Serie TV > Glee
Ricorda la storia  |      
Autore: micRobs    23/05/2013    7 recensioni
Sebastian/Thad | Future!Fic / Daddy!Thadastian | Fluff / Commedia
Dal testo: "Thad scosse la testa e sorrise, intenerito da quella genuina intraprendenza, poi gli passò una mano tra i capelli e glieli spettinò appena. Era incredibile quanto Demian ogni giorno somigliasse sempre più a Sebastian.
«Se piangi è un problema tuo, poi le persone ti guarderanno e penseranno che sei un bambino capriccioso.»
Demian parve pensarci un po' su, mentre dondolava i piedini fuori dalla panca e si guardava intorno, quasi a volersi accertare delle parole di suo padre. «E io gli dico che tu mi hai fatto piangere perché non mi vuoi dare i Bakugan.»"
Genere: Commedia, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Pairing: Sebastian/Thad + pargoli vari.
Genere: Generale / Commedia / Fluff / Demenza random.
Avvertimenti: Future!Fic / Daddy!Thadastian.
Rating: Verde.
Parole: 2055 (secondo Word.)
Note d’Autore: No, seriamente, non ho nulla da dire. Ero alla stazione e aspettavo il treno e stavo malissimo perché avevo dei dolori di pancia che neanche sto a dirvi e avevo pianto nel pullman perché avevo dovuto boicottare un esame perché non mi riuscivo a tenere in piedi ed avevo bisogno di quell’esame… e poi è arrivato lui ed era talmente tanto mini-Sebastian, talmente tanto adorabile e amore e tutto che mi ha tirato improvvisamente su di morale e Vals mi ha chiesto di scriverci ed io l’ho fatto, perché è lei e tanto basta.
Ho adorato scriverla, sebbene sia una scemenza, quindi spero che piaccia anche a voi leggerla e che vi strappi un sorriso.
Note di betaggio: Sempre lei che fa i salti mortali per me <3
 
 
 

Alla mia caramellina.

 
 
 


Of monsters and men.

                                                    
 
 
«Papi, mi dai i Bakugan?»

Thad sollevò entrambe le sopracciglia e poi abbassò lo sguardo su suo figlio, seduto accanto a lui. Demian lo fissava con occhi attenti e speranzosi, ma l'uomo sapeva bene che il bambino, in realtà, aveva egregiamente nascosto una velata e infantile sfida a contraddirlo, dietro le iridi color acquamarina – Sebastian continuava a sperare che diventassero verdi, ma Thad era conscio che quella fosse una battaglia persa in partenza contro i geni della famiglia di Sarah.

«Non ora, tesoro» obbiettò, comunque, impugnando la sua autorità genitoriale. «Tra un po' arriva il treno, te li darò quando arriveremo dai nonni.»

Il bambino schiuse le labbra e lo osservò quasi oltraggiato da quella risposta. «Ma mi annoio» gli fece notare, come se fosse la più ovvia delle spiegazioni, poi si aprì in un sorriso birbante e domandò: «Se piango, me li dai?»

Thad scosse la testa e sorrise, intenerito da quella genuina intraprendenza, poi gli passò una mano tra i capelli e glieli spettinò appena. Era incredibile quanto Demian ogni giorno somigliasse sempre più a Sebastian.

«Se piangi è un problema tuo, poi le persone ti guarderanno e penseranno che sei un bambino capriccioso.»

Demian parve pensarci un po' su, mentre dondolava i piedini fuori dalla panca e si guardava intorno, quasi a volersi accertare delle parole di suo padre. «E io gli dico che tu mi hai fatto piangere perché non mi vuoi dare i Bakugan.»

Thad roteò gli occhi e gettò uno sguardo all'orologio appeso alla parete della stazione, per verificare tra quanto sarebbe passato il treno: la macchina di Sebastian era dal carrozziere e l'uomo aveva preso quella di Thad per recarsi a lavoro e poi andare a prendere Seth a scuola, così lui aveva dovuto ripiegare sulla metropolitana per raggiungere casa dei suoi genitori.

