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Autore: Patta97    15/05/2013    6 recensioni
- Avessi visto la faccia della domestica quando mi ha visto frugare nel bidone dell’immondizia…
- Immagino – John trattenne le risate. – Continua, dai.
- Ho diviso le muffe più grandi in dieci parti e sto testando varie dosi di profumo su ogni pezzo.
- E il cellulare di tuo fratello che ruolo ha nel grande progetto?
- Non ti sei mai chiesto che effetto hanno delle muffe inserite all’interno di un telefono a insaputa del proprietario?
- Veramente no. Fino a questo momento.
- Be’, lo scoprirai presto.

Sequel di "Fantastico", ma si può leggere anche senza. Se Sherlock e John, da piccoli, fossero stati vicini di casa?
Note: kid!Sherlock, teen!John, What if?
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Vicini di casa. '
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Ciao!
Come scritto prima, questa one shot è il "sequel" di "Fantastico", la mia prima storia nel fandom. Mi farebbe piacere se voleste andare a leggerla, ma qui vi accenno comunque come stanno le cose: Sherlock ha sei anni e John dieci. La famiglia Watson si viene a stabilire fuori dal centro di Londra, accanto alla famiglia Holmes. I due figli stringono immediatamente una grande amicizia.
Per quanto riguarda questa storia in particolare, ho preso l'ispirazione dagli strambi esperimenti del mio migliore amico, che si ricorda improvvisamente di muffe, sangue, radici essiccate e palloncini nel freezer mentre siamo al telefono per fare i compiti di geometria analitica. Questa one shot la dedico a lui per la nostra amicizia fin troppo lunga e perché quando fa così mi ricorda inevitabilmente Sherlock e... è uscito fuori quello che segue. Lasciatemi una recensione se vi va, mi fa sempre parecchio piacere!
Chiara
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ESPERIMENTI



- John!
 
Il bisbiglio risuonò nella notte silenziosa.
 
Sherlock aspettò una risposta per i successivi cinque secondi, poi, infastidito, si mise a lanciare sassolini contro i vetri della finestra del vicino.
 
Un’anta si aprì e John schivò l’ultima delle pietruzze.
 
- Sherlock! Ti sei ammattito?
 
- Era ora! – sospirò il bambino, petulante. – Stavo per esaurire la mia collezione di sassi.
 
John maledisse il giorno in cui aveva insistito con sua sorella per aver avere quella stanza da letto. Il piccolo Holmes, il quale aveva la finestra della propria cameretta a quattro metri scarsi da quella del ragazzo, si sentiva in dovere di svegliarlo quasi ogni notte.
 
- Cosa è successo stavolta?
 
- Sono asciutte! – esclamò Sherlock, gli enormi occhi azzurri colmi di gioia.
 
- ‘Sono asciutte’ cosa? – domandò John, passandosi una mano sugli occhi rossi di sonno.
 
- Le radici di Pelargonium sidoides(1)!
 
Il bambino alzò il pugno destro, dove teneva strette delle glabre radici filiformi.
 
- Sherlock. Sono le tre di notte. Mi hai svegliato per dirmi che le tue radici di non-so-cosa si sono asciugate?
 
- Radici di Pelargonium sidoides, dalle straordinarie capacità panacee. Dovresti saperlo: domattina hai il compito di biologia a scuola.
 
- Il mio compito non dipende da questo – sibilò John, esasperato. – Ma da quanto dormirò stanotte e da quanto arriverò riposato al banco di scuola, cioè tra cinque ore.
 
- Be’, calmati.
 
Sherlock alzò un sopracciglio e appoggiò con deferenza le radici sul davanzale. – Non volevo fare nulla di male -. Si esibì nella sua migliore occhiata da “bambolotto”, quelle a cui il ragazzo che gli stava di fronte, da cinque mesi a quella parte, non sapeva resistere.
 
Il decenne sorrise di riflesso e sbadigliò vistosamente. – Vado a dormire, peste.
 
- Non so davvero chi ti trattenga.
 
John fece per richiudere l’anta della finestra, ma la voce infantile di Sherlock lo trattenne.
 
- John!
 
- Dimmi.
 
- Domani dovrai aiutarmi.
 
- A fare che?
 
- Raccogliere i miei sassolini dal tuo giardino. Hai idea di quanto tempo ci abbia messo a trovarli?
 
