Arrivavano sempre i momenti in cui Clay tirava pugni al muro.
Spesso gli sanguinavano le nocche.
Arrivava sempre il momento in cui se la prendeva con se stesso per qualcosa. Ultimamente il motivo era lei.
Arrivava sempre per Clay il momento dell’arresa.
Alcune volte crollava sul pavimento, altre sul letto, altre ancora sul divano.
Quella mattina, per Clay, era arrivato il momento di rendersi conto di aver perso lei.
Ma si può perdere qualcosa che non si ha mai avuto?
Clay se lo chiedeva spesso e non aveva mai trovato veramente una risposta.
Quella mattina l’aveva vista appoggiata al muro bianco del cortile dell’università, era una sua compagna di corso e spesso capitava che scambiassero delle piacevoli conversazioni.
Era bella.
Almeno per lui.
Ma quella mattina, appoggiata al candido muro, le era sembrata una dea greca.
Improvvisamente era apparso un ragazzo biondo, alto e con il fisico da modello, l’aveva salutata e l’aveva baciata.
Clay era rimasto bloccato vicino al cancello, con lo stomaco che si contorceva e gli occhi annebbiati.
L’aveva persa.
Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è essere amati.
Stump.
Un altro pugno al muro che non aveva colpa.
Dolore, rabbia, amarezza.
Clay si chiese come mai nessuna aveva mai scelto lui. Stump.
Un altro pugno ancora.
Quasi per caso incrociò se stesso nello specchio e disse a voce alta: “Perché non mi ha scelto? Perché non io?”
E l’immagine riflessa pareva rispondere: “Perché fai schifo. Ecco perché.”
Clay sorrise al Clay nello specchio. Sputò sulla sua stessa immagine e scivolò nel letto.
Anche per quella volta era arrivato il momento di arrendersi.