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Autore: syontai    28/05/2013    3 recensioni
La storia inizia quando vengono liberati i sette cuori di pura luce. 16 anni dopo i nostri eroi scoprono che un ottavo cuore si è rivelato, un cuore formato dai sette frammenti dei sette cuori. Una ragazza costretta a vivere rinchiusa dentro casa senza sapere il perchè, sognando che un cavaliere venga a salvarla, e un giovane castano dagli occhi verdi e molto sicuro di sè affronteranno un breve viaggio durante il quale avranno a che fare con le loro paure e i loro sentimenti...Tutto questo mentre una misteriosa organizzazione tenta di impadronirsi del cuore della ragazza.
Spero che apprezzerete questa modesta storia :D
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Violetta
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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L’ottavo cuore di pura luce
La storia ha inizio qualche anno or sono, quando Sora, il possessore del Keyblade ha liberato i cuori di pura luce e quindi…ok, forse voi lettori non sapete che cosa è accaduto, ma non vi preoccupate ci pensa il vostro narratore di fiducia a farvi un breve resoconto di questa magica avventura. Sora è un ragazzo di quattordici anni, con i capelli castani sparati e un sorriso contagioso. Insieme ai suoi amici Riku e Kairi abita in un’isola separata da tutti gli altri mondi e trascorre la sua vita tranquillamente, o almeno fino al fatidico giorno in cui Kairi viene rapita e Riku cede alle forze delle tenebre. Sora si scopre detentore di un magico artefatto, chiamato Keyblade, una spada a forma di chiave in grado di aprire i cuori delle persone e di entrare in contatto con i cuori dei mondi. Da quel giorno insieme a Paperino e Pippo parte alla ricerca di re Topolino e di Kairi. Durante il suo viaggio ha occasione di incontrare amici unici e speciali; viene a conoscenza di un’organizzazione di malvagi capitanata da Malefica che sta cercando di rubare i sette possessori dei cuori di pura luce: Biancaneve, Cenerentola, Alice, Belle, Jasmine, Aurora e per finire Kairi. Il loro obiettivo è quello di aprire le porte di Kingdom Hearts, il regno dell’oscurità che contiene l’accesso a tutti i mondi e permette di controllarli. Dopo aver sconfitto Malefica riesce infine a liberare i cuori di luce che possono tornare dai loro proprietari. Quello che i nostri eroi non possono immaginare è che nell’esatto momento in cui il Keyblade ha richiuso la serratura di tutti i mondi, un frammento da ogni cuore di luce si è separato costituendo un nuovo cuore, un cuore che brilla in attesa di trovare un’anima pura in cui trovare riposo. E qui finisce la nostra storia, anzi il nostro riassunto, perchè la storia che mi accingo a raccontare parte proprio da questo avvenimento spettacolare...
“E’ bellissima” esclamò Maria entusiasta. Era in ospedale ed aveva appena partorito; il marito German era stato in ansia per tutto il tempo facendo avanti e indietro per l’ospedale. Stava per andare a prendere il quattordicesimo caffè, quando un’infermiera gli venne incontro sorridendo: “Può entrare”. L’uomo non se lo fece ripetere due volte e si fiondò nella stanza dell’ospedale, dove vide la moglie tenere in braccio un fagotto bianco cullandolo piano con le braccia, il tutto accompagnato dalla sua dolcissima voce. German sorrise, facendosi avanti e sedendosi sul bordo del letto per stringergli teneramente la mano. “La chiameremo Violetta” sussurrò Maria, incantandosi a fissare i suoi piccoli occhi chiusi e giocherellando con la manina.
Erano passati cinque anni e quel giorno era il compleanno di Violetta. Maria stava annaffiando le rose del giardino della loro villa di Madrid. La rilassava molto praticare giardinaggio, e si divertiva a dare alla figlia dei piccoli compiti da portare a termine per poterla riempire di complimenti. German era a lavoro, nessuno poteva prevedere cosa sarebbe successo. Accadde tutto in un attimo: tre figure incappucciate con una lunga tunica nera si presentarono al vialetto della casa. “E’ questa villa Castillo?” chiese uno di loro con voce roca. “Si, desiderate parlare con mio marito? Mi dispiace dirvi che in questo momento non è in casa, ma dovrebbe tornare a breve” rispose con un sorriso solare Maria. “Veramente noi vogliamo solo portare con noi la bambina” disse il tipo alla sua destra tirando fuori una spada avvolta da un’aura misteriosa. A quelle parole alla donna si gelò il sangue: cosa volevano? Perché erano armati? Erano dei pazzi assassini? Prima che potesse formulare un qualsiasi altro pensiero dal tetto della villa spiccò un salto un’altra figura minuta col cappuccio, attraverso cui era comunque possibile intravedere due enormi orecchie arrotondate; in mano teneva una spada a forma di chiave dorata. Atterrò di fronte a lei, poi senza rivolgerle nemmeno uno sguardo le ordinò di scappare con la bambina. Si ingaggiò un combattimento feroce nel giardino: il tipo con la spada attaccò per primo ma venne parato subito e scaraventato addosso al muretto che circondava l'abitazione, mentre un’ altro stava richiamando una palla di fuoco dalla mano. “Blizzaga” urlò il detentore del Keyblade facendo comparire una sfera di ghiaccio così da contrastare l’incantesimo dell’avversario e assiderarlo con la potenza della sua magia. Il terzo lo fissò con sguardo cupo poi richiamò una spada come la sua, fatta d’argento. I due si scontrarono e l’impatto fece comparire una folata di vento che si diffuse con forza sollevando in aria numerose piante. “Ci rincontriamo, Riku” sussurrò la figura minuta togliendosi il cappuccio e mostrando le sue orecchie da topo. “Topolino” disse Riku, mostrando anche lui il suo volto: due occhi blu freddi come il ghiaccio scrutarono il suo avversario, mentre i capelli argentati erano mossi da un leggero venticello. “Ancora una volta dalla parte sbagliata. Non toccatela” disse Topolino parandosi di fronte a lui minaccioso. “Lei non ha alcun diritto di esistere e lo sai anche te. Inoltre è giunto il momento di riaprire Kingdom Hearts. E non ci fermerai” disse il ragazzo sfoderando il suo Keyblade e menando un fendente. Topolino lo schivò in fretta e provò a rispondere, ma il colpo venne parato con grande rapidità.
Maria nel frattempo aveva preso la figlia e correva per le vie di Madrid in preda al panico: che cosa era successo? Mentre correva in un vicolo stretto cercando di tranquillizzare la figlia, spaventata quanto lei, qualcuno le si parò davanti puntandole contro un pugnale. “Mi dia sua figlia, e le risparmierò la vita” disse l’uomo con un ghigno malefico. Aveva una cicatrice lungo l’occhio e dalla mano stava evocando una saetta. La madre coprì con il suo corpo la figlia finchè la scossa non la colpì, facendole esalare l’ultimo respiro. L’uomo si avvicinò per prendere la bambina, ma qualcuno lo fermò giusto in tempo: una ragazza lanciò degli shuriken ferendogli la mano e costringendolo ad arretrare: “Mi dispiace, ma lei viene con me”. La ragazza vestita da ninja prese la mano alla bambina e subito scomparve nel nulla.
Riku sentì un avvertimento telepatico, quindi smise di combattere. “Il nostro obiettivo ci è sfuggito. Non ho alcun motivo per combattere contro di te” esclamò Riku deluso per il fallimento. Poi prese una piccola sfera di cristallo e la fece cadere per terra. Non appena toccò il suolo, una sorta di varco argentato si allargò pian piano sul terreno inghiottendolo. Topolino guardò lo scenario preoccupato, poi lanciò un incantesimo per immobilizzare i due nemici semi svenuti. Chissà se Yuffie era riuscita nel suo compito, ora doveva andare da German e sperare di trovare lì la piccola Violetta. Si rimise il cappuccio e si addentrò per le vie di Buenos Aires, cercando di passare inosservato e prendendo le strade più isolate. Finalmente dopo un’ora si ritrovò di fronte a un enorme palazzo con grandi vetrate; si avvicinò per entrare e poi chiese un appuntamento con il signor Castillo. Quando entrò nello studio vide l’uomo in lacrime, con vicino Yuffie afflitta e la piccola Violetta addormentata. “Maria è morta” sussurrò la ragazza, lasciandosi cadere su una sedia lì vicino. Il Re rimase un secondo in silenzio poi si mise di fronte alla scrivania e cominciò a raccontare tutto: gli raccontò di come Violetta fosse la chiave per la fine di tutto, di come corresse il pericolo di morire, di come andava protetta. German annuì senza forze, poi continuò a singhiozzare, guardando la figlia addormentata; avrebbe dovuto odiarla? Era lei la causa della morte della moglie, ma non ci riusciva. Era così piccola, così innocente, così bella… “Dovete trasferirvi” disse Re Topolino, facendolo riscuotere dai suoi pensieri.