Il ragazzo si trattenne dal dare una rispostaccia e chiuse definitivamente la finestra, brusco.
 
*
 
- Ehi.
 
- Zitto.
 
- Che cosa stai…
 
- Mi sembra evidente. Non disturbarmi, John.
 
Il ragazzo si inginocchiò accanto al bambino e lo osservò.
 
Sherlock era sdraiato a pancia sotto sull’erba del giardino e stava armeggiando con qualcosa.
 
- Quelle sono muffe?
 
- Sì – si degnò di rispondere l’altro, versando da una pipetta due gocce di quella che sembrava acqua colorata su un pezzetto di muffa grigio-verde.
 
- E quello un costoso cellulare aperto a metà.
 
- A mio fratello non serve – ghignò il bambino.
 
John si sistemò meglio per terra e iniziò a strappare qualche filo d’erba, distratto.
 
Dopo qualche minuto, Sherlock si tirò su a sedere e reclamò la sua attenzione.
 
- Vuoi che ti spieghi?
 
John annuì, sapendo che lo avrebbe fatto comunque.
 
- Ho smontato il telefono di Mycroft e ho recuperato le muffe.
 
- Da dove?
 
- Dalla frutta marcia nella spazzatura.
 
- Capisco.
 
- Poi ho travasato un po’ del profumo di mia madre in questa boccetta – e agitò una bottiglietta piena di un (sicuramente costosissimo) liquido ambrato. – E mi sono sistemato qua fuori.
 
- Per evitare domande scomode?
 
- Sì, avessi visto la faccia della domestica quando mi ha visto frugare nel bidone dell’immondizia…
 
- Immagino – John trattenne le risate. – Continua, dai.
 
- Ho diviso le muffe più grandi in dieci parti e sto testando varie dosi di profumo su ogni pezzo.
 
- E il cellulare di tuo fratello che ruolo ha nel grande progetto?
 
- Non ti sei mai chiesto che effetto hanno delle muffe inserite all’interno di un telefono a insaputa del proprietario?
 
- Veramente no. Fino a questo momento.
 
- Be’, lo scoprirai presto.
 
*
 
- Salve.
 
- Chi sei?
 
- John Watson, il figlio dei vicini.
 
- E che vuoi?
 
- Cercavo Sherlock.
 
- È in camera sua – sbuffò la donna, lasciandolo passare.
 
John superò a testa bassa l’androne di casa Holmes e salì velocemente le scale. Le sue gambe trovarono subito la strada verso la stanza di Sherlock: ultima a sinistra.
 
La porta era rigorosamente chiusa e bussò.
 
- È aperta, John.
 
Il ragazzo la spinse e se la richiuse alle spalle.
 
- La nuova domestica è più simpatica delle precedenti… Ma che è successo?!
 
Sherlock, tranquillamente seduto alla scrivania, esibiva la mano destra sanguinante.
 
John si avvicinò rapido. – Come hai fatto? Dove tenete disinfettante e cerotti? Il taglio è profondo? Chiamo tua madre? Perché tuo fratello non c’è mai quando serve?
 
- John, calmati – lo rassicurò il bambino. – Guarda.
 
Sollevò un foglio pieno di manate di colore rosso.
 
- Quello è il tuo sangue.
 
- Sì.
 
- Ti sei tagliato apposta per dipingere una pagina con le tue impronte imbrattate di sangue, piccolo masochista?
 
- Non saprei. Stavo studiando matematica e poi la mano mi è caduta sul coltellino svizzero.
 
- ‘Caduta’.
 
- Proprio così.
 
- Dimmi dove sono disinfettante e cerotti, Sherlock.
 
- Sulla mensola in alto. Ancora non capisco perché mamma si ostini a tenerli in camera mia.
 
- Inspiegabile - borbottò John, alzandosi in punta di piedi per afferrare il manico della cassetta del primo soccorso.
 
Si sedette accanto a lui e lavò via il sangue col cotone idrofilo inzuppato nel disinfettante.
 
Sherlock restò immobile, forse beandosi del sollievo dato dalla frescura sul taglio, forse perché aveva percepito la rabbia preoccupata dell’amico.
 
- Potresti fare il dottore, sai?
 
- Come?
 
- Sei paziente e hai mano ferma: sono doti con cui si nasce. Le nozioni sulle piante mediche, invece, si possono imparare in seguito, date le tue scarse nozioni al riguardo.
 
