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Autore: _HalWill_    06/12/2007    9 recensioni
"Non pareva consapevole di quello splendore così innocente e accattivante al tempo stesso. Forse era proprio quell' incoscienza della propria bellezza che lo rendeva talmente ammalliante. Forse era semplicemente magnifico, senza alcun motivo. Ma la cosa che lo aveva più colpito erano proprio gli occhi, verdi come null'altro, come un immensa distesa d'erba smeraldina, gli stessi occhi che per un dannato scherzo del destino non potevano vedere nulla. Era cieco. L'assurdo pagamento per quella bellezza incontenibile." Perdonatemi infinitamente, ma ho dovuto cambiare il rating a causa di scene che non pensavo di scrivere e che invece si sono rivelate necessarie.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Evander

PARAGRAFO I

L'enorme vetrata laciava trasparire ogni cosa, ogni colore, ogni singolo fascio di luce che tagliava l'aria scura della notte, per poi spegnersi avvolto dalle tenebre più profonde.
Da lassù potevano vedersi le stelle. Il cielo nero non si faceva lambire dalle luci del traffico notturno, così caotico e composto. I fari delle auto, tutti in fila come una scia di fuoco nel buio intenso, fra palazzi e grattacieli, illuminati dalle luci provenienti da uffici di impiegati ancora a lavoro, o appartamenti di famiglie radunate davanti alla tv dopo cena. Le garndi insegne dei locali che vivevano e si accendevano solamente di notte, mentre di giorno dormivano spente e si mescolavano senza essere più distinte dagli altri edifici attorno. Al calare del sole rinascevano dal grigiore giornaliero, svettando trionfanti sulle nere costruzioni spente, indistinguibili. Colori, luci, suoni a cui la vetrata non permetteva di penetrare in quella stanza. Quella città era fatta così, era sempre stata così. Era proprio come una stella, splendente di notte, più di tutte le altre, e silenziosa, quasi invisibile di giorno, mescolata alla monotonia degli edifici e dei cantieri.
Ma lì in quel punto, non arrivava nulla. Era lì, come sul confine tra cielo e terra, che si mescolavano nel buio della notte. Un dio imperterrito che guardava il caos frenetico dei comuni mortali.
Si portò il bicchiere alle labbra, esitando per qualche istante. L'odore pungente del wisky gli impregnò le narici. Si lasciò pervadere da quell'aroma forte e intossicante. Ne bevve un sorso, sentendolo scendere e bruciare nella gola.
Scrutò il vetro liscio. Una sagoma si faceva spazio aleggiando sull'oscurità del cielo. Il proprio riflesso lo squadrava con minuziosità. Un giovane uomo in un raffinato completo scuro, con un bicchiere stretto stancamente da dita lunghe e affusolate. Il gomito opposto poggiato sul bracciolo della poltrona di pelle; la mano quasi stretta in un pugno, lasciava le proprie nocche sfiorare la pelle liscia del viso premuta leggermente su di loro. Degli occhi glaciali, splendidamente allungati racchiudevano due iridi del colore del ghiaccio, che si allargavano poi verso la corona esterna come sciogliendosi in un mare che pareva infinito. Le sopracciglia sottili si allargavano scure come la coda di una rondine. I capelli corti e neri come la pece, ricadevano stancamente in una accennata frangia che lambiva l'occhio sinistro in una curva che pareva voler tornare all'orecchio. Tutti gli altri erano elegantemente tirati indietro, riflettendo sofficemente la luce tenue dei faretti incastonati nel soffitto.
Le labbra sottili e sensuali si piegarono in un lieve sorriso malizioso. Un uomo decisamente affascinante. Forse era stato proprio quel suo fascino che lo aveva aiutato ad arrivare dov'era ora. Anzi sicuramente era così, in parte. Ogni donna che incontrava rimaneva inevitabilmente intarppolata in quella sua ragnatela, fatta di gesti eleganti e disinteressati, di quel suo atteggiamento freddo e misterioso, dello sguardo indifferente e arrogante, predatore e malizioso.
