che le aveva già dato e iniziò a corrergli dietro, quasi inciampando nei propri piedi.

Clary rideva. Si infilò tra gli alberi, allontanandosi dal sentiero principale, e fu certa di aver sentito Simon, molto dietro di lei, che urlava il suo nome, chiedendole di rallentare, ma lei non gli diede ascolto. Vedeva una luce intermittente dietro un cespuglio, come quella di una torcia ma stranamente più naturale. C'era qualcuno che si muoveva.

La sua mente stava andando a cento chilometri all'ora, evocando tutti i possibili scenari riguardo quello che stava per accadere e l'identità della persona dietro i cespugli - un ladro, che Clary avrebbe colpito con una borsa e messo KO? Qualche senzatetto troppo ubriaco, quelli da cui sua madre faceva di tutto per tenerla lontana? - ma rimase quasi delusa nello scoprire che non c'era nessuna nuova, emozionante avventura da vivere. Solo un ragazzo, più o meno della sua età, vestito di nero dalla testa ai piedi e disteso lungo per terra. I suoi capelli dorati riflettevano la luce del sole che stava svanendo; gli occhi dello stesso colore, illuminati dalla strana luce bianca che emanava da qualcosa nel suo palmo,  erano rivolti sul terreno, dove una mano lunga e affusolata cercava qualcosa a tastoni.

Clary inclinò la testa, confusa. "Cosa stai facendo?"

La figura sull'erba trasalì, ma riuscì a restare calma e composta. Alzò lo sguardo freddo su di lei, analizzandola come ai raggi X, e l'oro nei suoi occhi la fece sussultare. Era quel tipo di ragazzo che non l'avrebbe mai guardata, quello che nella sua scuola sarebbe stato il quarterback della squadra di football, o almeno qualcuno di molto popolare, dietro cui tutte le ragazze sbaverebbero. Uno dei primi a prendere il brevetto e ad andare in giro per la scuola con una giacca di pelle. La mano iniziò a tremarle, fremendo dalla voglia di stringere delle matite e disegnare quel volto, tutto angoli e spigoli, o scostargli una ciocca di capelli. "Chi sei?" le domandò, visibilmente annoiato.

 Clary cercò di costringere il suo cuore a ripartire. "Ti ho fatto prima io una domanda." Clary incrociò le braccia, pretendendo una risposta.

Il ragazzo aggrottò la fronte. "Puoi vedermi?"

Clary allargò le braccia, palesemente infastidita. "Certo che riesco a vederti. Ecco, ho risposto a una tua domanda, contento? Ora tocca a te."

"Sei una mondana?" Ora il ragazzo sembrava allarmato e le sventolava una mano davanti agli occhi. Clary la abbassò, schiaffeggiandola.

"Non so di cosa tu stia parlando." esclamò Clary. "Chi sei? Cosa. Stai. Facendo?" Assunse un'aria minacciosa, come se il parco fosse suo e quel ragazzo avesse invaso la sua proprietà.

"Mi chiamo Jace Wayland." La guardò a lungo, come cercando di decidere se fidarsi oppure no. La risposta doveva essere positiva, perché pochi secondi dopo sussurrò "Sto cercando delle pixies." Illuminò il terreno sotto di sé con la strana pietra. "Mi stanno facendo impazzire."

"Pixies." Clary fece finta di capire, ma ovviamente non aveva idea di quello di cui stesse parlando. Forse il ragazzo aveva bevuto troppo, nonostante fosse notevolmente presto per ubriacarsi. "Okay."

"Mi tirano morsi e mi fanno inciampare. Credo che ce l'abbiano con me. Quindi devo distruggerle." lo disse come se stesse parlando di qualcosa di ovvio, come il fatto che due più due fa quattro.

Clary era sempre più convinta che fosse pazzo, ma decise di stare al gioco. "Perché ce l'hanno con te?"

"Vendetta." borbottò lui. "Ho calpestato la loro casa per sbaglio durante la caccia. E' stato un incidente. Non pensavo certo a loro." Lentamente, alzò di nuovo lo sguardo su Clary. "Sono piccole. E verdi. Molto dispettose. Si confondono con l'erba. Se ne vedi una, non esitare ad ucciderla."

Clary inorridì, e arretrò di qualche passo, rischiando di inciampare su una siepe. "Ucciderla?"

"Oh, sì." Il ragazzo continuò a cercare, frenetico, finchè non lanciò un grido di dolore che, Clary ne era sicura, avrebbe dovuto far voltare la metà del parco, se non ci fosse stato qualcosa di seriamente strano in tutto quello che le stava accadendo. "Eccole! Maledette!"

Balzò in piedi, scuotendosi le pixies dalle mani come se se le fosse appena lavate e non ci fossero più asciugamani. Clary aguzzò la vista, cercando di distinguerle, ma erano minuscole e troppo veloci per lei, e apparentemente anche per Jace, che continuava a venire morso da denti quasi invisibili. La scena la fece sciogliere una risata, finchè il ragazzo, esultante, non riuscì ad intrappolarle nel proprio pugno.

