Titolo
: Under
my body.
Fandom: Glee
Personaggi/Pairing(s): Quinn
Fabray/Santana Lopez (sono una
persona noiosa, me ne rendo conto.)
Avvertimenti: oneshot, post 4x14 , demenza
generale.
Note: i personaggi hanno la sfortuna di non
essere miei. Nessuno mi
paga per scrivere questa roba, molti lo farebbero per farmi smettere
**
«Che
diavolo significa? »
Santana
la guardò come se
improvvisamente Quinn fosse diventata un mostro verde venuto da qualche
strano
pianeta scoperto in una galassia segreta.
Quinn
si massaggiò le tempie,
ripiegando in maniera ordinata e composta l’ultima camicia e
sistemandola nella
valigia, spazzolandone i bordi e stirando con le dita le ultime pieghe.
Alzò
lo sguardo sull’amica poggiata
allo stipite della porta. Le labbra imbronciate, gli occhi fissi e le
braccia
strette intorno al corpo. Santana era arrabbiata. Di nuovo.
Sbuffò
sonoramente, indicando il
calendario alle sue spalle. Santana era andata a trovarla con tutte le
buone
intenzioni, ma lei aveva preso un biglietto aereo per Lima, e
quell’improvvisata della sua migliore amica, sempre che
quello fosse ancora il
loro status, non sembrava essere riuscita nel migliore dei modi.
«Significa, Santana, che devo tornare a Lima. Mia madre sono
giorni che non fa
che telefonarmi per sapere quando arrivo. Non posso dirle di
no.»
«Ed
io cosa dovrei fare? »
Quinn
aggrottò le sopracciglia. Come
pretendeva che le risolvesse il problema quando era stata lei a
presentarsi
alla sua porta senza uno straccio di preavviso?
«Che
cosa vuoi che ne sappia,
Santana.»
«M'
inquieta quando mi chiami
Santana.»
«E’
il tuo nome.» Fu la sua
pronta risposta. Aveva lo sguardo basso, puntato sulla lista di cose da
fare
prima del viaggio.
Valigia.
Libri.
Parlare
con Debra.
Le mancava solo l’ultimo punto e poi poteva dirsi pronta. Non
si poteva di
certo dire che Quinn Fabray non era organizzata.
Peccato per quel piccolo particolare dai capelli scuri e lo sguardo
corrucciato
che occupava la sua porta.
«Ascolta,
possiamo provare a vedere
se c’è un altro biglietto. O potresti tornare a
New York. Mi dispiace San. »
Aveva
evitato talmente tanto di
guardare Santana, che non si accorse che le era arrivata accanto fino a
quando
le sue mani non si posarono sui fianchi di Quinn, che
sobbalzò leggermente al
contatto, sospirando alla risata divertita alle sua spalle.
«Andiamo
Q, è da un po’ che non ci
vediamo.»
A Quinn sarebbe piaciuto risponderle che sì, era vero, ed
era soprattutto colpa
sua per averla abbandonata la mattina dopo quel dannato matrimonio. O
meglio
non-matrimonio. Le sarebbe piaciuto dirle che non poteva presentarsi
lì e fare
quel broncio adorabile; lei non avrebbe cambiato i suoi piani.
Le
sarebbe piaciuto dire un sacco di
cose.
Ma
quando le labbra di Santana si
posarono sulla sua guancia, lasciandole sulla pelle un leggero
formicolio,
tutto quello che riuscì a fare fu annuire.
«Va
bene, resto.»
**
«Sì,
mamma, lo so. Si. Va bene.
Certo, la prossima settimana sarò da te. Certo. Si, te lo
prometto. Va bene,
ciao mamma.»
Quinn
chiuse il telefono con ancora
la voce di sua madre che, angosciata e tremolante le chiedeva
perché non poteva
tornare a Lima, quella settimana.
“Sai
mamma, Santana si è presentata
alla mia porta e visto che non ho pensato ad altro che a lei, in questi
mesi,
approfitterei dell’occasione”.
Sarebbe
stata un’ottima risposta, si
disse, mentre addentava l’ennesimo biscotto e guardava
Santana che girovagava
per la sua stanza.
Aveva
lo sguardo attento e
concentrato. Quinn sapeva che stava scrutando tutto per trovare un
cavillo
particolare da usare per prenderla in giro durante la prossima
litigata. Ma la
sua camera era a prova di bomba. Non c’era nulla oltre
un’intera pila di libri,
qualche dvd e i suoi effetti personali. Anche Debra la trovava
estremamente noiosa,
non mancava mai di farglielo notare.
«Che
cazzo succede qui?»
Parlando
del diavolo.
Quinn
si voltò verso l’ingresso con
un po’ di cioccolata che le rimaneva sul labbro. Vide la sua
compagna di stanza
lanciare il borsone della palestra nell’angolo sulla destra,
come al solito e
poi avvicinarsi al letto di Quinn, derubandola di una manciata di
biscotti.