“Papà, oggi è il mio sedicesimo compleanno…posso andare a fare almeno una passeggiata?” chiese una bellissima ragazza castana dai capelli lunghi e lisci, con gli occhi a nocciola che si illuminarono in segno di speranza. “Sai benissimo che non puoi” disse il padre, prendendo il tablet sul tavolo e cominciando a cercare delle pagine su internet. “Ma è da quando siamo qui a Buenos Aires che non mi hai fatto uscire di casa nemmeno una volta” si lamentò Violetta, sbuffando e incrociando le braccia al petto. Si scostò una ciocca di capelli e corse su per le scale per chiudersi dentro la sua camera da letto. Prese il suo diario e cominciò a colorare un disegno, eseguito qualche giorno prima, frutto di un sogno: un principe, dai capelli castani e gli occhi verdi, con indosso un’armatura e in mano una spada con l’elsa dorata, era ai piedi della torre in cui era rinchiusa. Lei, affacciandosi dalla finestra situata in altissimo senza possibilità di fuga, lo guardava sorridendo, attendendo che arrivasse a salvarlo. Era così bello poter immaginare che un giorno qualcuno sarebbe venuto a portarla via da quella casa, che per lei era diventata una prigione. Ma non esisteva nessun principe, lo sapeva bene; il suo era un sogno infantile destinato a infrangersi non appena fosse venuto a contatto con la realtà. Strappò la pagina con forza, pensando di buttarla, ma poi non ci riuscì; la ripiegò con cura e la rimise all'interno del diario. Infine riscese giù, aggirandosi intorno con lo sguardo per non essere scoperta, poi uscì di casa di soppiatto. Non poteva certo immaginare che intorno alla sua casa era stata eretta una barriera magica che la nascondeva agli occhi degli altri, né poteva immaginare che il suo cuore fosse la chiave per aprire le porte di Kingdom Hearts, poiché German aveva deciso di non rivelarle nulla. Per lei la madre era morta a causa di un pazzo assassino e basta. Ma la barriera stava lentamente per scomparire e serviva che qualcuno andasse a proteggere l’ottava principessa.
“Vi volete muovere?” chiese un uomo castano sulla trentina, salendo sulla gummyship, una sorta di piccola astronave composta da blocchi colorati. “Si, eccoci, Sora” esclamò Paperino, facendo una corsa e inciampando rumorosamente. Pippo lo raggiunse e lo aiutò ad alzarsi. “Solo una cosa non capisco… Come mai re Topolino ha aspettato tanto per avvertirci di quello che è successo sedici anni fa quando ho liberato i cuori delle sette principesse?” chiese Sora dubbioso. “Come ci ha detto lui stesso, penso sia dovuto al fatto che fino ad ora è riuscito a proteggere questa ottava principessa con una sorta di barriera, che adesso sta per scomparire, e purtroppo il Re è fuori in missione. Il messaggio dice chiaramente che dobbiamo proteggere questa Violetta fino al suo intervento” disse Pippo, tirando fuori la lettera e ricontrollando le istruzioni con aria assorta. “Anche se non ho ancora capito da chi dobbiamo proteggerla. Allora, siamo pronti?” esclamò ad alta voce Sora, posizionandosi all’interno della cabina di comando con dietro i suoi due fedeli compagni. I motori cominciarono a scaldarsi e dopo un po’ la navicella si sollevò per poi sfrecciare ad alta velocità nel cielo del mondo del Castello Disney.
Era passata qualche ora, quando la gummyship planò piano nella città di Buenos Aires, dopo aver attivato il meccanismo di invisibilità. Atterrarono vicino a un edificio con la scritta ‘Studio 21’. “Voi rimanete qui, io vado a chiedere informazioni” disse Sora, uscendo dalla navicella. “Vestito in quel modo?” chiese Paperino, indicando i suoi vestiti alquanto fuori dal comune. “Mettiti questi” aggiunse Pippo lanciandogli un paio di jeans e una t-shirt rossa, con una camicia di un colore blu elettrico. Sora tornò dentro per cambiarsi, guardando quei vestiti così assurdi e improbabili. “Perfetto!” esclamò Paperino soddisfatto mettendogli davanti uno specchio per fargli vedere l’effetto finale. “Aspetta manca solo una cosa: il tocco finale” aggiunse Pippo, tirando fuori un cappelletto blu e infilandoglielo a forza in testa. Sora prese dallo zaino una vecchia foto, la guardò per un secondo con un sorriso malinconico: tre ragazzi spensierati rispondevano al suo sorriso. A sinistra c’era Kairi, dagli inconfondibili capelli corti rossi e occhi azzurri; a sinistra Riku mostrava fieramente il suo Keyblade e scompigliava i capelli del suo migliore amico. Già…lui, il suo migliore amico. Seduto tra i due guardava l’obiettivo con uno sguardo strano, che racchiudeva le sue aspettativa per il futuro. Erano passati ormai dieci anni da quando i tre si separarono, decidendo ognuno di intraprendere il proprio cammino:
‘Sora entrò nella biblioteca del Castello Disney e trovò Topolino che parlava con i suoi migliori amici. Non appena lo videro entrare si chiusero in un silenzio preoccupante. “Cosa sta succedendo qua?” chiese il ragazzo alzando leggermente il sopracciglio destro. “Sora…Noi partiamo” disse Riku, abbassando lo sguardo, per non dover sostenere la disapprovazione che si sarebbe dipinta sul volte dell’amico. “Io devo intraprendere un viaggio. Sento di non essere completa finché non potrò trovare quella parte di me che sento così lontana” sussurrò Kairi, guardandolo con quegli occhi azzurri che imploravano perdono. Lei amava Sora, ma sentiva di dover intraprendere il suo cammino e il suo destino. Ed era qualcosa che doveva fare da sola. Sora le prese le mani e sorrise per darle coraggio: “Ci rincontreremo”. Riku non ce la fece più: abbracciò il suo amico cercando di trattenere le lacrime. “E tu che devi fare?” chiese Sora, dopo essersi staccato e appoggiandogli la mano sulla spalla. “Sto cercando una risposta. Una risposta riguardo la natura di Kingdom Hearts” disse Riku, facendosi subito serio. Sora li guardò partire ognuno per la sua strada dal giardino reale, salutandoli con la mano, perché era sicuro che un giorno li avrebbe rivisti. Doveva essere così, perché i loro destini erano legati, lo sentiva’
“Tutto bene?” chiese Paperino, notando il suo sguardo perso nel vuoto, perso a contemplare il passato. “Si, tutto bene” rispose Sora, mettendo la foto in tasca e togliendosi il cappellino: aveva quasi trent’anni, non era mica un ragazzino. Si avvicinò a quella che doveva essere una scuola di musica: un ottimo posto per ottenere informazioni; fermò qualche ragazzo, ma nessuno sembrava conoscere Violetta Castillo. Anzi a sentire loro quella persona non era mai esistita. Decise di chiedere un’ultima volta e fermò un ragazzo; si trattava di un bel ragazzo, dagli occhi verdi e profondi, castano con uno sguardo fiero e sicuro di sé, forse anche un po’ troppo. Indossava un paio di jeans, una maglietta grigia, con sopra una camicia a quadri bianchi e blu. “Non so chi sia, mi dispiace” rispose il ragazzo, un po’ perplesso. In quel momento un urlo attirò l’attenzione di Sora: proveniva da un vicolo vicino la scuola. L’uomo seguito dal ragazzo spiccò una corsa finché davanti ai suoi occhi non comparve una scena terribile: una ragazza era in fondo a un vicolo cieco, circondata da numerose ombre nere con degli occhietti gialli maligni. “Ma cosa...” chiese il ragazzo, ma non fece in tempo a finire la frase, poiché si ammutolì non appena Sora fece comparire dal nulla il suo Keyblade e si lanciò contro i nemici facendoli fuori uno ad uno. Non appena ebbe eliminato l’ultimo Heartless, creature a caccia di cuori, si avvicinò alla ragazza rannicchiata per terra, che tremava come una foglia. “Violetta Castillo?” chiese lui, tendendogli la mano per aiutarla ad alzarsi. Violetta annuì, poi dopo un po’ decise di fidarsi e strinse la sua mano. Non appena sfiorò quel palmo così forte e ruvido il suo cuore ebbe un tuffo: si sentì mancare il respiro e cominciò ad arrossire senza controllo. Sora rimase a guardarla per un secondo e poi si voltò verso il suo compagno: “Piacere sono Sora. E tu come ti chiami?”