Qel suo carattere così apparentemente insensibile aveva attirato l'attenzione di quei potenti uomini d'affari che ora erano suoi soci, suoi sottoposti, suoi rivali. Alcuni lo avevano tradito, erano stati traditi. Da quando lo avevano introdotto nel mondo degli affari, aveva cominciato a farsi spazio da solo, andando avanti sensa farsi scrupoli, spietato, freddo e calcolatore, abbandonando tutto ciò che poteva frenare la propria ascesa al potere. In pochi anni era riuscito a guadagnarsi una posizione, un ruolo importante all'interno della società imprenditoriale. Troppo pochi. Sufficienti ad allarmare pericolosamente coloro che lo avevano inizialmente avvicinato e spinto in quel mondo complesso, troppo per un ragazzino spavaldo come lui, convinti che sarebbe stato facile manipolare un giovane poco più che adolescente che sie era ritrovato nelle mani l'immensa fortuna del padre senza alcun preavviso.
Studiava ancora quando suo padre morì improvvisamente d'infarto. Non gli aveva fatto ne caldo ne freddo. Come se quello disteso fra la seta morbida della bara fosse un perfetto sconosciuto.
Si era sempre ritenuto un orfano dal giorno in cui la madre lo aveva messo al mondo. Figlio illegittimo di un potentissimo uomo d'affari che aveva tradito la moglie con una semplice puttana da strada, ritrovandosi poi un ragazzino disperso in giro per i sobborghi di New York. Aveva sempre pensato che suo padre fosse un completo idiota.
Quando era piccolo sua madre non gli dava molto conto, lasciandolo girare per la casa mentre lei teneva occupata la camera da letto di quel piccolo appartamento sudicio che aveva imparato ad odiare, pur di guadagnare qualche dollaro oltre quelli che gli passava il padre del bambino. Forse era proprio quell'infanzia poco comune che lo aveva fatto diventare così refrattario alle relazioni.
Tuttavia amava le donne. Il loro profumo, il loro gusto ne vestire, l'altezzosità, le bellezza, il fascino. Sua madre però restava per lui la donna più bella che avesse mai visto. Bella come nessun'altra, da bambino rimaneva incantato a fissarla  con la testa poggiata fra le braccia incrociate sul pianale della toletta. Mentre si truccava , stendeva il rossetto sulle labbra morbide e rosse, si tamponava leggermente le guance, si passava la spazzola tra i capelli lunghi e del colore del carbone, che si arricciavano ricadendole sulle spalle bianche.
Aveva 12 anni quando sua madre morì, uccisa da uno dei suoi numerosi clienti. Fu allora che conobbe quell'uomo, colui che avrebbe dovuto essere suo padre. Accolto in quella casa a lui sconosciuta, con una donna che lo odiava e che lui odiava. Non aveva fratellastri, era solo, erede unico. Cominciò a frequentare le scuole più prestigiose, insegnanti privati, feste raffinate. Tutti si stupivano di quanto bello ed intelligente fosse quel giovanotto. Era come una splendida rosa cresciuta tra i rovi spinosi e secchi, più magnifica di tutte le altre. Apprendeva in fretta, e non solo le nozioni carpite dai libri, ma soprattutto quei comportamenti, le strategie commerciali, i raggiri, gli affari. Pareva che il suo cervello fosse particolarmente dotato in tutto ciò che riguardava quei campi esageratamente complessi ed articolati.
Nulla gli sfuggiva nelle conversazioni, nulla voleva sfuggirgli. Si era laureato a pieni voti ed era salito al fianco del padre nella direzione delle azioni.
Ma fu dopo la morte di questo che la sua carriera cominciò una rapida quanto spaventosa ascesa. Come se quella sottospecie di genitore lo aveva frenato fino ad allora.
Circondato da donne bellissime, con case sparse un pò in tutto il mondo, attorniato da potenti e famosi. Ma lui non avrebbe commesso lo stesso errore del padre, non avrebbe lasciato che la propria vita venisse sconvolta a causa di una semplice scappatella con una prostituta. Non avrebbe potuto farlo. Anche se lo avesse voluto, non avrebbe mai avuto la possibilità di avere un figlio un giorno. Qello era stato l'ultimo regalo dei propri genitori. L'ultimo crudele dono per un bambino che non sarebbe dovuto nascere, come una punizione.
Era li adesso. Uno degli uomini più potenti del mondo. Splendido, imponente, ammirato e temuto, avvolto da un alone di mistero talmente fitto da interessare chiunque lo avvicinasse.
