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Autore: nena92    24/05/2013    10 recensioni
Tra l'amicizia e l'amore il passo è uno solo. Antico proverbio cinese.
Ludwig Beilschmidt è un impiegato di banca, amante della routine, freddo e poco socievole.
Feliciano Vargas è un ragazzo italiano, amante del calcio, socievole e sempre allegro.
Non hanno nulla in comune: in età, in carattere e in trascorsi. Eppure entrambi sono stati lasciati da persone che amavano. Questo unico elemento in comune avvicinerà Ludwig e Feliciano, che si aiuteranno a vicenda, instaurando un rapporto speciale e equivoco, che porterà entrambi a domandare a sé stessi se quello che li unisce sia solo una semplice amicizia e non invece qualcosa di più speciale...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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All’inizio, quando amiamo veramente una persona,

la nostra più grande paura è che smetta di amarci.

Ciò che invece dovrebbe terrorizzarci davvero

È che non smetteremo di amarla.

Gregory David Roberts, Shantaram.

 

 

Schloßstraße27,

Germania, Berlino.

15 Giugno 2013.

Nella scala dei “grandi fastidi”, il cambiamento occupava il primo piolo.

Per Ludwig Beilscmdit, impiegato di banca ventottenne della Deutsche Bank, il cambiamento era un fastidio. Odiava dover cambiare le proprie abitudini. Quella che la gente chiamava routine, lui la chiamava con un altro nome: “ordine”. Amava l’ordine e avere sotto controllo ogni cosa.

Con le chiavi in mano e gli scatoloni davanti a lui, Ludwig guardò il suo nuovo appartamento. Era spazioso, luminoso e vuoto. Un semplice e piccolo monolocale nel centro di Berlino. Un appartamento da perfetto tedesco, senza contare che l’affitto era davvero basso. Solo 600 euro al mese, e lui come impiegato di banca guadagnava circa 2500 euro, al mese. Con uno stipendio del genere ovviamente si sarebbe potuto permettere un appartamento più grande e spazioso. Magari nel quartiere residenziale di Pankow-Prenzlauerberg a Est di Berlino, famoso per i suoi appartamenti moderni e i ristoranti rigorosamente vegetariani- ma lui da vero tedesco non avrebbe mai rinunciato a un Leberwurst per una carota e un sedano- oppure nel moderno quartiere di Mitte, il cuore pulsante di Berlino, da tutti declamata per la sua importanza storico-politico.

Ma come ogni quartiere famoso era sempre pieno di turisti, di giovani sbandati e soprattutto di famiglie. Ecco cosa non gli era andato bene di quel quartiere: le famiglie. Non avrebbe sopportato la vista di coppie giovani e ricche con bambini. Avere bambini-solo due, ovviamente- e crescerli a Mitte era il progetto che lui ed Änne avevano deciso di realizzare proprio in quell’anno, prima di divorziare.

Quindi ecco il motivo che lo aveva spinto ad accettare un monolocale sulla Schloßstraße27, in una piccola e antica palazzina appartenente a suo nonno, trasformata in una locanda.

Ovviamente lui aveva ricevuto l’unica stanza, che per la sua grandezza si poteva definire monolocale, attrezzata di cucina e di bagno, in modo che non venisse disturbato dagli avventori della locanda.

Tirando un sospiro di rassegnazione, Ludwig si decise a portare gli scatoloni dentro il suo nuovo appartamento. Prese una scatola, grande ma leggera, e nel momento in cui mise piede nell’appartamento una voce attirò la sua attenzione.

“Vuole un aiuto, signore?”

Signore?

Ludwig, nelle poche estati in cui da giovane aveva lavorato nella locanda per aiutare suo nonno, si era sentito chiamare nei modi più assurdi e diversi, come: “Cameriere”, “Facchino”, “Concierge” e anche “Ehy, tu”- che era l’espressione più in uso, soprattutto dagli stranieri. Ma mai era stato chiamato “Signore”.

Eppure quel giorno non indossava uno dei suoi completi scuri e severi che metteva per lavorare in banca.

Quel giorno, lui aveva indosso una camicia bianca e sopra un gilet marrone e portava un paio di pantaloni color cachi con la piega e mocassini marrone scuro.

Quando si girò, Ludwig si ritrovò davanti un ragazzo che non doveva avere più di diciotto anni, di media statura e vestito come un modello.

“Scusami, cosa hai detto?” domandò, poggiando la scatola a terra e incrociando le braccia davanti al petto.

Il ragazzo spalancò gli occhi, di un marrone che Ludwig non aveva mai visto, e esclamò sorpreso “Oddio, scusami! Non sei l’anziano signore che stavo cercando!”

