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Autore: NateRuess    26/05/2013    0 recensioni
Quel volo per New York che può cambiarti la vita, tutti i tuoi segreti rivelati e nessuna certezza su ciò che succederà. Solamente il caso potrà aiutarti, oppure potrà causarti ancora più guai. Soprattutto se è la persona sbagliata a venire a conoscenza dei tuoi segreti.
[Per l'inizio della storia è stato preso spunto dal libro "Sai tenere un segreto", di Sophie Kinsella (l'inizio!)]
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quirks - Capitolo 4

Robin’s POV
Ormai sono passati tre giorni. Il trauma dell’aereo impazzito dovrebbe essere passato, più o meno. Comunque sia, ho giurato a mia madre che non rimetterò mai più piede in un aeroporto, per il bene della mia salute mentale e della mia privacy. Non ho detto a nessuno di quello che è successo sull’aereo, oltre alle scosse e alla morte imminente. Non riesco nemmeno a ricordare cos’è che ho detto a quel tizio. Ogni volta che ci penso ho una crisi di panico e mi costringo a respirare profondamente per calmarmi. Sono davanti lo specchio nel bagno, ancora in pigiama, cercando di porre rimedio a ciò che la notte ha causato ai miei capelli. Se non mi do una mossa farò tardi anche stamattina. Riesco a sciogliere tutti i nodi tra i miei folti capelli scuri e cerco di prepararmi quanto più in fretta possibile. Controllo per la terza volta che nella borsa ci sia tutto e torno in cucina, dove mia madre ha preparato il caffè. –Robin, sei sicura che non ne vuoi un po’?-
-No, mamma, non ti preoccupare. Lo sai che non mi fa impazzire il caffè.-. Bugia, ma tanto non è molto grave.
-Sai, ho trovato una dieta facilissima su un sito che mi ha fatto vedere la mia collega Nicole. Posso perdere 9 chili in una settimana. Ci pensi!- la vedo entusiasmarsi mentre affetta una banana che mette nel frullatore. –E’ magnifico, mamma- sospiro, pregando che non dia peso alla mia indifferenza. Mi giro verso l’orologio e vedo che se non esco subito sarà troppo tardi per il caffè. –Io vado, dai un bacio agli altri quando si svegliano.- do un bacio sulla guancia a mia madre che mi sorride. –E chiamami per farmi sapere come sta Lucy, se la febbre scende- le dico aprendo la porta e lei mi fa un cenno di assenso con la mano. Non faccio nemmeno in tempo a raggiungere le scale che il mio cellulare squilla, rimbombando per tutto il pianerottolo.
-Aria?-
-Robin, ciao, tutto bene?-
-Si, certo. Senti, Aria, tra poco ci vediamo all’università…-
-Si lo so, devo chiederti solo una cosa veloce-
-Dimmi-
-Per caso sabato sera hai preso il mio cappello?-
-Qu…quale cappello?- chiedo confusa.
-Quello di Indiana Jones che ho preso al Comicon l’anno scorso!-
-Perché, ce l’avevi con te sabato?- perplessa, scendo le scale cercando di ricordare la serata di sabato. Ricordo di aver avuto un paio di crisi esistenziali per la storia dell’aereo e Aria che mi portava in giro urlando cose senza senso, ubriaca.
-Si, santo cielo! Adesso non lo trovo più. È da ieri che lo sto cercando, ma niente.-
-Vedrai che lo ritroveremo, ne parliamo più…-
-No, ne dubito. Credo proprio che me l’abbiamo preso – vorrei continuare a rassicurarla, ma sono quasi uscita dal palazzo e tra poco raggiungerò il McGee –Senti Aria…-
-scommetto che è stato quel tizio…-
-Quale tizio?- chiedo sospettosa.
-Dopo che sei tornata a casa ho incontrato due ragazzi strani che mi hanno offerto da bere. C’era uno di loro, molto carino, che si è provato più volte il cappello…-esco dal palazzo e faccio quel piccolo tratto a piedi per raggiungere la caffetteria. –Allora ce l’avrà senz’altro lui…- dico.