Ma quasi nessuno sapeva da dove venisse una gemma simile.
Isolato nel proprio mondo interiore, così impenetrabile e spaventoso, stava lì a guardare dall'alto quelle fila di persone comuni che si dimenavano fra la folla cercando di uscire e potersi beare del sole che solo a pochi bacia il viso con i propri caldi raggi.
Era lui, era Evander Hart.

PARAGRAFO II

Scese dall'auto, chiuso nel cappotto nero lungo fino alle ginocchia. Chiuse la portiera e si portò nuovamente la sigaretta alle labbra per poi aspirare una boccata.
Era da circa una settimana che non vedeva Eric, quello che avrebbe potuto definirsi per lui il suo unico "amico", o qualcosa di molto simile. Lo conosceva dai tempi del liceo, e da allora non persero mai i contatti. Era una persona tremendamente fastidiosa: sempre allegro e burlone, un po superficiale, intelligente ed eccentrico, imprevedibile, spensierato ed appiccicoso, ma quel che più lo infastidiva era il fatto che invadesse continuamente i suoi spazi vitali...insomma era per certi, molti versi, il suo esatto contrario. Ma infondo sapeva anche lui di volergli in qualche modo bene, per quel che fosse stato possibile.
Quel pomeriggio si erano sentiti per telefono ed avevano accordato di andare a bere qualcosa in un costoso localino sulla 5Th Evenue. In fondo cosa c'era di male, gli avrebbe fatto bene svagarsi un po.
Camminava lungo il marciapiede con una mano in tasca e la sigaretta tra dita dell'altra quando la sua attenzione venne catturata da una scenetta a pochi passi da lui.
Un ragazzo era inginocchiato fra una decina di fogli sparsi al suolo, con le mani che tastavano l'asfalto in cerca dei pezzi di carta. Alcuni passanti lo guardavano un po esitanti, uno si era chinato ad aiutarlo raccogliendo deciso i documenti, altri continuavano a camminare gettando occhiate incuriosite.
C'era qualcosa di famigliare in quel ragazzo. Evander si avvicinò chinandosi a sua volta, afferrando l'ultimo foglio dal suolo, portandosi la sigaretta alle labbra e porgendo la mano per farsi dare la pila di carta dal gentile passante.
E- ...me li dia...ci penso io...
L'uomo glieli affidò ringraziandolo e proseguendo per la propria strada.
Evander si rialzò afferrando il giovane ancora a terra per un braccio rimettendolo in piedi.
D-Oh!...vi ringrazio infinitamente....sul serio, grazie mille!...
Afferrò i documenti riponendoli con fatica nella monospalla. Il viso imbarazzato del ragazzo si volse verso di lui. Ora ricordava. Lo aveva conosciuto circa un mese prima, quando Eric glielo aveva presentato come un amico di famiglia.
Da subito ne era rimasto impressionato. Non aveva mai visto una creatura più affascinante e semplice al tempo stesso. Alto, snello, con un corpo ed un viso assolutamente perfetti, la pelle abbronzata e liscia, i lineamenti sottili e delicati, ma al contempo impregnati di una particolare e dolce virilità che scendeva lungo le curve cesellandone ogni piccolo dettaglio, evidenziandolo e facendolo risaltare.
Il volto assolutamente celestiale, era incorniciato da capelli corvini e setosi che coprivano la fronte, appena visibile, e tornavano poi leggermente lunghi fin dietro la nuca. Il tutto impreziosito da un piccolissimo orecchino dorato ad anello sul lobo sinistro che brillava deliziosamente ad ogni suo movimento. Non pareva consapevole di quello splendore così innocente e accattivante al tempo stesso. Forse era proprio quell' incoscienza della propria bellezza che lo rendeva talmente ammalliante. Forse era semplicemente magnifico, senza alcun motivo.
Ma la cosa che lo aveva più colpito erano proprio gli occhi, verdi come null'altro, come un immensa distesa d'erba smeraldina, gli stessi occhi che per un dannato scherzo del destino non potevano vedere nulla. Era cieco. L'assurdo pagamento per quella bellezza incontenibile.
D-...è che a volte sono così goffo...mi scusi davvero...