Parlava davvero male il tedesco e aveva anche uno strano accento, morbido e squillante. Di sicuro doveva essere italiano e lui non sopportava gli italiani. Fra tutti i turisti stranieri, quelli italiani erano i più rumorosi e fastidiosi. Nelle sue brevi estati nella locanda, aveva imparato a riconoscere la nazionalità di ogni turista. E non per il colore dei capelli, degli occhi o della pelle. No. Aveva imparato a riconoscerli per il carattere. Aggressivo e scontroso era lo svizzero e l’inglese, rumoroso e sbruffone era l’americano, inquietante e scostante lo svedese e il russo. Mentre sfacciato, chiassoso e anche spudorato era solo l’italiano. E lui aveva deciso di tenersi lontano dagli italiani. Almeno  fino a quel momento.

Ludwig sospirò infastidito e guardò dritto negli occhi il ragazzino, scandendo lentamente la domanda per non metterlo in difficoltà.

“Hai detto, un anziano signore?”

“Sì.”, rispose prontamente il ragazzino e sorrise.

Lui aggrottò la fronte, stranito. Che cosa aveva da sorridere quel ragazzino, ora? Perché non aveva aggiunto altro?

Probabilmente sorrideva perché era stupido e ingenuo come tutti i ragazzi della sua età.

Come se gli avesse letto nella mente, l’italiano iniziò a spiegare “Ecco, oggi pomeriggio quando ero nella hall, è entrato un signore anziano e sembrava così stanco poverino. Così avevo deciso di aiutarlo a portare le valige nella sua stanza che credo sia al quarto piano o forse al terzo, comunque stavo per prendere le valige, quando è entrata nella locanda la più bella ragazza che avessi mai visto. Praticamente un miraggio! E mica potevo lasciarmela scappare, no? Quindi ho lasciato le valige per un attimo e sono andato a chiedere alla ragazza il numero. Era belga e non puoi nemmeno immaginare quanto sia stato difficile per me chiederle il suo numero. Già non parlo bene il tedesco, e di sicuro te ne sarai accorto, quindi immagina il belga! Fortunatamente mi sono ricordato qualche parola in inglese, e con la lingua inglese me la cavo, e alla fine sono riuscito a farmi dare il suo numero! Comunque, poi sono tornato indietro per aiutare l’anziano signore e lui già non c’era più. Puff, sparito. Quindi sono andato a cercarlo, almeno per chiederli scusa o nel caso in cui avesse ancora le valige, per aiutarlo. Poi ho visto te e ti ho scambiato per lui!”

Quando il ragazzino finì di parlare, Ludwig sentì la testa scoppiargli. Non aveva capito nulla. E a lui non piaceva non capire. Quindi chiuse gli occhi e provò a sintetizzare quello che gli aveva appena detto l’italiano, sentendosi però ancora più stordito e stanco alla fine.

In tutto quel discorso sconnesso e ingarbugliato, riuscì a estrapolare le informazioni essenziali: il ragazzo davanti a lui aveva perso un anziano signore per via di una bella ragazza belga e lui era stato scambiato per l’anziano in questione.

A quell’ultima informazione, lui non riuscì a trattenersi dal domandare al ragazzo “Ma come hai potuto confondermi con l’anziano signore che stai cercando?”

“è che siete vestiti uguali!”

A quel commento, Ludwig sentì le guance bruciargli e un peso invisibile colpirgli la testa.

“Ah, siamo vestiti uguali.”

Il ragazzino annuì, convinto.

Cercando di recuperare la poca dignità rimastogli, lui riformulò la domanda. “L’anziano signore che stai cercando è vestito come me?”. Così la domanda suonava meglio e non dava l’impressione- assolutamente sbagliata- che lui quella mattina si era vestito come un vecchietto.

“No. Casomai, tu sei vestito come l’anziano signore. Non il contrario.”, replicò l’italiano, senza peli sulla lingua.

Ludwig aggrottò la fronte e accigliò lo sguardo, contrariato. Ecco un’altra lampante dimostrazione di “educazione italiana”. Quel ragazzino mancava di tatto, sensibilità e- ora che lo guardava meglio- anche di buon gusto. Non accettava critiche sull’abbigliamento da chi si vestiva con pantaloni griffati e maglietta attillata per mettere in mostra il proprio fisico.

Abbassò lo sguardo e notò che il ragazzino calzava ai piedi un paio di scarpe da ginnastica logore e sporche, alte a metà caviglia. Di sicuro erano All Star, quelle orribili scarpe americane che i ragazzi indossavano sino allo sfinimento, consumando la suola e bucando la stoffa. Odiava quelle scarpe.

L’italiano seguì lo sguardo di Ludwig e guardò anche lui le sue scarpe.

“Oh, capisco cosa stai pensando. Ma a me piacciono queste scarpe, sono comode.”, disse dopo un attimo di silenzio, quindi lanciò uno sguardo al paio di mocassini dell’uomo e commentò “Io quelle scarpe che porti tu, non potrei indossarle. Mi fanno le vesciche e sono scomode, soprattutto adesso che è estate.”

