SCENE DA UN RISTORANTE ITALIANO
Julian rimane per qualche minuto fermo davanti all’ingresso del ristorante, indeciso se entrare o no.
Sorride
osservando la vernice scrostata dell’insegna, sa che “Rubini” è il più vecchio
locale della città, l’unico che resiste da oltre quarant’anni accanto a bar,
fast-food e ristorantini macrobiotici e alternativi che aprono e chiudono in
continuazione, e ormai costituisce un vero punto di riferimento per chiunque.
Ma
questa sera Julian non va da “Rubini” solo per gustarsi i soliti manicaretti
che tutte le settimane gli prepara il bravissimo Giacomo, ma per un motivo che
per lui è molto più importante. E’ per questo che ancora non sa se aprire la
porta o scappare a gambe levate, e resta lì, sotto la luce dei lampioni, a riflettere,
mentre la neve inizia a cadere in grossi fiocchi sul suo elegante cappotto
grigio.
Il
freddo della fine di Dicembre lo fa optare per la prima soluzione. Entrando nel
ristorante viene avvolto da un senso di calore e famigliarità che da anni non
prova più nemmeno a casa propria, mentre un vecchio disco di Billie Holiday
copre l’assordante rumore della strada affollata che Julian si è ormai lasciato
alle spalle chiudendo la porta a vetri. Gli è sempre piaciuto il jazz; lo trova
molto rilassante soprattutto dopo una lunga giornata di lavoro al termine della
quale torna a casa sapendo di non trovarvi nessuno ad aspettarlo se non il suo
cane.
«Buonasera,
dottor Ross» dice l’anziano cameriere, impeccabile nella sua divisa nera,
andandogli incontro sorridendo «Fa piuttosto freddo oggi; ho pensato che fosse
meglio riservarle il tavolo all’angolo, visto che è in una zona un po’ più
riparata, anziché accanto alla vetrata come al solito.»
«Ha
fatto benissimo, Guido.» risponde Julian «La ringrazio. E’ sempre molto
gentile.»
«Si
accomodi pure, allora.» dice il cameriere invitando Julian a farsi strada tra i
tavoli.
«Ha
avuto una buona giornata?» domanda Guido scostando la sedia con estrema
cortesia per permettere al giovane di sedersi.
«Oh,
niente di particolare. Qualche vaccinazione, una frattura e i soliti
proprietari ipocondriaci convinti che il loro cane o gatto o canarino sia
affetto da chissà quale terribile malattia. Non è mai facile spiegargli che in
realtà quello che vedono nei loro animali non è altro che il riflesso di quello
che sono loro ad avere…o a credere di avere.»
«Uno
psicologo guadagnerebbe una fortuna se solo passasse un’ora al giorno nella
sala d’attesa di un veterinario.» dice Guido.
«E
risparmierebbe notevoli seccature al veterinario in questione!» esclama Julian
sospirando «A proposito, come stanno i cuccioli di Lillie?»
«Oh,
sono la gioia di mia moglie! Quel cesareo è stato davvero provvidenziale. Non
la ringrazieremo mai abbastanza!»
«Beh,
quella meravigliosa torta alle nocciole e il liquore alla cannella che mi avete
portato sono stati più che sufficienti! Li ho fatti assaggiare ai miei
genitori, quando sono venuti a trovarmi, e anche loro li hanno trovati
favolosi.»
«Mi
fa molto piacere. Ma si ricordi che quello è un liquore speciale…per occasioni
speciali!» aggiunge Guido strizzando l’occhio al giovane zooiatra. «Comunque
quando l’avrà finito me lo dica immediatamente. Ne abbiamo conservate altre tre
bottiglie solo per lei.»
Julian
sorride. Non può bere alcolici, ma non gli va di offendere con un rifiuto il
vecchio cameriere che lo conosce sin da ragazzino, quando era una promessa del
calcio giovanile. Una promessa mai mantenuta a causa del suo cuore malato, un
cuore poi spezzato alcuni anni dopo il definitivo ritiro dall’attività agonistica.
