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Autore: arcodor    17/05/2013    0 recensioni
segui sempre la passione, e non pensare a ciò che ti dicono gli altri, pensa a te stesso, altrimenti potresti pentirtene e vivere una vita che magari non avresti voluto...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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                                                               Sotto un cielo stellato
 
“ Ero lì, seduto su quella panchina, sul lungomare, sotto un cielo stellato. Le piccole fiammelle si riflettevano sull’acqua, placida, calmissima, dato che non soffiava un filo di vento. Sembrava che sotto la superficie indugiassero tanti piccoli esseri luminosi, come lucciole marine, e poi, vi era la lucciola più grande di tutti, che illuminava un area ben più vasta, una lucciola che aveva persino un nome: si chiamava Luna.
I lampioni poi, illuminavano la strada, distanti tra loro ad intervalli regolari, come soldati schierati prima di una marcia. Silenzio. Osava sussurrare solo il mare, che con le onde, pareva volesse raggiungermi. Mi resi conto che a raggiungermi non erano solo le onde. Una figura avanzava verso di me, nel buio simile ad un manto di cobalto. E più si avvicinava, più prendeva forma. Da indefinita, la figura si rese definita, fin troppo definita. La conoscevo. Conoscevo quella persona. Era una ragazza, della mia altezza più o meno, i capelli castani, che arrivavano alle spalle, e gli occhi verdi, che in quel momento fondevano il colore della speranza a quello della notte, creando un effetto meraviglioso. Era come se in quegli occhi nascesse un’aurora. 
“Ehi, che ci fai qui?” mi disse quando si trovò a un metro di distanza. 
“Potrei farti la stessa domanda” risposi, spostandomi dal centro della panchina per far spazio a lei. 
“Posso sedermi?”
“Certo!” dissi battendo leggermente la mano sulle assi di legno.
“Allora? Come mai sei qui, a quest’ora?”
“Non riesco a dormire, non ho sonno. E tu?”
“Potrei darti la stessa risposta!” esclamò lei accennando un sorriso. “Anzi, ti rispondo con le stesse parole: Non riesco a dormire, non ho sonno.” ed il suo sorriso divenne più grande.
Risi anch'io. “Cosa c’è a te che non va?” domandai, tornando serio.
“A dire il vero non c’è un motivo. Forse oggi ho dormito troppo. Tu invece, che mi dici?”
“Non lo so sinceramente, sarà lo stress.” mentii tenendomi dentro il vero motivo.
“Capisco. Beh, però ne vale la pena trascorrere un po’ di tempo qui, non trovi? Questo cielo è fantastico!”. Alzò il capo verso l’alto.
“Già, è proprio vero.” confermai alzando la testa allo stesso modo, e trovandomi davanti un’infinità blu, luccicante in più punti.
“Hai già scelto a quale facoltà iscriverti?” mi chiese tornando dal cielo stellato al mondo reale.
“Sì, credo proprio che mi iscriverò a Lettere Moderne. Lo so, molto probabilmente sarò un disoccupato intellettuale, ma voglio coltivare la mia passione.” e tornai anch’io coi piedi per terra.
"Concordo pienamente, segui sempre la passione, e non pensare a ciò che ti dicono gli altri, pensa a te stesso, altrimenti potresti pentirtene e vivere una vita che magari non avresti voluto."
La guardai e m’illuminai. Era stupenda, e le sue iridi luccicavano. Mi si sciolse qualcosa dentro, ma l’unica reazione che il mio sistema nervoso mi concesse fu un sorriso. Per non parlare di quello che mi concesse l’apparato circolatorio: un cuore che palpitava velocemente.
“Va tutto bene?” mi chiese improvvisamente.
“Sì sì, certo!”. Mi ripresi dal mio viaggio in quell’incanto e cercai subito un’altra domanda da fare, o qualsiasi altra cosa, per alimentare ancora la nostra conversazione. Stavo bene quando ero accanto a lei. Stavo bene quando mi parlava. Stavo bene quando i suoi occhi fissavano i miei, ed il suo verde spegneva il mio castano.
All’improvviso mi venne un’idea. Aprii la borsa che portavo sempre con me e tirai fuori un foglio ed una matita.
“Cosa fai?”
“Sta a vedere!”. Catturai fortunatamente la sua attenzione, poi iniziai ad accostare la grafite della matita alla carta del foglio.
“Disegni!” esclamò lei un po’ sorpresa, un po’ compiaciuta, e si accostò ancora di più a me, finché sentii sfiorare la mia pelle con la sua.
Iniziai a tracciare una linea, curva, che rientrava verso sinistra: il golfo. Si schierava davanti a noi, popolato da tante piccole luci, alcune lampeggianti. Poi misi sulla carta gli edifici che si intravedevano in lontananza, e, attraverso qualche effetto di chiaroscuro riproposi anche le luci. Il disegno cominciava a prendere forma, vita, e lei era sempre più incuriosita. Disegnai un cerchio, ed una sfumatura sotto di esso, oltre il golfo. Adesso c’erano anche la Luna e il suo riflesso. Affiancai alla Luna le stelle, e in basso, ritrassi il muretto del lungomare, secondo la prospettiva di dove ci trovavamo, sulla panchina. Infine, accennai qualche linea veloce sull’acqua, per dare l’effetto delle timide onde in una notte d’estate. Il disegno era ultimato. Ora, davanti a noi c’era un golfo ed un cielo stellato a colori, in mano mia un golfo ed un cielo stellato in bianco e nero.
“Ti piace?” le chiesi mostrandoglielo.
“E’ stupendo! Ma come fai?”
“Ero particolarmente ispirato.” Dissi, pensando che forse, ad ispirarmi erano stati i suoi occhi. “Tieni, te lo regalo.” continuai porgendogli il foglio.
“Davvero?”
“Certo!”
“Oddio grazie, è bellissimo!” si complimentò afferrandolo con molta dolcezza e guardandomi intensamente.
Sorrisi. Di nuovo lo zampino del sistema nervoso, e di quello circolatorio.
Stavo cercando invano di tranquillizzare il mio cuore, sapendo benissimo che è l’unico muscolo del nostro corpo incontrollabile - ma è così, quando si è con una persona che ti piace, si è più stupidi del solito – quando sentì le sue labbra toccare la mia guancia. Chiusi gli occhi e smisi di lottare con il cuore, tanto aveva disobbedito, e tirai un profondo respiro. Volevo ricambiare quel bacio, volevo le sue labbra sulle mie, ma non potevo. Non potevo.
Riaprì gli occhi ed il mio viso era di nuovo privo di contatti.
“Adesso però devo darti qualcosa di mio.” disse improvvisamente.
“E’ un regalo, non un baratto! Tranquilla!” risposi. In realtà mi aveva già dato tutto, o meglio, quasi tutto.
Nonostante ciò, prese la catenina che aveva al collo e se la tolse. Dal sottile filo argentato pendeva un simbolo, l’infinito. Mi tolse la matita che ancora stringevo in mano, e mi mise la catenina sul palmo. Luccicava alla pallida luce della Luna. “E’ per te, spero ti piaccia.” disse chiudendomi le dita attorno il filo argentato.
“Grazie, ma perché te la sei tolta? Poteva…” non mi fece neanche finire di parlare, si alzò, e fece un cenno con la mano, come se volesse mandarmi a quel paese.
“Torniamo?” mi chiese.
“Avviati, resto ancora un po’ qui.”
“Okay, allora ci vediamo domani.”
“Ciao, a domani!”
E come era venuta, così se ne andò, ritornando nel buio della notte, svanendo del tutto.
Il tempo passò, e con gli impegni universitari la vidi sempre meno. Mi laureai e divenni professore di lettere alla Federico II. Anche lei si laureò. Studiava medicina, era una promessa in quel campo. Si sposò con il ragazzo con cui stava insieme già dal tempo di quella sera, ed ebbe un bambino. Poi, ebbe una proposta di un corso specializzato in America, che non durava neanche molto, ed accettò. Il marito la accompagnò e lasciarono il bambino, di appena due anni, dai genitori. Al momento dell’atterraggio all’aeroporto di Boston però, l’aereo ebbe un’anomalia. Impazzì e si accartocciò sulla pista di volo. Ci furono solo quattro sopravvissuti, ma lei, ed il marito, non erano tra questi. I nonni morirono poco dopo, ed il bambino fu preso in affidamento da un uomo. ”
 
