La famiglia
Harwood-Smythe, con la
(s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in:
<< Un
matrimonio e due (presunti) funerali >>. Quando il gene
platinato è
sinonimo di idiota.
In tempo.
Perdonate l’attesa, scrivo dalla biblioteca
dell’Università *.*
Vi annoio
poco e vi lascio immediatamente al tanto atteso e sospirato capitolo.
Sono
felice che lo scorso vi sia piaciuto. Adoro il modo in cui vi siete
affezionati
ad Andrèe e Paul, spero davvero che possiate fare la stessa
cosa con Alice. Si,
lo ammetto: ho una preferenza particolare per lei.
Un grazie
alla mia beta, micRobs.
Ci avviciniamo alla fine e senza di lei sarei ancora
al primo capitolo, preda delle mie turbe psichiche e letterarie.
Al mio Thad,
un anno della
mia vita.
Uno di tanti.
Tanti auguri,
amore
mio.
Sei il mio
traguardo
migliore.
Capitolo XI
Riprendersi.
*
Parcheggiata
la macchina davanti a casa Montgmery, Thad aveva appoggiato la fronte
al
volante e respirato profondamente.
Era andato a
riprenderselo.
Si era
imposto di non correre e di essere prudente, ci teneva ad arrivare
intero e
vivo a destinazione.
Si
voltò e
notò quattro figure davanti alla porta.
Era quasi
buio e le luci basse sul vialetto confondevano.
La
più bassa
e a quattro zampe si voltò nella sua direzione e, dopo
averlo riconosciuto,
avanzò verso di lui, trottando.
Audrey.
Thad scese
dalla macchina e aprì la portiera del bagagliaio. Possibile
che il cane fosse
felice di vederlo? Non gli aveva mai dimostrato particolare affetto.
Il cane, con
un balzo salì
a bordo, facendo leggermente sobbalzare
il veicolo a causa del peso, e, acciambellandosi, socchiuse gli occhi.
Neanche un
saluto: c’era da aspettarselo da quella sottospecie di orso
ammaestrato e
francese.
Cane viziato e
altezzoso.
La figura
umana, più bassa tra le tre, fece intendere a quella
più alta e longilinea di
volergli parlare in privato, presuppose Harwood.
La sagoma
meno alta strinse in un abbraccio la
più
bella e tornò in casa, lasciando sole le altre due.
Alice e
Sebastian si avvicinarono
alla macchina.
*
-Grazie.-
bofonchiò Smythe, procedendo verso l’auto.
Alice sorrise,
guardando dritto di fronte a sé. -Grazie a te.-
-In
realtà
mi odi.- scherzò l’uomo. -Ho fumato in casa tua,
ho suonato a qualsiasi ora del
giorno e ti ho fatto lavare la mia biancheria.-
-E stirare.-
aggiunse lei.
-E stirare.-
ripeté Sebastian, ridendo.
-Ci
siamo fatti del bene a vicenda,
Sebastian.- ammise, seria. -Tu hai
suonato per me, io ti ho ascoltato. Tu mi hai ridata a Wes, io ti ho
ridato a
Thad.-
Lui la
fissò, stupendosi di quanta forza e coraggio potessero
essere contenute in un corpo
minuto e provato dagli eventi.
-Suonerò
ancora per te, se vorrai.-
Pochi metri
lo separavano dal marito.
Aveva perso
peso e non aveva dormito chissà
per quanto
tempo. Era spettinato e la barba incolta segnalava una mancata
volontà di
occuparsi di se stesso.
Sebastian
avvertì una morsa allo stomaco: si odiava. Si sarebbe preso
a calci da solo, se
avesse potuto.
Due adolescenti
stupidi, altroché
marito e marito, maturi e ragionevoli.
Lo
osservò a
lungo, mentre l’altro, per nulla intimorito reggeva
fieramente il suo sguardo.
Alice gli
strinse il polso. -Certo. Sarò felice di avervi
come ospiti-
Quel plurale
suonava come una minaccia o un avvertimento
molto serio.
Sebastian
sorrise, scuotendo la testa. -Ciao, Alice.-
si piegò e le baciò la guancia.
Come un figlio.
La donna
sbatté le palpebre e accarezzò la propria guancia
con le dita, quasi potesse afferrare quel bacio e conservarlo.
Si erano davvero
fatti
del bene a vicenda.
*
Frenò,
attendendo che scattasse il verde.
Non si erano
ancora rivolti la parola e quell’atmosfera pesante stava
irritando particolarmente Thad.
Strinse il
volante, fino a far diventare le dita bianche e
sbuffò.
Scattò
il verde e accelerò.
Harwood non
avrebbe parlato per primo. Sebastian voleva i
suoi spazi, Thad glieli avrebbe lasciati.
Era snervante e
frustrante ma, in un’intera vita passata con lui, aveva
capito di essere
disposto a qualsiasi compromesso pur di averlo con sé.
Mise la freccia
e svoltò a destra, immettendosi nel vialetto
di casa.
Diversi minuti e
già l’abitacolo della macchina era pregno
dell’odore del marito.
Quanto gli era
mancato
l’odore di Sebastian. Con i giorni stava iniziando a svanire,
a diventare
sempre meno intenso.
Spense la
macchina, si voltò verso il marito, ma non fece in
tempo a trovare lo sguardo dell’altro: aveva già
aperto la portiera e stava
andando a prendere Audrey nel bagagliaio.