«Può
farmi ancora una cortesia, Guido?» dice Julian scacciando momentaneamente i
ricordi che continuano a tormentarlo «Potrebbe apparecchiare per due…e portare
dei fiori? Aspetto una signora.»
Guido
risponde di sì correndo via, sperando in cuor suo che questa volta Julian possa
definitivamente sconfiggere la sua solitudine di trentenne.
Mentre
aspetta il ritorno di Guido, Julian si guarda intorno come se fosse ancora la
prima volta in cui mette piede da “Rubini”. C’è poca gente stasera, sette
persone in tutto, e Julian è l’unico senza compagnia.
Osservando
una coppia seduta ad un tavolo poco distante, il suo sguardo ricade sulla
donna. Il suo accompagnatore ha la testa china sul piatto e non ha ancora
aperto bocca se non per introdurvi la forchetta. Lei ha un’aria malinconica e
rassegnata, ma quando i suoi occhi incrociano quelli di Julian improvvisamente
si illuminano e la sua bocca si allarga in un sorriso speranzoso, cercando un
qualsiasi segno di complicità da parte del giovane. Julian, imbarazzato, ricambia
con un sorriso affrettato e sposta lo sguardo altrove. Sa benissimo che
l’illusione è svanita e l’espressione di lei tornerà come prima, però con una
punta di delusione in più.
Quanta
gente sola che resta sola, si dice
Julian mentre Guido, rapido e silenzioso, apparecchia la tavola e vi mette al
centro un piccolo vaso dal collo lungo e sottile, contenente una rosa bianca. E’
inutile cercarsi finte compagnie che si trasformeranno in relazioni sbagliate,
tuffarsi nel lavoro o sperimentare nuovi stili di vita alternativa quando la
sera, appena ti sei chiuso la porta di casa alle spalle, sei costretto a fare i
conti con il vuoto che ti logora dentro e sai che non hai nessuno che ti aiuti
a scacciarlo.
Un colpo d’aria fredda e una figura conosciuta che gli viene incontro a testa china lo riportano alla realtà. Il cuore comincia a battergli rapidamente come una volta, man mano lei si avvicina. E’ bella come sempre, anche se il trucco piuttosto appariscente lascia in evidenza un’espressione che Julian non riesce a capire.
«Ciao,
Julian. Spero di non essere troppo in ritardo.»
«Oh,
no, assolutamente, Amy. Vieni, siediti pure.» farfuglia lui, emozionato,
osservando l’aria seria e imbarazzata della giovane donna.
Amy
si mette a sedere e si ravviva i capelli evitando di incrociare lo sguardo di
Julian.
«Ti
piace questo posto?» dice lui, tentando di spezzare il ghiaccio.
«Molto»
risponde lei sfogliando il menu «Ci passo spessissimo davanti ma è la prima
volta che ci entro. Davvero molto elegante. E tu ci vieni spesso?»
«Quasi tutti i venerdì, dopo il lavoro. Ormai sono un ospite abituale; Guido mi conosce e mi riserva sempre lo stesso tavolo.»
«Un
tavolo per due, immagino.» dice Amy, sempre con voce spenta.
«Per
uno.» risponde Julian. Amy tace e inizia a tormentarsi un orecchino.
Julian
sospira. «Ma ero qui ogni settimana con i miei genitori fino a quando ho
cominciato l’università. Anche ora ci torniamo ogni tanto, quando vengono a
trovarmi. Quando giocavo a calcio festeggiavamo sempre ogni vittoria con una
bella cenetta, noi tre da soli…»
«Sì,
questo me lo ricordo.»
«…e
anche ogni sconfitta. Tutte le occasioni erano buone per festeggiare. Che fossi
ancora vivo dopo ogni partita, forse.»
«Ti
stai commiserando?»
«Sai
benissimo che non l’ho mai fatto.»
L’intervento
discreto di Guido salva momentaneamente la situazione.
«Desiderate
ordinare?»
«Per
me una zuppa di pesce con crostini, per favore.» dice Amy chiudendo il menu.
«Per
lei branzino alla griglia come al solito, dottore?»
«Sì,
grazie, Guido.»
«Cosa
posso portarvi da bere?»
