All’inizio,
quando amiamo veramente una persona,
la
nostra
più grande paura è che smetta di amarci.
Ciò
che
invece dovrebbe terrorizzarci davvero
È
che non
smetteremo di amarla.
Gregory David Roberts, Shantaram.
Schloßstraße27,
Germania,
Berlino.
15
Giugno
2013.
Nella
scala dei “grandi fastidi”, il cambiamento occupava
il primo piolo.
Per
Ludwig Beilscmdit, impiegato di banca ventottenne della Deutsche
Bank, il cambiamento era un fastidio. Odiava dover
cambiare le proprie abitudini. Quella che la gente chiamava routine, lui la chiamava con un altro
nome: “ordine”. Amava l’ordine e avere
sotto controllo ogni cosa.
Con
le chiavi in mano e gli scatoloni davanti a lui, Ludwig
guardò il suo nuovo
appartamento. Era spazioso, luminoso e vuoto. Un semplice e piccolo
monolocale
nel centro di Berlino. Un appartamento da perfetto tedesco, senza
contare che
l’affitto era davvero basso. Solo 600 euro al mese, e lui
come impiegato di
banca guadagnava circa 2500 euro, al mese. Con uno stipendio del genere
ovviamente si sarebbe potuto permettere un appartamento più
grande e spazioso.
Magari nel quartiere residenziale di Pankow-Prenzlauerberg a Est di
Berlino,
famoso per i suoi appartamenti moderni e i ristoranti rigorosamente
vegetariani- ma lui da vero tedesco non avrebbe mai rinunciato a un
Leberwurst
per una carota e un sedano- oppure nel moderno quartiere di Mitte, il
cuore
pulsante di Berlino, da tutti declamata per la sua importanza
storico-politico.
Ma
come ogni quartiere famoso era sempre pieno di turisti, di giovani
sbandati e
soprattutto di famiglie. Ecco cosa non gli era andato bene di quel
quartiere:
le famiglie. Non avrebbe sopportato la vista di coppie giovani e ricche
con
bambini. Avere bambini-solo due, ovviamente- e crescerli a Mitte era il
progetto che lui ed Änne avevano deciso di realizzare proprio
in quell’anno,
prima di divorziare.
Quindi
ecco il motivo che lo aveva spinto ad accettare un monolocale sulla
Schloßstraße27,
in una piccola e antica palazzina appartenente a suo nonno, trasformata
in una
locanda.
Ovviamente
lui aveva ricevuto l’unica stanza, che per la sua grandezza
si poteva definire
monolocale, attrezzata di cucina e di bagno, in modo che non venisse
disturbato
dagli avventori della locanda.
Tirando
un sospiro di rassegnazione, Ludwig si decise a portare gli scatoloni
dentro il
suo nuovo appartamento. Prese una scatola, grande ma leggera, e nel
momento in
cui mise piede nell’appartamento una voce attirò
la sua attenzione.
“Vuole
un aiuto, signore?”
Signore?
Ludwig,
nelle poche estati in cui da giovane aveva lavorato nella locanda per
aiutare
suo nonno, si era sentito chiamare nei modi più assurdi e
diversi, come:
“Cameriere”, “Facchino”,
“Concierge” e anche “Ehy, tu”-
che era l’espressione
più in uso, soprattutto dagli stranieri. Ma mai era stato
chiamato “Signore”.
Eppure
quel giorno non indossava uno dei suoi completi scuri e severi che
metteva per
lavorare in banca.
Quel
giorno, lui aveva indosso una camicia bianca e sopra un gilet marrone e
portava
un paio di pantaloni color cachi con la piega e mocassini marrone
scuro.
Quando
si girò, Ludwig si ritrovò davanti un ragazzo che
non doveva avere più di
diciotto anni, di media statura e vestito come un modello.
“Scusami,
cosa hai detto?” domandò, poggiando la scatola a
terra e incrociando le braccia
davanti al petto.
Il
ragazzo spalancò gli occhi, di un marrone che Ludwig non
aveva mai visto, e
esclamò sorpreso “Oddio, scusami! Non sei
l’anziano signore che stavo
cercando!”
Parlava
davvero male il tedesco e aveva anche uno strano accento, morbido e
squillante.
Di sicuro doveva essere italiano e lui non sopportava gli italiani. Fra
tutti i
turisti stranieri, quelli italiani erano i più rumorosi e
fastidiosi. Nelle sue
brevi estati nella locanda, aveva imparato a riconoscere la
nazionalità di ogni
turista. E non per il colore dei capelli, degli occhi o della pelle.
No. Aveva
imparato a riconoscerli per il carattere. Aggressivo e scontroso era lo
svizzero e l’inglese, rumoroso e sbruffone era
l’americano, inquietante e scostante
lo svedese e il russo. Mentre sfacciato, chiassoso e anche spudorato
era solo
l’italiano. E lui aveva deciso di tenersi lontano dagli
italiani. Almeno fino
a quel momento.