. “Il mio nome è Leon” sussurrò lui, ancora scosso ma soprattutto ammaliato. Quella Violetta era la ragazza più bella che avesse mai visto, e per la prima volta in vita sua perse in un attimo tutta la sicurezza che lo caratterizzava. Violetta si avvicinò per tendergli la mano e presentarsi, quando non poté non perdersi nei suoi occhi verdi così intensi. Era proprio come aveva immaginato il suo principe azzurro, come l’aveva dipinto nei suoi sogni. Ma quello non era un sogno, ne era quasi del tutto sicura; forse qualcuno le doveva dare un pizzicotto per dargliene la certezza assoluta. “Andiamo a casa tua, così ti potrò spiegare tutto” disse Sora alla ragazza, distogliendola da quei pensieri. Si fece dare le indicazioni per poterle riferire ai suoi due amici, consigliandogli di far atterrare la Gummiship nel giardino della villa. Dopo di che Sora, Violetta e Leon si incamminarono lungo la via. “Come mai sei uscita di casa? E’ pericoloso” disse l’uomo camminando davanti. “Sono undici anni che mio padre mi tiene chiusa dentro casa. Volevo solo fare una piccola passeggiata a sua insaputa” si giustificò lei con lo sguardo basso. “Beh, tuo padre non deve essere molto normale…” si lasciò scappare Leon, suscitando lo sdegno della ragazza. “Mio padre mi vuole semplicemente molto bene, è solo un po’ protettivo” disse lei, alzando il tono di voce, alterata. “Se la pensi in questo modo, allora sei strana anche te” le rispose a tono, sottolineando la frase. Violetta sbuffò e si voltò dall’altra parte per non doverlo guardare: si era sbagliata. Ma quale principe azzurro e principe azzurro… quello era solo un arrogante che credeva di sapere tutto di tutti. Era così pieno di sé che le dava sui nervi. Invece Sora era un uomo così dolce, ogni volta che pensava a lui sentiva il suo cuore battere fortissimo e non capiva il perché. “Sora, mi puoi spiegare perché il caro Leon viene con noi?” chiese lei ironica. “Ah, bene, adesso nemmeno mi vuoi intorno” ribatté lui, sempre più infastidito. E quello doveva essere un angelo caduto dal cielo? Era solo una bambina viziata che non sapeva niente della vita. “Si, se non si era già capito” disse Violetta con un sorriso falsissimo, prendendolo in giro. Eh, no…nessuno poteva prenderlo in giro in quel modo. “Infatti non capisco perché sto dietro a una bambina viziata e un tipo che fa comparire spade dal nulla. Me ne torno a casa” sbottò lui, altezzoso. “Ciao” disse Violetta allegramente. No, non gli avrebbe dato quella soddisfazione: “Ho cambiato idea, vengo con voi. Voglio proprio sapere che cosa c’è sotto. O forse alla principessina la cosa non va bene?”. Violetta era nera; stava per rispondere quando Sora li interruppe: “Smettetela di fare i bambini. Piuttosto è questa la casa?”. Indicava una bella villa con un muretto di mattoni rossi che cingeva il giardino. Violetta annuì, continuando a guardare dall’altra parte per non dover vedere Leon. “Bene…allora stiamo aspettando qualcuno?” chiese Leon, visto che erano rimasti nel giardino da qualche minuto senza fare nulla. “Si, due miei amici” disse Sora, sedendosi sull’erba e fissando il cielo, come se dovesse arrivare qualcosa dall’alto da un momento all’altro. Leon portò le braccia indietro per stiracchiarsi un po’, poi si sedette vicino al giovane misterioso, mentre Violetta li guardava mordendosi il labbro inferiore: il padre l’avrebbe fatta fuori. Era uscita di casa senza il suo permesso e in più aveva portato con sé due estranei. Una piccola astronave all’improvviso sembrò comparire direttamente in giardino e da essa uscirono un sorta di papera con in testa un cappello da mago e in mano uno scettro; vicino a lui un cane antropomorfo, vestito da cavaliere e con un enorme scudo dorato, si guardava intorno con fare circospetto. Leon sgranò gli occhi; questo era troppo: quegli erano degli animali e…e…si comportavano come esseri umani. Li sentì anche parlare e presentarsi: si chiamavano Paperino e Pippo. Aveva bisogno di bere un bicchiere d’acqua assolutamente, non si sentiva affatto bene. “Bene…l’ottava principessa” disse Pippo, inchinandosi di fronte a Violetta e baciandole la mano in segno di rispetto. Sora gli diede una gomitata per poi sussurrargli qualcosa all’orecchio: “Scemo, lei ancora non sa niente!”. Violetta era rimasta un po’ sorpresa da tutto quel mistero, e anche spaventata da quegli strani personaggi, ma molto gentilmente si presentò: “Piacere, io sono Violetta”. Leon le fece il verso dietro, inginocchiandosi per prenderla in giro, ma la ragazza se ne accorse e si infuriò subito. “Puoi anche smetterla di fare il bambino!” sbottò lei infuriata. “Mentre noi parliamo con German, vorremmo che voi ci aspettaste in camera. Violetta non farti vedere, non vogliamo che ti costringa a rimanere qui. Questo posto non è più sicuro per te” le ordinò Sora. “Qui tutti mi dite cosa devo fare, ma io non ci sto capendo niente, e voglio sapere cosa sta succedendo. Cosa erano quelle bestie nere? E perché ce l’avevano con me?” chiese lei, insistendo sempre di più. “Ti sarà spiegato tutto, ma non ora” disse in tono perentorio l’uomo facendosi serio. Poi li spinse dentro di casa e gli indicò le scale per fargli capire di togliersi dai piedi. Non appena Leon entrò in camera la sua attenzione fu sin da subito attratta da un diario rosa poggiato sulla scrivania. “Allora sei proprio una bambina!” scherzò lui, prendendo il diario e cominciando a sfogliarlo. “Se permetti quelle sono cose private” rispose lei acida facendo per strappargli quel prezioso oggetto di mano, ma il ragazzo lo portò in alto fuori dalla sua portata. Violetta sbuffò e cercò di rimanere sulle punte dei piedi, aggrappandosi alle sue spalle nel tentativo di prenderlo, ma solo in quel momento abbassando lo sguardo si rese conto di essere a due centimetri dal viso di Leon, il quale aveva smesso di sfoggiare il suo sorrisetto compiaciuto e la guardava, incantato da quella vicinanza così inaspettata e così piacevole allo stesso tempo. Entrambi potevano avvertire il respiro dell’altro, ma nessuno dei due voleva ammettere quanto quella cosa li emozionasse, perché avevano deciso di non sopportarsi. In quel preciso istante una pagina strappata volò dal diario, cadendo a terra e attirando la loro attenzione. Leon raccolse la pagina, e quello stupido sorriso beffardo che tanto odiava tornò a dipingersi sul suo volto: “Beh potevi anche dirmelo di esserti innamorata di me senza nemmeno conoscermi”. Violetta gli strappò il foglio di mano e lo guardò: in quel momento sarebbe voluta sprofondare dalla vergogna. In effetti il cavaliere disegnato in soccorso della principessa sembrava proprio Leon: occhi verdi, capelli castani chiari… Ma non era lui, perché un principe è sempre dolce, gentile e romantico mentre lui era semplicemente insopportabile. “Certo…ti piacerebbe” disse lei ripiegando con cura il disegno e mettendoselo nella tasca della gonna turchese che stava indossando. Leon si avvicinò pericolosamente: “Quindi stai dicendo che non ti potrei mai interessare?”. La guardava con aria di sfida, poi fece per avvicinarsi ancora di più, non appena si rese conto che quella situazione la innervosiva. Ogni suo movimento la metteva in forte imbarazzo: stare chiusa per tutta la sua adolescenza dentro casa non aveva certo aiutato affinché potesse essere brava nelle relazioni sociali; non che avesse la minima intenzione di relazionarsi con un tipo del genere, ma sentiva di non riuscire a tenergli testa. “Esatto, sto dicendo proprio questo” disse lei abbassando lo sguardo. Leon le prese il mento con due dita per farle sollevare la testa, e poi si avvicinò ancora finché i loro nasi quasi si sfioravano; sembrava quasi volerla accarezzare e baciare con lo sguardo, quello sguardo profondo che sembrava scintillare e che la attirava sempre di più verso le sue labbra…
