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Autore: Shellyng    23/05/2013    6 recensioni
«Ed io cosa dovrei fare? »
Quinn aggrottò le sopracciglia. Come pretendeva che le risolvesse il problema quando era stata lei a presentarsi alla sua porta senza uno straccio di preavviso?
«Che cosa vuoi che ne sappia, Santana.»
«M' inquieta quando mi chiami Santana.»
«E’ il tuo nome.»
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Quinn Fabray, Santana Lopez | Coppie: Quinn/Santana
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo : Under my body.
Fandom: Glee
Personaggi/Pairing(s):  
Quinn Fabray/Santana Lopez (sono una persona noiosa, me ne rendo conto.)
Avvertimenti:  
oneshot, post 4x14 , demenza generale.
Note: i personaggi hanno la sfortuna di non essere miei. Nessuno mi paga per scrivere questa roba, molti lo farebbero per farmi smettere

**

«Che diavolo significa? »

Santana la guardò come se improvvisamente Quinn fosse diventata un mostro verde venuto da qualche strano pianeta scoperto in una galassia segreta.

Quinn si massaggiò le tempie, ripiegando in maniera ordinata e composta l’ultima camicia e sistemandola nella valigia, spazzolandone i bordi e stirando con le dita le ultime pieghe.

Alzò lo sguardo sull’amica poggiata allo stipite della porta. Le labbra imbronciate, gli occhi fissi e le braccia strette intorno al corpo. Santana era arrabbiata. Di nuovo.

Sbuffò sonoramente, indicando il calendario alle sue spalle. Santana era andata a trovarla con tutte le buone intenzioni, ma lei aveva preso un biglietto aereo per Lima, e quell’improvvisata della sua migliore amica, sempre che quello fosse ancora il loro status, non sembrava essere riuscita nel migliore dei modi.

«Significa, Santana, che devo tornare a Lima. Mia madre sono giorni che non fa che telefonarmi per sapere quando arrivo. Non posso dirle di no.»

«Ed io cosa dovrei fare? »

Quinn aggrottò le sopracciglia. Come pretendeva che le risolvesse il problema quando era stata lei a presentarsi alla sua porta senza uno straccio di preavviso?

«Che cosa vuoi che ne sappia, Santana.»

«M' inquieta quando mi chiami Santana.»

«E’ il tuo nome.» Fu la sua pronta risposta. Aveva lo sguardo basso, puntato sulla lista di cose da fare prima del viaggio.

Valigia.                                

Libri.

Parlare con Debra.

Le mancava solo l’ultimo punto e poi poteva dirsi pronta. Non si poteva di certo dire che Quinn Fabray non era organizzata.

Peccato per quel piccolo particolare dai capelli scuri e lo sguardo corrucciato che occupava la sua porta.

«Ascolta, possiamo provare a vedere se c’è un altro biglietto. O potresti tornare a New York. Mi dispiace San. »

Aveva evitato talmente tanto di guardare Santana, che non si accorse che le era arrivata accanto fino a quando le sue mani non si posarono sui fianchi di Quinn, che sobbalzò leggermente al contatto, sospirando alla risata divertita alle sua spalle.

«Andiamo Q, è da un po’ che non ci vediamo.»

A Quinn sarebbe piaciuto risponderle che sì, era vero, ed era soprattutto colpa sua per averla abbandonata la mattina dopo quel dannato matrimonio. O meglio non-matrimonio. Le sarebbe piaciuto dirle che non poteva presentarsi lì e fare quel broncio adorabile; lei non avrebbe cambiato i suoi piani.

Le sarebbe piaciuto dire un sacco di cose.

Ma quando le labbra di Santana si posarono sulla sua guancia, lasciandole sulla pelle un leggero formicolio, tutto quello che riuscì a fare fu annuire.

«Va bene, resto.»

**

«Sì, mamma, lo so. Si. Va bene. Certo, la prossima settimana sarò da te. Certo. Si, te lo prometto. Va bene, ciao mamma.»

Quinn chiuse il telefono con ancora la voce di sua madre che, angosciata e tremolante le chiedeva perché non poteva tornare a Lima, quella settimana.

“Sai mamma, Santana si è presentata alla mia porta e visto che non ho pensato ad altro che a lei, in questi mesi, approfitterei dell’occasione”.

Sarebbe stata un’ottima risposta, si disse, mentre addentava l’ennesimo biscotto e guardava Santana che girovagava per la sua stanza.

Aveva lo sguardo attento e concentrato. Quinn sapeva che stava scrutando tutto per trovare un cavillo particolare da usare per prenderla in giro durante la prossima litigata. Ma la sua camera era a prova di bomba. Non c’era nulla oltre un’intera pila di libri, qualche dvd e i suoi effetti personali. Anche Debra la trovava estremamente noiosa, non mancava mai di farglielo notare.