«Sai
che la palestra non funziona se
poi ti sfondi di cibo, vero? »
Chiese,
beccandosi un’occhiataccia
con una successiva apparizione del dito medio di Debra.
Santana
le guardò, curiosa da quello
scambio. Le vide giocherellare con la busta dei biscotti prima di
decidere di
lasciar perdere e intavolando una conversazione di routine. Si sentiva
invisibile, in quel momento. Voleva alzare le braccia e dire
“Ehi, ci sono
anch' io, sapete”.
Ma
non ce ne fu bisogno.
Quinn
sollevò il braccio nella sua
direzione e con ancora la bocca piena farfugliò qualcosa che
entrambe
stentarono a capire.
«Deb,
quefta è Fantana.
Fantana, lei è Debrfa.»
«Non
si parla con la bocca piena,
cavernicola.» La rimproverò Santana,
ridendo del viso sconvolto dell’altra
che era immobile al centro del letto.
Debra
si alzò e annuì. Le strinse la
mano, volgendosi poi verso la sua compagna di stanza.
«Così
ci si presenta a qualcuno.»
«Due
contro uno non vale, però.» Fu
il piagnucolio arreso di Quinn.
Santana
si morse le labbra. Era adorabile,
e, ma forse la memoria le stava giocando un brutto scherzo, era ancora
più
bella dell’ultima volta che l’aveva vista. Con
addosso solo un paio di jeans e
una canotta leggera, faceva la sua maledettissima bella figura.
Deglutì con non
poche difficoltà, sentendo lo sguardo delle altre due
ragazze nella stanza
posarsi su di lei.
Tossì
per schiarirsi la voce e alzò
la testa. Un sorriso felino sulle labbra.
«Allora,
cosa fate voi geni di New
Heaven per divertirvi?»
**
Il
locale era affollato, Quinn sapeva
che sarebbe successo. La sera tutta la popolazione che la mattina
occupava le
aule dell’università si riversava in quel pub.
La
presenza di Santana sembrava aver
già scaturito la curiosità di un gruppo di
ragazzi.
“Ovvio”
si disse Quinn. Con quella gonna
che a stento le arrivava al ginocchio e quella camicia, si sarebbe
ritenuta
fortunata se qualcuno fosse riuscito a non notarla.
Arricciando
il naso si sedette sullo
sgabello di legno, posando le tre birre sul tavolo e osservando Debra e
Santana
che chiacchieravano allegramente. Cosa avevano da dirsi poi, lo
sapevano
evidentemente solo loro. Erano più di quindici minuti che si
bisbigliavano
qualcosa che trovavano divertente, dato che le risate sulle loro bocche
erano
durate per tutta la serata.
«Vado
a fumare.» Sbuffò Quinn
dopo l’ennesimo tentativo, inutile, di inserirsi nella
conversazione. Vide
Santana mordersi le labbra e reprimere una risata, prima di afferrare
il
cappotto e uscire.
Daniel,
un ragazzo del suo corso era
poggiato alla vecchia insegna del pub. Lo vide sorridere non appena la
riconobbe e Quinn alzò la mano per salutarlo.
Trafficò per una manciata di
secondi nella tasca della giacca per poi accorgersi di aver lasciato
l’accendino in borsa.
«Problemi?» Chiese
il ragazzo.
Quinn
scosse la testa e si colpì con
la mano sulla fronte.
«Sono
sbadata. Ho dimenticato
l’accendino»
Vide
Daniel mettere una mano nella
tasca dei jeans, per poi allungare il braccio e accenderle la sigaretta.
«Grazie.»
La
prima boccata le bruciò la gola,
facendole rilassare le spalle. Non si era accorta di quanto fosse
nervosa fino
a che non sentì quella lieve tensione sul collo. Il motivo
per il quale lo era,
d’altra parte, le rimaneva sconosciuto.
Era
Santana. Solo Santana.
Poi
sorrise.
Santana
non era mai stata solo
Santana.
**
«Potevi
dirmelo che era lui il motivo
per cui sei scappata fuori.»
La
voce della sua amica arrivò
irriverente e con un pizzico di.. gelosia?
Quinn
voltò lo sguardo e la vide a
braccia incrociate che studiava, con occhi attenti la figura di fronte
a lei.
Daniel era perplesso. Aveva accennato un sorriso bizzarro e si era
scusato,
rientrando nel pub più veloce della luce.
Quinn
aggrottò la fronte.
«Qual
è il tuo problema esattamente,
Santana?»
