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Autore: CriLife    20/05/2013    1 recensioni
Questa storia viene direttamente dal cuore di un'inguaribile romantica, che sogna e sogna e non fa altro tutto il giorno e la notte!! Se sei una persona dolce, a cui piacciono queste sdolcinatezze, questa storia fa per te! Un po' alla volta sto procedendo a scriverla e ovviamente mi piacerebbe sapere che ne pensano gli altri! perciò buona lettura, spero vi piaccia!! CriLife
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Cominciavo a sentire il freddo serale, nonostante quell’estate fosse particolarmente calda.  Avevo addosso solo una t-shirt e dei pantaloncini corti e ora dopo la festa di Ashley il tragitto da casa sua alla metro sembrava infinitamente lungo.
Era tardi, mezzanotte circa e non mi piaceva camminare da sola di notte, ma ero  stata costretta perché i miei non mi avevano dato il permesso di rimanere a dormire dalla mia amica. “Non vorrei fosse un disturbo” aveva detto mia madre, in realtà lei e papà volevano controllare appena fossi tornata a casa quali fossero le mie condizioni e assicurarsi soprattutto che non avessi né bevuto e né fumato.
Di solito, se ero sola in giro, tenevo il cellulare in mano con la rubrica aperta così se fosse successa qualunque cosa sarebbe partita la chiamata a mio padre e poi beh... speravo avrebbero fatto qualcosa, ma quella sera non avevo il cellulare, ne la borsa, ne niente di niente perché ero andata via di corsa, dopo aver avuto una discussione con il ragazzo con cui da un po’ mi frequentavo. Lui aveva fatto una grossa cazzata e si aspettava che non ne facessi proprio un problema, invece l’avevo piantato in mezzo al giardino della madre di Ashley con una grande uscita a effetto verso il cancello. Appunto era troppo ben fatta quella mia uscita per tornare dentro un minuto dopo per prendere la giacca leggera che avevo portato e la borsa, con dentro cellulare, portafoglio e tutte le cianfrusaglie sempre presenti nella borsa di una ragazza.
L’unica soluzione alla mia incredibile fifa di camminare sola di notte era pensare di avere la voce abbastanza forte e magari abbastanza fastidiosa da attirare l’attenzione di qualcuno lì intorno, se fosse successo qualcosa.
 Comunque, stringendomi le braccia al petto e barcollando sui tacchi di Ashley, raggiunsi la stazione e lì mi accorsi di avere qualcuno alle spalle, poco lontano.
Scesi le scale in velocità, con un minimo d’ansia che ogni volta mi prendeva in una situazione del genere.
Cercai di non preoccuparmi troppo e mi avvicinai ai binari controllando l’orologio. Il tram sarebbe arrivato dopo tre minuti. I piedi mi facevano malissimo. Mi guardai intorno e dato che ero sola decisi di togliere le scarpe e tenerle in mano.
Con la coda dell’occhio scorsi l’uomo di prima scendere le scale della stazione e appoggiarsi al muro in attesa di qualcosa. Mi girai dal lato opposto guardando il buio nel tunnel, sperando di vedere i fari del tram avvicinarsi in fretta. Allora mi accorsi di un altro uomo, più un ragazzo veramente sulla ventina, di colore, mi guardava accigliato e staccatosi dalla colonna a cui si appoggiava si incamminò lentamente verso di me.
L’agitazione mi crebbe nel petto all’istante e indietreggiai un po’. Cominciai a respirare profondamente, per calmarmi, ma voltando un po’ la testa vidi anche il primo uomo avvicinarsi a me, allora non potei fare a meno di pensare al peggio.
Il primo mi impediva di risalire le scale, l’altro di andare da qualunque altra parte così, terrorizzata, mi arrestai e loro mi vennero vicino parlando in un’altra lingua tra loro.
Poi con un accento molto marcato il secondo mi disse: - Dacci i soldi!-.
- E il cellulare- aggiunse l’altro.
Io spostavo lo sguardo da un all’altro e riuscii a balbettare che non avevo niente con me.
- Non dire cazzate-.
- Ve lo giuro non ho niente con me, vi prego! Ho solo... solo questo orologio!-.
L’orologio non valeva niente, l’avevo comprato per poco a una bancarella in centro.
- Non dire cazzate!- ripeté il primo.