Il ragazzo sorrise allegramente. Uno dei sorrisi più dolci e sinceri che avesse mai potuto osservare.
D-...dunque, chi devo ringraziare...?...signor...?
E- Hart, Evander Hart...
Sorrise leggermente... ma lui non poteva vederlo. Perchè quel ragazzo gli faceva tanta pietà?! Il giovane si riscosse come se qualcuno gli avesse dato un pizzicotto sulla pelle sotto i jeans.
D- ...ah!...signor Hart...oh cribbio!... come ho fatto a non riconoscerla???!!! Ho proprio una testaccia dura...eheh...
Si diede unn colpetto leggero sulla testa, come per ribadire ciò che aveva appena detto. Il viso gli si arrossì leggermente, probabilmente di nuovo per l'imbarazzo.
D- ...che scemo...eppure la sua voce è inconfondibile...!...
Sorrise di nuovo. Evander non potè fare a meno di rispondere a quel sorriso.
E-...Dorian, giusto...?!...avanti, ti offro da bere...il signor Eric mi sta aspettando da parecchio ormai...
Dorian arrossì di nuovo.
D-...oh...ehm...no, non vorrei disturbare...non si preoccupi...
E- insisto...e non accetterò un altro rifiuto...
Il giovane chinò il capo sorridendo.
D-...se proprio insiste...la ringrazio di nuovo...
Dorian afferrò il bastone che Evander aveva raccolto ed ora gli porgeva, per poi incominciare a camminare. Raggiunto il locale vi entrarono ritrovandosi immersi nell'aria intrisa di fumo e alcool. L'uomo si tolse il cappotto, appendendolo all'ingresso e facendo lo stesso con il giubotto dell'altro. Non c'era molta gente, e quei pochi se ne stavano seduti al bancone a parlottare col barman oppure sulle panche di stoffa ai tavolinetti bassi stuzicando qualche salatino e bevendo birra. Il vociare veniva accompagnato dalle risa o dal rumore dei giocatori di biliardo che colpivano le boccie con il solito sonoro "Tock" per mandarle in buca. L'odore di un sigaro si distinse nell'aria. Il ragazzo arricciò il naso.
Evander gli passò una mano dietro la schiena conducendolo attraverso i piccoli tavoli quadrati, fino al bancone in legno scuro dove Eric lo aspettava seduto su di un'alto sgabello.
Er- Ce ne hai messo di tempo...uh?...Dorian....!? che ci fai qui ? Sei venuto a bere con due uomini adulti finalmente!
E- L'ho incontrato qua fuori e gli ho offerto da bere...spero non ti dispiaccia.
Er- Ehi! Scherzi?! ...Ehi, Jonny! Tre wisky con ghiaccio!
-Subito!
Dorian si sedette, aiutato da Eric, fra lui ed Evander poggiando le braccia sul ripiano del bancone. Sentiva che era freddo e liscio. Probabilmente era in vetro. Il rumore del bicchiere posatovi sopra dal barista confermò la sua ipotesi. L'aroma pungente del wisky gli penetrò nelle narici provocandogli un leggero pizzicorio al naso. Tastando sul piano trovò poi il bicchiere afferrandolo e tirandolo verso di se. Non era solito bere roba simile, ma dato che gli era stato offerto non gli andava di rifiutare e fare lo schizzinoso. Quindi si portò il vetro alle labbra e ne sorseggiò il contenuto senza troppe esitazioni. Era molto forte, troppo per quello che lui era solito bere. Riprese fiato, sentendo la gola bruciare. Tuttavia doveva ammettere che c'era qualcosa di piacevole in quel calore così travolgente.
Spostò la propria attenzione sul discorso che intanto si era instaurato tra i due uomini al suo fianco, continuando di tanto in tanto a fare piccoli sorsetti.
Er- ...eppure ero sicuro che ormai fosse sull'orlo del fallimento...! ...ma tu guarda!
E- ...già...pare che alla serata parteciperanno anche parecchi politici rilevanti come White e Sunders...sai come funziona...un giorno stai per crollare e poi con la spinta giusta...
