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Autore: J C Jasper    24/05/2013    0 recensioni
I mannari sono tornati a Riddem.
Un analisi della parte selvaggia e oscura dell'anima trattata in chiave epic-fantasy sostenuta da una narrazione avvincente e articolata
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 

Into the darkness

 

Si era preparato bene quella mattina, uscito di casa di buon ora, si era incamminato lungo le sponde cristalline del laghetto vicino alla sua capanna, illuminato dal sole.

Si fermò a specchiarsi sull’acqua che, pervasa di riflessi, appariva gioiosa e vivace.

Si piegò, nonostante i piccoli dolori alla schiena contratti in una sonora caduta che aveva meritato le risate degli amici, e prese un sassolino e con voga lo lanciò più lontano che poteva, facendo increspare l’acqua ove riconobbe qualche pesce verde e azzurro, che nuotava sinuoso come si librava come un uccello nel cielo.

Pensò.

Aveva un gran sorriso stampato sulla faccia.

Continuò sul sentiero, mentre il dolce venticello mattutino smorzava l’afa insolita di una mattina d’autunno.

Incontrò Sierred, un suo amico, che si recava alla forgia per lavorare.

Sierred era un tritone.

Li aveva sempre trovati strani i tritoni, o almeno inusuali per quelle terre del nord.

Erano grassi e bassi, non portavano calzature, perchè i piedi, se pur squamati erano duri come la roccia.

L’aspetto umano veniva tradito dalle branchie poste sui lati del collo, e la colorazione cutanea leggermente tendente al blu.

I capelli erano sostituiti da basse corna bianche, che secondo la leggenda vennero donate dal dio della caccia Leahesnie, per il loro coraggio.

Formidabili arcieri, al pari dei più rinomati generali umani, i tritoni erano pur abili nell’uso della spada corta, che maneggiavano con destrezza.

Dopo la veloce riflessione Gadriel continuò sui suoi passi, ammirando il sole che lo avrebbe favorito nella battuta di caccia.

In lontananza vedeva già il bosco nero, così chiamato per le nere foglie dei suoi alberi.

Molta strada aveva ancora da percorrere.

Per far passare il tempo più velocemente iniziò a canticchiare una strofa di una canzone che aveva sentito al la taverna.

Veramente la cantava ogni sera Iris, una giovane di cui si era invaghito, ma alla quale non aveva mai chiesto la mano per un ballo, anche se ci era andato vicino alla festa per Dewar, dio delle armi, che si celebrava per ricordare il dono della lama che venne fatto agli uomini.

Era stato fermato dalla vergogna, e da quel momento non era riuscito neanche a parlarle.

Di Iris non poteva dimenticare i lunghi capelli castani, che raccoglieva dietro il capo durante la corsa.

Bellissima, non l’avrebbe mai dimenticata.

Felice nel constatare che una grande frazione di strada era già stata eseguita in un tempo accettabile accelerò il passo, fino a raggiungere una corsetta slanciata.

Il sentiero di ghiaia largo circa 6 bracci costeggiava i campi di grano dei grandi possidenti terrieri, quasi tutti sotto il comando dello Jarl, il re del feudo che ora era Derhin, figlio di Dashel.

-Persone spregevoli, assetate di potere- pensò. 

Gadriel si ricordò anche che nella terra di Riddem, sola conosciuta e in continua espansione si trovavano 8 feudi, ognuno governato dal suo Jarl.

Era arrivato, entrò nel bosco nero pieno di gigantesce querce millenarie, ma che lui conosceva benissimo grazie alle sue regolari battute di caccia, da cui tornava quasi sempre vittorioso.

Con il sole alto nel cielo ma quasi completamente oscurato dalle foglie degli alti alberi si nascose tra i bassi cespugli,

in ascolto,

alla meticolosa ricerca di una preda.

Udì un fruscio poco distante,

sporse la testa per osservare l’animale.

Un magnifico cervo, raro per quei boschi.

Avendo come unica arma il coltello, dopo la rottura dell’arco che usava abitualmente per la caccia, aveva bisogno di avvicinarsi molto al bersagliò.

Silenzioso come un sussurro scattò, mettendo però il piede su un bastone che si ruppe provocando molto rumore, che allertò tutti i possibili animali ner raggio di cento bracci. 