L’altro si avvicinò ulteriormente con uno sguardo strano, che mi fece accapponare la pelle e disse:- Allora ci darai qualcos’altro!- e così dicendo mi prese per un braccio e mi attaccò a lui.
Io scoppiai a piangere, provai a gridare ma  uno mi tappava lo bocca e rideva con il compagno.
Arrivò la metro, questo li distrasse per un attimo e io ne approfittai per mordere la mano e che mi bloccava la bocca e colpire nel bassoventre l’altro con una scarpa che tenevo in mano.
Quindi corsi tra le porte, piangendo e gridando aiuto, senza sapere se ci fosse qualcuno. Vidi infondo al vagone un ragazzo che aveva alzato la testa per le mia urla, corsi da lui e lo implorai di aiutarmi.
Lui appena capì che avevo bisogno d’aiuto scattò in piedi e mi portò nell’angolo del vagone vedendo entrare i due tizi, entrambi con lo sguardo infuriato.
- Loro... Loro volevano...- non riuscii a dire di più, presa dai singhiozzi.
Quelli ci raggiunsero e si fermarono davanti al ragazzo, notai in quel momento, mentre mi dava le spalle, che indossava una mimetica dell’esercito, completo di scarponi da militare e vidi la sacca verde, di fianco a me. Non potevo trovare persona migliore, pensai. Dalle spalle larghe e il corpo robusto capii che doveva essere anche parecchio forte e ringraziai il cielo per questo.
- Hei tu, non abbiamo niente con te, dacci la ragazza e ti lasciamo in pace!- disse il ragazzo di colore.
- Non credo che succederà- disse con tono sciolto, il soldato.
- Hei, bello ti ho avvisato, se vuoi problemi, forza fatti sotto!- intervenne l’altro, avanzando minaccioso.
Io d’istinto mi rannicchiai di più e emisi un piccolo gridolino di paura.
Il soldato si girò per un attimo a guardarmi e in quel momento uno dei due portò avanti il braccio pronto a sferrare un tremendo pugno in faccia al soldato che mi stava davanti. Stavo per gridargli di stare attento, ma in meno di un secondo lui si girò afferrò il braccio dell’altro, glielo girò dietro la schiena e lo spinse addosso all’altro. Questo lo prese e poi partì all’attacco. Il soldato lo rispedì a metà vagone in cinque secondi. Dopo altri due tentativi di affrontarlo, i due furono bloccati, che usando la sciarpa di uno e la felpa dell’altro gli aveva legato le mani insieme, schiena contro schiena. Li buttò su dei sedili, uno dei due svenne e l’altro continuò a imprecare sottovoce.
Il soldato si diresse verso di me, mi si accovacciò davanti con un’espressione preoccupata in volto e mi chiese piano:- Stai bene?-.
Io provai a parlare, ma al secondo tentativo cominciarono a cadermi dagli occhi dei grossi lacrimoni, che cercai di asciugare con le mani tremanti.
-Io sono Alex – continuò sempre parlando sottovoce, porgendomi la mano.
- Amelia -.
Lui mi guardò negli occhi per un po’ e poi mi sorrise. Aveva un sorriso sincero, molto dolce,mi fece venire la pelle d’oca perché guardandolo, vidi il suo viso dai lineamenti marcati, ma non in modo esagerato e le fossette sulle guance mentre sorrideva, i capelli castani con il tipico taglio militare e gli occhi verdi, intensi che trasmettevano calore.
Lui scambiò questo brivido per freddo e si guardò attorno, aprì il borsone e ne estrasse una felpa grigia.
-Hai freddo? Tieni! Non è bellissima ma ti scalderà un po’- mi disse sempre sorridendo.
Io le presi, con un sorriso timido. Aprendola per infilarla vidi che sulla schiena erano stampate le parole “US Army” . Bella felpa.
La indossai, scompigliando ancor più i capelli, ma cercai di non farci caso.
Deglutii, togliendo dalle guance le ultime lacrime e continuai a tenere la testa bassa.
Alex stava seduto davanti a me, appoggiato con la schiena ad un palo del tram.
- Sono un soldato- disse guardandomi, per distrarmi, indicando i propri vestiti  - Tu quanti anni hai?-.
- Diciotto, tra una settimana-.
