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Autore: Imafucking_monster    27/05/2013    0 recensioni
Hello hello! Questa è la mia prima storia qui, omg. Spero che vi piaccia!
In poche parole, il mio amico Andrew che abita in Australia poco tempo fa mi ha detto di essersi fatto un mega film mentale sul nostro primo incontro e io, da brava sognatrice quale sono, l'ho fatta diventare qualcosa di più. Inizialmente volevo scrivere un One Shot, ma poi le idee erano troppe e non ce l'ho fatta. Scusate. :c
Quello che dovete sapere è che la maggior parte di quello che "faccio dire" ad Andrew mi è stato detto veramente (spoiler: soprattutto nel primo capitolo, durante la confessione all'aeroporto. Capirete). Niente, volevo precisare.
Uhm, spero che vi interessi almeno un po', fatemi sapere che ne pensate e magari datemi qualche consiglio!
Buona lettura.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Chiusi gli occhi, respirai a fondo, li riaprii. Il sole mi ferì gli occhi, così li richiusi. Il cuore mi batteva a mille. Mi appoggiai al sedile della macchina. – hey Giulia, stai bene? – sentii la voce di mio cugino che mi riportava alla realtà, mi limitai ad annuire.
Il motivo di tutta questa agitazione? Stavo andando a prendere (accompagnata da mio cugino Luigi e la mia migliore amica Miriam) Andrew all’aeroporto.
Andrew ha diciotto anni e abita in Australia; ci siamo conosciuti grazie ad un social network di nome Tumblr e da allora avevamo cominciato a chattare e ci eravamo affezionati l’uno all’altra, solo come amici ovviamente. Entrambi eravamo stati delusi troppe volte dell’amore e avevamo deciso che è una cosa che non faceva per noi, e mentre lui si dava alla pazza gioia con varie ragazze, io mi limitavo ad ammirare membri di band famose o artisti che hanno fatto la storia che ora hanno 70 anni e che ovviamente non sanno della mia esistenza.
Presi un'altra volta un bel respiro per evitare un attacco d’ansia quando vidi l’enorme parcheggio dell’aeroporto quasi interamente pieno, proprio davanti ai miei occhi. Avevo sperato fino all’ultimo in un guasto alla macchina durante il tragitto, o in una cancellazione improvvisa del volo, ma invece non era successo nulla e ora mi ritrovavo a mezz’ora da quello che definivo “il giorno più bello ma anche quello più brutto della mia vita”.
 Luigi trovò subito parcheggio, spense la macchina, aprì la portiera e con un sorriso mi fece cenno di scendere. Lentamente scesi dalla macchina, le gambe mi tremavano e non riuscivo a smettere di guardarmi in giro terrorizzata. La mia amica Miriam si avvicinò a me, mi abbraccio e dolcemente mi sussurrò in un orecchio: - stai tranquilla tesoro, andrà tutto bene. Vedrai che vi divertirete insieme! – mi strinse forte e io chiusi gli occhi. Il vero problema non era quello di conoscere di persona uno dei miei amici più cari, ma semplicemente avevo paura di non essere all’altezza. Lui mi aveva sempre e solo visto via foto e non avevamo mai parlato di persona, perciò avevo paura di deluderlo.
Attraversammo il parcheggio a piedi, la mia amica e mio cugino parlavano e scherzavano tranquillamente mentre io me ne restavo indietro in silenzio cercando di reprimere un attacco d’ansia. Finalmente entrammo in aeroporto: era tutto grande, sembrava tutto sproporzionato al mondo reale ed era tutto troppo bianco ed etereo per essere vero. Sembrava quasi di essere in un ospedale, ma al posto degli infermieri e dei pazienti c’erano hostess, steward e tantissime persone con valige enormi. Andammo alla reception e chiedemmo del volo che arrivava dall’Australia. La hostess che ci indicò dove andare fu molto carina e la cosa mi tranquillizzò un po’.
Quando arrivammo al gate mancava ancora mezz’ora, così ci sedemmo su delle poltroncine verdi e scomode. Miriam cercava di farmi parlare per farmi tranquillizzare, ma non funzionò. Poi mi guardò negli occhi intensamente e mi chiese: - di cosa hai paura? – io ricambiai lo sguardo e dopo aver preso due respiri profondi le risposi semplicemente “di tutto”. Restammo in silenzio per alcuni minuti, poi iniziai a parlare velocemente. Sentivo che dovevo parlare, dovevo sfogarmi e “sputare fuori” tutto. – sai cosa mi spaventa di più? – lei mi guardò e si limitò a scuotere la testa. – ho paura di…affezionarmi troppo. Non voglio avere un’altra relazione a distanza, capisci? Non voglio più innamorarmi per ora, né soffrire. Non sono pronta. E sai perché ho paura di tutto questo? Perché lui una volta, quando era ubriaco, mi ha confessato di essersi preso una cotta per me e mi ricordo ancora che mi ha scritto “I don’t know if you care, but I just need to let you know that i love you and if you ever feel  alone, always know that your heart is with me because yeah I love you”. Quindi…quindi non lo so. Ho paura di fare un casino. Ho paura e basta.– silenzio. Miriam mi abbracciò di nuovo. – non dovresti avere paura – disse mentre mi lasciava andare – se lui ti ama veramente come dice ti accetterà per quello che sei, come ha sempre fatto.