Thad
sollevò la leva accanto al posto del guidatore e
aprì il
portellone, permettendo al cane di scendere.
Fece lo stesso e
chiuse l’auto, precedendo i due.
Voleva tornare a
casa,
ma non rivolgergli la parola? Perfetto. L’ennesima
imposizione del despotismo e
del “Gran carattere di merda” Smythe.
Andrèe
gli aveva inviato un messaggio, diverse ore prima:
restava fuori, non aveva idea di quando sarebbe tornata. Meglio, odiava
che la
figlia assistesse al clima post-litigio dei padri.
Tirò
fuori le chiavi dalla tasca della propria giacca e le
infilò nella toppa.
Non lo
avvertì. Veloce
e silenzioso come un gatto, Sebastian gli arrivò da dietro,
circondandogli la
vita e sfiorandogli l’orecchio con le labbra.
Thad
sospirò, lasciandosi andare all’indietro e
appoggiando
la schiena al petto del più alto.
-Grazie per
essermi venuto a prendere.- mormorò, sfiorando,
ad ogni parola, il padiglione con la bocca.
-Sarei venuto a
riprenderti ovunque.- ammise il moro,
accarezzando le braccia che lo cingevano. -Non importa quanto tu possa
farmi
arrabbiare o per quanto tu possa abbandonarmi. Ti verrò a
riprendere, sempre.-
-Ti amo.- lo
strinse maggiormente a sé.
-Ti amo anche
io, Sebastian.-
Sebastian era di
nuovo
a casa. E anche Thad lo era, tra le sue braccia.
*
Dopo che
Andrèe e Paul ebbero fatto pace, andandosi a
rintanare per giorni nell’appartamento della ragazza, Jeff
aveva organizzato
una cena dagli Sterling-Duvall per festeggiare la loro riunione.
E questa volta
ci
sarebbero stati tutti.
Nick era
appoggiato alla balausta del portico quando, mentre
fumava, gli Harwood-Smythe salirono i gradini di casa sua.
Andrèe
gli posò un leggero bacio sulla guancia. Quella
ragazza era incredibilmente alta, fortunatamente Paul aveva ereditato
l’altezza
da papà Jeff.
Thad gli
passò accanto, sfiorandogli appena il braccio e
portando dentro con sé la figlia: era chiaro quello che da
lì a poco sarebbe
successo.
Sebastian.
Duvall estrasse
dal taschino della propria giacca il
pacchetto di sigarette e lo porse a Smythe, che andò a
posizionarsi accanto a
lui, accendendo la sigaretta con il proprio accendino.
-Ehi.- lo
salutò il moro, osservando le macchine passare
davanti casa.
-Ehi.-
bofonchiò Sebastian, socchiudendo un occhio per il
fumo.
-Non credevo
saresti venuto anche tu.- ammise Duvall.
-E perdermi
un’occasione per prendere in giro tuo marito e
l’imbarazzante grembiule rosa che indossa mentre cucina?-
domandò. -Assolutamente.-
ghignò, con la sigarette in bilico tra le labbra.
Nick scosse la
testa, sorridendo tra sé.
-E’
imbarazzante, sono serio.- continuò Smythe.
-E’
solo eccentrico, Jeff lo è sempre stato.- lo
giustificò
il moro, voltandosi e appoggiando la schiena alla balaustra.
-Checca.-
specificò
Sebastian, con l’intento di provocare e facendo un tiro dalla
propria
sigaretta.
-Disse quello
sposato con un uomo.- Nick sapeva esattamente
che cosa il più alto stesse cercando di fare.
Cercava un
dialogo. Cercava un modo per fargli capire che
voleva andare avanti, lasciandosi alle spalle quello che
c’era stato tra loro.
Non avrebbero dimenticato, ovviamente. Ma avrebbero tentato di andare
avanti,
imparando dai propri errori, ma non lasciandosi sopraffare.
-Harwood mi ha
ingannato. Ha alle sembianze di una piccola
donna, ispanica e irsuta.- scherzò, sentendo
l’atmosfera alleggerirsi.
Probabilmente,
non
avrebbero mai parlato direttamente. Entrambi avevano capito, aleggiava
uno
“scusami” ed era sufficiente.
Duvall rise di
gusto. -Non ci crede nessuno, sai? Saresti in
grado di vomitare alla vista di una donna nuda.-
-E’ la
ragione per la quale mi sono sempre
rifiutato di vedere porno di gruppo alla
Dalton.- aspirò un’ultima volta e buttò
il mozzicone in giardino.
-Non potevi
pretendere che tutti gradissero materiale gay.-
gli fece notare Duvall.
-E
perché, no?- domandò, voltandosi e dirigendosi
verso la
porta d’ingresso. -Dubito che ci fosse qualcuno di etero alla
Dalton.-
Nick
roteò gli occhi, preferendo non addentrarsi in quel
discorso.
Lo avevano fatte
troppe
volte.
Sebastian
sollevò la manica del proprio maglione scuro,
trafficò con un oggetto legato intorno al proprio polso e,
alla fine, lo lanciò
contro il petto di Nick.
Il moro lo
afferrò al volo e l’osservò.
Il laccio in
pelle.
Identico al proprio, che aveva donato ad Andrèe, nella
speranza che Smythe lo
notasse e si insospettisse.
-Dallo a Paul.-
ordinò, aprendo la
porta.
-Ci sposiamo?-
chiese Nick, sorridendo.
-Ahimè.-
sospirò Sebastian, entrando in casa.