- Io ho ventun’anni e sono partito  da qui subito dopo essermi diplomato al liceo, sono andato a Washington e lì ho fatto il corso di preparazione e tutto l’allenamento, poi mi hanno chiamato e mi hanno mandato in Iran, nelle retroguardie per assistere e  civili. Dopo due anni, è finito il mio mandato e allora ho deciso di tornare a casa, dai miei. Mentre ero laggiù ho imparato molto e sono stato per molto tempo a contatto con bambini, per la maggior parte dell’età da asilo e elementari direi. Vorrei rimettermi a studiare, diventare insegnante, insegnavo spesso loro in Iran, l’inglese e la matematica.  E tu...-.
Fu interrotto dall’urto del tram che si fermava alla stazione successiva. Alex alzò la testa, guardò i due uomini legati, poco più in là e prese il cellulare dalla sacca, si alzò e compose un numero.
Dopo poco, esclamò: - Hei, Mike!-.
Sorrise tra sé e sé, poi si allontanò ancora e abbassò la voce avvicinandosi ai due assalitori. Ad un certo punto si girò a guardarmi e io colta a osservarlo, chinai lo sguardo sulle mie mani, poi si rimise a parlare con quello al telefono.
Quando finì, mi chiese qual’era la mia fermata e mi ci volle un po’ per ricordarlo, ma gli risposi.
- La J. Star, dopo la prossima-.
Arrivati alla stazione successiva, Alex mi si avvicinò, si chinò verso di me e mi disse: - Torno subito, ok?-.
Io annuii incerta, lui mi strinse un attimo la mano e prese a strattoni  gli altri due, fuori dal tram. Io mi alzai e guardai da dietro il vetro, il soldato li stava conducendo su per le scale e così scomparve.
Una piccola parte di me si chiese dove li stesse portando, ma poi cominciai a respirare più veloce presa dall’ansia, ero sola, di nuovo, ero terrorizzata. Se fosse arrivato qualcun’altro? Qualcuno come quei due? Se Alex non fosse tornato? Se mi avesse lasciata lì, sola?
Un vecchio con un cappello da cowboy e i baffi grigi entrò in quel momento. Io mi rannicchiai sul sedile e cercai di non mettermi a piangere. Sentii l’annuncio del tram che stava per ripartire, le porte che si stavano per chiudere.
- Amelia!-.
Alzai lo sguardo in fretta e vidi Alex vicino alla porta che si era appena chiusa, con il fiatone. Mi guardava con dispiacere e apprensione, ma io fui semplicemente troppo felice del fatto che fosse lì, con me.
Mi alzai e di corsa, andai ad abbracciarlo, mio malgrado, tra qualche singhiozzo.
Lui mi prese tra le sue braccia e mi strinse, cercando di calmarmi.
- Hei, stai tranquilla. Avevo detto che tornavo, no? -.
Con la faccia ancora nella sua giacca verde mimetica, balbettai che avevo paura non tornasse e che non volevo stare sola.
Lui si scostò un po’, mi alzò il viso e guardandomi intensamente negli occhi disse:- Amelia, sono qui! Non ti devi preoccupare. Non sei sola, ci sono io, ok?-.
Io annuii, rapita da quegli occhi verdi, così profondi e brillanti.
Stavamo lì, vicini e fermi, Alex mi guardava accigliato e io, con la bocca socchiusa, non riuscivo a distogliere lo sguardo.
Senza che me ne rendessi conto, cominciammo ad avvicinarci, piano e semplicemente, Alex prese il mio mento tra due dita e mi avvicinò per baciarmi.
Io non feci alcun tipo di resistenza, anzi mi avvicinai a lui, appoggiandomi al suo petto. Era così alto che dovevo piegare il più possibile il collo per arrivare alla sua bocca, lui si abbassò un po’ per stare più vicino e passò un braccio attorno ai miei fianchi, abbracciandomi.
In quel momento mi sembrava tutto, surreale, magico e ovviamente come tutti i momenti di magia, anche questo finì bruscamente, per lo scossone del tram arrivato alla mia fermata.
Io persi l’equilibrio e finii completamente addosso ad Alex, lui al contrario, si raddrizzò, con la mano destra afferrò il palo al centro del vagone e con l’altra prese me.
Quando si aprirono le porte, io feci un passo indietro e lui si fermò a guardarmi per un attimo, poi girò lo sguardo verso il suo sedile, dove ancora stava il borsone verde e disse: - Forza, andiamo!-.
Io ero ancora parzialmente scioccata, ma cercai di mascherarlo e mi avviai verso l’uscita della stazione, stretta nella felpa che mi faceva da vestito. Mi accorsi di aver una scarpa sola e sperai che Ashley non tenesse particolarmente a quelle scarpe.
