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Autore: Folter    21/05/2013    1 recensioni
[**Tematiche delicate: Olocausto**] [Pov!Prussia]
Quel ragazzo! Le sue urla! Che rimorso atroce scatenarono in me! Com’era osceno il suo corpo nudo, agonizzante! Com’erano sofferte le sue parole! Com’è stata cruda la sua morte!
Eppure, in quelle piccole macchie celesti, non ci ho forse visto un segno del perdono?
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Der Junge






“ 17/04/1942


Che spettacolo impietoso è la Morte; un nugolo di uomini, un brulichio fitto d’umani cadaveri, che vaga per la chiusa camera di cemento.
Lerci, sudici, schifosi; tutti dallo sguardo offuscato dalla stanchezza, e impietrito dalla paura.
Marciano inanimati, convoglio di morte, verso l’ultima fermata: la più dura, quella eterna, quella che si solleva sopra le urla e i respiri interrotti, quella che si apre all’ultimo sospiro e si conclude al più pesante serrarsi degli occhi.
La gravezza del loro animo non concedere loro la parola; li riduce a vermi della terra, a sopportare, a sorreggere quello spinoso masso che da millenni schiaccia le loro deboli spalle, a strisciare nel fango per del misero nutrimento.

Questo è l’Ebreo, questo è il nemico della Germania!

Tutti col capo chinato, a fissare il niente; strangolatori asfissiati, doloranti portatori di dolori. Si spogliano, con una puntigliosità non frivola, ma illusoria. Nessuno di loro riavrà le proprie vesti anche se cautamente ripiegate sopra la panchina.

Un ragazzetto, rimasto indietro nell’atto dello spogliarsi, scansa gli sguardi dei più attempati; c’è ancora in lui quel non so che di verginalmente insicuro, di puramente timido. Una personalità innocentemente superba che non viene spezzata neanche dalla più infame oppressione.
La mano, diafana, deturpata e impiastricciata dalla terra, sbottona ritmicamente la giacca, con un sentimento spento, cadaverico. L’altra è poggiata al muro di cemento.

Afflitto dalla speranza si volta, forse a cercare presenze consanguinee. Non c’è suo padre; non c’è somiglianza nei volti deformi dei presenti che possa far fede all’eleganza dei suoi tratti.
Allora torna a spogliarsi, liberandosi del tessuto macchiato, di tanto in tanto, da scomposte tracce scure. Un brivido sembra scuotere i brandelli bianchi del suo petto.
Inciampa, e cade sulla panchina, con un tonfo sordo. I suoi riccioli scuri, naturalmente scomposti, offuscati dalla cenere e dalla polvere, ricadono sulla sua fronte alta. Due piccoli bagliori, seppur fiochi e abbattuti, sfolgorano potenti nel suo piccolo volto. E’ bellissimo, in mezzo a tanti stomachevoli mostri.
Risplende d’una bellezza nuova, non trascorsa, ancora non elogiata o accarezzata da mani femminili. E’ solo affievolita in una presenza languida e abbattuta; morta in un sentimento d’afflizione fatale.
Sfila i pantaloni dal corpo ammansito dal dolore, con l’impedimento della disfunzione della gamba sinistra.
Appena ha rimosso anche l’ultimo indumento, ordino loro di entrare dentro l’altra stanza; le prime mormorazioni, i primi passi spaesati e spaventati, la calca dei mostri, soffocano la possibilità di alzarsi del ragazzo. L’intralcio della calca è tale che il giovane cade sulla panchina una, due, tre volte.

« Ehi, tu! Non vedi che non è in grado di camminare? Dagli una mano.»


Il ragazzo si volta verso di me, con il volto non più cereo, ma vermiglio, significante d’un muto e imbarazzato ringraziamento. “







« Anche questo ragazzo di cui hai scritto nel tuo diario è entrato nella camera a gas?»
« Sì.»
« Quanti anni aveva?»
« Sedici.»

Rispondo, e un fastidioso brusio si alza dal pubblico dell’udienza. Il gregge di curiosi viene richiamato all’attenzione; mai ho avuto tanti sguardi su di me. Ci sono connazionali, stranieri, carnefici e vittime, seduti l’uno accanto all’altro. Chi prima alzava il braccio destro, ora, con lo stesso ardore, punta il dito contro di me.

« E come si chiamava?»

Continua, il presidente della corte.

« Il suo nome è affogato nella mia penna, ed è rinchiuso nel mio cuore.»

« Non hai capito. Devi dircelo; in quest’aula c’è il suo probabile padre.»

E quindi, il barbuto presidente della corte indica l’uomo citato. Lo guardo; i suoi lineamenti sono duri, ispidi, i capelli troppo chiari, il fisico basso e malcurato per aver potuto avere una progenie così graziosa.
Forse il ricordo mi confonde, forse gli anni hanno scolpito l’immagine di quel giovane fino a farmelo vedere come un angelo.
Mi viene detto il suo cognome, e non coincide con quello che lessi nei documenti del giovane ragazzo.


« Non è suo padre. »

Un attimo di silenzio pesa nell’aula del tribunale. Io mi stringo le mani, umide per l’agitazione e l’imbarazzo, in attesa della prossima domanda.

« Questo ragazzo, è morto nella camera a gas?»
« No. Non tutti morivano lì.»
« Non tutti morivano lì?»
« Esatto. Capitava spesso che qualcuno riuscisse a sopravvivere. E allora venivano fucilati.»

Un altro belare si alza dal pubblico; piovono improperi, il sentimento comune si schiera contro la bestia.

« E chi era incaricato di ucciderli?»

Quel ragazzo! Le sue urla!
Che rimorso atroce scatenarono in me! Com’era osceno il suo corpo nudo, agonizzante! Com’erano sofferte le sue parole! Com’è stata cruda la sua morte!
Eppure, in quelle piccole macchie celesti, non ci ho forse visto un segno del perdono?

« Io. »

  
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