Autore: nakashima
Beta: _Koa_
Fandom: Star Trek AOS
Pairing: Kirk/Spock
Personaggi: James T. Kirk, Spock, Sulu,
Uhura, Scott, Leonard McCoy, nuovi personaggi
Rating: PG
Genere: angst, avventura, fantascientifico
Avvertimenti: (possibile) OOC, pre-slash (no, non
c'è ma nella mia mente
sì, quindi VEDETECELO ANCHE VOI é.è),
raccolta
Trama: Cinque mesi, tre giorni, sette ore
dacché Kirk ha preso il
comando dell'Enterprise. Ma c'è un ostacolo in agguato che rimanderà
l'inizio della missione quinquennale.
Dal testo: Ci sono domande che continueremo a porci
per il resto della
nostra vita, ma nessuno sarà mai in grado di rispondere.
Persino la logica non
riuscirà a darci una spiegazione; ma proprio essa c'impone
di andare avanti e
fare ciò che dev'essere fatto.
Note: siete liberi di tirarmi pomodori (ve
lo dico in anticipo,
così li andate a comprare, nel frattempo). E' la prima volta
che
mi cimento in una fiction su Star Trek (ma ci ho voluto provare,
perché questo
mondo è l'ammmmooore della mia vita! Provare non costa
niente, I've tried çwç).
Mi sono buttata sull'universo di Abrams perché, per quanto
bello (lo ammetto)
non ho avuto il coraggio di buttarmi sulla OS. Questo perché
secondo me è P E R
F E T T A e io ho paura (il fottuto terrore) di
rovinare qualcosa
di così bello *^*.
Anyway l'ho fatto e lo farò per un po' di tempo
perché mi sono buttata in
questa serie di one-shot e (cavolo!) la voglio terminare. Spero vi
piaccia, le
critiche sono sempre ben accette.
Piccolo avvertimento: non preoccupatevi se alcune cose vi risulteranno
poco
chiare in questa prima shot, è una raccolta e ogni storia si
può leggere da sé
ma c'è un filone principale che le collega tutte.
Love ya ♥
Disclaimer: io vorrei possedere Kirk,
Spock, Bones e tutto
l'universo trekkiano, ma no... non li possiedo. Sono tutti del genio
Gene e
(magari un po') anche di Abrams. Non ci guadagno nulla, scrivo
perché sono
belli çwç
Scritta per la community diecielode sul
set #10
Futuristico e sul prompt Luna.
Un ringraziamento speciale va a _Koa_
che ha deciso di betare queste fic
abbandonate a loro stesse. L’adoro
e amo le nostre chiacchierate su twitter.
L’altra
faccia della luna.
Cinque mesi, tre giorni, sette
ore.
Kirk si guardò intorno con un sorriso ebete stampato sul
volto. Erano cinque
mesi e più, dacché aveva preso il comando
dell'Enterprise e giorno dopo giorno,
l’immensa gioia e l’orgoglio per la posizione
raggiunta gli riempivano il
cuore.
Di tanto in tanto ripensava a quello che era successo durante la sua
prima
missione spaziale: uscire da quella situazione non era stato facile per
nessuno,
viaggi nel tempo, materia rossa, buchi neri e un signor Spock dal
futuro.
Ora ce n'erano addirittura due, di Spock.
Tutto quello… Era accaduto troppo in fretta e la maggior
parte dei suoi
subordinati non aveva del tutto lasciato alle spalle quanto accaduto.
Nessuno, tranne Spock.
Proprio lui che aveva subìto la perdita più
grave, sembrava aver superato la
situazione con una facilità impressionante. Kirk sapeva che
non era così
freddo; era ben cosciente del fatto che dietro a quella maschera di
leggerezza
d'animo e logica, c'era molto di più; ma non riusciva a
capire come fare per
penetrare in quell'universo d'essenza che il vulcaniano precludeva a
chiunque,
persino a se stesso.
Jim si diceva che bisognava dare tempo al tempo, era convinto che prima
o poi
sarebbe riuscito a conoscere a fondo quel bastardo
dalle orecchie a
punta.
‒ Signore, stiamo ricevendo una chiamata dalla base lunare ‒ lo
informò Uhura,
riportandolo alla realtà.
‒ Apra un canale, tenente ‒ sospirò, passandosi una mano
sulle palpebre per
allontanare la patina di sonno che ancora le ricopriva (odiava i suoi
turni: dormiva
pochissimo!).
‒ Tutte le frequenze sono aperte ‒ disse Nyota, passando la chiamata
sulle
trasmittenti della plancia.
‒ Qui Enterprise, parla il capitano James Kirk. ‒ La risposta
però non arrivò e
il ponte di comando fu invaso dal silenzio. Jim si voltò,
guardando il tenente alle
comunicazioni con aria perplessa, ma Nyota sollevò le
spalle, evidentemente
nemmeno lei non riusciva a spiegarsi il perché di quel
silenzio.
‒ Qui Enterprise, cosa succede? ‒ ripeté Jim.
Ancora silenzio.
Kirk sospirò, infastidito e fece per alzarsi, quando la
plancia fu invasa da
una serie di bizzarri suoni che si propagarono dagli altoparlanti.
‒ Che diavolo...? ‒ mormorò. ‒ Tenente, cerchi di
ripristinare questo
collegamento! ‒ disse perentorio.
I suoni, simili ad interferenze, non accennavano a voler cessare, Kirk
si
guardò intorno notando che gli altri ufficiali avevano negli
occhi la sua
stessa confusione.
