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Autore: ScleratissimaGiu    16/05/2013    4 recensioni
Nel museo di una piccola cittadina, riposa tranquillamente nella sua tomba un personaggio singolare dal passato terribile, chiamato Lucky Drew Anderson.
La sua storia verrà raccontata attraverso i ricordi del proprietario del museo, che anch'esso possiede una buona dose di scheletri nell'armadio.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Maya ascoltava attentamente le istruzioni che la sua insegnante, la signorina McAllister, stava fornendo da quasi dieci minuti.
Comodamente seduta accanto a Petunia Rogan, una ragazzina dai capelli unti e piuttosto acida, ogni tanto gettava uno sguardo fuori dal finestrino del pullman e pensava a cosa avrebbe potuto vedere al museo.
“Ci saranno cose molto interessanti,” aveva anticipato l’insegnante “mi raccomando, però: non voglio che facciate commenti sgradevoli. Ricordate che il signor Anderson, il proprietario del museo, è sempre in giro a controllare, quindi sarebbe meglio che, se qualcosa non vi piace, lo diciate quando saremo di nuovo a scuola, capito?”.
Gli alunni avevano risposto con un “sì” cantilenato, che aveva indotto Mary McAllister a tornare al suo posto.
Maya non si sarebbe mai azzardata ad un commento poco gentile apertamente, anche se adesso che si sentiva ‘grande’ (aveva da poco compiuto undici anni) le avevano spiegato che era un suo diritto esprimere le sue opinioni, purché non esagerasse.
E lei, tranquilla e posata com’era, era sicura che non avrebbe mai esagerato.
Almeno fino a quel momento.
 
 
 
 
 