All’improvviso sento una lacrima accarezzarmi il volto. Cade, e finisce sul simbolo dell’infinito, nella mia mano. Mi asciugo, e stringo forte la catenina in un pugno. Poi mi alzo dalla panchina, tiro un sospiro ed osservo il cielo, sempre così meraviglioso.
“Questa era di tua madre, e adesso è tua.” Dico con voce spezzata al bambino, mentre gliela metto al collo.
Scoppia in lacrime. “Quindi, tu non sei mio padre?”
“No… non lo sono.” Esclamo chinando il capo.
“Ma per me lo sei, e lo sarai sempre!”
Sorridiamo entrambi. Sorridiamo velando le lacrime. Ci abbracciamo. E lui mi bacia sulla stessa guancia, che anni prima, aveva toccato le labbra di sua madre.
Prendo la borsa e tiro fuori un foglio, questa volta con delle scritte.
“Come mai non è un disegno? Regalasti quel disegno alla mamma, e lei disse che era stupendo. Non ti piaceva disegnare?”
“Veramente no, non mi piace affatto. Lo feci solo per attirare l’attenzione di tua madre, ma odio disegnare. Questo, questo è quello che amo fare.” dico porgendogli il foglio. “Segui sempre la tua passione, pensa a te stesso.”
Lui lo afferra e lo legge. “Questa poesia è stupenda, è per la mamma?”
“Sì, è per lei.” Confermo. “Cosa faresti se ti dicessi di portargliela?”
“Farei così!”. Prende il foglio ed inizia a piegarlo più volte, fino a fare di esso un aeroplanino, un origami. Poi si allontana dalla panchina e raggiunge il muretto. Lo lancia, ed il vento lo porta via, sopra il mare, verso la Luna, verso le stelle.
Lo accarezzo e lo abbraccio di nuovo, con il volto imperlato dal pianto. “Torniamo?” poi chiedo.
“Torniamo!” e mi afferra la mano.
Ci incamminiamo verso il buio della notte, e così come siamo venuti, così ce ne andiamo. E così come il cielo brillava anni fa, continua a brillare.
 
 
  
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