Sora entrò di colpo, facendoli allontanare con uno scatto. “Ho interrotto qualcosa?” chiese l’uomo un po’ imbarazzato. “No, no…” sussurrò Violetta con lo sguardo basso, rossissima in volto. Non ci poteva credere: aveva ceduto come una scema; quel tipo insopportabile l’avrebbe baciata e lei non avrebbe reagito in nessun modo. Leon la guardava soddisfatto, con le braccia incrociate: Violetta non voleva ammetterlo, ma era cotta di lui; poteva essere altrimenti? Aveva un certo ascendente sulle ragazze e non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta che una come lei cadesse ai suoi piedi. “Bene, German, dopo molte storie ti ha concesso di venire con noi. Ti aspetta giù per salutarti” disse Sora, guardandoli incuriosito per poi uscire. Leon si riavvicinò: “Dove eravamo rimasti?”. “Da nessuna parte” rispose lei, voltandosi per dargli le spalle. Senza aggiungere altro uscì dalla stanza, facendo di corsa le scale per andare in salotto e allontanarsi il più possibile da Leon, che era rimasto nel centro della camera da letto con gli occhi sgranati: si era rifiutata di baciarlo. Non era possibile: lui era il più bramato dello Studio 21, non poteva essere successo davvero. Mentre faceva quelle considerazioni ebbe un tic nervoso all’occhio; la sua autostima era stata distrutta in meno di un secondo.
“Papà, mi puoi spiegare che sta succedendo? Perché me ne devo andare da questa casa?” cominciò a tempestarlo di domande a raffica, senza dargli il tempo di rispondere. “Non c’è tempo per le spiegazioni, devi andare e basta” disse German, porgendole uno zaino con tutto il necessario. “E tu?” chiese Violetta, abbracciandolo con gli occhi lucidi. “Io starò bene. Intralcerei solo il vostro cammino” le sussurrò lui, accarezzandole dolcemente la testa. Nel frattempo Sora era nel corridoio e rileggeva la lettera mandatagli da Re Topolino:
‘Caro Sora,
come ben sai ho intrapreso un viaggio per motivi che adesso ti spiegherò. Undici anni fa ho localizzato un cuore di pura luce, che contiene i frammenti delle sette principesse. Grazie al potere di quella luce qualcuno potrebbe essere in grado di riaprire Kingdom Hearts ed è l’ultima cosa che noi vogliamo. Quel giorno quando vidi la giovane bambina non ho avuto il coraggio di fare ciò che forse avrei dovuto fare: non sono riuscito a liberare il suo cuore per sempre, ponendo fine alla sua esistenza. Ho deciso di proteggerla con una barriera magica, finché ne avessi avuto la possibilità. Adesso la magia che circonda la casa di questa giovane, sta per svanire e io, dopo aver intrapreso le mie ricerche mi sto recando in quel mondo per porre rimedio al mio errore. Durante le mie numerose ricerche ho parlato con un famoso mago, che mi ha donato un artefatto in grado di incamerare la luce nel suo cuore senza doverla uccidere. Devi recuperare la ragazza e proteggerla fino al mio arrivo. Ti mando con questa lettera una mappa con il punto di incontro fissato con una croce. Saluti da Re Topolino
P.S: il mago mi ha fatto una previsione. C’è qualcosa di strano, mi ha detto che falliremo nell’impresa a meno che non avremo dalla nostra parte un ragazzo dagli occhi che ricordano gli smeraldi. Deve essere un principe, ma non capisco in che modo. Si riferisce a un nobile? Non mi è chiaro…Se trovi un ragazzo dagli occhi verdi, portalo con te, potrebbe essere la chiave fondamentale per portare a termine la missione, anche se non capisco in che modo .’
Un ragazzo dagli occhi verdi…prima di venire a Buenos Aires aveva pensato che Re Topolino fosse stato colto da un momento di follia e invece aveva incontrato Leon. E Leon aveva gli occhi verdi; l’avrebbe portato con sé fino all’incontro con Topolino, aveva deciso. “Allora siamo pronti?” chiese Sora, con un sorriso enorme per cercare di risollevare il morale a una Violetta distrutta. La ragazza annuì sciogliendosi anche lei in un sorriso triste. Quanto le piaceva Sora…si era più grande di lei, ma la faceva sentire protetta, e cosa più importante, era un vero cavaliere, non come Leon. Al solo pensiero di quel ragazzo fece una smorfia di disgusto: era solo un pallone gonfiato senza alcuna qualità. “Beh, allora io vado. Buon viaggio” disse Leon scendendo le scale di corsa e dirigendosi tranquillamente verso l’uscita. “Fermo lì” disse Sora mettendo il braccio di fronte alla porta per bloccare il suo passaggio. “Tu vieni con noi” sentenziò dopo averlo studiato per qualche secondo. Violetta lo guardò esterrefatta: “Perché?! Non solo devo lasciare la mia casa, ma devo stare anche con questo qua…”. “Questo qua ha un nome, carina. E comunque non vengo” ribatté Leon, lanciando uno sguardo di sfida a Sora. L’uomo face comparire dal nulla la spada a forma di chiave: “Forse non hai capito: non te lo sto chiedendo. E’ da quando ho quattordici anni che viaggio di mondo in mondo, affrontando pericoli di ogni tipo. Ho sconfitto mostri enormi, heartless giganti che tu puoi aver visto solo nei tuoi incubi. Quindi ora mi ascolti e vieni con noi, non abbiamo tempo da perdere. Sappi che non ho nessuno scrupolo a farti a fettine” disse Sora con una calma glaciale. Pippo e Paperino rimasero impressionati da quella dimostrazione di forza del loro compagno: gli sembrava ieri che era un ragazzino curioso e anche un po’ ribelle, ma adesso aveva acquisito un’autorità incredibile, era maturato. “D’accordo capo” esclamò Leon, facendo spallucce e cercando di nascondere il terrore che aveva provato in quel momento. Sora si voltò verso Violetta e le tese la mano; la ragazza lo guardava ammirata, sapeva che con lui al fianco non avrebbe corso nessun pericolo, poi strinse la sua mano e si lasciò condurre fuori dalla casa. Un sole accecante le fece socchiudere gli occhi, quando li riaprì erano per strada. “Non prendiamo la vostra astronave?” chiese la ragazza venendo dietro Sora e Leon. “No, la potrebbero localizzare. La prenderanno Pippo e Paperino per disperdere le tracce” spiegò l’uomo. “Dove dobbiamo andare?” chiese Leon scocciato: eppure quella mattina era partita così bene; come era finito ad intraprendere un viaggio insieme a un pazzo svitato e a una ragazzina viziata? Bah…ancora non se lo sapeva spiegare. “Stiamo andando fuori città in campagna. Ci dirigeremo in uno dei boschi segnalati su questa cartina e lì incontreremo i nostri alleati" spiegò Sora. “Speriamo che non ci trovino” sussurrò Violetta spaventata. “Non ti preoccupare, sono qui per proteggerti” si voltò l’uomo sorridendole. Quel gesto e quelle parole la fecero arrossire e i suoi occhi iniziarono a brillare. Leon li guardò e fece finta di vomitare; “La smetti? Guarda che ti vedo!” disse Violetta, facendogli una linguaccia. Sora li guardò: nonostante l’età sembravano proprio due bambini, sempre pronti a litigare. “Shhh…" disse all’improvviso in un vicolo Sora, affinando l’udito e facendo tacere i due. “Leon portala sul tetto di questa palazzina, questa strada non è sicura, appena sarà possibile vi raggiungerò” disse velocemente lanciandogli un pugnale nella sua custodia. “Ma…” balbettò Leon. “Potrebbe servirti” disse Sora, facendo comparire la Keyblade e avanzando piano. Il ragazzo nel frattempo prese la mano di Violetta conducendola nel palazzo di fronte a loro. I due cominciarono a salire le scale in fretta sentendo dei rumori provenire dal basso, senza fermarsi…