Ludwig
sospirò infastidito e guardò dritto negli occhi
il ragazzino, scandendo lentamente
la domanda per non metterlo in difficoltà.
“Hai
detto, un anziano signore?”
“Sì.”,
rispose prontamente il ragazzino e sorrise.
Probabilmente sorrideva perché era stupido e ingenuo come tutti i ragazzi della sua età.
Come se gli avesse letto nella mente, l’italiano iniziò a spiegare “Ecco, oggi pomeriggio quando ero nella hall, è entrato un signore anziano e sembrava così stanco poverino. Così avevo deciso di aiutarlo a portare le valige nella sua stanza che credo sia al quarto piano o forse al terzo, comunque stavo per prendere le valige, quando è entrata nella locanda la più bella ragazza che avessi mai visto. Praticamente un miraggio! E mica potevo lasciarmela scappare, no? Quindi ho lasciato le valige per un attimo e sono andato a chiedere alla ragazza il numero. Era belga e non puoi nemmeno immaginare quanto sia stato difficile per me chiederle il suo numero. Già non parlo bene il tedesco, e di sicuro te ne sarai accorto, quindi immagina il belga! Fortunatamente mi sono ricordato qualche parola in inglese, e con la lingua inglese me la cavo, e alla fine sono riuscito a farmi dare il suo numero! Comunque, poi sono tornato indietro per aiutare l’anziano signore e lui già non c’era più. Puff, sparito. Quindi sono andato a cercarlo, almeno per chiederli scusa o nel caso in cui avesse ancora le valige, per aiutarlo. Poi ho visto te e ti ho scambiato per lui!”
Quando
il ragazzino finì di parlare, Ludwig sentì la
testa scoppiargli. Non aveva
capito nulla. E a lui non piaceva non capire. Quindi chiuse gli occhi e
provò a
sintetizzare quello che gli aveva appena detto l’italiano,
sentendosi però
ancora più stordito e stanco alla fine.
In
tutto quel discorso sconnesso e ingarbugliato, riuscì a
estrapolare le
informazioni essenziali: il ragazzo davanti a lui aveva perso un
anziano
signore per via di una bella ragazza belga e lui era stato scambiato
per
l’anziano in questione.
A
quell’ultima informazione, lui non riuscì a
trattenersi dal domandare al
ragazzo “Ma come hai potuto confondermi con
l’anziano signore che stai
cercando?”
“è
che siete vestiti uguali!”
A
quel commento, Ludwig sentì le guance bruciargli e un peso
invisibile colpirgli
la testa.
“Ah,
siamo vestiti uguali.”
Il
ragazzino annuì, convinto.
Cercando
di recuperare la poca dignità rimastogli, lui
riformulò la domanda. “L’anziano
signore che stai cercando è vestito come me?”.
Così la domanda suonava meglio e
non dava l’impressione- assolutamente sbagliata- che lui
quella mattina si era
vestito come un vecchietto.
“No.
Casomai, tu sei vestito come
l’anziano signore. Non il contrario.”,
replicò l’italiano, senza peli sulla
lingua.
Ludwig
aggrottò la fronte e accigliò lo sguardo,
contrariato. Ecco un’altra lampante
dimostrazione di “educazione italiana”. Quel
ragazzino mancava di tatto,
sensibilità e- ora che lo guardava meglio- anche di buon
gusto. Non accettava
critiche sull’abbigliamento da chi si vestiva con pantaloni
griffati e
maglietta attillata per mettere in mostra il proprio fisico.
Abbassò
lo sguardo e notò che il ragazzino calzava ai piedi un paio
di scarpe da
ginnastica logore e sporche, alte a metà caviglia. Di sicuro
erano All Star,
quelle orribili scarpe americane che i ragazzi indossavano sino allo
sfinimento, consumando la suola e bucando la stoffa. Odiava quelle
scarpe.
L’italiano
seguì lo sguardo di Ludwig e guardò anche lui le
sue scarpe.
“Oh,
capisco cosa stai pensando. Ma a me piacciono queste scarpe, sono
comode.”,
disse dopo un attimo di silenzio, quindi lanciò uno sguardo
al paio di
mocassini dell’uomo e commentò “Io
quelle scarpe che porti tu, non potrei
indossarle. Mi fanno le vesciche e sono scomode, soprattutto adesso che
è
estate.”
Ludwig
alzò lo sguardo dalle scarpe, ma non disse nulla. Voleva far
capire al ragazzino
che era giunto il momento che lo lasciasse in pace, da solo. Amava la
solitudine almeno quanto detestava le chiacchiere inutili.
