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Autore: HisLovelyVoice    27/05/2013    3 recensioni
- In famiglia siamo quattro. - Dissi, mostrandole quattro dita, come mi aveva insegnato la mamma. - Siamo io, mamma, papà e mia sorellina di due anni. Mamma e papà mi vogliono molto bene e mi hanno regalato un cane. Si chiama Fido, anche lui fa parte della mia famiglia. - la maestra mi sorrise, pensando che la mia fosse una famiglia molto felice. Non immaginava che in realtà mio padre picchiava me e la mamma. Non immaginava che io, a soli sei anni, dovessi difendere la mia sorellina. Non immaginava che il cane era stato comprato per infliggermi alcune punizioni. No, non poteva immaginarlo.
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Avevo solo nove anni!
 
- Piangere è da femminucce. -
Quante volte abbiamo sentito qualcuno affermare una cosa del genere, quando un ragazzo scoppiava a piangere? Tante. Troppe. Eppure di solito non si andava oltre. Nessuno avrebbe mai picchiato un bambino solo perché stava piangendo. Nessuno, tranne mio padre.
Ero triste. Ero molto triste. Mio padre aveva picchiato di nuovo mia madre, e io non avevo potuto fare niente, poiché lei mi aveva chiesto di portare in camera mia Annabelle. Lo sapevo perché me lo chiedeva: aveva solo cinque anni, non poteva assistere a certe scene. Ma io volevo difendere mia mamma, non volevo che venisse picchiata da mio padre. Perché lei non aveva fatto niente di male, aveva solo preparato la cena. Era anche molto buona, ma papà l’aveva picchiata lo stesso.
- Non sai fare  niente! Nemmeno preparare una semplice cena! - Aveva urlato appena ebbe assaggiato un boccone di carne.
Ero chiuso in camera mia, abbracciato ad Annabelle. Tremava, tremava di paura. Se non potevo proteggere la mamma dovevo proteggere lei. La strinsi forte a me.
- Fratellone, io ho paura. - Ammise tra i singhiozzi, allontanandosi leggermente da me. Piangeva disperata, i suoi bellissimi occhi azzurri erano diventati rossi, per tutte le lacrime che stava versando. Le misi un boccolo ribelle dei suoi capelli neri dietro l’orecchio, come faceva sempre la mamma, e le sorrisi, provando a rassicurarla.
- Tranquilla, andrà tutto bene. - Le dissi. Lei mi sorrise e si riaccoccolò tra le mie piccole braccia. Mi comportavo da grande, anche se alla fine avevo solo nove anni. Dovevo essere per Annabelle un punto di riferimento, il fratello maggiore. Non potevo mostrarle tutta la mia paura, o sarebbe crollata definitivamente.
Sentimmo un tonfo provenire dal piano di sotto. Sobbalzammo, immaginando già cosa era successo. Poi, sentimmo dei passi sempre più veloci salire le scale.
- Veloce, mettiti sotto il letto! - Sussurrai ad Annabelle. Lei mi guardò impaurita, poi scosse la testa. La spinsi delicatamente in direzione del letto. - Ti prego, fallo per me. - La implorai. I passi erano sempre più pesanti e la paura stava crescendo vertiginosamente. La mia paura più grande era che mio padre potesse far del male a mia sorella. Non volevo che accadesse, non doveva accadere.
Annabelle allora mi diede un bacio sulla guancia e si tuffò sotto il letto appena in tempo.
Infatti in quel momento la porta si spalancò.
- Sei qui, allora, brutto mostriciattolo fifone! - Esclamò mio padre appena mi vide. Avevo paura, molta paura, come sempre, ma non potevo darlo a vedere. Altrimenti mi avrebbe picchiato più forte e poi se la sarebbe presa con Annabelle. E io non potevo permetterlo. Rimasi seduto a terra e aspettai che lui si avvicinasse, in silenzio. - Hai perso la lingua, per caso?! - Mi ringhiò contro. Scossi debolmente la testa.
- No. - sussurrai. Mio padre sorrise. Ma non era un sorriso dolce, come quelli della mamma. Era carico di cattiveria, di odio. Si avvicinò sempre di più, poi mi prese per il colletto della maglietta e mi sollevò da terra. Emisi un gemito, che provai a mascherare con un colpo leggero di tosse.
- Bene! Adesso ti faccio vedere io cosa succede a chi si nasconde! -Urlò. Sentii un odore strano provenire dalla sua bocca. Era aspro, ero sicuro di averlo già sentito, ma non mi ricordavo a cosa appartenesse.
Mi lasciò cadere a terra. L’impatto mi causò un dolore fortissimo al braccio sul quale ero atterrato. Le lacrime premevano per uscire, ma non potevo permetterglielo. Ma i colpi aumentarono, ed una lacrima scese sul mio volto. Provai ad alzare il braccio per asciugarla e sfregarmi gli occhi, ma un calcio in pieno stomaco me lo proibì. Mio padre si abbassò su di me e mi sferrò alcuni pugni in pieno viso.
- Non devi piangere, hai capito?! Piangere è da femminucce, idiota! - urlò nel mio orecchio. Per qualche istante pensai di aver perso l’udito, ma mi ricredetti quasi subito, appena sentii il rumore di un mio osso rompersi.
Il dolore che provavo lungo tutto il corpo man mano che i colpi aumentavano era veramente forte, ma niente era in confronto alla sofferenza che provavo nel sapere che mia sorella stava vedendo tutto. ‘Mi dispiace.’ Pensai, rivolgendomi a lei. ‘Non sono così forte.’ La vista si appannò, e solo in quel momento mi ricordai a cosa appartenesse quell’odore acre: all’alcol. Poi l’oscurità prese il sopravvento su tutto, compreso il dolore.