Di
tutta risposta, la latina alzò le
spalle e le prese la sigaretta dalle dita, aspirandone un paio di
boccate e
gettandola sulla strada, ancora a metà. Quinn
provò a protestare, ma la bocca
di Santana, così tremendamente vicina alla sua le aveva
cancellato qualsiasi
pensiero coerente.
«Tu.
Sei sempre stata tu il mio
problema Fabray.»
Quinn
sorrise, le braccia lungo i
fianchi, immobile. Forse Santana si aspettava qualcos’altro,
ma nella sua testa
era tutto così confuso che qualunque movimento o reazione le
sembrava esagerata
e fuori luogo.
«Che
stai facendo?»
Santana
alzò le spalle, il fiato
caldo sulla guancia di Quinn, le mani strette intorno ai suoi polsi.
«Non
ti sembra ovvio?»
«San-»
Le
parole le morirono in gola quando
le labbra di Santana si posarono sulle sue.
**
«E
questo quando l’hai fatto?»
Santana
aveva gli occhi sbarrati e la
bocca aperta. Le dita a tracciare il contorno dell’inchiostro
sulle costole di
Quinn.
«Un
paio di mesi fa. »
Quinn
sorrise. Santana aveva lo
sguardo così rapito e sconvolto, che sembrava una bambina.
«Non
hai mai visto un tatuaggio? Ti
ricordo che ne hai due.»
Santana
alzò lo sguardo, le
sopracciglia inarcate. Fece leva sulle braccia e baciò
Quinn, leggera, per poi
tirare con i denti il labbro inferiore.
«Si
ma io non sono la classica figlia
di papà. Non lo credevo possibile. Mi sorprendi
Fabray.»
Le
mormorò sulla bocca. Quinn
sorrise, premendosi contro di lei. Sentiva ancora il corpo malfermo e
tremolante, ma la sensazione di avere il corpo di Santana sul suo,
senza nulla
a dividerle, pelle contro pelle, la rigenerava.
«Non
sono più quella persona.»
Santana
le strinse i fianchi. Era
difficile affrontare certi argomenti. Tornare indietro di anni. Tornare
a Beth.
E Santana lo sapeva e con quei tocchi le stava chiedendo scusa.
Perché tra loro
era sempre stato così. Le parole non avevano mai avuto un
grande valore. Non
erano mai state capaci di parlarsi senza finire a urlarsi contro
qualcosa, o,
nel peggiore dei casi, a tirarsi schiaffi davanti a un pianoforte.
Quinn
scoppiò a ridere ripensando a
tutte le volte che erano finite in punizione per essersi prese a pugni
nei
corridoi della scuola.
Santana
la fissò, curiosa.
«A
che stai pensando?»
Quinn
la vide ricadere sul materasso,
la testa poggiata sul cuscino, rivolta a lei. Si girò a
guardarla, baciandole
il naso arricciato, in un gesto talmente intimo che entrambe rimasero
in
silenzio per qualche secondo.
«A
quante volte siamo finite nei guai
per esserci prese a schiaffi.»
Santana
annuì. Poi le labbra si
stirarono feline in un sorriso malizioso. Quinn la conosceva bene
quell’espressione.
«Bè,
direi che questo è un modo
migliore per risolvere le nostre divergenze, no?»
Ghignò
la latina, indicando i loro
corpi nudi sul materasso mentre l’altra scuoteva la testa,
divertita ed
esasperata.
«Sei
un’idiota, Santana.»
Risero
entrambe.
Poi
Quinn sospirò e socchiuse gli
occhi. Aveva bisogno di chiederglielo.
«Che
ci fai qui? Insomma San, cos’è
questa.. cosa?»
Santana
si sarebbe divertita a
stuzzicarla, ma gli occhi di Quinn erano così insicuri che
l’ipotesi di
prenderla in giro sparì nello stesso istante in cui era
arrivata. Si appoggiò
alla spalla di Quinn, baciandole un lembo di pelle.
«Voglio
dire, è sesso, giusto? E’ il
mio corpo quello che volevi, no?»
Santana
scosse la testa, le baciò il
mento e le scostò un ciuffo di capelli che le ricadeva sul
viso.
«Voglio
tutto il pacchetto Q. Quello
che c’è sotto il tuo corpo.»
Vide
quinn mordersi un labbro. Aveva
paura. Ed era confusa, ma non le avrebbe detto di no. Seguì
i tratti del suo
viso con l’indice e la sentì annuire.
«Sotto
il mio corpo eh? Vuoi il
lenzuolo?»
Santana
scoppiò a ridere,
riportandosi su di lei.
«Sei
così stupida. Come hanno fatto a
prenderti a Yale?» Ironizzò, baciandola.
«Sono
dovuta andare a letto con tutti
i professori.»
Santana
le strinse le mani sui
fianchi, facendola mugugnare di dolore.
«Stavo
scherzando!»
«Non
farlo.»
«Agli
ordini, capo.»