Mentre camminavamo per le strade deserte, non c’era alcun rumore. Alex camminava in modo stranamente silenzioso, non lo si sentiva neanche ad un metro di distanza.
Il rumore che ruppe il silenzio fu un mio gridolino, quando camminammo sulla ghiaia e sentii mille sassolini contro i miei piedi nudi.
Alex si voltò subito verso di me e solo allora si accorse che ero senza scarpe.
Si offrì di portarmi in braccio, ma io declinai anche troppo in fretta forse. Non avrei potuto reggere anche quello. Poi pensò di darmi le sue altre scarpe che mi potevano stare tre volte, ma il risultato sarebbe stato solo quello che sarei stata più a terra che camminando.
Così cominciai a camminare in punta dei piedi, finché non raggiungemmo le scale che portavano a casa mia.
Questa dava su una via, di case più o meno strutturate allo stesso modo, solo con colori e materiali di rivestimento diversi.
La mia casa aveva cinque gradini in pietra, un spazio con  lo zerbino e una sedia a dondolo e la porta rosso fuoco, con un grande pomello d’oro al centro. A mia madre piace eccedere.
Salii sul primo gradino e mi girai verso Alex, il soldato. Pure da quella posizione, lui riusciva a superarmi di cinque centimetri d’altezza.
Mi sorrise e mi disse: - Vai a riposare, si vede che hai bisogno di dormire!-.
Feci una smorfia pensando a che faccia dovevo avere in quel momento. Decisamente non attraente, questo è sicuro.
- Domani mattina, torno e andiamo alla polizia, per la denuncia di quei due, ok?-.
Quello che disse mi fece ricordare il motivo della sua presenza lì e un fitta mi prese allo stomaco, mentre il cuore accelerava di nuovo. Feci un respiro profondo e cercai di stare calma.
- Per ora, sono sotto la loro custodia-. Vedendo il mio sguardo interrogativo, mi spiegò – Ho un amico, Michel, lavora nella polizia e fa la ronda per questi quartieri, per cui l’ho chiamato prima e alla fermata sono andato a portarglieli-.
Ecco dove li aveva portati! Non c’avevo più pensato.
- Poi, non ci sentivamo da un pezzo per cui, mi ha trattenuto e insomma, ho dovuto correre per tornare nel tram!-.
Io gli sorrisi, ma appena ricordai quello che era successo dopo che era tornato nel tram, abbassai subito lo sguardo arrossendo.
- Allora, buonanotte, Amelia!-.
Alzai la testa, per ricambiare, ma dato che non sapevo cosa dire, feci solo un piccolo sorriso, con un cenno della testa e mi avviai su per i gradini.
Quando aprii la porta (grazie alla chiave nascosta sotto la statuetta di un coniglio, perché le mie erano nella borsa, a casa di Ash), non potei evitare di girarmi di nuovo indietro per vedere se c’era ancora e con sorpresa, lo vidi ancora ai piedi delle scale, con le mani in tasca, mentre aspettava che entrassi. Sorrise, facendo un cenno con la mano e io chiusi la porta.
 
 
Salii le scale ed entrai in cucina. Sentendo la televisione dal salotto mi avviai verso la porta, ma mia madre mi precedette, arrivando in cucina e accendendo la luce.
- Amelia!-.
- Ciao, mamma-.
Arrivò anche mi padre, il quale mi si avvicinò con uno sguardo investigatore.
- Non ho bevuto, papà! E non ho neanche fumato, ok?- dissi allontanandolo e andando a sedermi al tavolo rotondo, in mezzo alla stanza.
- Tesoro, cosa ti è successo? Hai pianto?- mi chiese mia madre preoccupata.
Ora dovevo raccontargli tutto.
Mi si formò un nodo in gola e sentii gli occhi bruciare.
I miei, vedendomi così scossa si sedettero davanti a me, in attesa.
Con difficoltà e ancora lacrime, riuscii a raccontare di quei due uomini, di come mi ero liberata e di come poi Alex, era stato un eroe e mi aveva salvata.
- Oh, la mia bambina!- esclamò mia madre, abbracciandomi.
- Ora sto bene, mamma, davvero!-.
- Chi è questo ragazzo, Alex?- chiese mio padre.
 - Un soldato- risposi semplicemente, con un piccolo sorriso.
  
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