«Io
vorrei del vino rosso» dice Amy «Se a te va bene…» dice poi rivolgendosi a
Julian.
«Posso
suggerire dell’ottimo bianco del Reno che si sposerebbe di più con…»
«Va
bene il rosso, Guido» dice Julian annuendo con decisione senza spostare gli
occhi da quelli di Amy che ora lo fissano intensamente, quasi con atteggiamento
di sfida «E dell’acqua naturale, per favore.»
«Come
preferite. Vi porto subito gli antipasti della casa.» dice Guido allontanandosi
velocemente.
«Penso
che stia ancora rabbrividendo per il nostro accostamento…» sussurra Julian
sporgendosi verso Amy «Guido è uno di quei maître vecchia maniera…»
Amy
sorride vedendo che l’espressione di Julian è ancora quella dolce e vivace che
l’aveva fatta innamorare di lui e lascia crollare un po’ del muro di imbarazzo
e diffidenza che aveva costruito.
«Quindi
lo conosci da molto.»
«Guido?
Da sempre. Era lui che cucinava, prima di passare il testimone a suo figlio
Giacomo. Ora che ha la sua bella età si limita a servire i clienti più
affezionati e a decidere il menu, ma un tempo faceva di tutto. Ad ogni modo è
sempre lui a prendere le decisioni su quanto riguarda il ristorante. Pensa che
è rimasto esattamente uguale da quando suo padre l’aveva aperto, quarant’anni
fa.»
«E’
davvero molto accogliente.»
«Sì,
ci si sente a casa. Mi piace venire qui, tutte le volte mi fermo a
chiacchierare un po’…»
La
conversazione viene interrotta dall’arrivo di Guido, che deposita sul tavolo
due piatti contenenti degli stuzzichini davvero sfiziosi e subito se ne va
augurando alla coppia buon appetito.
«Come
mai tu non hai i crostini al salmone?» domanda Amy dopo aver rivolto
un’occhiata al piatto di Julian.
«Non
li posso mangiare» risponde il giovane con tranquillità «Dopo l’ultimo
intervento i medici mi hanno raccomandato una dieta ferrea…o quasi. Guido ormai
sa cosa può servirmi.»
Amy
ritorna seria.
«Quando
ti hanno operato?»
«Più
o meno un anno fa. A dire il vero pensavo che l’impianto di un pace-maker fosse
più complicato.»
«Ti
sei ripreso in fretta?»
«Beh,
ho dovuto rimanere in ospedale per qualche settimana, ma quando sono uscito ho
potuto ricominciare a lavorare quasi subito.»
Amy,
sempre tenendo gli occhi bassi, addenta una polpetta.
«Speravo
che venissi a trovarmi, in ospedale» azzarda Julian.
«Mi
dispiace, non sapevo del tuo ricovero.»
«Già,
che stupido. Scusa.»
Altro
attimo di silenzio.
«E
il tuo lavoro come va?» dice Amy pulendosi la bocca con il tovagliolo.
«Non
posso lamentarmi. La clientela non è numerosissima, ma ho aperto il mio
ambulatorio da poco… Ogni tanto collaboro con l’istituto di clinica medica
dell’università di Tokyo, dove ho fatto tre anni di dottorato, e questo mi dà
parecchie soddisfazioni.»
Amy
si lascia andare ad una risatina.
«Certo
che…chi l’avrebbe mai detto? Julian Ross, da stella del calcio giovanile a
veterinario…laureato con il massimo dei voti, poi! Non immaginavo davvero che
amassi tanto gli animali.»
«Gli
animali danno molto e non chiedono quasi nulla in cambio. Per tanta gente sono
molto più facili da amare rispetto alle persona.»
Amy
posa la forchetta. «Pensi sia il tuo caso?» domanda con aria involontariamente
sarcastica.
«No»
risponde Julian, serio «Affatto. Comunque sono convinto che l’amore
incondizionato sia una parte del nostro istinto animale. E sicuramente è la
nostra parte migliore.»
Amy
si sente piuttosto imbarazzata dal tono che ha preso la conversazione. Julian
se ne accorge e cerca di rimediare.
«Scusami,
non ti ho nemmeno chiesto come stai.»
