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Autore: Eriok    18/05/2013    3 recensioni
Una storia, divisa tra i giorni nostri e il tempo degli Dei dell'Olimpo, tra le originali Xena e Gabrielle, e la loro futura generazione, e cosa ancora possono fare gli dei, in un mondo che non crede più in loro.
Tra magia, tecnologia, sparatorie e mafia le due donne scoprono un mondo corrotto e sporco, e hanno il dovere di difendere i più deboli a colpi di spada, sais e - qualche volta - pistole.
La cavalleria non è morta, solo, aveva bisogno della giusta reincarnazione per agire.
Non manca l'amore, quello mai attuato, tra Xena e Gabrielle, e come il tempo - e la morte - non ucciderà mai i loro sentimenti.
Un medaglione. Un anello.
*Prima volta che scrivo in questa categoria, quindi siate CRUDELI e SINCERE! E non preoccupatevi, non mordo, quindi recensite con tranquillità.*
Genere: Azione, Erotico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altro Personaggio, Gabrielle, Un po' tutti, Xena
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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REBORN

- Al tempo degli Dei dell'Olimpo -

 

Gabrielle era in una landa desolata, bianca, sterminata. Alberi neri come l’inchiostro dei rotoli sbiaditi sorgevano alti e spogli di foglie e linfa, e la osservavano correre, in quel freddo gelato. Le pelli che ricoprivano il suo corpo, strette da lacci e corde in un miscuglio di colori terra e neri, sbattevano e raccoglievano freddo. Gli stivali affondavano, e lei si sentiva una penna intrisa di vita, di bianco e ghiaccio. Un cappuccio nascondeva il suo volto, e il respiro si raggruppava in una nuvoletta dopo aver oltrepassato una lana pesante sul viso. Faceva freddo, in quelle montagne sperdute del continente. La lancia, arma già intrisa di sangue, era stretta in mano, e lei cercava di raggiungere il fiume poco più avanti, quando un ululato spezzò il suo respiro.

I lupi. Stavano arrivando.

Ed erano troppi. Dannatamente troppi.

Fu circondata, i lupi, magri nella loro pelle scarna, e giovani. Affamati. E la guardavano come un buon pasto.

Urlò, per cercare di mettergli paura, ma era troppo tardi. Un lupo le azzannò una gamba a tradimento, e fu trafitto dalla punta della lancia. Morto per aver osato troppo.

La donna lanciò qualcosa nell’aria, e un suono sibilante si propagò nella radura gelata, due lupi furono sgozzati, mentre gli altri si avventavano su di lei, ingordi. Li sbaragliò, urlando, squartando, ferendo, arrivando a mordere, mentre lasciava la lancia spezzata e usava i suoi pugnali.

Quando il cerchio rotante uccise l’ultimo lupo la ragazza era ansimante a terra, ferita e dolorante. Il sangue, bagnava di rosso la neve candida. Gabrielle non riusciva a tirarsi su, i muscoli stavano cedendo.

Morirò qui? pensò, distesa a terra, guardando il cielo bianco, ricoperto di nubi.

E sorrise, pensando alla morte. Una mano si protese verso il cielo. Era ricoperta di geloni, e magra. Un volto trasparente di donna si disegnò nelle nuvole.

“Xena...sto arrivando...”.

«Ehi, sei viva?!» una voce, lontana, maschile, la richiamò sulla terra. Un uomo, sulla mezza età, la svegliò, scostandole la sciarpa e togliendole il cappuccio. Rimase abbagliato.

«Ma tu sei...» una chioma bionda si sciolse dolcemente, e un volto ormai non più giovane, con degli occhi verdi opachi contornati da lievi rughe.

Gli occhi di quell’uomo, in quel momento, la uccisero. Erano bruni. Bruni come le lande desolate delle foreste dopo una tempesta. E ricordò i suoi occhi, prima di svenire.

 

 

- giorni nostri -

 

Quando Gabrielle si risvegliò era stata distesa su una brandina in un corridoio bianco.

«Ma cosa...?» si guardò le mani, come scoprendole nuove, si stropicciò gli occhi, e si domandò cosa fosse successo. Poi l’onda di ricordi la dominò.

Ricordò la morte della nonna - nodo nella gola e lacrime sugli occhi - e che aveva pianto nelle braccia di Xena...no, della sua datrice di lavoro che di sicuro non era Xena.

“Questa donna, nella mia testa, è come un tutto e niente. Significa tanto per me? Non lo so...” pensava, stringendosi la collana al collo. Graffiava.

Si sentiva smarrita, in tanti ricordi e in tante vite, lei chi era? Cos’era, se non un grammo di polvere nel deserto? Si sentiva persa, non sapeva cosa fare, cosa capire, cosa imparare da questa collana e da questo peso.

Aveva solo capito una cosa. Quelle parche avevano previsto il suo ritorno.

Ma lei ora chi era? La Gabrielle che è sempre stata, quella cintura nera di karate e fanatica di storia o quella Gabrielle, la barda combattente, la sua ava greca?

“Non so più chi sono io...”.

 

 

 

- Al tempo degli Dei dell'Olimpo -

 

«Tu sei Xena?» domandò l’uomo, seduto vicino al suo giaciglio. Aveva capelli neri, ma alcuni ciuffi erano già bianchi. Il volto era scuro, di chi lavora nei campi d’estate e fa il tagliaboschi d’inverno. Gli ricordava un amico di Xena. La donna sospirò, ricordando il suo volto.