Er- Eh già! E tu ch epensi di fare? Ci andrai? Voglio dire...se ci vai tu vengo anche io, altrimenti preferirei restarmene a casa più che volentieri. Sua moglie non mi è mai stata molto a genio. Credo sia la donna più patetica e sciocca dell'intero cosmo! Se tutte le belle figliole fossero così...che Dio ce ne scampi!
Evander tacque. Non pareva avere molta voglia di accettare l'invito, soprattutto per il pacato sospiro che si lasciò sfuggire.
E- Purtroppo credo di avere le mani legate. La settimana scorsa ho incrociato William in una galleria fotografica poco lontano dal Palace, e parlando mi sono trovato costretto ad accettare. Domani passerò a prendere un piccolo pensiero per la signora in gioielleria. Sai meglio di me quanto è attaccata a questo genere di cose. Credo che se il marito non gliene regalasse per tenerla buona, non si farebbe scrupoli a prosciugargli la carta di credito o a vendersi lo jot della povera nonna Gertrude...
Eric sorrise allegramente alla battuta immaginando la faccia del poveruomo ad un eventuale evenienza. Dorian pure sorrise a quell'atmosfera amichevole seppur non conosceva affatto i protagonisti di quella conversazione.
Er- Ah bhè! Allora credo proprio che mi toccherà venire. Voglio assolutamente vedere la faccia di quella sciacquetta sbavarti dietro mentre le porgi il cofanetto...anche se, da come ti guarda, sono certo che preferirebbe di gran lunga avere qualcos'altro da te...signor "Sex Bomb"! Ah...magari le donne guardassero me, come mangiano te!
Evander sorrise sprezzante, con una punta di malizia, mentre l'altro continuò a ridere.
Dorian aveva avvertito da subito la sensualità di Evander. Nella cadenza e nell'inclinazione della voce, nel tono e nel modo di parlare c'era qualcosa di assolutamente inebriante. Ora ne aveva avuto la conferma. Doveva essere un uomo a dir poco irresistibile. Così intrigante nei gesti, nei modi, nella freddezza quasi glaciale.
Eppure lui avvertiva qualcos'altro. Un calore segreto, sommerso da montagne di ghiaccio. Forse sarebbe stato più caldo di tutti gli altri fuochi, del sole stesso. Ma, non capiva per quale motivo, quel calore era stato rinchiuso, intrapppolato. Probabilmente era proprio questo che lo rendeva talmente attraente.
D- Lei deve essere davvero un bell'uomo.
Eric si bloccò come per scrutare il viso a cui apparteneva quella voce così innocente. Evander si era voltato e lo osservava con volto serio. Gli occhi del ragazzo lo guardavano carichi di una specie di ammirazione, con lo sguardo semplice e sorridente. Le sue labbra si piegarono in un sorriso divertito.
E- Mai quanto te, Dorian.

E- Allora a domani...e voglio quella pratica sulla mia scrivania domattina!
- C-certo signor Hart!!! Buona serata...
Percorse a lenti passi calibrati il corridoio affollato, fino all'ascensore. Premette il pulsante di chiamata che si illuminò divenendo rosso. Prese una sigaretta dal pacchetto e se la strinse tra le labbra.
Osservò la scatolina di cartone. Ce ne erano solo altre due.
E-...tsk...
Se la rimise in tasca. La porta dell'ascensore si aprì. Una ragazza uscì portando dei documenti e facendogli un cenno di rispettoso saluto. Le sorrise.
Salì e premette il tasto per il piano terra. Una bassissima musica era l'unico suono che sentiva. Le luci dorate riflettevano sul legno lucido e sul metallo aureo.
Da quanto tempo era che non andava con una donna? Ultimamente aveva così da fare che la sa vita privata era praticamente ridotta allo stremo. Le uniche persone che riusciva a vedere fuori da lavoro erano Eric e Jhon, il suo dottore privato. Ad un tratto un viso dolce e triste gli attraversò la mente facendogli riaprire gli occhi. Ah si, c'era anche quel ragazzino...
Ultimamente lo vedeva spesso in giro, o con Eric o da solo, a passeggiare lungo il marciapiede. A volte si fermava a guardarlo dalla finestra del proprio ufficio. Era così dolce, in tutti i suoi gesti, nei movimenti. E poi aveva sempre il sorriso in volto. Tenero come nulla al mondo, ma infinitamente malinconico. Era come se guardasse in un'altra dimensione, coi suoi occhi vuoti e splendidi, privi di ogni reazione.