Amy
prende fiato e sorride nervosamente. «Bene. Sì, piuttosto bene. Non ho molto tempo
libero, sai, la casa, il lavoro… Ogni tanto esco con Patty, ci sentiamo spesso
da quando è tornata in Giappone.»
«Holly
e Patty sono tornati?» dice Julian, sorpreso.
«Ho
detto che Patty è tornata. Lei e Holly hanno divorziato due anni fa. Lui se n’è
rimasto in Brasile con quel Roberto. Secondo Patty, Holly ha sempre amato il
calcio più di sua moglie…anche quando erano insieme lui non pensava ad altro, i
suoi discorsi erano a senso unico…alla fine lei non ce l’ha più fatta.»
«Lo
credo bene, povera Patty! Ha lasciato tutto per seguirlo, e alla fine si è
trovata con un marito che preferiva correre dietro ad un pallone che…lasciamo
perdere. Comunque, conoscendo Holly, la cosa non mi sorprende affatto. Mi
domando solo perché l’abbia sposata.»
«Mah,
forse nella graduatoria Patty occupava comunque un posto di rilievo. Dietro al
calcio, naturalmente.»
«A
dire la verità, Mark aveva avanzato un’altra opinione…»
«Mark? Quel Mark?»
«L’unico
che conosco.»
«Non
mi dirai che sei rimasto in contatto con Mark Landers?!» domanda Amy,
incredula.
«Guarda
che non è mica un mostro…anzi, conoscendolo meglio direi che è una delle
persone migliori che mi sia capitato di incontrare. E’ stato l’unico tra i
nostri compagni di squadra a venirmi a trovare mentre ero in ospedale. Lui e
Holly non sono mai andati molto d’accordo, ma ogni tanto si sentivano…solo che
da un po’ di tempo non aveva più sue notizie. Probabilmente Holly ha cambiato
casa dopo che Patty se n’è andata.»
«E…quale
sarebbe la sua ipotesi?»
«Beh,
è piuttosto semplice…Holly era gay, e il suo matrimonio con Patty sarebbe stato
solo una copertura.»
Amy
scoppia a ridere. «Ma dai! Che razza di pettegoli!»
«E
non è finita qui…sai perché, sempre secondo Mark, Holly voleva a tutti i costi
andare in Brasile?»
«No
e non lo voglio sapere!» dice Amy tra una risata e l’altra «Piuttosto, come sta
Mark?»
«Benone.
Gioca ancora in una buona squadra di seconda divisione, ma pensa di mollare
tutto tra un paio d’anni per allenare una squadra di ragazzi.»
«Di
già?»
«Beh,
a trent’anni un calciatore comincia ad invecchiare…comunque ha ottenuto tutto
ciò che voleva. Ha faticato tanto per diventare un giocatore di rilievo, e ora
ha tutta l’intenzione di godersi i frutti del suo lavoro.»
«Sono
felice per lui. E dimmi, sai nulla degli altri?»
«A
dire la verità non molto…Tom è disperso da qualche parte in Francia, almeno
così mi ha detto Mark, mentre ho letto su una rivista che Benji si è di nuovo
fatto male ai polsi…i medici temono che stavolta dovrà chiudere definitivamente
con il calcio.»
Julian
beve un piccolo sorso di vino.
«Sai
una cosa? Mi piacerebbe scoprire che fine ha fatto Philip…avevamo legato
parecchio, ma dopo l’ultimo campionato non ci siamo più sentiti.»
«Oh,
mi stavo dimenticando di dirtelo!» interviene Amy dopo aver finito l’ultimo crostino
«Si è trasferito a New York da Jenny! Ha smesso di giocare a calcio e ora fa il
maestro in una scuola elementare…pare che abbia un rapporto meraviglioso con i
bambini. Jenny è felicissima, ancora non riesce a credere che Philip abbia
potuto rinunciare a tutto per lei…ma evidentemente non riusciva proprio a
starle lontano.»
«Per
amore si fa questo ed altro» dice Julian «Capisco perfettamente cosa significa
non poter stare accanto alla persona con cui si vorrebbe passare il resto della
propria vita.»