Ludwig alzò lo sguardo dalle scarpe, ma non disse nulla. Voleva far capire al ragazzino che era giunto il momento che lo lasciasse in pace, da solo. Amava la solitudine almeno quanto detestava le chiacchiere inutili.

“Secondo me, comunque, non dovresti mettere il gilet. A parte che pacchiano è anche scomodo. Dai, non l’hai notato! Siamo in estate! E in estate ci si mette a maniche corte, al massimo le camice di cotone leggero!” disse l’italiano, senza accennare ad andarsene.

Con quanta pazienza gli era rimasta, Ludwig disse “Senti, ho da fare.”

L’italiano aggrottò la fronte. “Che cosa devi fare?”

Lui sbarrò gli occhi, sorpreso. Ma era davvero così distratto quel ragazzino o lo faceva apposta? Decise di dargli il beneficio del dubbio e indicò gli scatoloni ancora davanti alla porta. “Devo mettere questi scatoloni dentro il mio nuovo appartamento e…”

“Oh, quindi tu vivi in questa locanda? Ma davvero?”, lo interruppe il ragazzino e si spostò in avanti, vicino a lui.

Da vicino l’italiano era ancora più basso di quello che gli era sembrato prima; la sua testa a stento gli arrivava alla spalla. In quel momento era così vicino a lui, che poteva dire che l’italiano odorava di talco e sapone. Istintivamente lui arretrò, andando a sbattere contro uno scatolone aperto e rovesciandone il contenuto.

“Scheiße!” esclamò irritato, inginocchiandosi per raccogliere le cose che erano uscite fuori.

“Oddio, ti sei fatto male?” domandò l’italiano, inginocchiandosi vicino a lui per aiutarlo.

“Nein! E comunque dovresti stare più attento, ragazzino!” replicò scorbutico, senza degnarlo di uno sguardo e raccogliendo in fretta le sue cose.

In silenzio raccolsero i vari quaderni, libri e raccoglitori, mettendoli di nuovo dentro lo scatolone.

Ludwig stava per rialzarsi e invitare il ragazzino ad andarsene, quando lo sentì domandare “Oh, chi è questo ragazzo nella foto? Un tuo amico?”

Lui si voltò e vide che l’italiano stava guardando una vecchia foto, con espressione curiosa. Gli spigoli della foto erano logori e bianchi, come se fosse stata guardata più e più volte. Capì di che foto si trattasse e si sentì attraversare da un brivido scomodo e doloroso.

Mise da parte ogni suo ritegno e si avventò sul ragazzino, strappandogli di mano la foto.

“Non impicciarti di affari che non ti riguardano, ragazzino! Ma che cosa vuoi da me? Lasciami in pace e soprattutto non mettere mano nelle cose che non sono tue!” esclamò agitato, stringendo la foto e accartocciandola nella tasca dei pantaloni.

L’italiano spalancò attonito gli occhi e lo guardò, in silenzio.

“Non farlo mai più! Mi hai capito? E adesso per favore, vattene.”

Nel piccolo corridoio stretto calò il silenzio, come un pesante tenda.

Ludwig continuò a guardare il ragazzino, senza capire il perché del suo sguardo mortificato e spaventato. In fondo non aveva fatto nulla di male, gli aveva detto di non impicciarsi degli affari suoi. Era una questione di educazione. Probabilmente non era abituato ad essere sgridato e rimproverato. Scosse la testa desolato, sempre guardando l’italiano, pensando che la nuova generazione era davvero rammollita e debole.

Vorrei donare il tuo sorriso alla luna perché/ chi la guardi pensi a te…

Una voce di uomo sostituì il silenzio e sembrò rianimare l’italiano, che estrasse dalla tasca il suo Samsung Galaxy SII e guardando Ludwig, indicò il telefono.

“Scusa, ma devo rispondere perché è…”, iniziò  a dire, ma non finì la frase e si alzò, rispondendo al telefono mentre si allontanava.

“Ehy, ciao tesoro! Sì, sono venuto anche io qui…”

Ludwig lo guardò allontanarsi e si alzò anche lui, criticando mentalmente il tono troppo alto dell’italiano al telefono.

“I soliti italiani.”, commentò contrariato mentre prendeva il suo scatolone per iniziare finalmente il trasloco.


Note autore: Salve, sono felice di incontrarvi di nuovo. Stavolta ho pubblicato una GerIta classica perché mi mancava tantissimo. Spero che gradirete la storia. Uniche avvertenze che vi devo fare è questa storia affronterà varie tematiche come il divorzio e l’omosessualità. E spero che nessuno sia offeso nel pezzo un cui Ludwig commenta il comportamento dei turisti italiani, questo è solo frutto di una serie di sondaggi turistici, nulla di più e comunque mentalmente a volte i tedeschi sono più chiusi degli italiani.

Ok, saluti da nena92.


  
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