Il museo, agli occhi dei bambini, era enorme: c’erano statue bianche alte almeno due metri, e quadri larghi il doppio.
La loro guida per quel giorno si rivelò un ragazzo giovane di nome Will.
Will si districava con abilità tra le sale ed i corridoi, e affascinava i suoi piccoli ascoltatori con spiegazioni interessanti e, per quanto era possibile, anche divertenti.
Due ore dopo, quando il ragazzo aveva ormai illustrato quasi ogni angolo del museo, la signorina McAllister diede ai suoi alunni tre quarti d’ora per un’ultima esplorazione, poi ritrovo all’entrata e tutti a scuola di nuovo.
Maya non sapeva bene che cosa voleva rivedere, ma sapeva che c’era una sola sala che non avevano esplorato: “Misteri”.
La bambina era curiosissima di vederla, e quindi consultò con molta attenzione la mappa che le era stata fornita all’inizio del giro, e dopo pochi minuti la trovò.
Si accorse che, dopotutto, non era niente di speciale: c’era una riproduzione di Stonehenge, quella di un UFO, l’Arca dell’Alleanza e…
Maya si avvicinò per osservare meglio quella tomba che aveva attirato la sua attenzione.
Era imponente e colorata, eppure non era la tomba di un imperatore o di un faraone famoso.
L’insegna diceva solo “Lucky”, “Fortunato”.
Guardando meglio la bara, la bambina si accorse che i colori con cui era dipinta erano giallo, rosso, arancione e una spruzzata leggera di blu, e servivano a rappresentare delle fiamme.
-  Buongiorno, signorina – disse una voce rauca alle sue spalle.
-  Buongiorno, - rispose Maya, voltandosi di scatto.
L’uomo che l’aveva salutata era un anziano signore dalla barba e capelli bianchi, con un paio di occhialetti sporchi e un cappello elegante.
Si chiese come mai non l’avesse sentito arrivare, dato che camminava con l’ausilio di un bastone dalla punta di ferro.
-   Chiedo scusa, non volevo spaventarti – disse sorridendo.
-   Di niente…
-   Io sono Theodor Anderson, il proprietario del museo.
-   Io sono Maya Doyle, piacere.
-   Piacere mio, signorina Doyle! Ah, vedo che il nostro Lucky l’ha distratta dal resto della sala… - commentò il signor Anderson, avvicinandosi alla teca.
-   Già. Chi è?
-   Beh… - esordì il vecchietto, cercando le parole giuste – Lucky era un ragazzo strano… si dice che sia stato “miracolato da Satana”…
-  Come mai?
-  Perché sua madre era morta, quando lo partorì.
-  E perché non può essere stato Dio a miracolarlo?
-  Perché è nato alle sei in punto del mattino del sei giugno 1966. I medici dissero che era Satana che aveva voluto che nascesse.
-   Ah… e perché è un mistero? Cioè, perché è in questa sala? Era cattivo?
-   Maya, nessun genitore direbbe mai che suo figlio è cattivo. Piuttosto ignorerebbe i fatti malvagi che compie, e continuerebbe a sostenere che, in fondo, è un bravo ragazzo. Per gli altri, però, sarà sempre cattivo; non sta a me giudicare…
-   È giusto – rifletté Maya a voce alta.
-   Comunque, secondo me, non era solo cattivo, è il mondo che è stato cattivo con lui.
-   Perché?
-   Lucky rimase vittima di un incendio quando aveva sedici anni. Suo padre ne uscì abbastanza bene, e si può ringraziare Dio di questo, ma lui venne brutalmente sfigurato: tutto quel che i medici riuscirono a fare fu di tracciargli due linee verticali per gli occhi e una più piccola per il naso.
-  E per la bocca?
-  Dissero che la sua bocca non c’era più. Non sapevano come, ma era sparita.
-  Quindi è morto perché non mangiava e beveva?
-  Si alimentava con le flebo, ma per suo padre rimaneva uno shock. Insomma, era diventato un mostro…  rapidamente in città si venne a sapere dell’accaduto, e Lucky non poté più uscire di casa.
-  Perché faceva paura alla gente?
Il vecchietto annuì, e Maya notò che il suo sguardo era caduto su un altro particolare della bara che non aveva notato: tra le fiamme si poteva vedere un lungo ramo spinato che ardeva.
-  Ma a lui non importava. Fare paura lo divertiva, nessuno capiva perché.
-  E che successe?
-  Una notte uscì di nascosto e si aggirò a lungo per le strade, la gente scappava a vederlo. Quando decise che il terrore seminato era sufficiente, tornò a casa, ma era diverso.
-  Diverso come?
Anderson sospirò, come per introdurre la parte per lui più dolorosa del racconto.
-  Il padre vide che i suoi occhi erano contornati da rami pieni di spine, e perdeva molto sangue.
-  E cosa fece?
-  Cercò di aiutarlo, ma suo figlio non voleva che glieli togliesse; per comunicare scriveva sui fogli, e scrisse che il suo vero padre gli aveva comandato di tenere le spine intorno agli occhi, in modo che l’avesse riconosciuto una volta morto.
-  Il Diavolo… - comprese Maya.
-  Esatto.
-  E perché è morto?
-  Ucciso.
-  Da chi?
-  Nessuno l’ha mai saputo in realtà. Ehi, credo che stiano chiamando te!
L’altoparlante, infatti, richiedeva la presenza di Maya Doyle all’entrata del museo.
-  Grazie, signor Anderson.
-  Grazie a te, Maya. Buona giornata.
 
Quando la bambina fu uscita di gran carriera dalla sala, il signor Anderson contemplò la tomba di Lucky.
Gli sovvenne l’immagine della sua faccia, un misto tra l’orrendo e… non l’aveva mai detto a nessuno, ma percepiva in quegli occhi così strani una richiesta quasi disperata di aiuto.
Lo stesso sguardo che aveva avuto sua moglie Beverly quando era morta poco prima di partorirlo.
 