‒ Capitano, la comunicazione è perfetta e non
c’è alcun disturbo: è chiarissima
‒ spiegò il tenente, portando una mano al ricevitore
sull'orecchio sinistro; ‒
Non capisco.
Jim sospirò di nuovo, poi annuì distrattamente.
‒ Arresti la chiamata e provi a contattarli su un altro canale.
Il capitano spostò lo sguardo sul grande schermo che aveva
davanti,
soffermandosi ad osservare le stelle. La loro missione li aveva portati
lontani
dalla luna, secondo i suoi calcoli distavano tre giorni dal satellite.
Un campanello d'allarme risuonava nella sua mente, ma sperò
che fosse solo un
problema di comunicazioni.
. . .
Quando Spock arrivò sul ponte, rimase spiazzato
dall'assoluta immobilità dei
presenti. Erano tutti fermi, compreso il capitano, e il silenzio
imperava. Uscì
dall'ascensore e si avviò a passo lento verso la postazione
di comando. Kirk
alzò lo sguardo su di lui facendo un cenno con la mano,
naturalmente il
vulcaniano non lo comprese, ma rimase comunque in attesa.
Lo avevano avvisato di raggiungere al più presto la plancia,
ma nessuno aveva
saputo dirgli con chiarezza il motivo.
A distrarlo da quei pensieri fu un ronzio, che si propagò
nel silenzio, e che
lo indusse a voltarsi di scatto verso la postazione delle
comunicazioni, dove
il tenente Uhura lavorava senza sosta.
Il ronzio scomparve, ma non divenne un silenzio simile a quello che lo
aveva
accolto; una voce gracchiante e inframmezzata dalle interferenze si
riversò
fuori dagli altoparlanti.
‒ Vi preg... Klingo... aiut… ‒ Spock
volse lo sguardo verso Kirk, il
capitano si era irrigidito, ma era rimasto composto sulla poltrona.
‒ Uhura, salvi il messaggio, proveremo a riascoltarlo ancora una volta
‒ disse
Jim, alzandosi dal posto di comando.
‒ Signore, voleva vedermi? ‒ intervenne Spock.
Il capitano e il suo vice si guardarono per alcuni istanti, poi il
primo
sospirò e annuì lentamente:
‒ Credo ci siano problemi alla base lunare, ci hanno contattati, ma le
comunicazioni sono interrotte. Quello che ha appena sentito
è l'unico messaggio
che abbiamo ricevuto.
Il primo ufficiale inarcò un sopracciglio, perplesso.
‒ Ma, capitano, la luna non dovrebbe essere di nostra competenza.
Kirk stirò le labbra in un ghigno che lasciava trasparire il
proprio
nervosismo.
‒ Lo so benissimo, ma hanno contattato l’Enterprise; dovremmo
forse lasciarli
lì? E se fossero in pericolo?
‒ La logica vorrebbe che lei facesse rapporto alla Federazione,
potrebbero
inviare una delle navi che operano nel sistema solare. Siamo lontani
dalla
luna, non riusciremo ad arrivare in tempo.
Il capitano annuì di nuovo
‒ Tenente Uhura, contatti la Federazione e trasmetta loro il rapporto
di quanto
è successo. Spock, analizzi il messaggio e cerchi di
scoprire se possiamo ricavarne
un qualunque tipo d'indizio.
Il primo ufficiale annuì impercettibilmente e si
avviò verso la postazione scientifica.
‒ Capitano, che rotta devo impostare? ‒ chiese il tenente Sulu.
‒ Dirigiamoci verso il nostro sistema solare, velocità sette.
. . .
Quello che la luna sembrava, vista dall’esterno, era
un'enorme roccia grigia
piena di avvallamenti e depressioni. La base, costruita ormai da
decenni, era
stata una delle prime conquiste della Federazione. Il primo sbarco sul
satellite, tanto caro al pianeta Terra, era stato il più
grande dei successi
del centro spaziale statunitense.
Quello che era accaduto quella stessa mattina (o almeno sulla Terra
sarebbe
stata l'alba) aveva spiazzato tutti gli occupanti della base.
L'attacco che aveva li aveva allarmati non era stato registrato, non
veramente.
Nessuno era certo di chi o cosa avesse invaso il territorio con
l’ausilio dei
siluri fotonici. Non avevano capito chi fossero i nemici e quindi non
erano
fuggiti.
Jamie, archeologa in visita al satellite, era riuscita a scappare verso
la
stazione delle comunicazioni. La sua folle corsa era stata una
disarmante lotta
sia contro il tempo, che contro la violenza di chi aveva deciso di
sterminarli.
Il suolo tremava e poteva sentire le costruzioni scoppiare fuori
dall'edificio,
era certa del fatto che presto sarebbero arrivati anche lì,
ma non c'era
nient'altro che potesse fare: doveva chiedere aiuto! Aveva aperto un
canale e
cercato di contattare chiunque fosse disposto ad accogliere la
chiamata. La Flotta
che controllava il sistema sembrava essere scomparsa e nessuno le
rispondeva.
Quando l’edificio situato a pochi metri dalla struttura delle
comunicazioni, fu
fatto scoppiare, tutto tremò sotto la schiacciante potenza
dell'onda d'urto.
Jamie riuscì a mantenere il sangue freddo, o almeno ci
provò, perché la sola
cosa che contava in quel momento era il riuscire a contattare qualcuno,
chiunque, basta che rispondesse.