Il cervo si girò 

e spaventato iniziò a correre via tra i grandi alberi.

L’unica scelta, se pur rischiosa che aveva Gadriel era quella di corrergli dietro.

In una frazione di secondo prese la decisione e partì all’inseguimento.

Non potendo minimamente eguagliare il cervo in velocità, usò l’astuzia, usando sentieri laterali che avrebbero duvuto tagliare la strada all’animale.

Così fu.

Riuscì quasi a prenderlo, ma per un soffio mancò il colpo, che andò a vuoto.

Stanco, lasciò correre via l’animale.

Era giunto in una parte della foresta che non conosceva bene.

Si trovava nel buio quasi totale e sentì freddo.

Preoccupato per la zona che gli incuteva timore cercò di orientarsi.

Improvvisamente.

Fu scaraventato a terra da un ombra nera.

La vide poi allontanarsi sotto i colpi del suo coltello.   

Il grande e possente mannaro si stava avvicinando a Gadriel, ancora a terra.

Dopo la confusione iniziale riuscì a riordinare le idee e a mettere a fuoco l’assalitore.

Come un diavolo nero, i suoi lunghi e e argentei canini risaltavano sulla pelliccia nera come la pece.

I grandi occhi gialli che riflettevano la luce come specchi incutevano terrore al pari degli artigli affilati e ricurvi, ancora gocciolanti di sangue che Gadriel temeva fosse il suo.

Quando in posizione eretta il lupo superava di diversi bracci un uomo, la sua muscolatura non aveva pari nelle foreste nere.

La belva avanzava lenta come un boia verso il patibolo, pronto a uccidere per diletto.

Gadriel si strinse forte il tomo rosso porpora al petto, lo aveva fin da quando aveva memoria, ma non aveva mai letto neanche una pagina.

Cerco di indietreggiare strisciando, il fango rendeva difficili i movimenti e impregnava i vestiti, sporchi di sangue.

provò ad alzarsi ma un lacerante dolore sordo gli bloccò la schiena.

Urlò.

Dolore.

Le lacrime ormai scendevano lente, sulla sua faccia, 

il mannaro ormai a qualche braccio di distanza fremeva all’odore del sangue.

Non aveva mai visto un licantropo vero, nessuno lo aveva mai visto da almeno duecento anni, la figura mitologica faceva parte delle leggende delle grandi battaglie tra i popoli liberi di Riddem e i mannari, guidati da Razulnes, il mannaro bianco.

Si diceva che nelle vene dei mannari scorresse il sangue di tutti coloro che avevano ucciso.

Con getture simili non interessavano a Gadriel.

Sentì un intenso calore a livello dei tagli.

Gadriel cercò invano la spada tra le foglie secche d’autunno di quel bosco spettrale, 

trovò  solo frammenti di ferro spezzati dalla forza sovrumana della bestia che pareva essere venuta dall’oscurità.

Sarebbe veramente morto lì, in quel freddo bosco?

Omai cosa importava chiederselo?

 

 

 

 

 

 

 

Una serie di sentimenti si scatenarono nella sua mente, elaborava un modo per sopravvivere, scappare,                       ma costretto a terra in un buio e desolato bosco, con un mannaro pronto a ucciderlo non aveva alternative.

Era in trappola, senza via di scampo.

Reggeva ancora lo scudo con la mano sinistra, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla contro un avversario che aveva mandato in frantumi la sua spada.

La fine si avvicinava, mentre la brezza spirava lenta facendo alzare le foglie nere.

Pensava a Iris, non l’avrebbe più vista.

Pensava al suo tomo rosso porpora, le memorie di suo padre.

Si strinse a se,

un ultimo abbraccio prima del fatale destino a cui non si sentiva ancora riservato.

Improvvisamente tuonò luce d’azzurro accecante tra gli alberi della foresta.

L’urlo del mannaro.

Il buio.

Un ombra veniva verso di lui sfocata.

Quando fu vicina riconobbe occhi verdi.

Elfici.

Il buio ghernì la sua mente

Mentre l’imbrunire prendeva il posto agli ultimi raggi di sole egli ancora viveva.

 

 

  
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