Amy
abbassa di nuovo lo sguardo. Altro passo falso, con reciproco imbarazzo, e
nuovo tentativo di tappare la falla.
«A
proposito…come sta Christopher?»
Amy,
ancora un po’ tremante, si scosta una ciocca dall’orecchio.
«Uh…bene.
E’ sempre in viaggio. Per lavoro. Svantaggi dell’essere la moglie di un
avvocato.» Altra risatina nervosa.
«Sei
ancora la sua segretaria?»
«Sì.»
Nel
frattempo Billie Holiday ha smesso di cantare e ha passato il testimone a Tom
Waits, con la sua “Blue Valentine” che sarebbe più adatta ad un locale fumoso
con Humphrey Bogart seduto al bancone con un bicchiere di whisky in mano.
Guido, quasi senza farsi notare, sostituisce i piatti degli antipasti con
quelli delle portate principali.
Julian,
con gli occhi nel piatto, inizia a pulire il suo pesce, mentre Amy mescola
svogliatamente la zuppa.
«Dev’essere
bello, però, tornare a casa e trovarci la persona che ami.»
Amy
posa di colpo il cucchiaio, afferrando al volo il punto della situazione.
«Questa
cena è stata squisita» dice pulendosi la bocca e facendo cenno di volersi
alzare «Ma ora devo proprio scappare. Arrivederci, Julian.»
Il
giovane la blocca con un cenno della mano.
«Aspetta,
Amy, ti prego!» La ragazza resta al suo posto, mordendosi le labbra. Respira a
fondo, quasi temesse di esplodere.
«Insomma,
cosa vuoi da me?!» sbotta.
Julian
la guarda senza dire nulla.
«Si
può sapere perché ti è venuto in mente di farmi venire qui? Cosa ti aspettavi?»
«E
tu perché hai accettato il mio invito? Potevi benissimo non venire, nessuno ti
ha costretta a farlo.»
Silenzio.
Tom Waits continua a cantare.
«Non
volevo crearti tutto questo imbarazzo, perdonami. Per favore, non andartene…non
ora.»
«Cosa
vuoi, Julian?» dice lei con gli occhi lucidi «Te lo chiedo un’altra volta, e ti
prego di rispondermi.»
Il
suono del pianoforte sembra colmare il silenzio tra i due.
«Perché
mi hai lasciato, Amy?»
Lo
sguardo della ragazza oltrepassa Julian e finisce sulla parete opposta, cadendo
su una stampa che rappresenta “L’assenzio” di Edgar Degas. L’immagine della
prostituta dallo sguardo perso nel vuoto apparentemente colmato dal liquore la
fa rabbrividire. Per un istante vi vede se stessa, la bottiglia sul tavolo, la
mente offuscata dall’alcool e dai ricordi di una vita che ha voluto imporsi da
sola. In quell’istante prega di non finire allo stesso modo.
«C’era
qualcun altro? O ti eri semplicemente stancata? Dimmelo, perché non riesco
proprio ad immaginarlo… Ho passato tutti questi anni a pensare dove avevo
sbagliato, ai modi in cui avevo potuto farti soffrire senza accorgermene, e mi
sono chiesto come avevo potuto essere così stupido da perderti… Avrei dato la
mia vita per te, lo giuro.»
«Io
volevo una mia vita, Julian!» sbotta di nuovo lei, trattenendo a stento
le lacrime «Non puoi rendertene conto…ho trascorso dieci anni standoti accanto
e vivendo per te, respirando per te, assaporando tutti i tuoi momenti di
gloria, soffrendo per i tuoi problemi…ma io chi ero? Ad un certo punto
mi sono chiesta cos’avessi fatto io, per me stessa, durante tutti quegli
anni…e la risposta è stata…niente! Ho vissuto di riflesso tutta la tua vita,
non sono stata nient’altro che uno specchio. Senza di te non ero niente.»