-Già. Ritroverò quel tizio, dannazione.-
-E riprenderai il tuo cappello.-
-Assolutamente. Quel coso mi è costato la bellezza di 50 dollari.-
-Perché tu sei la solita pazza, ecco perché.-
-Già- la sento ridere –ci vediamo dopo, Robin.-
-A dopo- attacco ed entro nella caffetteria. Grace, la cameriera, non appena mi vede mi sorride e la vedo armeggiare per prepararmi il caffè. Le sorrido cordiale e mi siedo al mio solito posto, davanti la vetrina, che affaccia proprio sulla 32esima. Quanto adoro essere lì. Lontano da tutto e da tutti eppure ancora così vicina. Mi sento così al sicuro, e a terra, soprattutto dopo quello che è successo venerdì. Solo a pensarci mi vengono i brividi e sono tremendamente grata al caffè che mi è appena stato portato. Mi godo il suo calore, il suo sapore e mentre realizzo che, infondo, quella piccola bugia mattutina mi fa proprio bene, per i nervi e per lo stress, vedo Justin Bieber che mi saluta dalla strada.
 
 
No. Non può star salutando me. Non è possibile. Mi volto lentamente verso destra e poi verso sinistra, ma non c’è nessuno a ricambiare il saluto. Tutta la caffetteria è in silenzio e guarda il ragazzo che agita freneticamente la mano e ride. Lo fisso mentre si sfila gli occhiali da sole. Questa volta mi giro completamente sullo sgabello per guardare bene alle mie spalle. Ancora nessuno che ricambia. Perplessa cerco di scansarmi, inclinandomi con la schiena verso destra, ma in maniera che potrebbe mandarmi all’esasperazione per lo stupore, lui inclina la schiena nella mia stessa direzione, guardandomi come per capire se sono pazza o meno. –…mio dio…- bisbiglio e lui sembra quasi capirmi, perché scoppia a ridere.
Quasi trotterellando, fa il giro della vetrina ed entra nel locale, lasciando tutti a bocca aperta. Sento addirittura una posata cadere. No, questo è troppo. –Wilson!- esclama il ragazzo appena entrato. Io stringo il caffè con la remota speranza che mi possa proteggere. –Alla fine ti ho trovata!- dice tutto contento e si siede vicino a me. Mi fissa con un sorriso, forse il più cretino che abbia mai visto in vita mia, mentre io cerco di trovare qualcosa di intelligente da dire. –Tu…mi stavi…cercando?- Ecco, molto intelligente. Senza cambiare espressione, i suoi occhi fanno il giro del locale, cercando qualche risposta.
-Si, bhè, sapevo che ti avrei trovata qui e allora…sono venuto.- sorride come meglio può e prende uno dei menu dal tavolino.
-Si, ma perché mi stavi cercando?- chiedo con un filo di voce. –E poi come facevi a sapere che ero qui?- chiedo quasi in un lamento. Due anni di perfetta copertura andati in fumo.
-Me l’hai detto tu. Non ti ricordi? Mentre mi segnavi il braccio a vita con le unghie- si massaggia l’avambraccio e i miei occhi seguono i suoi movimenti. Il mio cervello è definitivamente in tilt. Sto cercando nella memoria il momento in cui ho confidato ad una famosissima popstar i miei segreti.
-Wilson ci sei?- mi passa una mano davanti la faccia per riportarmi alla realtà. –Noi…ci siamo già incontrati?- la mia voce rivela tutta la mia perplessità e lui scoppia a ridere.
-Quindi non mi avevi riconosciuto eh? Ero io, sull’aereo, seduto vicino a te, venerdì scorso-. Proprio come se fossimo in un film il mio caffè cade teatralmente a terra sporcando tutto il pavimento. Lui continua a ridere e io comincio a cercare il miglior modo per uccidermi all’istante. La sera sull’aereo, la turbolenza, i segreti…- tutti quei segreti stupidi rivelati a colui che non può neanche andare al bagno che lo viene a sapere anche Obama.
-Io…io…- cosa potrei mai dire? Caccio un coltello e lo minaccio di amputarlo della sua virilità se rivela a qualcuno che la mattina vado in caffetteria?
Grace corre subito a pulire il casino che ho combinato e io sono troppo sotto shock per aiutarla. –Grazie Grace- Justin Bieber la ringrazia e lei si blocca come se fosse stata congelata. –Tu…tu conosci il mio nome?- le sue guance diventano rosse come il suo grembiule e la mia testa inizia a girare. Oh mio dio, non può farlo davvero. Giuro che io… -C’è scritto sulla targhetta- puntualizza lui, indicando il rettangolo di plastica appuntato sulla sua camicetta. Lei rimane ancora un attimo immobile e poi inizia a ridere in modo isterico per l’imbarazzo. Io, invece, resto immobile, fissando il ragazzo di fronte a me e tutte le pericolosissime informazione che ha. Quando Grace se ne va, io trovo la forza per parlare –Quindi tu…ecco…-
-Conosco tutti i tuoi sporchi segreti, piccola Wilson.- il suo sguardo diventa spietato per un attimo e io strabuzzo gli occhi. Nel vedere la mia espressione, scoppia a ridere gettando la testa all’indietro.