‒ Vi prego, la base lunare è stata attaccata ‒
esordì con voce tremante. ‒ Non
sappiamo con certezza chi sia stato a cominciare l'assedio, penso siano
Klingon... Vi prego, se sentite questo messaggio, aiutateci.
Fu tutto quello che riuscì a registrare prima d'inoltrarlo
fuori dai confini
del sistema, sperando che venisse intercettato al più
presto. Le sue preghiere,
però, furono spezzate dal boato che si propagò
per l’ambiente ormai diroccato.
Riuscì solo a registrare il mostruoso rombo e a notare
appena le colonne
portanti dell'edificio che cedevano, prima di perdere del tutto
coscienza.
2 giorni dopo
Quando l'Enterprise riuscì ad entrare nell'orbita della
luna, Kirk ordinò di
preparare una squadra e di sbarcare sulla superficie del satellite. Non
era
certo d’aver compreso ciò che era successo
soltanto due giorni prima, la Federazione
aveva comunicato che c'era stato un attacco e che nessuna delle navi
operanti
aveva dato segni di vita. Sembravano essere letteralmente scomparse nel
nulla.
Il centro di comando aveva, pertanto, incaricato Jim ed il suo
equipaggio
d’intervenire per scoprire chi avesse attaccato.
Jim stava giocherellando con il torsolo di una mela, erano appena
arrivati e
dallo schermo riusciva a scorgere la sfera grigia, ricoperta di
crateri. La
osservava incuriosito mentre i suoi pensieri correvano rapidi a quando
era
piccolo e spesso, la notte, si soffermava ad osservare il cielo. Si era
sempre
chiesto come fosse vederla da vicino, se suo padre, prima di lui,
l'avesse mai
visitata. Ma di certo doveva essere così. Suo padre era
stato un grande
comandante, per quanto poco fosse durato il suo mandato.
Non lo aveva mai ammesso apertamente, forse perché in
verità non ci aveva mai
creduto neppure lui, ma era sempre stato adirato con
quell’uomo, per lui
sconosciuto. Sin da piccolo era stato costretto a sorbirsi storie su
quanto
illustre, brillante e intelligente fosse: un vero eroe,
insomma. Ma il
piccolo Jim non se
n'era mai fatto niente di quelle patetiche e futili fiabe per mocciosi;
a lui
non era mai servito il sapere d’essere il figlio di un eroe.
Spesso aveva parlato
con la luna, immaginando che questa fosse proprio quel grande capitano
di cui
tutti gli avevano parlato. Più volte, infatti, si era
ritrovato ai confini
della fattoria dove viveva con sua madre e aveva imprecato contro quel
disco
luminoso che si stagliava nel cielo buio.
‒ Perché non hai lasciato il comando a qualcun
altro?!
Non aveva però ottenuto risposta. Mai.
Eppure ora capiva e sapeva come si era dovuto sentire suo padre in
quegli
ultimi, folli attimi della sua esistenza con il futuro di ottocento
vite a
gravare sulle spalle.
‒ Capitano, sulla superficie rilevo delle forme di vita. Non riesco a
capire se
siano superstiti oppure nemici. ‒ La voce del primo ufficiale Spock
interruppe
il flusso dei suoi pensieri, riportandolo brutalmente alla
realtà. Jim si voltò
a guardarlo, molto probabilmente aveva capito che qualcosa lo stava
turbando; alle
volte quel vulcaniano rigido e apatico sembrava leggerlo con una
facilità che
nessuno era mai riuscito ad avere.
‒ Non è il momento per perdersi nei propri pensieri. ‒ Spock
gli parlò con voce
bassa e confidenziale. Era la voce di un amico, non il rimprovero di un
soldato.
Erano rari i momenti in cui si soffermavano a parlare come due
semplici persone e
non come comandante e vice.
‒ Sì, sì, lo so. Prepari una squadra e convochi
McCoy, ci servirà nel caso ci
siano dei feriti ancora coscienti. ‒ Spock annuì, senza
tuttavia muoversi da
dove si trovava.
‒ Che c'è? ‒ sospirò il capitano, passandosi
nervosamente una mano tra i
capelli biondi.
‒ Ci sono domande che continueremo a porci per il resto della nostra
vita, ma
nessuno sarà mai in grado di rispondere. Persino la logica
non riuscirà a darci
una spiegazione; ma proprio essa c’impone di andare avanti e
fare ciò che
dev’essere fatto.
Kirk sbuffò divertito: ‒ A volte mi chiedo se lei abbia un
cuore! ‒ Spock inarcò
un sopracciglio, così com’era solito fare quando
trovava bizzarre le
affermazioni del capitano.
‒ Non sarei vivo, se non lo avessi.
Due ore dopo, la squadra di soccorso sbarcò sulla superficie
lunare; Kirk,
Spock, McCoy con le guardie di sicurezza Kinsey e Goode.
Il paesaggio che li accolse era paragonabile ad uno scenario
apocalittico: gli
edifici che costituivano la base erano stati completamente rasi al
suolo, mura semi
distrutte si reggevano in piedi, ma sembravano anch'esse sul punto di
crollare.
Non c'era fumo, molto probabilmente era andato diradandosi in quei due
giorni
che l'Enterprise aveva impiegato per arrivare.