Sora era circondato: intorno a loro una dozzina di heartless rivestiti da un’armatura lo stavano attaccando incessantemente. Il guerriero si difese parando ogni colpo e procedendo ogni tanto con qualche affondo ben mirato. Finalmente riuscì a fare fuori il primo nemico, ma poi dall’alto un’aquila-heartless planò per attaccarlo. “Blizzaga” strillò lui facendo comparire sulla punta della spada una sfera di ghiaccio e indirizzandola contro la creatura, facendola precipitare congelata. Nel frattempo uno dei soldati heartless lo colpì al braccio sinistro. Per fortuna era solo un graffio: “Thundagaaaa”. Con quell’incantesimo un centinaio di fulmini si abbattè sui nemici; Sora si appoggiò sulla keyblade per riprendere un attimo fiato, ma proprio in quel momento, fu costretto a scartare di lato un colpo velocissimo diretto contro di lui. Si voltò per vedere in faccia il suo avversario: non ci poteva credere…quegli occhi blu glaciali, pieni di inespressività e di odio. Non poteva essere Riku, non ci poteva credere. “Riku, ma cosa…?” provò a parlare Sora, ma si dovette interrompere per portare di fronte la spada e parare il colpo. Le due keybalde emanavano scintille al contatto, finché i due non si separarono. “Sora…ho aspettato tanto questo momento” disse piano Riku, leccandosi con una certa malignità negli occhi un rivolo di sangue che scivolava giù da una ferita sulla guancia che si era procurato. Poi fece uno scatto e spiccò un salto per attaccarlo con tutta la sua forza dall’alto. Sora schivò di lato, ma venne ferito di struscio. “Energiga” esclamò Sora portando in alto la sua arma che venne avvolta da una tenue luce verde: Energiga era una magia di guarigione molto potente che gli permetteva di ristabilire in parte le sue forze e la sua salute. Lo guardò ancora: non voleva affrontarlo, ma doveva raggiungere Leon e Violetta sul tetto, quindi si lanciò contro l’amico, tentando con degli attacchi veloci di portarlo rapidamente allo sfinimento. “Come ai vecchi tempi” disse Sora, riprendendo fiato da quella serie di attacchi senza sosta. Riku si poggiava su un ginocchio sfinito. “Già…” sussurrò lui, mentre nei suoi occhi un bagliore di umanità emergeva con tutta la sua forza; si portò le mani ai capelli e strillò con tutto il fiato che aveva in gola. Sora lo guardò preoccupato: che stava succedendo al suo amico? Stava per soccorrerlo ma in quel momento un cerchio di tenebre avvolse Riku, risucchiandolo nel terreno.
“Cosa sono queste urla?” chiese Violetta preoccupata mentre era sul tetto insieme a Leon, che si aggirava intorno nervoso. “Non ne ho idea, ma spero non siano di Sora…” sussurrò il ragazzo, facendole venire gli occhi lucidi. “Non mi sembra il caso di mettersi a piangere in questo momento” aggiunse poi, cercando di metterle forza. Ottenne esattamente l’effetto contrario: Violetta si lasciò cadere lungo un muretto e cominciò a singhiozzare mentre le prime lacrime le solcavano le guance. Ok, forse non era stato molto delicato. Si sedette vicino a lei e le passò un fazzoletto: “Andrà tutto bene. Sora si salverà”. Poi senza alcun preavviso la abbracciò e Violetta smise di colpo di piangere, inebriata dal suo profumo che la tranquillizzò all’istante. “G-grazie” balbettò lei, arrossendo all’istante, mentre era ancora tra le sue braccia: non se ne voleva separare, per quanto nella sua mente cercasse di ricordarsi che quel Leon gli stava profondamente antipatico. In quel preciso istante sentirono un verso disumano e si separarono: davanti a loro un enorme falco con un simbolo di un cuore sul petto li stava puntando. “Scappa!” ordinò il ragazzo mentre si metteva davanti per proteggerla, tirando fuori il pugnale. Non ci poteva credere… qualche ora fa stava semplicemente passeggiando intorno allo Studio 21 e ora combatteva contro creature assolutamente mai viste. E poi…da dove aveva tirato fuori tutto quel coraggio? Violetta rimase dietro di lui paralizzata dal terrore, mentre il suo compagno d’avventura cercava di tenere lontano il rapace con qualche affondo in aria, invano. Il falco salì in aria per poi fiondarsi verso la sua preda, Violetta. ‘Eh, no bello mio, non ce la farai’ pensò Leon spiccando una corsa e mettendosi in mezzo. Venne ferito dagli artigli della creatura lungo tutto il braccio sinistro, ma cercò di trattenere le urla di dolore per non spaventare ulteriormente Violetta. Si accasciò lentamente a terra mentre la vista si annebbiava piano, poi perse i sensi…
Un leggero venticello sfiorò piano i suoi capelli, mentre sentiva una mano che gli teneva la guancia con dolcezza. Aprì gli occhi quanto bastava per capire cosa stesse succedendo: si trovava in un piccolo giardino di periferia, intorno a lui vedeva le fronde di qualche albero sparso qua e là, e alzando la testa l’immagine sfocata di Violetta che gli sorrideva si mise lentamente a fuoco. “L’aquila!” strillò Leon cercando di mettersi in piedi, ma senza successo: si sentiva molto stanco e privo di forze. Violetta gli fece nuovamente appoggiare la testa sulle sue ginocchia, dicendogli di continuare a riposarsi. Leon si mostrò piuttosto imbarazzato per quella posizione: sembravano due innamorati, ma il sorriso di quella ragazza era così incantevole che sarebbe rimasto ore e ore ad ammirarlo. “Che è successo?” chiese poi Leon, dopo aver distolto lo sguardo per l’imbarazzo, mentre lei gli accarezzava lentamente il ciuffo. “Non appena sei svenuto Sora è arrivato e ha distrutto quella creatura, l’ha chiamato heartless. Pare che i suoi artigli contenessero una sorta di sostanza paralizzante. Mi hai fatto preoccupare molto, Leon” sussurrò lei con lo sguardo triste. “Non sono così debole come sembro” borbottò lui, un po’ offeso; però si era preoccupata per lui…e questa cosa gli fece battere il cuore a mille. Ancora non riusciva a capire come una ragazza tanto insopportabile, tanto diversa da lui, potesse fargli quest’effetto. “Sei un pazzo, poteva andarti molto peggio di così. Se non fosse intervenuto Sora…” cominciò a dire lei, ma a quel punto Leon si alzò piano, e con passo tremante si mise su una panchina lì vicino. Violetta lo raggiunse e si sedette vicino a lui, osservando con attenzione la fasciatura di fortuna che gli aveva fatto il detentore del Keyblade. “Puoi smettere di fissarla, sto bene. Dov’è il nostro eroe?” chiese il ragazzo con un tono leggermente sarcastico. “E’ andato a fare un ultimo giro di ricognizione per essere sicuro di aver disperso le nostre tracce. E potresti essere un minimo riconoscente nei suoi confronti” ribatté dura Violetta. Leon sbuffò: tra loro andava sempre a finire con un litigio in un modo o in un altro. “Ok, allora quando arriva gli faccio un inchino” rispose lui, tentando di alzarsi; Violetta gli prese il braccio facendolo rimanere seduto e i loro visi furono vicinissimi: “Grazie per quello che hai fatto. Hai rischiato la vita solo per me”. Leon a quelle parole andò completamente in tilt: avrebbe desiderato baciarla lì, al momento, ma allo stesso tempo non ci riusciva. Si sentiva così emozionato, da non riuscire a far altro che guardarla fisso negli occhi, che stavano diventando pian piano lucidi. Le accarezzò la guancia e Violetta chiuse gli occhi a quel contatto, per poi avvicinarsi sempre di più, fino a che… “Ragazzi!” esclamò Sora, facendoli sobbalzare e allontanare di scatto. “Io…non è come sembra” disse Violetta paonazza, avvicinandosi verso Sora. Le sembrava di aver tradito l’uomo che le faceva battere così tanto il cuore, ma allo stesso tempo si era accorta di provare qualcosa per Leon, e non lo credeva possibile, visto che lo riteneva insopportabile; forse era stata un po’ troppo affrettata con il suo giudizio, perché in fondo