«Che cazzo succede qui?»

Parlando del diavolo.

Quinn si voltò verso l’ingresso con un po’ di cioccolata che le rimaneva sul labbro. Vide la sua compagna di stanza lanciare il borsone della palestra nell’angolo sulla destra, come al solito e poi avvicinarsi al letto di Quinn, derubandola di una manciata di biscotti.

«Sai che la palestra non funziona se poi ti sfondi di cibo, vero? »

Chiese, beccandosi un’occhiataccia con una successiva apparizione del dito medio di Debra.

Santana le guardò, curiosa da quello scambio. Le vide giocherellare con la busta dei biscotti prima di decidere di lasciar perdere e intavolando una conversazione di routine. Si sentiva invisibile, in quel momento. Voleva alzare le braccia e dire “Ehi, ci sono anch' io, sapete”.

Ma non ce ne fu bisogno.

Quinn sollevò il braccio nella sua direzione e con ancora la bocca piena farfugliò qualcosa che entrambe stentarono a capire.

«Deb, quefta è Fantana. Fantana, lei è Debrfa.»

«Non si parla con la bocca piena, cavernicola.» La rimproverò Santana, ridendo del viso sconvolto dell’altra che era immobile al centro del letto.

Debra si alzò e annuì. Le strinse la mano, volgendosi poi verso la sua compagna di stanza.

«Così ci si presenta a qualcuno.»

«Due contro uno non vale, però.» Fu il piagnucolio arreso di Quinn.

Santana si morse le labbra. Era adorabile, e, ma forse la memoria le stava giocando un brutto scherzo, era ancora più bella dell’ultima volta che l’aveva vista. Con addosso solo un paio di jeans e una canotta leggera, faceva la sua maledettissima bella figura. Deglutì con non poche difficoltà, sentendo lo sguardo delle altre due ragazze nella stanza posarsi su di lei.

Tossì per schiarirsi la voce e alzò la testa. Un sorriso felino sulle labbra.

«Allora, cosa fate voi geni di New Heaven per divertirvi?»

**

Il locale era affollato, Quinn sapeva che sarebbe successo. La sera tutta la popolazione che la mattina occupava le aule dell’università si riversava in quel pub.

La presenza di Santana sembrava aver già scaturito la curiosità di un gruppo di ragazzi.

“Ovvio” si disse Quinn. Con quella gonna che a stento le arrivava al ginocchio e quella camicia, si sarebbe ritenuta fortunata se qualcuno fosse riuscito a non notarla.

Arricciando il naso si sedette sullo sgabello di legno, posando le tre birre sul tavolo e osservando Debra e Santana che chiacchieravano allegramente. Cosa avevano da dirsi poi, lo sapevano evidentemente solo loro. Erano più di quindici minuti che si bisbigliavano qualcosa che trovavano divertente, dato che le risate sulle loro bocche erano durate per tutta la serata.

«Vado a fumare.» Sbuffò Quinn dopo l’ennesimo tentativo, inutile, di inserirsi nella conversazione. Vide Santana mordersi le labbra e reprimere una risata, prima di afferrare il cappotto e uscire.

Daniel, un ragazzo del suo corso era poggiato alla vecchia insegna del pub. Lo vide sorridere non appena la riconobbe e Quinn alzò la mano per salutarlo. Trafficò per una manciata di secondi nella tasca della giacca per poi accorgersi di aver lasciato l’accendino in borsa.

«Problemi?» Chiese il ragazzo.

Quinn scosse la testa e si colpì con la mano sulla fronte.

«Sono sbadata. Ho dimenticato l’accendino»

Vide Daniel mettere una mano nella tasca dei jeans, per poi allungare il braccio e accenderle la sigaretta.

«Grazie.»

La prima boccata le bruciò la gola, facendole rilassare le spalle. Non si era accorta di quanto fosse nervosa fino a che non sentì quella lieve tensione sul collo. Il motivo per il quale lo era, d’altra parte, le rimaneva sconosciuto.

Era Santana. Solo Santana.

Poi sorrise.

Santana non era mai stata solo Santana.

**

«Potevi dirmelo che era lui il motivo per cui sei scappata fuori.»

La voce della sua amica arrivò irriverente e con un pizzico di.. gelosia?

Quinn voltò lo sguardo e la vide a braccia incrociate che studiava, con occhi attenti la figura di fronte a lei. Daniel era perplesso. Aveva accennato un sorriso bizzarro e si era scusato, rientrando nel pub più veloce della luce.

Quinn aggrottò la fronte.

«Qual è il tuo problema esattamente, Santana?»