«Ma
perché non me l’hai mai detto?» dice Julian, sconvolto «Non credevo che tu
vedessi le cose in questo modo. Poteva cambiare tutto, se solo avessi
immaginato…»
«No,
Julian, non sarebbe cambiato nulla.» dice Amy scuotendo amaramente il capo «Non
avresti mai capito. Avevi troppe cose che ti entravano e uscivano dalla testa,
ma io ero sempre lì, ti bastava schioccare le dita per vedermi arrivare. Stavo
troppo male per lasciare che tutto andasse avanti in questo modo.»
«Perché,
credi che io non abbia sofferto?» sbotta Julian. La canzone si interrompe di
colpo e si sente solo il gracchiare del vecchio disco arrivato alla fine. La
donna del tavolo vicino si volta a guardare Julian che, imbarazzato, abbassa la
voce. «Io ti amavo, Amy, e sicuramente ho commesso degli enormi errori, ma non
ti ho mai data per scontata.»
«Ah,
sì? E come mi consideravi, allora? La tua consigliera personale? Una valvola di
sfogo per tutti i tuoi problemi? “Ma sì, di cosa mi preoccupo, tanto ci pensa
Amy”! Ci pensa Amy! Non facevo altro che pensare, a te e per te! Ogni domenica
ti guardavo giocare ed ero terrorizzata all’idea di vederti accasciare al suolo
da un momento all’altro…e l’angoscia continuava anche fuori dal campo di
calcio. Ti guardavo dormire e temevo che non ti svegliassi…ogni volta che
entravi in ospedale pensavo a cos’avrei fatto se non ne fossi più uscito…»
«Amy…»
«…finché
mi sono detta che, tutto sommato, non era detto che ci avrei rimesso così
tanto. Avrei perso l’amore, ma avrei trovato una nuova vita e quella parte di
me che credevo di avere perso.»
«E’
mostruoso, non posso credere che tu…»
«E’
esattamente quello che mi sono detta anch’io quando l’ho pensato. Ma poi ho
capito che dovevo essere arrivata al limite per immaginare una cosa tanto
orribile.»
«Così
è stato per questo.» dice Julian. La crepa che già si era aperta nel suo cuore
si è allargata e gli fa male da morire. Tira un profondo respiro, come per
ricacciare indietro le lacrime. «Io non ho mai preteso nulla da te. Tu mi stavi
accanto; eri la cosa più bella che potessi chiedere alla vita e credo che il
mio errore più grosso sia stato quello di non avertelo mai dimostrato. Ma se
questo ti pesava così tanto avresti potuto dirmelo. Ti avrei lasciata andare
comunque.»
«Ma
certo!» dice Amy con una smorfia di disgusto «Quindi hai semplicemente fatto
spallucce dopo aver accettato le dimissioni della tua assistente sociale,
giusto? Pazienza, ne troverai certamente un’altra, tu non hai problemi di
questo genere.»
«Vedo
proprio che non hai capito.» dice Julian «Se ti ho lasciata andare è stato
proprio perché ti amavo.»
Amy
si ritrova un attimo spiazzata da quella dichiarazione.
«Guarda
che non sono uno stupido…ho capito benissimo che mi hai lasciato perché non eri
felice. Era assurdo che io pretendessi che tu stessi con me solo per pietà, se
non mi amavi più…»
«Julian,
tu non hai fatto nulla per trattenermi!!!»
«Ma
credi che non ci abbia provato? Cercavo di avvicinarmi a te, quando ormai non
parlavamo quasi più, e tu scappavi! Non hai mai nemmeno provato ad ascoltarmi,
non negarlo. Mi aggredivi qualsiasi cosa dicessi. E quando, di punto in bianco,
mi hai detto che avevi preso la tua decisione e che non avresti mai cambiato
idea, cosa potevo fare? Torturarti ancora una volta facendo leva sul tuo “senso
di responsabilità”?»
Amy
tace, ormai non sa più che dire.
«Ho
provato a dimenticarti in tutti i modi possibili. Ho avuto molte storie, finite
ancora prima di cominciare. Nessuna ha mai potuto darmi l’amore che mi avevi
dato tu. Ed io non sono riuscito a dare a nessuna donna quello che non ho
potuto dare a te. Così ho capito che dovevo rassegnarmi e aspettare che il
tempo guarisse le ferite. Ma ogni volta che torno a casa la trovo sempre più
vuota, e non posso fare a meno di pensare che tutto avrebbe potuto andare
diversamente se solo fossi stato più attento. Quando ti ho vista passeggiare al
parco, l’altro pomeriggio, il periodo più felice della mia vita è tornato a
galla, e mi ha fatto terribilmente male perché ho capito che non avrei mai
potuto dimenticare i momenti che ho passato con te, nel bene e nel male.»