il ragazzo si era dimostrato coraggioso e dolce allo stesso tempo. Sora le prese le mani: “Come sta la nostra principessa?” chiese sciogliendosi in un sorriso rincuorante. Se fosse stato possibile, Violetta sarebbe arrossita ancora di più. “Bene. Ora che ci siamo tutti, continuiamo il viaggio? Prima arriviamo, prima me ne potrò andare” disse Leon, parecchio innervosito. “Ma che gli prende?” chiese Violetta sottovoce a Sora. “Niente, niente…” disse lui con un sorrisetto: aveva capito tutto. E così quel ragazzo si era preso una cotta per la principessa. Capiva bene i suoi sentimenti: gli capitava lo stesso quando vedeva Kairi e Riku insieme da soli. “E così…ti piace la ragazza?” chiese Sora raggiungendo Leon, che stava finendo di preparare lo zaino. “Spero tu stia scherzando. Hai visto che non ci sopportiamo?” disse lui, fingendosi occupato a rovistare in cerca di qualcosa. “Gli opposti si attraggono!” esclamò l’uomo scoppiando a ridere. “Senti, smettila di convincermi a provarci con Violetta, non ne ho alcuna intenzione. E appena questa punizione sarà finita, me ne tornerò a casa e farò finta di non avervi mai visto” esclamò lui, esasperato. “D’accordo fa come vuoi…ma ricorda che le donne vanno pazze per chi sa combattere con la spada, fa molto paladino. Se vuoi che ti insegni, fammi un fischio” gli disse a bassa voce, prima di girarsi e andarsene mentre Leon era rimasto lì a fissare lo zaino con lo sguardo perso nel vuoto. “Sei pronto?” disse Violetta, avvicinandosi piano. Leon le afferrò il braccio con uno scatto e la fece indietreggiare finchè la sua schiena non finì contro il tronco di un albero. I loro volti erano nuovamente vicinissimi; “L-Leon…” balbettò lei, quasi spaventata dall’ardore che vedeva brillare nei suoi occhi. Il ragazzo la guardò con aria di sfida: “Tanto tu non potresti mai provare nulla per me, o sbaglio?”; si avvicinò ancora di più finche le loro labbra non si sfiorarono e non arrivarono a combaciare perfettamente. Chiusero gli occhi contemporaneamente, mentre il bacio diventò sempre più ricco di passione. Le  loro labbra erano desiderose di assaporarsi a vicenda, facendo crescere di minuto in minuto il desiderio di entrambi. Violetta schiuse la sua bocca di fronte all’irruenza di Leon e sentì la sua lingua calda farsi strada velocemente, andandosi a intrecciare con la sua. Quello era il suo primo bacio e non si era mai sentita così viva come in quel momento. Affondò le mani nei suoi capelli, mentre il corpo di Leon si stringeva sempre più al suo, intrappolandolo. Poi d’un tratto sentì il bacio farsi più lento e sensuale, la lingua di Leon sfiorava la sua e le accarezzava dolcemente il palato. Dopo parecchi minuti con naturalezza i due si separarono. “Leon…” tentò di dire la ragazza, ma subito venne zittita da un altro bacio intenso, perdendosi ancora una volta in quelle meravigliose sensazioni che la avvolgevano. Le mani di Leon scesero lungo i suoi fianchi, andandole poi ad accarezzare la schiena delicatamente; Violetta voleva che quel momento durasse in eterno, ma sapeva bene che quando si sarebbe risvegliata tutta quella magia si sarebbe dissolta come neve al sole, come una nuvola cacciata via da un fortissimo vento. Si arrese ancora una volta alla forza con cui Leon la portava ad aprire la bocca per dare inizio nuovamente a una danza piena d’amore tra le loro lingue. Senza rendersene conto si strinse sempre di più al petto di Leon avvolgendo il suo collo con le braccia. Dopo quella che parve un’eternità i due si separarono paonazzi e con il fiato corto. “Era…era solo per dimostrarti che nemmeno io potrei sentire nulla per te” esclamò Leon, voltandosi di scatto. Ma chi voleva prendere in giro…aveva ancora i brividi per quel bacio, che si diffondevano lungo tutto il corpo. Pensava che sarebbe stato indifferente e invece si sentiva più scosso e confuso di prima. Prese lo zaino e raggiunse l’uscita del parco dove li stava aspettando Sora. Violetta era rimasta paralizzata: quelle parole l’avevano ferita; quello era stato il suo primo bacio, rovinato da un tipo insensibile che si divertiva a fare cadere le ragazze ai suoi piedi. Si lasciò cadere per terra con la schiena appoggiata al tronco, mentre qualche lacrima scendeva. No…non voleva dargli quella soddisfazione; si stropicciò gli occhi ricacciando dentro le lacrime e si alzò, facendosi coraggio e prendendo il suo zaino per raggiungere gli altri.
“Allora, adesso dove andiamo?” chiese Leon, cercando in tutti i modi di evitare lo sguardo di Violetta. “Si sta per fare tardi, basta camminare; ci fermeremo in quella sorta di locanda” disse Sora. “Ehm, forse volevi dire quel bed and breakfast. Ma di questo passo non arriveremo mai…si può sapere il punto preciso del tuo appuntamento?” chiese Leon prendendo la cartina dalle mani di Sora e dando un’occhiata rapida, concentrando la sua attenzione sulla grande X rossa segnata. “Credo che dovremmo prendere il treno e scendere dopo una fermata, così arriveremmo alla zona fuori Buenos Aires in un battibaleno” esclamò il ragazzo convinto per poi ripiegare la cartina e restituirla al suo possessore. “Bene, per stanotte però ci fermeremo lì” ripeté Sora indicando un locale lì vicino. Non appena entrarono, notarono la scritta ‘Stasera serata danzante’. “Che bello, adoro ballare!” esclamò la ragazza con gli occhi che brillavano al pensiero di un lento tra lei e Sora; la sua mente cominciò a vagare ma…non era possibile! Perché si immaginava di ballare con Leon?! Cacciò via quell’immagine che stava occupando la sua testa. “Ok, ho prenotato due stanze: una singola per Violetta, e una matrimoniale per me e Leon” spiegò il possessore del Keyblade, tornato dal bancone, porgendo con un sorriso una chiave d’ottone alla ragazza. “Perfetto, ora però andiamo a ballare” esclamò Violetta, prendendo il braccio dell’uomo e trascinandolo nel salone dove già alcune coppie avevano iniziato a ballare sulle note di un valzer. Subito lei e Sora si misero al centro della pista: Violetta passò il braccio sinistro intorno al suo collo mentre con la mano destra stringeva la sua. Sentiva il cuore battere a mille, nonostante l’uomo fosse un po’ impacciato; si voltò inconsciamente verso Leon per studiare la sua reazione, ma non riuscì a esplorare il suo sguardo, tenuto costantemente rivolto verso terra. Sora le fece fare una piroetta lenta e chiuse gli occhi emozionata, ma in quel momento non sentì più la presenza del suo partner, avvertì invece una mano forte e calda afferrarla per farla fermare; aprì un po’ gli occhi e si rese conto che adesso davanti a lei c’era Leon. “Ma cosa...” cominciò a dire lei, ma lui le fece appoggiare il volto sul petto, cingendola all’altezza della vita, per poi cominciare a muoversi lentamente al centro della sala. La musica proseguì e lentamente le luci divennero soffuse, per sottolineare il momento romantico. I battiti del cuore accelerati del ragazzo andavano in perfetta sintonia con i suoi; che fosse emozionato almeno la metà di lei? Forse. In fondo ci sperava, ma non ci contava più di tanto…
Non appena la musica finì Leon capì molte cose: lui era innamorato di Violetta, ed era inutile cercare di mentire a se stesso. Voleva parlargli, ma la ragazza fuggì per le scale chiudendosi dentro la camera,  per poi buttarsi sul letto. Ammettere di essere innamorato di quel ragazzo era come ammettere di essere come tutte le altre, non voleva innamorarsi di quel vanitoso, ma che ci poteva fare? E poi c’era Sora…perché provava delle forte emozioni quando era con lui? Era grande e questa sua cotta non aveva futuro, lo sapeva bene, ma non poteva fare a meno di pensarci. Si addormentò con quei dubbi angoscianti nel cuore.