 
 
Lucky contemplava la bellezza dei barracuda che suo padre gli aveva comperato clandestinamente da un vecchio amico.
Lucky aveva sempre ammirato i barracuda, la loro forza, la loro bellezza.
Se fosse rinato, sarebbe diventato un barracuda senz’alcun dubbio.
Suo padre camminò e si fermò dietro di lui, chiedendosi perché suo figlio avesse così tanta fissazione per quei pesci.
-  Che c’è, figliolo? – chiese, gettando uno sguardo al bambino.
-  Com’è morta la mamma?
Theodor Anderson sapeva che un giorno suo figlio gliel’avrebbe domandato, ma non aveva mai preparato una risposta.
-  Sono cose che capitano, Drew…
-   Partorendomi, non è vero?
-  Drew, è un discorso…
-  Perché la gente mi chiama “miracolato da Satana”? – chiese ancora, tirando fuori un foglietto di giornale che suo padre credeva di aver buttato.
-  Sei stato miracolato… - tentò di spiegare suo padre.
-  Mi avete chiamato Lucky perché la mamma era morta e io sono nato lo stesso?
-   … sì. Sì, è così.
-   Satana mi ha salvato?
-   Lo escludo, figliolo. Satana non salva nessuno.
-   Sono nato il sei giugno alle sei, papà.
Theodor sospirò, perché quella verità faceva male anche a lui.
Suo figlio era stato etichettato come “miracolato da Satana”, e quel titolo non te lo scolli più.
-  Drew, senti…
-  Mi chiamo Lucky, papà.
Il bambino si alzò dalla riva del laghetto privato e si diresse in casa: non aveva più nulla in cui credere, o forse aveva solo una cosa.
 
 
 
Lucky compì sedici anni, ma quel giorno non fece una festa con tutti i suoi amici: non ne aveva.
Suo padre gli aveva comprato una torta gigantesca, e lui fece finta che gli piacesse davvero.
Poi accadde: fu un attimo, un secondo solo: le candeline con i numeri 1 e 6 caddero sul pavimento, e sparsero le fiamme rapidamente.
Theodor Anderson, benché fosse ormai anziano, riuscì a districarsi tra le fiamme e ad uscirne.
Ma Lucky no.
 
 
 
Lucky aprì gli occhi, e vide la faccia di suo padre riversa sopra di lui, con gli occhi pieni di lacrime.
Avrebbe voluto chiedere cosa fosse successo, ma la sua bocca si rifiutava d’aprirsi.
Si sforzava, ce la metteva tutta davvero, ma lei non voleva saperne.
-  Shh, - gli disse suo padre, accarezzandogli la testa.
Lucky non riusciva più a parlare, e muoversi gli faceva molto male.
- Lucky, Lucky sta buono… - continuava a ripetergli suo padre, cercando di calmare suo figlio.
“non posso papà” avrebbe voluto dire lui, ma non riusciva.
-  Riposati, figliolo… ti prometto che starai bene… riposati…
Lucky chiuse gli occhi, e cercò di dormire.
 
Si svegliò, e si sentì meglio.
Si alzò, ma non vedeva bene come prima: aveva un campo visivo più ristretto e più alto.
Barcollando, riuscì ad arrivare al bagno e guardarsi allo specchio.
Suo padre gli corse dietro, e quando Lucky contemplava ciò che le fiamme avevano fatto, gli disse: - è… è stato un miracolo se ti hanno salvato…
Il ragazzo si tastava la faccia, incredulo.
La sua bocca… dov’era finita?
Premeva, ma non sentiva nemmeno i denti sbattere sulla carne…
In quel momento, il primario fece il suo ingresso nella stanza.
Si diresse verso Lucky con sguardo grave.
-  Figliolo, - iniziò – te lo giuro, abbiamo fatto tutto il possibile… non l’abbiamo trovata… è già un miracolo che sei vivo…
Il ragazzo corse vicino al suo letto, arraffò un pezzo di carta ed una matita e scrisse: “sono perfetto”.
Quelle due parole, da quel momento in avanti, divennero la rovina della famiglia Anderson e, ammetto che mi addolora dirlo, anche del povero Lucky.
Padre e figlio, dopo qualche giorno, ritornarono a casa, ma la loro pace durò pochissimo.
L’assedio dei giornalisti, dei curiosi e dei vicini che avevano appreso la vicenda fu tempestivo, tanto che né Lucky né Theodor poterono più uscire dalla loro abitazione senza una scorta.
Il ragazzo era esasperato da quella situazione, ma non poteva darlo a vedere… anzi, non ci riusciva.
Una notte, aprendosi un varco nella rete che separava una parte a sud del giardino da una piccola stradicciola sterrata, Lucky riuscì ad uscire.
E fu in quel momento che cominciò la sua fine.
 