Le porte si spalancarono, riportandolo alla realtà.
Attraversò l'atrio ed uscì dalla grande entrata, fermandosi per un momento e assaporando l'aria fresca.
Un gruppetto di loquaci impiegati gli passò di fianco salutandolo. Ma il suo sguardo fu catturato da qualcos'altro, o meglio qualcun'altro.
Un ragazzo era seduto sulla panchina, lo sguardo perso nel vuoto. Indossava un cappotto che doveva essere ad occhio e croce più corto del ginocchio. Una pesante sciarpa gli copriva il collo ed il viso fin sotto al naso che usciva dalla stoffa leggermente arrossato. Teneva giocosamente le gambe tese di fronte a se, poggiando solo i talloni delle basse scarpe da ginnastica.
In grembo teneva una chiara bustina di carta stretta dalle mani avvolte in caldi guanti invernali. Un bastone da passeggio era poggiato al lato della seduta.
E- Dorian...?!
Il giovane si voltò di scatto. Si alzò afferrando il bastone e avvicinandosi a lui.
D- Signor Hart...buonasera! Per fortuna si è accorto di me...non sapevo davvero come fare...
E- Come mai sei qui? E' successo qualcosa?
Il ragazzo sorrise un pò impacciato ed arrossato.
D- eheh...no è che, il signor Eric mi aveva detto che lavorava qui e perciò, ho pensato, dato che ci passo spesso, "è così tardi...forse avrà fame"...
E detto ciò gli porse il sacchetto sorridendo teneramente.
Evander lo fissò. Non poteva fare a meno di ripetersi quanto dolce fosse. A pensarci bene era una delle poche persone che si fossero mai preoccupate per lui. Una domanda gli attraversò la mente.
E- Da quanto tempo sei qui che aspetti?
Sorrise ancora.
D- Oh, non si preoccupi, non è da molto...
E- Non dire sciocchezze, hai il naso arrossato! Vieni, ti prendo qualcosa di caldo da bere.
Dorian rise divertito.
D- Ogni volta che ci incontriamo mi offre da bere! Stavolta pago io! Insisto.
Ora il suo sguardo aveva assunto una leggera aria di sfida. Evander non potè fare a meno di sorridere e cedere a quell'invito che non ammetteva nessuna replica.
Il bar era leggermente affollato, ma trovarono posto in un piccolo tavolinetto vicino alla vetrata che ava sulla strada. Una cameriera passò a prendere le ordinazioni.
D- Mmm...io prenderò una cioccolata calda, se la avete...
E- Io un caffè bollente.
- Certo.
La ragazza sparì fra i tavoli. Dorian si tolse la sciarpa, posandola al proprio fianco sulla poltroncina.
E- Allora...? Ti trovi bene qui?
D- Si, New York è un pò caotica, ma mi piace. E poi anche l'appartamentino dove abito non è male.
E- Capisco...allora non vivi con i tuoi genitori...?!
D- Oh, no! Sono morti quando avevo 5 anni.
E- Ah...anche io non ho parenti. Deve essere stato difficile per te...
D- All'inizio si, lo ammetto. E' stato il periodo più complicato della mia vita. Ma ora va tutto bene.
Il giovane rispondeva alle domande con aria serena ed un pò distante. Un dubbio balenò nella testa dell'uomo.
E- Ma quanti anni hai?
D- Ventidue.
E- Accidenti... sembri un liceale....
Il viso del ragazzo prese una piega incuriosita.
D- E voi? Quanti anni avete?
E- Ne ho trentaquattro...trentacinque a dicembre...
D- Wow! Davvero? Ve ne avrei dati molti meno!
E- ...dammi del tu...mi fai sentire vecchio!
La cameriera si avvicinò portando un vassoio. Poggiò le due tazze sul tavolinetto ed arrossendo sorrise all'uomo, per poi andarsene.
Il giovane mise la mano sul piano, sfiorandolo in cerca del bicchiere. Evander gli afferrò la mano e spinse la tazza nel palmo aperto. Era incredibilmente calda, o forse era lui che la sentiva così.
D- Grazie...
Sorrise stringendo gli occhi.
E- Di nulla.
  
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