Essere, o quantomeno considerarsi, il fidanzato di Arthur Kirkland comportava molti - e a volte troppi - inconvenienti.

A partire dalla definizione: non poteva assolutamente andare in giro a sbandierare la loro relazione, e tantomeno poteva descrivere le loro notti insieme - e, credetemi, questo è forse il dispiacere maggiore che quel biondino potesse fargli.

Non poteva tenerlo per mano in pubblico, o peggio ancora baciarlo: in alcune occasioni, non poteva neanche guardarlo - anche se poi, in privato, baciarsi e guardarsi erano le cose più caste che facevano.

Aveva continui sbalzi d' umore, e guai se si azzardava a fargli notare che le sue storie di folletti e unicorni vari non stavano nè in cielo nè in terra: pena, astinenza per almeno due settimane.

Oh, e non sapeva cucinare, nella maniera più assoluta, nonostante si ostinasse a farlo con un ardore quasi religioso: le tre lavande gastriche erano una prova sufficiente della sua incapacità, ma lui non demordeva, nossignore. 

Ma in fondo avrebbe anche mangiato carbone - e, segretamente, pensava di averlo già fatto - per vederlo arrrossire, o ancora meglio arrabbiarsi; per stargli accanto, la notte, semplicemente felici di respirare la stessa aria, ma soprattutto per sentire la sua voce incrinata gemere distorta il suo nome.

Un pò autocelebrativo, penserete voi.

Ma in fondo, stiamo sempre parlando di Gilbert Bielschmidt.

 

 

 

 

A volte era semplicemente ... insopportabile, nel vero senso della parola. 

Così preso da se stesso da sembrare indifferente a qualunque cosa facesse, e se c' era una cosa che Arthur Kirkland odiava, era sentirsi ignorato.

Distorceva, come il migliore dei mitomani, qualunque minimo avvenimento che riguardasse lontanamente la sua persona, e ovviamente era sempre lui a dover ascoltare i suoi sproloqui, fingendosi interessato e stupito. Ma non era neanche questa la cosa peggiore: essendo lui il suo fidanzato, la maggior parte delle storie lo riguardava in prima persona, e la figura che ne faceva era troppo magra per essere sopportata. 

Troppo esuberante nelle occasioni meno opportune, inadatto a qualsivoglia occasione formale, non mancava occasione per declamare la pochezza che lo circondava, paragonandola a se stesso, ovviamente.

Aveva attacchi di infantilità da record, ogni tanto, con la sua richiesta costante di attenzioni - come se non gliene desse abbastanza.

Discriminava a prescindere qualunque misero sprazzo di cultura non accomunabile alla sua, deridendolo delle sue tradizioni secolari, mentre lui non poteva assolutamente opporsi a qualsivoglia sua festività, e di certo non poteva aprire bocca quando tornava completamente ubriaco da quei maledetti Oktober Fest - inventati, ci poteva giurare, per la sua completa distruzione mentale. 

Tuttavi avrebbe sopportato di soccorrerlo anche in capo al mndo, o in coma etilico, per godere appieno di quella bellezza quasi inumana, della sua voce roca che chiamava ansimante il suo nome, delle sue mani affusolate e della sua pelle bianca, forse troppo propensa ad arrossarsi. 

L' avrebbe sopportato per questi e altri mille difetti, ne era sicuro, e non si sarebbe mai stancato.