-E perché sei venuto a cercarmi? Cos’ho detto di così importante?-
-Niente, ma mi hai incuriosito con la storia della fissazione di tua sorella per me. È sempre bello sentirsi apprezzati-. Oh cavolo, se gli ho detto questo, vuol dire che gli ho detto del… -e soprattutto se sai di essere il protagonista di certi sogni…-
-Oh dio.- è l’unica cosa che riesco a dire, in un misto tra un lamento e una preghiera. –Mi hai cercata per dirmi questo?-.
-Bhè anche, ma soprattutto perché ho intenzione di convertirti.-
-Convertirmi a cosa?-
-A…me!- e ride –hai detto di non sopportarmi e, così, ti farò cambiare idea-.
-E lo fai con tutte le persone che ti odiano?- il mio tono era ancora sul drammatico/esasperato e ciò sembrava divertirlo. Continua a ridere e mi guarda per un momento.
-No, ma non mi capita tutti i giorni di incontrare ragazze pazze come te, quindi sei stata fortunata: hai attirato la mia attenzione.-
-Non capisco dove sia la fortuna in tutta questa storia- borbotto, guardando malinconica il pavimento. Sta per morire a furia di ridere.
-Sai, Wilson, ne è valsa la pena alzarsi alle 7 stamattina. Sei un tipo forte.- mentre parla afferra un tovagliolino e comincia a giocarci; fisso i suoi movimenti mentre cerco di dare un senso a quella conversazione.
-Tu ti sei alzato presto per…me?- ho paura che abbia colto la vena di scetticismo nella mia voce. Mi guarda confuso per un momento.
-Insomma…questo era il momento in cui sicuro ti avrei incontrato e…sai, morivo dalla voglia di intromettermi nella tua vita e rivelare a tutti i tuoi segreti.- fa una specie di sguardo assassino/sadico e ride di se stesso. Io sono sempre sconvolta. –Tu sei pazzo- lo guardo, mentre sibilo questa frase lui fa un risolino divertito.
-Si, forse un po’. Andiamo, farai tardi all’università- detto questo si alza, mette una mano in tasca e tira fuori il portafogli.
-Che stai facendo?- chiedo sconcertata, senza muovermi.
-Diciamo che è un po’ colpa mia se stamattina non hai preso il caffè- si avvia al bancone e io lo seguo come scimmia ipnotizzata. No, forse quella pazza sono e mi sto immaginando tutto. Si, forse è così.
-Mi…stai offrendo il caffè?- mi metto al suo fianco e fisso i suoi soldi che vanno nella mani di Grace.
-Ehy, Grace, tesoro, posso offrirti una mentina?- le fa una specie di sguardo languido, non rispondendo alla mia domanda, e facendo arrossire di nuovo la cameriera. Io mi limito a fissarlo a bocca aperta e occhi spalancati mentre mi bandisce dalla mia caffetteria di fiducia.
-Ehm…io…credo…si, grazie…- la poverina prende una delle mentine di Justin e se la porta alla bocca imbarazzata. Io continuo a fissarli con la stessa espressione, limitandomi a fare niente.
-Andiamo, Wilson, farai tardi- mi incita lui e si avvia alla porta, ma proprio quando lo raggiungo si blocca all’improvviso e io gli vado a sbattere contro.
-Oh dio, quasi dimenticavo…- fa una corsa dentro il locale, sotto lo sguardo sconvolto mio e dei presenti e afferra due bustine di zucchero. In modo che tutti possano sentirlo me le porge dicendo l’ultima cosa che pensavo dicesse:-…non vorrei che per colpa mia non ti portassi dietro i tuoi portafortuna. Li prendi ogni giorno, no?- detto questo, si infila di nuovo gli occhiali ed esce dalla caffetteria con il più grande sguardo da stronzo che abbia mai visto.


-Non posso credere che tu l’abbia fatto!- lo raggiungo mentre ci avviamo per la strada. Lui sta ridendo, come sempre e mi guarda.
-Dimmi un po’, come arriviamo alla tua università?- chiede guardandosi intorno aspettandosi forse cartelli con su scritto “New York University da questa parte”.