– ma come diavolo si fa ad amare una come me? – la domanda rimase a mezz’aria perché una voce metallica annunciò l’arrivo del volo proveniente dall’Australia, del suo volo. Il cuore ricominciò a battere a mille. Davvero era già passata mezz’ora? Dannazione, solo a scuola il tempo non passa mai!
Miriam si girò verso di me con un mega sorriso e si mise ad urlare – Giulia, Giulia dobbiamo preparare un cartello! Altrimenti come farà a trovarti? – prima che potessi dire qualcosa, lei si era già alzata dalla poltroncina ed era corsa in un piccolo negozio che sembrava una cartoleria e ne uscì pochi secondi dopo con un pennarello verde e un foglio enorme. Corse nella mia direzione come una furia e si buttò letteralmente a terra davanti a me e cominciò a scarabocchiare sul foglio. Mi guardai in giro e notai che tutti si erano girati e la stavano guardando male; era per questo che la adoravo. Poco dopo mi guardò soddisfatta e alzò il foglio nascondendo il suo sorrisone: “we’re waiting that sexy australian called Andrew”, era quello che aveva scritto. Scoppiai a ridere e annuii.
Lentamente mi alzai dalla sedia, presi il foglio da terra, baciai Miriam sulla guancia e le feci cenno di seguirmi. Andammo a metterci esattamente nel corridoio da dove arrivavano i passeggeri. Cercai di non darlo a vedere, ma ogni secondo che passava diventavo sempre più nervosa. Cominciai a giocare con il lembo del mio vestito a fiori che mi ero messa per l’occasione e continuavo a chiedere a Miriam e a mio cugino se erano sicuri che fossi vestita bene e se i miei capelli erano a posto, ero insopportabile.

Dopo alcuni minuti l’aereo arrivò e i passeggeri cominciarono a scendere dal volo: si vedevano persone con facce stanche che cercavano con gli occhi i parenti e, dopo averli trovati, la stanchezza si tramutava in gioia. Ero talmente concentrata a guardare le altre famiglie che a malapena sentii qualcuno che urlava il mio nome con un accento tutt’altro che italiano. Mi girai verso quella direzione e finalmente lo vidi. Eccolo, era lui. Finalmente Andrew era arrivato. Camminava verso di me e salutava con la mano. Sorrisi e prima che riuscissi ad accendere il cervello per cercare di capire cosa dovessi fare, gli stavo già andando incontro. Mi fermai davanti a lui, senza dire niente. Facevo fatica a guardarlo perché era molto più alto di me. Non dissi niente, e neanche lui. Per alcuni secondi ci guardammo e basta. L’unica cosa che riuscivo a pensare era “wow”. Andrew, esattamente lui di fronte a me: alto, moro e sorridente. All’improvviso mi abbracciò forte e io ricambiai senza riuscire a smettere di sorridere. - hello – alla fine riuscii a dire. – hello, gorgeous – rispose lui. Poi sciolse l’abbraccio senza però togliere le mani dalle mie spalle e, guardandomi negli occhi disse – ti avevo promesso due milioni di abbracci, e questo è solo l’inizio – trovai la sua voce stupenda, con quell’inglese dall’accento australiano perfetto. Sorrisi ancora di più, le guance mi facevano quasi male. – ho aspettato tre mesi per questo, ora li voglio tutti – risposi io. Mi venne naturale parlare nel mio inglese perfettamente studiato nella pronuncia. – sei…wow. – disse poi lui. – anche tu sei wow, Andrew – risposi senza staccargli gli occhi di dosso. – allora, che ne dici di uscire da qui? – chiesi. Lui annuì e ci incamminammo verso Miriam e Luigi.
Finalmente mi sentivo a mio agio. Per la prima volta in tanto tempo, non avevo paura di relazionarmi con qualcuno.
  
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