«No, non sono Xena... sono la sua compagna, Gabrielle...» rispose, con voce mesta.

«Il bardo combattente!» tuonò l’uomo, sorridendole con felicità. Le pieghe del volto si potevano notare nel suo viso, proprio come nel suo.

«Sì, o almeno, lo ero...ma ormai sono invecchiata, non sono più forte come una volta...» mormorò, stringendosi la spalla lussata. I suoi capelli, una volta corti e lucenti, ora erano spenti e lunghi, intrecciati e stretti al capo. Il suo volto non era più giovane e sorridente, la pelle cedeva al tempo e le prime rughe calcavano già i contorni dei suoi occhi, dandole quello sguardo saggio da anziana e non più da giovane bella e maliziosa.

“E ora...cosa sono?”.

«Ma comunque sei una poetessa, no?» domandò l’uomo, e la guardò estasiato. La donna rimase sorpresa.

«Sì...» rispose confusa. I suoi occhi brillavano stranamente, come se si fosse avverato un suo antico desiderio.

«Allora, ti prego, leggimi una poesia...» chiese gentile. E la donna sorrise. Era da tanto tempo che non leggeva...

“Già...dopotutto, io rimango sempre io...”.

 

 

- giorni nostri -

 

La mano si strinse a pugno. Il ricordo le era entrato in mente come una folata di vento, inaspettato e atteso. Le aveva infuso forza.

“Per quanto vite io possa avere in me stessa, io rimango sempre e solo io...” gli occhi brillavano.

 

«Figlia mia, non dimenticare mai, tu sei te stessa.»

 

“Nonna...” la voce della nonna, nella mente, come sottoforma di quel ricordo sbiadito, la rituffò nella terra.

 

“Io sarò sempre qui, sempre vicino a te, perché questa collana tiene me, mia madre, mia nonna, e tutte le donne di questa stirpe di donne guerriere che impararono da lei, la nostra ava, Gabrielle, che il proprio destino lo decidiamo noi.”.

 

Poi, una voce diversa le entrò nella mente, parlando una lingua diversa che però comprendeva.

 

“Le nostre ave ci insegnarono che possiamo amare chi vogliamo, non per forza il marito che decidono gli altri per noi.”.

 

E tante altre voci, sempre femminili, con lingue sempre diverse e accenti differenti, nella sua testa si concatenarono.

 

“They have taught me that I can work, not just my husband.”.

 

“...che puoi lottare per i tuoi diritti, perché tu non sei diversa da tuo figlio, solo perché lui e maschio e tu femmina.”.

 

“Gabrielle mi ha insegnato che l’amore ha tante vie, e che un bambino, anche se nato dalla violenza, può essere amato come tale, e che non ha colpa nessuna.”.

 

“Mia ava ha insegnato me che cultura importante.”.

 

“... la vie est importante.”.

 

…che la Guerra è brutta, e la pace bella.”.

 

“Gabrielle mi ha fatto capire la magia delle parole scritte su carta.”.

 

“...e Xena mi ha insegnato che combattere per una giusta causa fa bene al cuore e all’anima.”.

 

“Gabrielle mi ha fatto capire che due madri sono meglio di nessuna.”.

 

“Mi ha insegnato ha rispettare me stessa e gli altri.”.

 

“Mi hanno fatto capire che io sono io, e non devo essere come gli altri.”.

 

“...che la mia vita è mia e solo mia, e di nessun altro. Che posso decidere per me.”.

 

“Siamo noi a decidere del nostro destino, non gli dei.”.

 

E Gabrielle si sentì meno sola, con tutte queste persone che credono in se stesse e in lei, per quanto siano morte da tanto tempo. Sorrise, e poi un ricordo, la fulminò.

 

«Lei chi è?» domandò il padre, dopo aver depositato la figlia sulla brandina per farla riposare. Gabrielle piangeva disperata, ma l’infermiera che l’aveva soccorsa le aveva dato un calmante che - a sua conferma - l’avrebbe calmata e fatta dormire per un paio d’ore.

«Io sono il capo di sua figlia.» rispose la donna, turbata. Ricordò ancora come la bionda, disperata e in lacrime, avesse sussurrato quella parola.

“Xena...”.

«Come si chiama?» domandò il padre, specificando la domanda, nervoso per la sfrontatezza della donna.

«Amelia.» rispose la donna.

 

Gabrielle ricordò quell’ultima parola, prima di sprofondare nel sonno.

Ora si sentiva meglio.

E si vergognò da morire.

Xena era morta tanto tempo fa, e con lei anche Gabrielle.

Eppure quella donna, nel suo profumo, nel suo incedere, nel suo parlare, nel suo essere lei, le ricordava in tutto e per tutto quella Xena che era vissuta tanto tempo fa.

Si morse il labbro dalla vergogna che provava, per aver chiamato il capo per un nome che non era suo.

Ma era proprio Xena, nell’aspetto e nel carattere, ci avrebbe scommesso tutto. E lei era Gabrielle.

“Alla fine quello che avevano predetto le parche si è avverato.”.

I suoi occhi traboccavano di fuoco, quando iniziò a camminare per il corridoio, alla ricerca del padre.

Quell’anello, quel monile che doveva restaurare lo aveva già visto, nella sua vita precedente. E quel monile aveva tutte le risposte.

Doveva finire quel lavoro, subito.

Ma il difficile non era quello. Anzi, era la parte più facile.

Quella più difficile sarebbe stata raccontare tutto ad Amelia.

 

 

 

 

   
 
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