Jim avanzò di qualche passo, guardandosi intorno attraverso
lo schermo del
casco di protezione. Avevano indossato le maschere d'ossigeno ed ora i
rumori
degli altri compagni, che respiravano attraverso i tubi, erano un
sottofondo
macabro che rendevano la visione di quello scenario, ancora
più terribile.
Cominciarono a muoversi in gruppo, avanzando tra le macerie e i corpi
(quelli
che non erano bruciati nelle esplosioni) ustionati.
McCoy pronunciò un oh, a
metà tra
l'inorridito e lo spaventato, alla vista di due bambini accatastati
l'uno
sull'altro. Entrambi erano biondi, probabilmente gemelli; il maschio
era
riverso sulla ragazzina con le braccia avvolte intorno al suo busto:
forse aveva
cercato di farle da scudo.
‒ Bones ‒ lo richiamò Kirk, tentando di non lasciar
trasparire il proprio
sgomento a quella visione.
‒ Erano solo... ‒ Il medico non riuscì nemmeno a terminare
la frase, tanto era
l’orrore che provava.
‒ Andiamo ‒ lo spronò Jim, prendendolo per un braccio.
‒ Capitano, il tricorder ha registrato altre forme di vita, sembrano
essere lontane
pochi chilometri da qui ‒ lo informò Spock.
Il capitano annuì: ‒ Pensa che ci possano essere dei
superstiti? ‒ Il vice
inclinò il capo di lato. ‒ Dobbiamo tentare.
‒ Puntate i phaser sul livello tre, non possiamo sapere se ci troveremo
dinnanzi
a dei nemici o a dei sopravvissuti ‒ ordinò a tutta la
squadra.
Si allontanarono quindi da quello che era ormai lo scheletro della
base,
camminando in direzione delle forme di vita registrate dal computer.
Il territorio era completamente deserto, non vi erano altre costruzioni
e
neppure segni di alcun passaggio umano e non.
‒ Chi avrà mai potuto fare una cosa del genere? Jim,
è... atroce.
A parlare era stato il primo ufficiale medico, ancora scosso, come
tutti loro,
dalla tragedia nella quale si erano ritrovati.
‒ Non lo so, ma, credimi se ti dico che la mia intenzione è
di prenderli e
farli a brandelli.
‒ E dove diavolo sarà finita la Flotta?
. . .
Non avevano scovato nessun nemico.
Erano ormai tre giorni che sia il tricorder che il computer di bordo
segnalavano forme di vita sulla superficie lunare, ma pur controllando
minuziosamente, non avevano trovato nulla.
E non capivano come fosse possibile… Inoltre, il mistero
s'infittiva perché,
non riuscendo neppure a contattare la Spartacus ovvero la nave spaziale
che
avrebbe dovuto occuparsi dell’intero sistema.
Kirk tentava di darsi una spiegazione, Spock cercava di avanzare
ipotesi
logiche, ma nessuna di esse faceva al caso loro. La
verità era che non
avevano la più pallida idea di quanto stava succedendo.
Erano al cospetto di una sfinge che richiedeva loro di risolvere un
enigma, ma
non gli offriva alcun indizio.
‒ Capitano, la squadra è appena rientrata ‒ disse il tenente
Sulu.
Kirk stava controllando la geografia del satellite, aveva segnato di
rosso le
zone perlustrate, ma non restava più molto da controllare.
Tentava di non
perdere le speranze, non era mai stato il tipo d'uomo che si abbatteva
facilmente.
C'è sempre una via d'uscita.
C'è sempre una soluzione.
Li ripeteva come mantra, nella sua mente, erano un credo o una fede. Ma
il non
essere riusciti a salvare nessuno, aver dovuto vedere con i propri
occhi la
devastazione che la crudeltà di qualche essere aveva
prodotto, avevano scosso
tutti. E anche lui.
‒ Hanno trovato qualcosa? ‒ chiese, passandosi una mano sulle palpebre
affaticate. Erano tre giorni che non riusciva a chiudere occhio:
l'immagine di
quei bambini gli ritornava alla mente non appena provava ad
addormentarsi. Era
una figura fissa nel buio della propria mente che si riaccendeva non
appena lui
tentava di oscurare le atrocità viste e trovare un
po’ di pace nell’incoscienza
del riposo.
Sulu tentennò, aveva paura di dargli
un’altra delusione. Kirk se ne accorse
e sorrise tristemente.
‒ Capisco… ‒ disse. Per molto tempo rimasero in silenzio a
contemplare le
carte. Jim segnò un'altra zona di rosso, quella appena
controllata dalla
squadra che aveva fatto ritorno sulla nave. Si chiedeva come fosse
possibile
che non riuscissero a recuperare le forme di vita che i macchinari
della nave
avevano rilevato. Non erano difettosi, li avevano controllati
più volte e
funzionavano alla perfezione.
La porta della cabina si aprì con un fruscio e
Spock fu presto nella sua
visuale.
‒ Capitano ‒ disse, semplicemente. Kirk lo guardò di
sfuggita, poi riportò lo
sguardo alle carte. In quei giorni aveva cercato di evitare ogni
contatto
visivo con il suo primo ufficiale; era come se l’altro
riuscisse a capire con
una sola occhiata tutto quello che provava. Quel bastardo di un
vulcaniano
decodificava con un'assurda semplicità tutte le emozioni che
si trascinavano
nei suoi occhi stanchi.
Il tenente Sulu dovette intuire la tensione e si
congedò con una scusa.