«E
cosa pensavi di ottenere, invitandomi qui questa sera?»
«Niente.
Solo una briciola delle emozioni che non provo più da moltissimo tempo…»
«Tutto
qui? Non ci credo. E poi anche tu dovevi immaginare che le cose erano
cambiate.» dice Amy con voce rotta «Ora io sono sposata, ho una bella casa e un
buon lavoro. Ho trascorso dei tempi orribili, ma sono riuscita a tenermi a
galla. Finalmente ho una mia vita e la gestisco a modo mio. Volevi sapere
perché ti ho lasciato? Te l’ho detto. Sei soddisfatto, adesso?»
Julian
sorride, ma è un sorriso amaro, malinconico.
«Continui
a non capire. Io te l’ho domandato solo perché volevo chiederti scusa. Scusa
per averti fatto soffrire senza volerlo. Davvero. Te lo devo per tutto quello
che hai fatto per me. Ti amo ancora come allora, Amy, e voglio che tu sappia
che non commetterò mai più gli stessi errori. Mi sono comportato come un
bambino, ma ora penso di essere cresciuto.»
«Siamo
cresciuti tutti e due, Julian» dice Amy alzandosi «Non puoi far tornare
indietro l’orologio; abbiamo preso le nostre decisioni e dobbiamo pagarne il
prezzo. Spero che tu capisca.»
Amy
si rimette il cappotto. «Buona fortuna, Julian. Ti auguro tutta la felicità
possibile.»
Julian
non ha il coraggio di guardarla mentre si allontana.
L’ho
persa due volte, si dice.
Nel
frattempo, Tom Waits è stato sostituito da Billy Joel, che riscalda ancora di
più l’atmosfera del locale. Julian, con lo sguardo perso nel vuoto, non può
fare a meno di seguire le parole della canzone.
Don’t go changing to try
and please me
You never let me down
before…
Hai fatto tutto per me…
…don’t imagine you’re too
familiar
and I don’t see you anymore…
…e
invece io non ti ho mai dimostrato quanto ti amassi veramente…
I would not leave you in
times of trouble
We never would have come
this far
I took the good times, I’ll
take the bad times
I’ll take you just the way
you are…
Ero sicuro che saremmo
rimasti sempre insieme, nel bene e nel male…se solo avessi immaginato…se solo
mi avessi detto…
Che
idiota sono stato. Buttare via così l’unico vero amore della mia vita.
La canzone svanisce e la voce del buon vecchio Guido riporta Julian alla realtà.
«Sta
bene, dottore?» domanda il cameriere, un po’ preoccupato.
«Sì,
Guido…sto bene, grazie.» Non è vero, non sono mai stato così male in tutta
la mia vita, ma tanto a che serve?
«Desidera
altro?»
«No,
grazie, sono a posto così.»
«Sa,
la signora ha domandato il conto, ma mi sono permesso di dirle che ci aveva già
pensato lei. Mi spiace per l’iniziativa, ma…»
«Non
si preoccupi, ha fatto benissimo. Quant’è?» dice Julian mettendo mano al
portafogli.
«Nulla,
dottore. Stasera offre la casa. Lo consideri un…regalo di Natale per il nostro
cliente più affezionato.»
Julian
ricambia il sorriso del vecchio Guido che lo accompagna all’uscita. Prima di
andarsene, si volta verso il vecchio cameriere e gli stringe calorosamente la
mano.
«Più
che un cliente, mi state trattando come un amico.» dice Julian «Spero che mi
consideriate davvero tale, visto che per me siete come una seconda famiglia.»
«Il
suo tavolo sarà sempre libero, dottore.» risponde Guido «E se in questi giorni
vorrà passare a fare quattro chiacchiere e a mangiare una fetta di dolce, non
deve fare altro che aprire quella porta.»