«D'accordo» sospirò, ben sapendo che non avrebbe dovuto assecondare così le pretese del suo secondogenito. «Ma stai attento e non farli cadere a terra.»

Detto ciò, aprì la propria tracolla e tirò fuori la bustina in cui aveva riposto i giochi di Demian, i suddetti Bakugan. Il bimbo si aprì in un sorriso smagliante e poco ci mancava che si mettesse a saltellare sul posto.

«Non lo faccio, papi» assicurò, annuendo per sottolineare quel concetto. «Se li faccio cadere, poi si rompono e non posso più giocarci.»

In meno di due minuti, il posto vuoto tra loro si era riempito di una quantità incalcolabile di mostriciattoli robotici e carte plastificate.

«Pesca una carta, papi!»

Thad lo osservò, come se fosse un piccolo alieno dalla forma curiosa. Demian teneva il mazzo di carte aperto maldestramente a ventaglio e lo fissava con fare imperioso.

«Papà non sa giocare» addusse lui, sorridendogli con dolcezza. «Gioca tu.»

«Te lo dico io come si fa» lo sorprese però suo figlio, con tutto l’entusiasmo dei suoi quasi quattro anni. «E' facile.»

E, detto questo, trasferì una parte delle sue carte tra le mani di Thad, accompagnandole con una delle action figures che aveva tirato fuori dalla busta.

«Io sono quelli buoni» spiegò, mentre il padre alternava lo sguardo da lui, alle carte di cui non sapeva che farsi, alle signore che li guardavano incuriosite. «Mentre tu sei quelli cattivi.»

E ti pareva. Thad scosse lievemente la testa, ma sorrise e annuì, e Demian esultò felice di essere riuscito a spiegare quel concetto.

«Però aspetta» si corrucciò poi, posò le carte sulla panca e le studiò una a una, infine spostò lo sguardo su quelle di Thad. «Io ho poche carte.»

«E si vede che hai più mostri cattivi, tesoro» suppose Thad, cercando di nascondere una risata come meglio riusciva.

«Ma non è giusto!» Si lagnò il bimbo, sporgendosi e posando una mano sul polso del padre, per fargli abbassare le carte.
«Se ne ho poche, non posso vincere.»

Se Thad non lo avesse già saputo con assoluta certezza, non avrebbe potuto fare a meno di considerare quanto quel bambino somigliasse a suo marito: non faceva alcuna fatica a immaginare che Sebastian fosse stato esattamente così da piccolo.

«Vuoi fare tu i cattivi?» Propose, per evitare che Demian si mettesse a fare storie nel bel mezzo della stazione della metropolitana.

«No, i cattivi sei tu» stabilì suo figlio, una volta per tutte. «Se mi compri altre carte, forse mi escono quelli buoni.»

Thad roteò gli occhi ma non si scompose. «Ne hai già tante, Demian» gli fece notare. «A che ti servono le altre?»

«Per vincere!» Squittì lui, agitandosi sulla panca alla stregua di un tarantolato. «Se no, me le faccio comprare da papà allora.»

Per l'appunto. Degno figlio di suo padre.

«Papà non te le compra, perché lo sa che le lasci sempre in giro» si oppose, con pazienza, sapendo che alzare la voce con Demian era completamente inutile.

Lui si imbronciò per un attimo, poi sollevò il mento con fare superiore. «Allora lo chiedo a zio Wayne» lo informò.                                                                                                                                                                             
Quello avrebbe potuto rappresentare un problema: suo fratello adorava i suoi nipoti ed era del parere che i bambini dovessero andare viziati per farli crescere belli e sani. Naturalmente, il discorso non valeva per sua figlia, ma era esclusivamente riservato a Seth e Demian.

«E, fino ad allora, come si fa?» Ovviò, certo che Demian avrebbe presto dimenticato di porre quella richiesta allo zio. «Non giochiamo più?»