Spock avanzò e si sedette silenziosamente, osservando con
attenzione il
capitano. Le spalle tese e la testa ferma sulla mappa che ormai aveva
ben
memorizzata nella mente, non facevano altro che confermare il fatto che
Jim lo
stava evitando; e sapeva anche il motivo.
‒ Non dorme da tre giorni ‒ constatò. Jim rise, ma non lo
guardò.
‒ La cosa la fa ridere? Collasserà a breve, le sue funzioni
psichiche stanno
risentendo del fatto che non dorme. Mi permetta, capitano, ma come
crede di
riuscire a governare una nave se non riesce a prendersi cura di...
‒ Basta! ‒ lo fermò Jim. ‒ Se ha finito, io starei lavorando.
I due si guardarono per alcuni secondi, Spock inarcò un
sopracciglio, ma il
capitano non riuscì a capire se su quel volto ci fosse
perplessità o magari... irritazione? No,
Spock non era il tipo da lasciarsi andare e far trapelare i suoi
sentimenti.
Pur provando emozioni umane (che a volte sfuggivano persino al suo
ferreo
autocontrollo) non avrebbe mai permesso che queste si manifestassero
attraverso
la fisicità.
‒ Anche noi stiamo lavorando, capitano, ma capirà che non
potrà darci dei
compiti da svolgere, se non riuscirà nemmeno a stare in
piedi. Jim, non è
l'unico ad esserne rimasto scioccato. È una reazione
naturale.
‒ No, non è… naturale,
Spock! Tutto questo non è normale, ma non è
per quello che voglio trovare quegli esseri il prima possibile. Voglio
che
quelle cose, qualsiasi esseri
siano, paghino per quello che
hanno fatto, che rispondano dei loro crimini.
Spock sorrise, o meglio, stirò le labbra in un
mezzo ghigno obliquo e
poggiò i gomiti al tavolo.
‒ Lei cerca vendetta? ‒ domandò e Jim lo guardò
confuso.
‒ Non sia ridicolo.
‒ Sarebbe illogico agire in nome di un sentimento come la vendetta. Noi
non
siamo giustizieri.
Il capitano sospirò, voltandosi e dandogli le
spalle, si portò una mano
alle labbra. Spock assottigliò le palpebre facendo scorrere
lo sguardo sulla
schiena del capitano.
‒ Il dottor McCoy è sconvolto quanto, se non più,
di tutti gli altri. Eppure
lavora con la vita e con la morte continuamente. Per tutti dovrebbe
essere
naturale, la morte. Prima o poi moriremo tutti.
Kirk si voltò di scatto, il suo sguardo era duro e
aggressivo e a Spock ricordò
l’espressione di una belva feroce pronta a scattare.
‒ Non dica mai più qualcosa del genere, non di fronte a me!
Il primo ufficiale si pentì di aver stuzzicato il
suo comandante, ma non
poteva arretrare, non dopo aver scatenato la sua rabbia. Aveva bisogno
di farlo
cedere, di fargli consumare quelle poche energie ancora rimaste dentro
di lui.
‒ Non intendevo offenderla, ma è logico, l'intero universo
ha un inizio e avrà
una fine. Questo ovviamente non giustifica il diritto di un essere
vivente a
togliere la vita a proprio piacimento, ma non capisco le reazioni che
si hanno
nei confronti della morte. Perché quell'immagine non le
permette di proseguire
con la sua vita? Anche lei chiuderà gli occhi, un giorno.
Jim sgranò lo sguardo, sconvolto: ‒ Ma che razza
di essere è lei? Quanto
fredda e spietata è la sua logica? Non prova un minimo di
calore in quel corpo
di razionalità e gelo? ‒ urlò e poi, Kirk rise.
Rise perché la delusione lo
attanagliava, perché Spock aveva perfettamente ragione, ma
era qualcosa
d’inaccettabile. E lui era un essere umano e
aveva passioni,
sogni e valori, non poteva lasciar crollare tutto dinanzi alla fredda
logica.
Quelle immagini, la rabbia per uno sterminio così duro non
lo lasciavano
andare.
‒ Lei è irrazionale.
‒ E lei patetico ‒ sussurrò Jim.
Non avrebbe voluto lasciarsi andare in quel modo, ma dentro
di sé si
agitava un turbinio di emozioni e di sensazioni che non riusciva a
domare.
‒ Capitano, deve lasciar andare la sua umanità. L'universo
non è la Terra. È
immenso, spietato e ci sono cose che sono molto lontane dai valori che
lei
ancora porta gelosamente con sé.
‒ I miei valori fanno di me ciò che sono, sono arrivato qui
grazie ad essi ‒
sibilò, adirato.
‒ Ma non tutti li hanno, se non è pronto ad accettare questa
semplicissima
verità allora come pretende di potersi scontrare con forme
di vita aliene?
Forme di vita che magari ritengono ciò che lei crede,
crudele e spietato.
Kirk non rispose, ci pensò sopra, ma si scoprì
incapace di farlo. Era stremato,
le sue membra erano pesanti e, dentro di sé, aveva troppe
preoccupazioni, idee
e sentimenti ribelli che lottavano tutti contro tutti per prevalere. Ma
la
stanchezza era la più potente delle necessità.
Chiuse le palpebre ormai divenute di ferro e si poggiò alla
scrivania.
‒ Ho bisogno di un caffè ‒ disse.