Di tutta risposta, la latina alzò le spalle e le prese la sigaretta dalle dita, aspirandone un paio di boccate e gettandola sulla strada, ancora a metà. Quinn provò a protestare, ma la bocca di Santana, così tremendamente vicina alla sua le aveva cancellato qualsiasi pensiero coerente.

«Tu. Sei sempre stata tu il mio problema Fabray.»

Quinn sorrise, le braccia lungo i fianchi, immobile. Forse Santana si aspettava qualcos’altro, ma nella sua testa era tutto così confuso che qualunque movimento o reazione le sembrava esagerata e fuori luogo.

«Che stai facendo?»

Santana alzò le spalle, il fiato caldo sulla guancia di Quinn, le mani strette intorno ai suoi polsi.

«Non ti sembra ovvio?»

«San-»

Le parole le morirono in gola quando le labbra di Santana si posarono sulle sue.

**

«E questo quando l’hai fatto?»

Santana aveva gli occhi sbarrati e la bocca aperta. Le dita a tracciare il contorno dell’inchiostro sulle costole di Quinn.

«Un paio di mesi fa. »

Quinn sorrise. Santana aveva lo sguardo così rapito e sconvolto, che sembrava una bambina.

«Non hai mai visto un tatuaggio? Ti ricordo che ne hai due.»

Santana alzò lo sguardo, le sopracciglia inarcate. Fece leva sulle braccia e baciò Quinn, leggera, per poi tirare con i denti il labbro inferiore.

«Si ma io non sono la classica figlia di papà. Non lo credevo possibile. Mi sorprendi Fabray.»

Le mormorò sulla bocca. Quinn sorrise, premendosi contro di lei. Sentiva ancora il corpo malfermo e tremolante, ma la sensazione di avere il corpo di Santana sul suo, senza nulla a dividerle, pelle contro pelle, la rigenerava.

«Non sono più quella persona.»

Santana le strinse i fianchi. Era difficile affrontare certi argomenti. Tornare indietro di anni. Tornare a Beth. E Santana lo sapeva e con quei tocchi le stava chiedendo scusa. Perché tra loro era sempre stato così. Le parole non avevano mai avuto un grande valore. Non erano mai state capaci di parlarsi senza finire a urlarsi contro qualcosa, o, nel peggiore dei casi, a tirarsi schiaffi davanti a un pianoforte.

Quinn scoppiò a ridere ripensando a tutte le volte che erano finite in punizione per essersi prese a pugni nei corridoi della scuola.

Santana la fissò, curiosa.

«A che stai pensando?»

Quinn la vide ricadere sul materasso, la testa poggiata sul cuscino, rivolta a lei. Si girò a guardarla, baciandole il naso arricciato, in un gesto talmente intimo che entrambe rimasero in silenzio per qualche secondo.

«A quante volte siamo finite nei guai per esserci prese a schiaffi.»

Santana annuì. Poi le labbra si stirarono feline in un sorriso malizioso. Quinn la conosceva bene quell’espressione.

«Bè, direi che questo è un modo migliore per risolvere le nostre divergenze, no?»

Ghignò la latina, indicando i loro corpi nudi sul materasso mentre l’altra scuoteva la testa, divertita ed esasperata.

«Sei un’idiota, Santana.»

Risero entrambe.

Poi Quinn sospirò e socchiuse gli occhi. Aveva bisogno di chiederglielo.

«Che ci fai qui? Insomma San, cos’è questa.. cosa?»

Santana si sarebbe divertita a stuzzicarla, ma gli occhi di Quinn erano così insicuri che l’ipotesi di prenderla in giro sparì nello stesso istante in cui era arrivata. Si appoggiò alla spalla di Quinn, baciandole un lembo di pelle.

«Voglio dire, è sesso, giusto? E’ il mio corpo quello che volevi, no?»

Santana scosse la testa, le baciò il mento e le scostò un ciuffo di capelli che le ricadeva sul viso.

«Voglio tutto il pacchetto Q. Quello che c’è sotto il tuo corpo.»

Vide quinn mordersi un labbro. Aveva paura. Ed era confusa, ma non le avrebbe detto di no. Seguì i tratti del suo viso con l’indice e la sentì annuire.

«Sotto il mio corpo eh? Vuoi il lenzuolo?»

Santana scoppiò a ridere, riportandosi su di lei.

«Sei così stupida. Come hanno fatto a prenderti a Yale?» Ironizzò, baciandola.

«Sono dovuta andare a letto con tutti i professori.»

Santana le strinse le mani sui fianchi, facendola mugugnare di dolore.

«Stavo scherzando!»

«Non farlo.»

«Agli ordini, capo.»


  
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