La fronte del bambino si corrugò in maniera comica, mentre lui rifletteva sul da farsi. Passarono diversi attimi di silenzio, in cui Thad lo osservava senza obbiettare nulla – godendosi la sua espressione pensierosa – e Demian spostava lo sguardo su qualsiasi cosa gli capitasse sott’occhio. Poi all’improvviso, il bambino si aprì in un sorriso trionfante ed esclamò: «Ho trovato! Facciamo una nuova regola, okay? Chi ha poche carte può prendere una carta da chi ne ha di più.»

Thad inarcò un sopracciglio: magari era perché conosceva suo figlio, ma sentiva puzza di fregatura in quella nuova disposizione.

«D’accordo» lo assecondò pazientemente, mostrandogli le tessere che aveva tra le mani. «Che carta vuoi?»

Demian si sporse leggermente per studiarle, poi allungò una mano e ne sfilò una dal mazzo di Thad: quella a lui più congeniale, ovviamente. «Il drago sputafuoco» decise, sorridendo esaltato.

La prova del DNA non sarebbe servita a nulla: non c’era niente che facesse dubitare che quel bambino fosse figlio di Sebastian. L’uomo scosse la testa e sospirò. «D’accordo, facciamo come dici tu.»

Attese che suo figlio si sistemasse meglio sulla panca e organizzasse le carte a sua disposizione, poi si predispose all’ascolto. Demian era l’esatto opposto di suo fratello, sebbene condividessero l’iperattività e l’entusiasmo per ogni novità. Jeff gli ripeteva spesso che con lui e Sebastian non era divertente, perché avevano creato due piccole copie di loro stessi e non si erano neanche impegnati particolarmente tanto per farlo, ma in realtà Thad sapeva che Seth e Demian erano molto di più che due copie esatte dei loro genitori. A Sebastian piaceva dire che i bambini avevano preso il meglio da entrambi, facendo loro alcuni caratteri e interiorizzandoli più degli altri.

«…e quindi devi dire “Avanti, Bakugan, vieni e mostrati a noi” e poi invochi il potere che vuoi e combatti. Hai capito? Papà, mi ascolti? Papàààààà...?»

Thad sbatté un paio di volte le palpebre per riportare la soglia dell’attenzione ad un livello accettabile e mise su la migliore espressione severa del suo repertorio da genitore autorevole. «Sto ascoltando, Demian, non c’è bisogno di urlare.»

«Tu non mi ascoltavi!» Si difese lui, poi sbuffò con una perfetta aria da uomo vissuto e impegnato. «Avanti, tocca a te.»

Suo padre inarcò un sopracciglio. «E che devo fare?» Domandò, avendo perso metà del discorso precedente.

«Papà!» Lo rimproverò il bambino. «Ma com’è possibile che non capisci quello che dico?»           

Giustamente, era lui quello nel torto.

«Te l’ho detto che non so giocare, piccolo» ripeté di nuovo, sperando che Demian capisse che non stava cercando una scusa per liberarsi di lui, ma che sinceramente non aveva idea di cosa dover fare con le carte che teneva ancora tra le mani e con il mostriciattolo rosso che lo osservava dalla panca.

«Ma te l’ho detto io come devi fare! Devi solo invocare il potere, è facile!» Provò a spronarlo suo figlio, un sorriso incoraggiante a illuminargli il viso. «Avanti, prova!»

Thad sospirò, arrendendosi all’evidenza e al volere di Demian, gettò uno sguardo colmo di disperazione alle carte e poi scelse quella con meno stelline vicino al nome – sia mai che avesse sconfitto suo figlio a quel gioco di cui neanche conosceva le regole.

«Io invoco» sorrise, colorando la voce con un tono fintamente solenne che fece ridere il bimbo. «Il potere del pollo» 

«Ma papi» ridacchiò lui, prendendo la carta che Thad aveva appena posato sul “tavolo di gioco” e porgendogliela di nuovo. «Questo potere non esiste! Devi dire tipo “potere del fulmine” o “potere del tuono”: sono quelli i veri poteri.»