Spock si alzò e, silenziosamente, gli fu dietro: ‒ Ha
bisogno di riposo ‒ rimarcò,
premendogli il pollice e l'indice sul collo, abbattendolo con la sua
presa
vulcaniana.
Il capitano cedette e il primo ufficiale lo
afferrò passandogli un braccio
intorno al busto.
‒ La logica è più potente della cocciutaggine, lo
rimembri ‒ sorrise il figlio
di Vulcano.
‒ Signore, stiamo ricevendo un messaggio dalla Federazione ‒
affermò il tenente
Uhura, aprendo immediatamente un canale.
Spock si voltò verso di lei e ordinò di aprire la
comunicazione con gli altoparlanti
del ponte.
‒ Qui Enterprise, parla il primo ufficiale Spock.
Gli altoparlanti gracchiarono prima che il messaggio si diffondesse per
la
cabina di comando.
‒ Enterprise! Enter... ‒ La conversazione fu interrotta da
un'esplosione.
Spock inspirò mantenendo la calma e riuscì a
percepire Nyota sussultare dietro
di lui. D'un tratto l'intera cabina si era fermata, proprio come era
successo
quando avevano ricevuto il primo messaggio dalla luna.
‒ Enterprise! ‒ urlò ancora qualcuno.
‒ Siamo in ascolto, cosa sta succedendo? ‒ rispose il vulcaniano.
Il tenente Chekov si alzò, avvicinandosi al computer di
bordo, dove cominciò a
lavorare febbrilmente per intercettare da quale base arrivasse la
chiamata.
‒ Ci stanno attaccando! Stanno... stanno impazzendo tutti!
Spock si sedette al posto di comando, Chekov gli fece segno di
continuare la
conversazione: aveva bisogno di altro tempo per riuscire a
identificarne la
provenienza.
‒ Chi vi sta attaccando? Non riusciamo a capire da che base ci stiate
intercettando ‒ insistette il primo ufficiale, ma non ci fu risposta:
la
conversazione era stata troncata.
‒ Ah! ‒ urlò il secondo ufficiale.
‒ Comandante, è riuscito ad intercettarli?
Il giovane russo non si voltò, continuò
a digitare sul computer tenendo
tutti con il fiato sospeso. Spock stava già pensando a come
dirlo al capitano;
Jim lo avrebbe di sicuro ucciso per averlo messo fuori gioco. Ma sapeva
di non
aver potuto fare diversamente e inoltre, adesso che Kirk stava
riposando e che
di certo non aveva ancora recuperato tutte le energie, molto
probabilmente le
prossime mosse gli sarebbero costate uno sforzo fisico e mentale (ma
soprattutto emotivo) ancora maggiore.
Una piccola, e ribelle, parte della sua mente, si chiese come
mai fosse
così preoccupato per il capitano. Scacciò via
quella domanda che tentava di
essere inopportuna e la logica gli suggerì che, proprio
perché era del capitano
che si stava parlando, la sua preoccupazione era assolutamente
razionale. Ma
pur tentando di convincersene, non ne era poi così tanto
sicuro.
‒ Aldebaran! È la base sul pianeta Aldebaran ‒
affermò Chekov, voltandosi
trionfante.
Spock annuì e diede ordini di procedere a
velocità otto, dopodiché premette il
pulsante delle comunicazioni interne e si collegò con la
sala macchine.
‒ Signor Scott, qui è Spock. Prepari i siluri quantici, ne
avremo bisogno nel
minor tempo possibile.
‒ Siluri quantici? È impazzito? Non credo sia possibile
prepararli con così
poco preavviso, avrei bisogno di...
‒ Arriveremo alla nostra meta tra meno di otto minuti, dovranno essere
pronti
per allora. Faccia il possibile, i nemici non aspetteranno che siamo
pronti. ‒
Chiuse bruscamente la conversazione e ordinò ad Uhura di
comunicare
all'equipaggio la situazione.
‒ Comandante, il capitano...
Spock guardò Chekov e sospirò.
‒ A lui penserò io.
. . .
Il capitano Aitan Solo era al comando della U.S.S. Spartacus da quasi
cinque
anni. Era stato uno dei migliori cadetti dell'Accademia, ai suoi tempi,
e dopo
molti anni al servizio della nave operante nel sistema solare, ne era
diventato
il capitano. Aveva eccelso in ogni missione, prevalso in ogni scontro e
collezionato ferite lungo tutto il suo cammino nella Flotta Stellare,
ma non si
era mai fermato. Kirk lo guardò negli occhi, e nonostante
conoscesse bene le
gesta e la storia dell'uomo che aveva davanti, non riusciva davvero a
riconoscerlo. Lo aveva incontrato solo una volta, ma lo aveva spesso
intravisto
alle ricorrenze della Federazione. Ora quell'uomo era completamente
diverso da
come lo ricordava, a partire dallo sguardo che pareva urlare le
più oscure
minacce, all'intero corpo ricoperto di sangue. Il suo volto era
sfigurato da
un'espressione di pura malvagità e il ghigno che disegnava
le sue labbra, rosse
come il sangue, non faceva che completare la sua figura tetra. Di
sicuro,
quello non era Aitan Solo.
‒ Capitano... ‒ riuscì a sussurrare Jim, con un filo di voce.
Le parole gli morirono in gola quando l'altro uomo, senza
preoccupazione
alcuna, si chinò verso la preda che aveva dimenticato per
qualche attimo, riprendendo
quello che stava facendo prima del loro arrivo.