****

Quando mi svegliai provai un dolore fortissimo ovunque, soprattutto alla caviglia destra. Ero disteso su un letto. Non riuscivo ancora ad aprire gli occhi, ma sentivo che qualcuno era vicino a me. Provai a muovermi, ma una fitta allo stomaco me lo impedì. Emisi un gemito di dolore. Speravo solo che in quel momento mio padre non fosse nei paraggi, altrimenti sarei stato picchiato di nuovo.
- Shhh, è tutto finito, tesoro, è tutto finito. Ci sono qua io, ora. - La voce di mia madre mi tranquillizzò. Sorrisi debolmente, nel sapere che mio padre non c’era. Sapevo che era sbagliato essere felice di non avere il padre nei paraggi, ma dopo quello che stavo passando speravo sempre di non vederlo.
Piano piano riuscii ad aprire gli occhi. Subito, davanti a me, apparve il volto angelico di mia madre alla mia destra. Era preoccupata, lo si vedeva, ma sorrideva. Poi, notai sulla sua fronte della garza bianca.
- Mamma, cosa ti è successo? - Chiesi, indicandole debolmente la medicazione. Lei corrugò la fronte, poi portò la mano dove stavo indicando. Sentendo la garza sotto le sue dita si illuminò, capendo finalmente, o forse fingendo di capire solo in quel momento, a cosa mi riferissi.
- Intendi qui, dove c’è questa garza? - Annuii. - Non è niente, tesoro, tranquillo. Sono solo scivolata per le scale mentre venivo qui. -
- È stato papà, vero? - Chiesi, non credendo a ciò che mi aveva detto. Sospirò, chiudendo gli occhi. Avevo indovinato. Chissà cosa gli aveva lanciato questa volta. Qualche giorno prima le aveva lanciato un vaso, ancora prima un piatto di coccio.
- Si, è stato lui. Ma tranquillo, non mi fa male. Ora pensa a riposarti. - Mi diede un bacio sulla fronte ed uscì dalla mia cameretta.
Ero solo ora, solo con tutto il mio dolore. Guardai la caviglia destra, che mi stava facendo veramente molto male. Era fasciata da una garza bianca, come quella che mia madre aveva sulla fronte. Provai a muoverla, ma non ci riuscii. ‘Direi che è rotta.’ Sospirai. Ormai era la normalità per me essere picchiato, ma ogni volta sentivo che c’era qualcosa di sbagliato. Spesso i miei compagni di classe mi parlavano delle loro famiglie, e non era mai capitato che qualcuno avesse dei genitori che li picchiassero. Forse mentivano come me, ma nei loro occhi vedevo qualcosa che nei miei mancava: la felicità. Già, io non ero felice. A soli sei anni avevo dovuto prendere sulle mie spalle le responsabilità di un uomo adulto. Perché se la mamma veniva picchiata, chi difendeva Annabelle? Io. Solo io potevo farlo.
Solo qualche giorno prima avevo capito che ciò che avevo sempre detto a tutti riguardo alla mia famiglia era una balla colossale.  Mio padre non mi voleva bene. Non mi aveva comprato il cane per giocare. Lo aveva comprato per farmi passare tutta la notte nella sua cuccia, tra ringhia, morsi e graffi. E poi quando andavo a scuola dicevo che mentre giocavo con Fido a rincorrerci, mi aveva raggiunto e buttato, per sbaglio, tra dei rovi.
Iniziai a piangere. Ora che ero solo potevo farlo tranquillamente. Nessuno mi avrebbe visto. Mio padre non mi avrebbe visto. Avevo solo nove anni, diamine! Nessun bambino di quell’età merita di essere picchiato, soprattutto se senza motivo. Forse però un motivo c’era. Ma io continuavo a non trovarlo mai. La mamma mi diceva sempre che ero un bravo bambino. Anche le maestre me lo ripetevano. E allora, cosa facevo di sbagliato con mio padre? Volevo saperlo, per poter cercare di non essere picchiato. Forse non lo stavo rendendo orgoglioso di avermi come figlio. Forse dovevo cambiare qualcosa.