Leon e Sora dopo aver bussato un po’ alla porta di Violetta, preoccupati per quella fuga improvvisa, si ritirarono nella loro camera. Erano le tre di notte e Sora non riusciva a prendere sonno: stava riflettendo sul da farsi; avrebbero incontrato Topolino e avrebbero risolto la questione dell’ottavo cuore, ma l’immagine del volto deformato dal dolore di Riku lo tormentava impedendogli di addormentarsi. Qualcuno lo abbracciò: era Leon. “Violetta” sussurrò il ragazzo ancora addormentato. “E’ proprio cotto” sentenziò l’uomo con un mezzo sorrisetto…
La mattina alle sette Leon era sceso per fare colazione insieme al suo compagno di stanza, ma al tavolo Violetta ancora non c’era. “Senti, Sora…sei ancora disposto a darmi qualche lezione di combattimento con la spada?” chiese il ragazzo, evitando di guardarlo negli occhi. “Ma certo! Se vuoi cominciamo subito dopo” esclamò Sora, sorpreso dalla richiesta. “Non è per quello che pensi. E’ che voglio imparare a difendermi e a difendere le persone a cui tengo” precisò Leon. Dopo aver fatto colazione  i due uscirono in un piccolo cortile lì vicino: Violetta non era ancora scesa. “Bene. Prendi. Mi porto sempre una spada dietro” disse Sora lanciandogli una spada che teneva nella custodia attaccata alla cintura. Poi fece comparire dal nulla il suo Keyblade: “Fatti sotto”. Leon provò a fare un affondo, ma l’uomo lo scartò abilmente, facendolo cadere per terra. “Tutto qui? C’è parecchio da lavorare, allora” disse Sora, facendo finta di sbadigliare. Leon si rialzò tutto impolverato e cercò nuovamente di attaccarlo, ma i suoi colpi andavano a vuoto, poiché Sora li evitava tutti con una certa tranquillità. Dopo averlo fatto stremare, gli diede un calcio che lo fece piegare a metà. “Beh, se hai finito, ti comincio a dare qualche insegnamento…” disse l’uomo, per poi spiegargli le posizioni di base e le mosse elementari.
Erano le dieci e Violetta si svegliò di colpo: aveva passato la notte in bianco ed era tardissimo. Si vestì in fretta e furia, dopo essersi fatta una bella doccia, poi scese giù e non vedendo nessuno si sentì abbandonata…e ora dove sarebbe andata? “I suoi accompagnatori mi hanno chiesto di dirle che la aspettano al parco qui vicino” disse l’uomo della hall, rincuorandola profondamente. Fece una corsa  e poi vide Leon e Sora che combattevano senza sosta; entrambi si stavano impegnando molto… In quel preciso istante Leon venne spinto nuovamente a terra, ferito di striscio sulla guancia. “Basta! Che state facendo?” chiese Violetta, avvicinandosi al ragazzo steso terra. “E’ stato lui a chiedermi di dargli lezioni…” rispose con molta semplicità Sora. “Bene, ora che sei pronta, aiutalo ad alzarsi che si riparte. Violetta aiutò Leon ad alzarsi e lo fece sedere per fargli riprendere fiato su una panchina lì vicino. “Si può sapere che ti salta in testa?” chiese lei con una certa insistenza, mentre prendeva un po’ di disinfettante e un batuffolo di cotone dalla borsa. Fece scendere qualche goccia disinfettante e poi gli poggiò il batuffolo sul taglio sulla guancia. “Ahia!” esclamò Leon, avvertendo un improvviso bruciore. “Voglio una spiegazione per quello che ho visto! Davvero hai chiesto a Sora di insegnarti?” insisté lei, guardandolo dritto negli occhi con aria preoccupata. “Non devo certo dare spiegazioni a te…” borbottò Leon, alternando qualche lamento. “Non fare il bambino e dimmi che intenzioni avevi” lo sgridò Violetta. “Non voglio fare la figura del debole di nuovo, ecco tutto” sussurrò Leon, perdendosi nei suoi occhi. Violetta rimase molto colpita da quelle parole: in fondo era così gentile e altruista e…e niente! Le sarebbe piaciuto pensare che avesse fatto questa scelta per poterla proteggere. “Tu non sei un debole” rispose piano, per poi avvicinarsi a lui e deporre un bacio lungo la ferita. Leon chiuse gli occhi e rabbrividì; quando li riaprì la vide raggiungere Sora e sorridergli. Ma certo…lei era innamorata di Sora. Che speranze poteva avere lui con uno che sembrava un vero e proprio cavaliere? Una pagina strappata era rimasta dove fino a poco fa era seduta Violetta: era il disegno del principe dagli occhi verdi che salvava la giovane principessa rinchiusa dentro una torre. Sorrise: un po’ gli sarebbe piaciuto essere il suo principe dei sogni, e invece…Mise quella pagina in tasca e raggiunse gli altri due compagni.