-Dobbiamo prendere la metro e poi…-
-Scordatelo. Io la metropolitana non la prendo.-
-E come conti di arrivarci, allora?- alzo un sopracciglio scettica. Non posso farmi rallentare da una popstar che non vuole stare tra la folla.
-Ma per piacere…- sbuffa lui e comincia ad agitare una mano sul ciglio del marciapiede. Un taxi giallo si ferma davanti a noi e lui apre la portiera facendo un piccolo inchino e sorridendomi.
-Ma io non ho i soldi per il taxi…- cerco di protestare, ma mi afferra per un braccio e mi butta di forza nell’auto.
-New York University, per favore- dice al tassista che subito riparte.
-Mi spieghi che intenzioni hai?- gli chiedo allora, cominciando a sospettare che ci sia qualcosa di strano dietro tutta questa faccenda.
-vengo con te all’università. Non ho niente da fare per le prossime tre settimane e ti ho scelta come, vediamo…missione. Diciamo che sei diventata una questione di principio.-
-Stai parlando ancora di quello che è successo sull’aereo? Di quello che ho detto su di te? No perché se eri serio sul fatto di convertirmi…-
-Che vorresti dire?-
-Che se davvero lo stai facendo, sappi che umiliarmi nella mia caffetteria preferita non è stato proprio un passo avanti.- lo guardo aspettando la sua reazione. È pensieroso e invece di rispondermi si sporge in avanti verso l’autista:-Potrebbe fermarsi un momento?- dice e il taxi accosta. Lo fisso ancora sconcertata mentre scende dall’auto. Non chiude nemmeno la portiera e dopo qualcosa come cinque minuti torna con due caffe in mano. Si sporge verso di me e mi prende il caffè di McGee, ormai freddo, di mano e lo butta nel cestino accanto a lui e risale in macchina e ti porge il caffè appena comprato.
-Cosa…?-
-Ti ho fatto un favore. Quel caffè fa schifo. Prendi questo che è meglio.- chiude la portiera e l’auto riparte.
-Come fai a sapere che quello fa...?-
-Lo so e basta. Fai troppe domande Wilson.- dice sorseggiando il suo caffè.
Ma perché continui a chiamarmi così!?- mi lamento e prendo una sorsata del caffè, che però è caldo come il fuoco.
-Non ti chiamo così scusa?- mi chiede confuso.
-Si ma…Robin, chiamami Robin- annaspo sventolandomi una mano davanti alla bocca. Lu iguarda i miei movimenti piuttosto sconcertato e beve dal suo caffè senza togliermi gli occhi di dosso.
-D’accordo, Robin.- beve ancora –Rispondendo alla tua domanda: si, è per quello che è successo sull’aereo e quello alla caffetteria non è che l’inizio.-
Guardo fuori dal finestrino mentre deglutisco rumorosamente. No, non può assolutamente farmi questo. Non ne ha nessuno diritto! Infatti mi ribellerò, mi libererò di lui appena scenderemo da questo taxi. Non può un completo sconosciuto rovinarmi la vita, nemmeno se è lo sconosciuto più famoso del mondo. Adesso, mentre sorseggio il caffè con la lingua ustionata, mi metterò a pensare a un bel piano per sparire dalla sua vista e riprendere in mano le sorti della mia esistenza.
-Allora, che hai in mente di fare mentre io seguo i corsi?- lui si gira sorpreso e sorride:-Mi sembra ovvio no? Starò in aula con te.-
-Ma tu non sei iscritto a nessun corso-
-Non importa, scommetto che se chiedessi di rimanere mi farebbero entrare immediatamente.- il piccolo abitacolo del taxi non conteneva tutto il suo ego, ovviamente.
-E credi che vantandoti così tanto mi farai cambiare idea? Il tuo piano è destinato a fallire.-
-Robin, qui quella che deve cambiare atteggiamento sei tu, io vedo benissimo così- si aggiusta i capelli e fa un sorriso alla Ken di Toy Story 3. Io sono disgustata, completamente.
-Avevo ragione- borbotto.
-Su cosa?-
-Su di te- dico rigirandomi il caffè tra le mani.
-Sul fatto che sono bellissimo?- ride.
-Sul fatto che sei un pallone gonfiato- mentre pronuncio quest’ultima frase il taxi si ferma davanti l’università e io scendo sbattendo lo sportello dell’auto.
 

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Ecco qui! Scusate se è troppo lungo ma se lo dividevo in più capitoli non la finivamo più! XD A me piacciono lunghi xD Bhe se vi piace recensite! Sto recuperando no?? 

  
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