L’uomo si schiarì la voce per evitare di ridere molto poco gentilmente di suo figlio. «Ah, giusto, come ho fatto a non pensare che fossero quelli» lo assecondò, osservandolo con sguardo dolcissimo mentre lui dedicava la sua attenzione alla scelta della carta con cui iniziare a giocare.

Fortunatamente, l’avviso del capostazione che annunciava l’arrivo del treno, li costrinse a mettere via i giochi e Thad ringraziò qualsiasi divinità esistente o meno di averlo repentinamente salvato dalla pubblica umiliazione di fronte a suo figlio.

«Facciamo che continuiamo quando arriviamo da nonna?» Propose quest’ultimo, prendendo la mano che Thad gli porgeva.

«Basta che mi spieghi di nuovo come si fa» gli sorrise complice, mentre si avviavano al binario. «Papà non è tanto bravo con questi giochi.»

Demian annuì energicamente e Thad avvertì lo stomaco stringersi al sorriso radioso che gli regalò. «Te lo dico io, ma tu devi ascoltarmi, se no poi non capisci!» Tacque un attimo, poi gli tirò un po’ la mano, in un’implicita richiesta di attenzioni, e lo osservò con sguardo quasi implorante. «Mi dai una caramella, papi?»

Thad alzò gli occhi al cielo e sospirò. «D’accordo, ma solo una» si tastò le tasche, alla ricerca della confezione di mentine che Demian lo aveva costretto a comprare durante il tragitto, ne estrasse una dal blister e gliela porse. «Mettila subito in bocca però, se no…»

Ma non ebbe tempo di ammonirlo a riguardo, che quella gli cadde da mano e rotolò a terra, finendo oltre il bordo della banchina. Demian seguì la fuga della caramella con sguardo corrucciato, poi scosse lievemente la testa e «Hai esagerato, caramellina» dichiarò, con un tono severo e autoritario che fece sorridere Thad.

«Certo, la caramellina ha esagerato» commentò, dandogliene un’altra e assicurandosi che non facesse la fine della precedente. Sorrise quando suo figlio inspirò a fondo dalla bocca per sentire il fresco della menta e poi gli passò una mano tra i capelli per sistemarglieli.

Il fischio in lontananza li informò dell’arrivo del treno e Demian schiuse le labbra e guardò il mezzo avvicinarsi con mistico interesse e stupore. «È lunghissimo» constatò, ammirato, alzando lo sguardo su suo padre.

«Ed è anche velocissimo» sorrise Thad, aumentando la presa sulla sua mano per evitare di perderlo di vista. «Stai buono però, che se no il treno ti butta sotto e poi io che me ne faccio dei Bakugan?» Scherzò, osservando attentamente la reazione di suo figlio che, com’era prevedibile, lo soprese ancora.

«Li tieni per mio ricordo» propose infatti, sorridendo in maniera talmente dolce che Thad si sentì stringere lo stomaco e si pentì all’istante di quella battuta improvvisata.

«Vieni qui, campione» si piegò leggermente sulle ginocchia e gli fece passare le mani sotto le ascelle, tirandolo su senza fatica e sistemandoselo tra le braccia. «Papà stava scherzando, lo sai, sì?»                                                           

Demian annuì e gli avvolse il collo con le braccia. «Ma se li vuoi i Bakugan, te li posso anche dare tutti.»

«Ma io ci voglio giocare con te» ribatté e strofinò il naso contro il suo, facendolo ridere. «Altrimenti chi mi insegna?»

Sorrise, quando il bambino strinse di più la presa intorno al suo collo. «Ma il drago sputafuoco è mio.» Stabilì dopo un attimo. «Vero che è mio?»

Thad scosse la testa, arrendendosi all’evidenza. Un vero Smythe.

«Certo, cucciolo, è tuo» garantì, salendo sul treno e stando attento a non far cadere entrambi.

«Però, se lo vuoi, te lo posso anche prestare.»     

Anche se, forse, c’era pure un po’ di Harwood lì dentro, da qualche parte.
 

 

 

 
 
The end.
 
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: micRobs