“Secondo
me, comunque, non dovresti mettere il gilet. A parte che pacchiano
è anche
scomodo. Dai, non l’hai notato! Siamo in estate! E in estate
ci si mette a
maniche corte, al massimo le camice di cotone leggero!” disse
l’italiano, senza
accennare ad andarsene.
Con
quanta pazienza gli era rimasta, Ludwig disse “Senti, ho da
fare.”
L’italiano
aggrottò la fronte. “Che cosa devi fare?”
Lui
sbarrò gli occhi, sorpreso. Ma era davvero così
distratto quel ragazzino o lo
faceva apposta? Decise di dargli il beneficio del dubbio e
indicò gli scatoloni
ancora davanti alla porta. “Devo mettere questi scatoloni
dentro il mio nuovo
appartamento e…”
“Oh,
quindi tu vivi in questa locanda? Ma davvero?”, lo interruppe
il ragazzino e si
spostò in avanti, vicino a lui.
Da
vicino l’italiano era ancora più basso di quello
che gli era sembrato prima; la
sua testa a stento gli arrivava alla spalla. In quel momento era
così vicino a
lui, che poteva dire che l’italiano odorava di talco e
sapone. Istintivamente
lui arretrò, andando a sbattere contro uno scatolone aperto
e rovesciandone il
contenuto.
“Scheiße!”
esclamò irritato, inginocchiandosi per raccogliere le cose
che erano uscite
fuori.
“Oddio,
ti sei fatto male?” domandò l’italiano,
inginocchiandosi vicino a lui per
aiutarlo.
“Nein!
E comunque dovresti stare più attento, ragazzino!”
replicò scorbutico, senza
degnarlo di uno sguardo e raccogliendo in fretta le sue cose.
In
silenzio raccolsero i vari quaderni, libri e raccoglitori, mettendoli
di nuovo
dentro lo scatolone.
Ludwig
stava per rialzarsi e invitare il ragazzino ad andarsene, quando lo
sentì
domandare “Oh, chi è questo ragazzo nella foto? Un
tuo amico?”
Lui
si voltò e vide che l’italiano stava guardando una
vecchia foto, con
espressione curiosa. Gli spigoli della foto erano logori e bianchi,
come se
fosse stata guardata più e più volte.
Capì di che foto si trattasse e si sentì
attraversare da un brivido scomodo e doloroso.
Mise
da parte ogni suo ritegno e si avventò sul ragazzino,
strappandogli di mano la
foto.
“Non
impicciarti di affari che non ti riguardano, ragazzino! Ma che cosa
vuoi da me?
Lasciami in pace e soprattutto non mettere mano nelle cose che non sono
tue!”
esclamò agitato, stringendo la foto e accartocciandola nella
tasca dei
pantaloni.
L’italiano
spalancò attonito gli occhi e lo guardò, in
silenzio.
“Non
farlo mai più! Mi hai capito? E adesso per favore,
vattene.”
Nel
piccolo corridoio stretto calò il silenzio, come un pesante
tenda.
Ludwig
continuò a guardare il ragazzino, senza capire il
perché del suo sguardo
mortificato e spaventato. In fondo non aveva fatto nulla di male, gli
aveva
detto di non impicciarsi degli affari suoi. Era una questione di
educazione.
Probabilmente non era abituato ad essere sgridato e rimproverato.
Scosse la
testa desolato, sempre guardando l’italiano, pensando che la
nuova generazione
era davvero rammollita e debole.
Vorrei
donare il tuo sorriso
alla luna perché/ chi la guardi pensi a te…
Una
voce di uomo sostituì il silenzio e sembrò
rianimare l’italiano, che estrasse
dalla tasca il suo Samsung Galaxy SII
e guardando Ludwig, indicò il telefono.
“Scusa,
ma devo rispondere perché
è…”, iniziò
a
dire, ma non finì la frase e si alzò, rispondendo
al telefono mentre si
allontanava.
“Ehy,
ciao tesoro! Sì, sono venuto anche io
qui…”
Ludwig
lo guardò allontanarsi e si alzò anche lui,
criticando mentalmente il tono
troppo alto dell’italiano al telefono.
“I
soliti italiani.”, commentò contrariato mentre
prendeva il suo scatolone per
iniziare finalmente il trasloco.
Note
autore: Salve, sono
felice di incontrarvi di nuovo. Stavolta ho pubblicato una GerIta
classica
perché mi mancava tantissimo. Spero che gradirete la storia.
Uniche avvertenze
che vi devo fare è questa storia affronterà varie
tematiche come il divorzio e
l’omosessualità. E spero che nessuno sia offeso
nel pezzo un cui Ludwig
commenta il comportamento dei turisti italiani, questo è
solo frutto di una
serie di sondaggi turistici, nulla di più e comunque
mentalmente a volte i
tedeschi sono più chiusi degli italiani.