 
 
Theodor Anderson girovagava in casa da più di un’ora e, benché fossero le sei del mattino, suo figlio non si trovava da nessuna parte.
Il letto in camera sua era piatto, evidentemente era rimasto inutilizzato quella notte; tutte le porte erano chiuse, ma… la porta della cucina, che dava sul retro del giardino, non era chiusa a chiave.
Uscendo, il signor Anderson poté vedere un grosso buco nella rete, e corse a vedere se per caso Lucky fosse ancora nei paraggi.
Constatato il fatto che non c’era, rientrò in casa per chiamare la polizia, e fu lì che trovò suo figlio.
Gli stavano sanguinando gli occhi, e con profondo orrore suo padre vide che erano contornati di rami spinosi.
Quando si avvicinò per toglierli, il ragazzo si ritrasse bruscamente, scuotendo la testa.
Afferrato un foglietto e una penna, scrisse: “Mi ha detto lui di farlo”.
-  Chi? – gridò Theodor, quasi piangendo.
“Mio padre” scrisse nuovamente.
In quel momento, il signor Theodor Anderson capì che ormai suo figlio non gli apparteneva più.
Rimaneva da vedere quando Satana l’avrebbe portato via del tutto.
 
 
 
Esatto, il Diavolo parlava a Lucky.
Aveva iniziato quando si era svegliato nel letto d’ospedale, e aveva finito qualche settimana più tardi, in una sera particolarmente tranquilla di luglio.
Nel buio della sua stanzetta, circondato dal silenzio più assoluto, Lucky si guardava intorno, quasi smarrito.
Sentiva che c’era qualcosa che non andava, ma non sapeva se erano i giornalisti appollaiati fuori casa a renderlo nervoso oppure…
“Fallo”.
La sua voce, profonda e maligna, suonò come un sussurro persuasivo al suo orecchio destro.
“Fallo, Lucky”.
Il ragazzo non si scostò di un millimetro dalla sua posizione, continuando a guardare le cianfrusaglie ammassate in camera sua.
“Vieni da me, figliolo”.
Vieni da me, figliolo.
 
 
 
-   Lucky, dove sei?
Theodor Anderson, ancora una volta, cercava suo figlio, che ancora una volta non si trovava da nessuna parte.
Il buco della rete, fatto riparare dopo l’uscita notturna del ragazzo, era ancora intatto, e la rete pareva non presentarne degli altri.
“È ancora qui,” pensò distrattamente Theodor, aggirandosi per il giardino “lo so, che sei ancora qui”.
Passato il laghetto, dove ormai non nuotava più alcun barracuda, si diresse verso il suo garage, e fu lì che lo vide.
Non è mai bello quando un padre trova il cadavere di suo figlio, ma in quelle condizioni, per il signor Anderson fu straziante.
Lucky giaceva contro la porta bianca del garage, privo di vita, come se stesse dormendo.
Sopra di lui, ancora gocciolante di sangue, la scritta “sono perfetto”.
Ovviamente, scritta col sangue.
 
 
 
 
-  Signor Anderson, lei non viene?
A parlare era stato Will, una delle guide del museo, che aveva appena annunciato al suo datore di lavoro che la giornata era finita e il museo doveva chiudere.
Theodor si riscosse dai suoi ricordi e, dopo aver mormorato a mezza bocca “buonanotte, figliolo”, si avviò col dipendente fuori dal museo, che provvide a chiudere bene.
“Detesto quando mi chiedono di raccontare la mia storia” pensò in quel momento Lucky, seguendo l’ombra del padre per le vie deserte della città.


Salve gente!
Se siete arrivati fin qui, vi ringrazio di aver speso parte del vostro tempo a leggere la mia storia!  Ricordate che recensioni, sia positive che negative, sono sempre bene accette... grazie ancora e, se vi va, passate a leggere anche le altre storie! A presto!
  
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