- Va bene. Smettila di dire scemenze e resta fermo un altro secondo.
 
John applicò un cerotto con le stelle sul taglio superficiale e poi, quasi di riflesso, vi scoccò sopra un bacio a fior di labbra.
 
- Ehi, niente smancerie – si lamentò Sherlock, ritraendo la manina.
 
- Niente ferite – ribatté l’altro.
 
Si guardarono e risero.
 
- Ma perché ogni volta che vengo a darti una mano con i compiti succede qualcosa?
 
- Non lo so.
 
- Tiro a indovinare: studiare ti annoia.
 
- Probabile.
 
John alzò gli occhi al cielo e avvicinò la propria sedia alla scrivania per sbirciare il quaderno immacolato di Sherlock.
 
- Che esercizi ci sono di matematica?
 
- Boh – il bambino fece dondolare le gambette oltre il bordo della sedia. – John?
 
- Uh-uh.
 
- Che ne dici di osservare le impronte di sangue con la lente d’ingrandimento?
 
*
 
- Sal… Oh, Sherlock. Come mai apri tu alla porta?
 
- Auguri di buon compleanno!
 
- Come fai a sapere che è oggi?
 
- Sono giorni che tua sorella ciarla al telefono nel vostro giardino, chiedendo alla sua amica cosa avrebbe potuto regalarti.
 
John ridacchiò. – Posso entrare?
 
- Vieni e chiudi la porta.
 
Il neo undicenne obbedì e lo seguì nell’ampia cucina.
 
John addentò soddisfatto uno dei biscotti appena sfornati, sistemati sul tavolo.
 
Poi Sherlock si batté una mano sulla fronte, come se avesse scordato qualcosa di importantissimo.
 
- Il palloncino!
 
- Il palloncino?
 
- Il tuo regalo di compleanno.
 
- Mi hai regalato un palloncino?
 
- No! Passami una sedia, devo arrivare al freezer.
 
- Che c’entra il freezer con il palloncino?
 
Ma Sherlock si era già arrampicato sulla sedia e aveva aperto il congelatore posto sopra il frigorifero. Ne estrasse un palloncino giallo grosso quanto la sua testa, ricoperto di cristalli ghiacciati.
Scese dalla sedia con un saltello parecchio azzardato e lo poggiò sul tavolo di legno, dove iniziò a sgocciolare.
 
- Ti piace? – domandò orgoglioso.
 
- È un palloncino.
 
- Sì. Pieno d’acqua.
 
- Che hai messo nel frezeer…
 
- Per ventiquattro ore esatte.  
 
- Perché…?
 
- Come ‘perché’?
 
- Perché lo hai fatto?
 
- Per farti un regalo. E poi volevo vedere cosa sarebbe successo.
 
John annuì come se fosse chiaro, per poi aggrottare le sopracciglia, confuso.
 
Sherlock decantò per dieci minuti buoni la bellezza del suo palloncino ghiacciato e poi estrasse uno spillo dalla tasca dei pantaloni.
 
- Da quant’è che lo tieni lì? – chiese John. – È pericoloso!
 
Il bambino lo ignorò e, come se non avesse fatto altro nella propria vita, spaccò la plastica gialla del palloncino con la punta affilata dello spillo. L’involucro scoppiò, rivelando una massa ovale di ghiaccio trasparente.
 
- Wow – sospirò Sherlock, accarezzando beato la propria opera di ghiaccio. – Quasi mi dispiace regalarlo a te.
 
- Ti ringrazio – commentò il ragazzo, ironico.
 
- Figurati. Piuttosto, goditelo. Non durerà molto.
 
Rimasero seduti a contemplare la sfera sghiacciata che si scioglieva, creando un laghetto sulla superficie tirata a lucido del tavolo.
 
John rifletté che, senza dubbio, quello era il compleanno più strano della sua vita. Poi guardo il visetto magro di Sherlock e la sua espressione sognante mentre non staccava gli occhi di dosso dalla propria creatura. Sorrise.
 
- John?
 
- Sherlock.
 
- Niente. Solo… sei ancora lì?
 
- Sì.
 
- Resta.
 
- Certo.




(1) Una pianta le cui radici sono un rimedio naturale a raffreddore, influenza e anche bronchite. Sono intelligente? No. Leggo Wikipedia. xD
  
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