Il feretro svenuto, se non morto, che il capitano stringeva tra le
braccia
era quello di una donna, un'orioniana.
‒ Capitano, esigo una spiegazione! ‒ lo richiamò Jim, mentre
una cascata di brividi
gelati gli colava giù dalla schiena.
Tremò dall'intensità di quello sguardo, per la
cattiveria che vi lesse dentro.
‒ Non credo sia il capitano Solo, quello... ‒ mormorò Sulu
accanto a lui.
Kirk non gli prestò attenzione, lo sapeva benissimo che
quello non poteva
essere il capitano della Spartacus e che sicuramente, sicuramente,
ci doveva essere un errore. Ma, d’altronde, la donna tra le
sue braccia non era
un errore, il sangue verde che le fuoriusciva dal corpo non era
un disguido. Quella
era la dura realtà.
‒ Bones, è viva? ‒ Jim muoveva le labbra, articolava frasi,
ma non riusciva a
rendersi conto dei propri gesti. Era come se il suo corpo fosse
controllato da
una forza esterna, da un essere freddo che sapeva rimanere calmo di
fronte alla
più spietata e tetra delle visioni. Non era lui, o forse era
una parte di sé
che ancora non conosceva, ma era la stessa parte che gli aveva dato la
forza di
contrastare Spock durante l'invasione dei Romulani, forse.
‒ Da questa distanza riesco a stento a vederla ‒ rispose il medico.
Il capitano dell'Enterprise stava per ordinargli di accertarsene, di
riuscire a
prenderla mentre loro avrebbero distratto il capitano e il suo
esercito. Esercito.
Era come se l'intero equipaggio fosse sbarcato sul pianeta. E tutti
erano
fermi, alle spalle del loro capitano, come un branco di esseri senza
più anima,
corpi vuoti, animati dall'istinto primordiale.
Non ci fu bisogno di ordinare a McCoy di prendere la donna e salvarla:
il
capitano Solo li aiutò scattando verso di loro, sbuffando
come un toro in
carica. Kirk ebbe solamente il tempo di vedere i non
morti dietro
di lui, lanciarsi nella loro direzione, poi, l'impatto fu inevitabile.
.
. .
Il boato che
si propagò fu tanto forte, da far tremare la terra sotto i
loro piedi. Spock
incassò il capo tra le braccia, per proteggere il suo udito
da quel fracasso
infernale.
‒ Ce ne sarà un'altra? ‒ urlò il capitano Kirk
alle sue spalle. Il primo
ufficiale si voltò e lo guardò negli occhi.
Era così diverso, ora, quel bizzarro capitano,
Così diverso e spaventoso.
Non c'era logica o razionalità che funzionassero su
quell'uomo ormai schiavo
dei suoi istinti e delle emozioni umane, eppure, ora era freddo e
insensibile.
Preoccupato solo per la vita dei suoi uomini, per la sua nave... per
una donna orioniana
priva di sensi e, forse, senza più speranza.
Preoccupato per la vita.
Un capitano che non voleva sentire ragioni, rifiutava i sentimenti e
ogni
spiegazione per le azioni che aveva visto con i suoi occhi. Un uomo che
preservava l'esistenza di altri esseri, pronto al sacrificio per loro.
Si chiese chi fosse, per davvero, il suo capitano. Perché,
nonostante potesse
leggere con chiarezza quella parte umana e volubile del suo animo, non
riuscisse ad inquadrarlo. Non riusciva a rinchiuderlo in nessuno
schema,
nessuna categoria mentale. Jim era come una figura amorfa senza
confini, né
limiti. Una figura che riusciva a sorprenderlo con una semplice frase
buttata
fuori a caso, magari nei momenti meno opportuni; da uno sguardo
malinconico o
stralunato. James Tiberius Kirk era come un enigma che nemmeno lui, il
primo
ufficiale più brillante dell'intera Flotta Stellare,
riusciva a risolvere.
‒ Contatti l'Enterprise, devono farci risalire.
Spock annuì ed eseguì l'ordine del suo, ma
continuava a chiedersi come
mai. Non era una domanda rivolta a qualcosa in particolare:
forse alla
pazzia che si erano ritrovati di fronte; forse al suo capitano che lo
confondeva come mai nessuno (a parte sua madre) era riuscito a fare
prima
d'allora; forse a se stesso che permetteva ancora alla sua parte umana
di
fuoriuscire dalla gabbia in cui aveva tentato, con ogni mezzo, di
rinchiudere.
I missili quantici avevano funzionato. Nonostante avessero distrutto
quel poco
che ancora rimaneva in piedi della base su Aldebaran, avevano servito a
fermare
l'avanzata dell'intero equipaggio della Spartacus. C'erano molte cose
che non
erano ancora chiare: come avevano fatto a distruggere la base lunare,
eludendo
il controllo delle navette segrete della federazione; cosa era successo
per far
sì che più di duecento persone impazzissero in
tal modo.
Kirk
continuava ad interrogarsi sui perché, si chiedeva se non
avesse magari potuto
risparmiare un danno così consistente all'intera Flotta e
alla sua coscienza.
Sterminare così tante persone: a cosa era servito?
La forza che si era impossessata di lui su Aldebaran era scomparsa. Ora
quello
che restava era lui stesso e la sua morale che lo accusavano di
assassinio. Ma Jim
aveva solo cercato di placare un male maggiore.