I miei pensieri vennero interrotti dall’aprirsi della porta. Asciugai in fretta le lacrime, e chiusi gli occhi.
- Fratellone, sei sveglio? - Aprii gli occhi e vidi Annabelle appesa alla maniglia della cameretta. Appena vide che ero sveglio mi sorrise e trotterellò fino al bordo del mio letto. - Ti fa male tutto? - Chiese preoccupata.
- Si, ma non ti preoccupare, passerà, come le altre volte. - Le risposi accarezzando i suoi morbidi capelli.
- Ma perché papà ti ha picchiato di nuovo? - Mi chiese innocentemente. Sospirai. Avrei tanto voluto che qualcuno rispondesse a questa domanda anche a me.
- Non lo so Annabelle, non lo so. - Ammisi.
- La maestra ci ha detto che se vieni punito è perché hai fatto qualcosa di brutto. - Sorrisi, nel ricordare la maestra Angie. Aveva insegnato anche a me quelle parole, ma ormai non ci credevo più. Se mio padre voleva picchiarmi, mi picchiava, finiva là la storia.
- Lo so, lo aveva detto anche a me. Ora però non mi va di parlarne, scusami. - La guardai. Aveva ancora tanta paura, i suoi occhi erano ancora rossi. - Papà è ancora a casa? - Chiesi, timoroso di ricevere una risposta affermativa. Ma fortunatamente Annabelle scosse la testa.
- È uscito quando ha finito di picchiarti. - Sussurrò abbassando lo sguardo. Le alzai il volto con due dita e la guardai negli occhi.
- Stai tranquilla, ora è tutto finito. - La rassicurai, anche se sapevo che quando mio padre fosse tornato, avrebbe potuto picchiare me  e la mamma di nuovo. Annabelle mi sorrise debolmente, poi mi diede un bacio sulla guancia.
- Grazie mille fratellone, per tutto. - Disse, per poi uscire e tornare probabilmente in camera sua.
Guardai l’orologio: erano le undici di sera. Solo in quel momento mi ricordai di dover finire i compiti per il giorno dopo. Provai a poggiare la caviglia destra a terra, ma non riusciva a sopportare il peso del mio corpo. Mi faceva malissimo, ma se non avessi fatto i compiti avrei potuto prendere una nota, e questo significava solo una cosa: botte più forti. Mi alzai saltellando sul piede sinistro. Presi i libri e i quaderni di matematica, storia e italiano, l’astuccio e il diario e posai tutto sulla scrivania sempre saltellando su un piede. Poi mi sedetti sulla sedia e iniziai con la mia materia preferita, matematica, a fare i compiti.
Terminai solo alle tre di notte, e mio padre, fortunatamente, non era ancora tornato. Rimisi tutto a posto, poi mi infilai il pigiama e mi allungai sotto le coperte. Speravo solo di addormentarmi il prima possibile e di risvegliarmi in un’altra casa con la mamma e Annabelle felici. Finalmente felici.







HEI :D
questo è il primo capitolo di questa storia.
inizio subito precisando che ci saranno altri 3 capitoli in cui si parlerà di alcune punizioni, più o meno violente, di Ethan.
la vera e propria storia romantica inizierà subito dopo. c:
cosa ne pensate di questo capitolo? 
sarei felicissima di saperlo <3
ringrazio coloro che hanno recensito il prologo, i lettori silenziosi e chi ha inserito la storia tra le preferite e seguite :D
grazie mille
un bacio
Giulia xxx

  
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