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Autore: Hamulas    15/05/2013    4 recensioni
Adesso, mentre si trascina verso l'acqua immobile, non riesce a non pensare al libro che ha in mano. Lo apre sulla pagina consumata ed una lacrima cade sulle parole scritte in nero. Quando Merlino aveva promesso di finire la poesia con calma un altro giorno, non poteva sapere che non avrebbe più avuto modo di pronunciare quelle parole. [Spoiler Serie 5] In cui Merlino insegna davvero della poesia ad Artù.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Quarta stagione
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T'amo come si amano certe cose oscure.


Ritornare sul lago è doloroso. Il suo petto è chiuso in una morsa che pare intollerabile ancora ora, dopo interi giorni da quando ha spinto il corpo del suo re al largo, verso Avalon.

Non è riuscito a fermarsi a Camelot dopo che Percival lo ha trovato e portato indietro. È rimasto nelle mura del castello solo poche ore, necessarie per dare la notizia alla città che il loro sovrano li aveva abbandonati, che lui non era stato in grado di salvarlo. Poi è uscito dalla stanza del consiglio senza guardarsi alle spalle, mentre singhiozzi e sguardi atterriti accompagnavano il suo cammino.

È andato da Gaius, perché l'uomo che è stato per lui come un padre meritava un degno saluto prima che partisse per il suo viaggio, verso chissà quali luoghi. Non aveva ancora deciso, ma sapeva di non poter più restare.

Ha raccolto le poche cose in suo possesso, deciso ad allontanarsi da quel luogo che ormai non racchiudeva altro se non memorie dolorose. Ed in quel momento il libro è riaffiorato dopo tanto tempo.

Un spasmo di nausea ha colpito Merlino al ricordo delle parole contenute in quelle vecchie pagine. Al ricordo di quella notte in cui lui ed Artù si stavano aggirando per il castello alla ricerca del fantasma del vecchio re, ritornato dal mondo dei morti.

 

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“Va tutto bene, mio signore?” aveva chiesto Leon, scoprendoli mentre pattugliava il corridoio e lasciandoli spiazzati. Artù aveva ovviamente lasciato al suo servo il compito di trovare una scusa; oramai Merlino c'era abituato. Quante volte aveva dovuto coprire il biondo e quante volte era stato mandato alla gogna da Uther per averlo fatto?

“Gli sto insegnando un po' di poesia” aveva risposto lui, perché era la prima cosa che gli era venuta in mente e perché sapeva che l'espressione di Artù sarebbe stata impagabile. Leon li aveva guardati in modo strano, incredulo e quasi divertito, prima di allontanarsi, gli occhi illuminati da uno strano bagliore.

“Poesia? Non potevi inventarti qualcosa di meglio?” Si era lamentato il re.

 

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Adesso, mentre si trascina verso l'acqua immobile, non riesce a non pensare al libro che ha in mano, l'unico ricordo che si è portato dietro. Lo apre sulla pagina consumata ed una lacrima cade sulle parole scritte in nero.
 

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“Mi chiedo come Leon abbia creduto alla tua scusa... come se tu capissi qualcosa di poesia.” aveva proseguito Artù mentre riprendevano a girare per i corridoi, torcia in mano. Merlino non aveva spostato lo sguardo né aveva cambiato in qualche modo la sua postura, ma l'aria intorno a lui si era fatta quasi solenne quando aveva cominciato a recitare i versi con tono intenso.

 

Non t'amo come fossi rosa di sale o topazio,

o freccia di garofani che propagano il fuoco.

T'amo come si amano certe cose oscure,

segretamente, tra l'ombra e l'anima.

 

Artù si era bloccato allora, la testa leggermente piegata verso il basso e gli occhi spalancati, perché anche se sapeva che le parole di Merlino non erano rivolte a lui personalmente, non era stato in grado di rallentare i battiti del proprio cuore.

Il servo si era indi voltato, un'espressione indecifrabile sul viso, e lo aveva guardato con uno sguardo così febbrile da fargli scorrere i brividi lungo la schiena. Poi aveva sorriso, come solo lui sapeva fare. “Forse ho letto qualche libro nel tempo libero. Sapete, quando non vi sto pulendo gli stivali o affilando la spada”

Artù aveva lasciato uscire un sospiro dalle labbra, la tensione nell'aria allentata da quel semplice gesto del moro. “Dovevo immaginare che una femminuccia come te leggesse poesie d'amore” ed avevano ripreso a camminare.

Quando Merlino aveva promesso di finire la poesia con calma un altro giorno, Artù aveva alzato gli occhi al cielo e lo aveva colpito sulla testa, cercando di ignorare l'irregolarità del proprio respiro.
 

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La lacrima che bagna l'inchiostro è subito seguita da un'altra, mentre la mano tremante di Merlino strappa la pagina su cui sono scritti i versi e lascia cadere il libro sull'erba umida. 

“Vi ho detto che l'avremmo finita con calma” sussurra al vento, lo sguardo posato sull'isola al centro del lago. Poi chiude gli occhi, perché non gli serve leggere per ricordare le parole da recitare, le parole che non ha mai avuto modo di pronunciare.

 

T'amo senza sapere come, né quando, né da dove.

T'amo direttamente, senza problemi né orgoglio.

Così ti amo, perché non so amare che così.

 

Mentre la sua voce riempie l'aria, una folata di vento gli porta via il foglio dalle mani e lo trascina verso l'acqua, che se ne appropria come ha fatto con il corpo del suo re. Qualcosa in quell'alito caldo che gli accarezza la guancia e scompiglia i capelli gli ricorda la mano di Artù e Merlino non può far altro che sorridere.

Così vicino che la mia mano sul tuo petto è la mia stessa.

Così vicino...che si chiudono i tuoi occhi..col sonno mio.

 



La poesia citata è "Sonetto XVII" di Neruda, anche se l'ho utilizzata della versione di Robin Williams in Patch Adams.
   
 
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