«La
ringrazio ancora. In questi giorni la solitudine si fa sentire, e anche se i
miei genitori sono sempre pronti a correre e il mio cagnone mi aspetta con
ansia, sento sempre di più il bisogno di una persona speciale da cui tornare.»
«E’
giusto. Mia moglie dice sempre che un bel giovanotto come lei non merita altro
che una donna meravigliosa, e penso che
non faticherà molto a trovarla!»
«Non
è questo il problema, Guido» dice Julian sospirando «Io l’ho trovata molto
tempo fa. Il vero problema è che l’ho persa per sempre.»
«Non
sia così disfattista, dottore. Non tutto è perduto, mi creda.»
«Questa
volta sì, Guido.» dice Julian alzando il bavero del cappotto «Questa volta è tutto
perduto. Buon Natale.»
«Buon
Natale, dottor Ross.» dice Guido chiudendo la porta alle spalle del giovane
veterinario.
Julian
è fermo sul marciapiede, gli occhi rivolti verso il cielo. La neve continua a
cadere leggera, e la luce dei lampioni e delle insegne luminose si riflette
sull’affollatissima strada spolverata di bianco.
Si
torna a casa, pensa il giovane con
malinconia osservando la gente che gli passa davanti di fretta, senza degnarlo
di uno sguardo. Chissà quante storie potrebbero raccontare queste
persone…ognuna con i suoi pensieri, i suoi problemi. Io sono solo uno tra i
tanti, si dice. Poi scuote la testa: che pensiero idiota…meglio andare,
fa freddo qui.
«Hey,
Julian! Vuoi sapere la verità?»
Il
cuore gli sobbalza nel petto nel sentire di nuovo quella voce che lo costringe
a voltarsi di scatto.
Amy
è lì, tremante sotto la neve, con le guance rigate di lacrime.
«Io
e Christopher ci siamo separati sei mesi fa e io faccio la telefonista per una
ditta di trasporti…»
«Amy…»
«…e
neanch’io ti ho mai dimenticato, Julian. Ho sposato Christopher perché credevo
di poterlo amare come amavo te, ma è stato solo uno stupido errore. Anche se
non riuscivo più a stare con te, ho capito che non avrei mai smesso di amarti,
ma il mio maledetto orgoglio mi ha impedito di tornare indietro…»
Amy
si avvicina lentamente a Julian, che, sconvolto, la guarda a bocca aperta.
«Sono
io che devo chiederti scusa, non tu. Oh, Dio, potrai mai perdonarmi?»
Julian,
con gli occhi lucidi, vorrebbe dirle tutto quello che non era mai riuscito a
dirle prima, ma sente le parole morirgli in gola. D’istinto apre le braccia e
la stringe a sé, forte come non mai, come se temesse di vederla fuggire di
nuovo. Lei piange, il viso affondato nel petto di lui.
«Ricominceremo
tutto daccapo. E ti prometto che non commetterò più gli stessi errori. Ti amo
troppo per lasciarti andare un’altra volta.» dice Julian con la voce rotta dal
pianto.
Lei
solleva il capo e lo guarda negli occhi; poi, come risposta, gli prende il viso
tra le mani e lo bacia una, due, cento volte, senza curarsi della folla che,
oltrepassandoli, lancia loro sguardi di disapprovazione.
Guido,
dietro la vetrata di “Rubini”, li osserva e sorride. Nel ristorante, Billy Joel
continua a cantare.
A bottle of red, a bottle
of white
Whatever kind of mood you’re
in tonight
I’ll meet you anytime you
want
In our Italian restaurant…
Questo Natale, forse, sarà un po’ meno freddo del solito.
FINE
Le canzoni citate sono rispettivamente “Just the way you are” e “Scenes from an Italian Restaurant”, di Billy Joel. Quest’ultima, insieme al bellissimo racconto a fumetti “Bianco Natale” di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo,e alla canzone di Tom Waits “Christmas card from a hooker in Minneapolis” mi hanno ispirato nello scrivere questa storiella. Ascoltatele e leggetele, ne vale la pena!