Ripensò all'orioniana che erano riusciti a salvare per
miracolo. Quando
l'avevano portata sulla nave era in fin di vita, ma Bones l'aveva
rimessa in
sesto. Con quella donna non avevano salvato solamente una vita, ma
molte altre.
Avevano preservato esistenze, interi pianeti.
Se la Spartacus fosse uscita dal sistema prima che loro potessero
fermarli,
sarebbe stato difficile localizzarli. Aveva solo schiacciato un insetto
prima
che mettesse radici e si riproducesse, ma allora perché la
sua anima lo
macchiava di reati che non aveva
commesso? Perché si dava
dell'assassino? Le sue domande non ottenevano risposta e tutte le
futili
giustificazioni che cercava, non servivano a placare la vergogna che
gli gravava sulle spalle.
‒ Capitano, ho completato il mio rapporto.
Spock interruppe il flusso dei suoi pensieri, raggiungendolo in cabina.
Kirk sollevò lo sguardo verso di lui, ma non si
ritrovò a non saper cosa dire.
Parlare con il vulcaniano di solito lo divertiva, altre volte invece
gli permetteva
vedere le cose da un punto di vista differente, ma in quel momento non
sarebbe
servito a molto. Era convinto che la sua testarda natura umana non
avrebbe
accettato alcun compromesso proposto dal suo primo ufficiale. Spock,
dal canto
suo, lo guardò a lungo, con uno sguardo che dimostrava
chiaramente la lotta che
stava avvenendo dentro di sé e questo non era logico.
Allo stesso tempo
però, si chiese che cosa fosse logico, quando
c’era di mezzo il capitano Kirk.
‒ Non accetterà nessuna ragione, suppongo ‒
mormorò il primo ufficiale, posando
il registratore sulla scrivania.
Il capitano scosse il capo, ma non parlò. Jim si sentiva
come uno stupido
moccioso colto a fare qualcosa di sbagliato. Aveva vergogna di
sé.
‒ Che cosa li ha fatti impazzire? ‒ chiese dopo alcuni minuti di
silenzio.
Spock abbassò il capo ed alzò le spalle in un
gesto così umano che
sorprese il capitano.
‒ Non possiedo sufficienti informazioni per rispondere a questa
domanda. Posso
solo avanzare delle ipotesi, ma senza prove, né
testimonianze dirette sarà difficile
arrivare in breve tempo ad una risposta logica. Il dottor McCoy suppone
che
potrebbe essere una malattia o un’infezione, ma le sue,
così come le mie, sono
solo ipotesi.
‒ La Federazione non lascerà correre questa storia, avremo
un sacco di rogne
per la distruzione della Spartacus e dell'equipaggio.
Spock sollevò un sopracciglio nel sentire quelle parole: ‒
Andava fatto ‒ gli
disse poco dopo.
‒ Andava fatto ‒ ripeté il capitano. ‒ Cinque mesi, sette
giorni e undici ore
da capitano e vi porto già tutti in un'aula di tribunale.
Spock sospirò, forse divertito forse no. La sua
gestualità era indecifrabile
agli occhi di Kirk.
‒ Lei è un capitano, ogni sua decisione sarà
sempre presa per un motivo più che
valido. Quello che è successo oggi era logico, in mancanza
d’alternative
abbiamo agito così come andava fatto, lei ha dato
ordini razionali.
La salvaguardia dell'universo e la morale sono sempre cose che andranno
in
contrasto tra loro.
‒ È una guerra… dentro di me, intendo ‒
confessò Jim. ‒ Lei non sente niente di
tutto ciò e a volte la invidio.
Il primo ufficiale parve incerto, fu solo questione di attimi, ma il
suo
sguardo lasciò trapelare una sorta d'inquietudine.
‒ Siamo solo diversi ‒ rispose Spock.
‒ Già! ‒ Kirk sorrise e si alzò, dirigendosi
fuori dalla cabina mentre il suo
secondo in comando lo seguiva fino all'ascensore.
‒ Lei è di riposo, signor Spock. Non venga a disturbare sul
ponte ‒ rise il
capitano. Un riso amaro, che sapeva di consolazione. Prima che le porte
si
chiudessero però, il primo ufficiale aprì le
labbra e prese aria:
‒ Tutti abbiamo un lato oscuro. Un po' come la luna che ha la sua
metà oscura.
Tutti siamo fatti di buio, ma non sempre quella parte è
immorale. Su quel
pianeta, in quella situazione, anche lei ha lasciato libero spazio alla
sua
ignota metà di sangue freddo e indifferenza, innaturale per
gli umani, eppure
ha salvato non solo tutti noi, ma anche le altre basi del sistema e la
stessa
Terra, la sua casa ‒ disse, tutto d'un fiato.
Kirk, per qualche istante lo fissò confuso, furono le porte
dell'ascensore a mettere
fine alla loro conversazione. Il capitano rimase in silenzio a
rimuginare su quelle
parole, sentendo dentro di sé un vivo calore per la prima
volta da quando aveva
fatto ritorno sulla nave. Un qualcosa di ben lontano dalla gioia o
dalla
consolazione; era più un tepore, pallido e insicuro, proprio
come lo sguardo
che aveva avuto Spock nel confidargli quelle parole. Un tepore, che si
fece
largo nel suo cuore e che lentamente, ma gradualmente, lo avrebbe
accompagnato
a conoscere a fondo se stesso e il lato oscuro della sua anima.
Fine
N/A:
Spero
di rivedervi presto, con la prossima
one-shot
della raccolta.
Kisses.