Clary perse tutta la voglia di ridere e urlò, lanciandosi verso di lui. "No! Lasciale!" Tentò di raggiungere la sua mano e liberare le pixies, ma Jace la allontanò da lei, furioso. "Perché?"

"Lasciale. Lasciale, non ti daranno più fastidio." promise Clary, come se la decisione delle pixies di fermare il loro piano di vendetta dipendesse solo e unicamente da lei.

"Come no." Le pixies iniziarono ad agitarsi nel pugno di Jace, e una di loro riuscì a sfuggirgli. Gli occhi dorati del ragazzo si allargarono impossibilmente, cercando di decidere se aprire il pugno per acchiappare anche l'altra o lasciarla stare e pregare che non gli causasse danno. In effetti, la pixie sembrò accorgersi a malapena di trovarsi davanti al distruttore della loro casa. Restò sospesa a mezz'aria, bellissima e con le ali leggere come quelle di una farfalla, e Clary fu finalmente in grado di osservarla attentamente. Non aveva mai visto qualcosa del genere prima. Credeva che le fate esistessero solo nelle fiabe, quelle che sua madre le aveva sempre proibito di vedere per qualche ragione a lei sconosciuta, ma quello che aveva davanti era reale. Quando voltò la testolina verso Clary, si accorse dei suoi denti lunghi e affilati e non si meravigliò che conficcati nella carne facessero tanto male. Sentì improvvisamente un brivido lungo la schiena, ma restò calma. Quasi istintivamente tese la mano verso la pixie, che non esitò a poggiarvicisi. Il cuore di Clary tremò. La pixie la stava guardando, come se stesse aspettando ordini da lei, mentre il resto delle fate continuava a dimenarsi nelle mani chiuse a pugno del biondo.

Clary si schiarì la voce, sentendosi veramente stupida. "Va tutto bene. Lasciatelo stare. Non vi farà del male se voi non ne farete a lui."

La pixie inclinò la testa con aria interrogativa, come chiedendosi se potesse fidarsi di lei. Sono impazzita, si ripeteva Clary. Sono impazzita. Non c'è altra spiegazione. Eppure Clary non aveva mai provato quella sensazione, come se un sole stesse splendendo dentro di lei e la irradiasse di potere, energia, grazia. Mai si era sentita così in contatto con il mondo che la circondava.
La fata si alzò dal suo palmo con uno sbattere frenetico di ali e si allontanò, brillando nell'aria come una lucciola. Le altre pixie la seguirono, liberandosi dalla stretta di Jace come un nido di api che esce da un alveare. Lui si irrigidì, aspettandosi il peggio, ma nessuna badò a lui.

Jace rimase senza fiato, osservando Clary come se fosse qualche miracolo della natura, anche se si sforzava di non mostrarlo troppo. "Se ne sono andate. Come…come hai fatto?"

Clary scosse la testa. "Io…non ne ho idea…"

"Tu sei una mondana. Non dovresti esserne in grado…non sei come me. Com'è che puoi vedermi? La runa dell'invisibilità è a posto-" Abbassò la manica per controllare e Clary notò uno strano disegno sul suo polso, simile a un occhio. Che strana decisione per un tatuaggio. Sicuramente migliore di quella di Clary di tatuarsi una tartaruga ninja sulla spalla, però. "Chi sei?" ripetè.

Mentre Clary si accingeva a rispondere, dei passi avanzarono verso di lei e udì la voce di Simon in lontananza. "Devo andare." mormorò, voltandosi per tornare sul sentiero dove Simon la stava probabilmente cercando.

"Aspetta!" Jace la trattenne per un braccio, ma lei se ne liberò in fretta. Simon e sua madre dovevano essere preoccupatissimi. Le girava la testa, come se si fosse appena svegliata da un lungo sonno.

Corse nella direzione di Simon e ben presto se lo ritrovò davanti, sudato e col fiatone. Si era tolto la giacca, che ora arrotolata intorno al braccio.

"Okay…hai vinto…pago io il gelato." Si appoggiò a un albero per riprendere la forza, ma finì per accasciarsi. Assomigliava vagamente a un corridore dopo la maratona di New York, escludendo il fisico, ovviamente. "Santo cielo, Clary."

Lei sghignazzò, alzandosi in piedi piena di energia come per prenderlo in giro. Nella sua testa c'era una grande confusione, ma continuava a vedere una sagoma, i contorni vagamente delineati, come in controluce, che brillava come se fosse circondata da un'aureola dorata. Riusciva a distinguere un paio di occhi, la forma del viso, ma niente di più. Si ripromise di fare quello che faceva sempre, di disegnare quello che stava cercando di ricordare per imprimerlo meglio nella memoria.

Ma quando tornarono da Jocelyn e dal suo album con i loro gelati, la mente di Clary era stata svuotata. Non c'era niente da ricordare, niente neanche da ricordarsi di ricordare, niente che la portasse a pensare di dover disegnare qualcosa - o qualcuno - in particolare.

Così disegnò le ali di un angelo.
  
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