Dopo aver preso il treno ed essere scesi alla prima fermata iniziarono il viaggio lungo le campagne per lo più abbandonate nei dintorni di Buenos Aires. Erano passate alcune settimane in cui avevano camminato senza sosta, e nei rari momenti in cui si riposavano Leon si allenava con Sora con molta costanza e determinazione; era parecchio migliorato anche se ancora non si poteva definire propriamente abile. Violetta si incantava a guardarli combattere con tutte le forse rimaste dopo un lungo ed estenuante cammino. Lei e Leon avevano stretto una profonda amicizia, che entrmabi volevano diventasse qualcosa di più, ma nessuno dei due aveva il coraggio di dichiararsi all’altro, pensando di non essere ricambiato. La sera si accamparono in un bosco lì vicino.  “Domani arriveremo a destinazione” annunciò Sora con un sorriso soddisfatto, mentre il fuoco tremolante del falò acceso gli illuminava il viso. Violetta gli sorrise e arrossì non appena si rese conto di essere ricambiata. “Io vado a prendere un po’ di legna” disse Leon, geloso per quel tenero scambio di sguardi. “Vengo anch’io!” disse Violetta, alzandosi di scatto e correndogli dietro. I due cominciarono a raccogliere qualche ramoscello secco sparso qua e là, seguendo le raccomandazioni di Sora di non allontanarsi troppo. “Cosa farai dopo questo viaggio?” chiese Violetta curiosa. “Spero di poter tornare alla normalità. Tutta questa storia mi ha portato solo guai” borbottò Leon. “Io invece sono felice. Grazie a questa stramba storia ho conosciuto te e Sora. Leon, io ti voglio molto bene” disse Violetta, sentendosi imbarazzata dopo aver realizzato quello che aveva detto. Infatti il ragazzo aveva smesso di raccogliere legna e la guardava sorpreso. “Volevo dire... vi voglio bene… a tutti e due” si corresse la ragazza, ringraziando il cielo che fosse sera e che forse non si sarebbe accorto di quanto era diventata rossa in volto. “Strano…” esclamò Leon, guardando dietro di lei. “Strano che vi voglio bene?” chiese lei curiosa. “No. Strano quello scrigno dietro di te” disse Leon, sorridendo e indicando un punto specifico; Violetta si voltò e vide addossato a un albero quello che sembrava essere una baule antico. “Chissà che c’è dentro…” disse lei curiosa avvicinandosi. All’improvviso otto zampe di metallo apparsero, sfondando la base di legno e permettendo al baule di muoversi e di attaccare. “Attenta!” strillò Leon, spingendola via dalla traiettoria del mostro. Violetta cadde a terra tra il pavimento di foglie umide, e vide Leon combattere con un bastone di legno raccolto per terra di fretta. Non riusciva a spiccicare una parola, mentre il rumore dei colpi riempiva la sua testa. “Sora!” urlò il ragazzo, sperando di essere ascoltato, mentre continuava a tenere testa all’heartless; infatti in quell’istante una figura nel buio sfoderò la sua arma scintillante tagliando in due la creatura. “State bene?” chiese Sora, facendo muovere di scatto il volto per controllare che non ci fossero altri nemici nelle vicinanze. “Si, per fortuna” rispose Leon, porgendo la mano a Violetta per aiutarla ad alzarsi. La ragazza si buttò tra le sue braccia, cominciando a tremare per la paura provata. “Va tutto bene, ora. Domani finirà tutto” le sussurrò con voce calda all’orecchio, tranquillizzandola all’istante. “Già…domani finirà tutto” ripetè Sora, molto perplesso…
Il giorno dopo si presentarono al luogo dell’appuntamento con Topolino: una radura isolata, lontana da ogni centro abitato. “Ancora non è arrivato, non ci resta che aspettare” sentenziò Sora, stendendosi sul prato e osservando le nuvole scivolare lentamente nel cielo. Violetta continuò a camminare fino a raggiungere il centro della radura, quando sentì un’arma puntata contro. Si voltò terrorizzata e vide la punta di un Keyblade con un’impugnatura a forma di stella, in mano ad una donna bellissima, con gli occhi azzurri e i capelli rossi non troppo lunghi che le ricadevano sulle spalle. “C-c-chi sei? Cosa vuoi da me?” chiese Violetta balbettando. Sora si riscosse da quel pisolino ed insieme ad un Leon spaventato si avvicinò lentamente: “Kairi…”. La donna si voltò, sentendosi chiamare e i suoi occhi si riempirono di lacrime: “Sora…”. “Che stai facendo Kairi?” chiese Sora, continuando a guardarla dritta negli occhi. “Sto facendo quello che avreste dovuto fare voi. Libererò il suo cuore con la mia arma così che i frammenti di luce ritornino ai loro legittimi proprietari per sventare i piani di quei pazzi che vogliono riaprire Kingdom Hearts” spiegò lei freddamente. “Così la ucciderai! Ci sono altri modi per fermarli” ribatté Sora, alterandosi. Uccidere? Quelle parole furono come una doccia fredda per Leon: no, lui non voleva perderla. “Già…un artefatto di cui non sappiamo nulla, che non siamo certi funzionerà! Sora, io so tutto…ho osservato i tuoi movimenti, come anche quelli del Re. E so tutto della sua storia…è ingiusto che le persone soffrano in questo modo. E’ giusto che Maria, la madre di questa ragazza, abbia sacrificato la sua vita per permetterle di vivere, quando lei non dovrebbe nemmeno esistere?” continuò lei. Violetta sentì il mondo crollargli addosso; si lasciò cadere sulle ginocchia e con la voce rotta dal pianto chiese: “Che vuole dire? Che significa che mia madre si è sacrificata per me? Perché non dovrei esistere?”. “Non le avete nemmeno detto la verità: non vi vergognate? Violetta, il tuo cuore è un cuore di pura luce, venutosi a creare da sette frammenti dei cuori delle sette principesse che possiedono la chiave per aprire Kingdom Hearts, un mondo che permette di controllare i cuori di tutti i mondi, un mondo in cui risiede l’oscurità più totale. La tua esistenza non era programmata: tu sei solo un contenitore per quei frammenti…” spiegò Kairi. “Non è vero!” si intromise Sora, con lo sguardo furioso: “Non è così, Violetta, tu provi dei sentimenti veri, delle vere emozioni, non sei un fantasma”. “Ma parte di quelle emozioni non sono sue! Ti senti arrossire quando sei vicina a Sora? Ti senti in imbarazzo? Provi ammirazione per lui? Questo accade perché possiedi un frammento del mio cuore, e provi quello che provo io…” disse Kairi, abbassando la Keyblade. “E…e…mia madre?” chiese Violetta. Aveva paura di fare quella domanda. “Tua madre è morta per proteggerti da chi voleva rapirti per riaprire Kingdom Hearts…” sussurrò Kairi. Leon non riusciva a crederci: no, non voleva accettarlo. Violetta non era un semplice contenitore, per lui era molto di più…perché lui era innamorato di lei e questo doveva pur significare qualcosa. “Posso farlo io?” chiese la ragazza timidamente. Kairi annuì e le passò il Keyblade. Violetta prese l’arma e se la puntò al petto: a nessuno sarebbe mancata, lei non contava niente, aveva solo portato dolore; chissà quante volte il padre l’avrà odiata per aver portato alla morte la donna che amava. Si sentiva così debole, impotente, così inutile, quasi invisibile. “Tanto a nessuno importerà della mia assenza, vero?” chiese speranzosa. Ma Kairi si rese conto che nel momento stesso in cui aveva scoperto la verità, tutta l’espressività negli occhi della ragazza era scomparsa. “No! A me importa, Violetta! A me importa!” urlò Leon con gli occhi lucidi, mentre Sora lo tratteneva. “Deve scegliere da sola…” gli disse Sora. Violetta si voltò verso di lui: “Che hai detto?”. “A me importa; perché io…io…” cominciò Leon, ma non riusciva a dirlo. Non l’aveva mai detto a nessuna ragazza, e si sentiva agitato. “Io…ti amo” concluse per poi abbassare lo sguardo. Il Keyblade cadde. Violetta non riusciva ancora a credere a quelle parole: dentro di sé si era sentita morire, ma due sole parole l’avevano riportata alla vita in un istante. Voleva correre lì ad abbracciarlo, ma si sentiva i piedi incollati per terra. “Davvero, Leon?” chiese lei con voce emozionata. “Si…io ti amo, Violetta. Così come sei” ripeté Leon, abbozzando timidamente un sorriso. “Leon, io…” cercò di dire la ragazza, ma in quel momento un’enorme mano di tenebre la intrappolò. Kairi prese il Keyblade velocemente e cercò di liberarla dalla presa, ma sembrava impossibile. “Grazie, grazie davvero…” disse un figura avvolta da un cappuccio nero, con a fianco Riku e altri due individui. “Per un secondo temevo che non avrei fatto in tempo. Invece con il vostro momento emozionante e pateticamente commovente, sono riuscito a impedire che distruggeste la chiave per aprire Kingdom Hearts. La chiave per tutti i mondi risiede in una sola persona…non è una cosa meravigliosa?” parlò l’individuo, togliendosi il cappuccio. Ma quello era…
“Riku?!” disse Sora, spaventato. Un secondo Riku?! C’era qualcosa di strano. “Già. Un secondo Riku. Conoscete il potere dello Specchio Inverso? E’ in grado di far emergere la parte malvagia di un individuo. Riku non lo conosceva; durante uno dei suoi viaggi l’ha trovato e mi ha fatto nascere involontariamente. Purtroppo lo devo portare sempre con me per rimanere in vita. Non mi è stato difficile prendere il controllo del vero Riku, e ho avuto la possibilità di accedere ai suoi ricordi. La possibilità di aprire Kingdom Hearts, dove risiede il cuore di tutti i mondi, dove la vera oscurità si trova in un profondo letargo. Ma io riaprirò le porte dell’Inferno!” disse scoppiando in una risata malvagia, con in mano lo specchio, dalla cornice nera e diabolica. “Non finchè ci saremo noi” disse una voce alle sue spalle. Re Topolino passeggiava tranquillamente: nella mano sinistra teneva il suo Keybalde che brillava, mentre nella destra teneva una piccola chiave dorata. Dietro di lui Pippo e Paperino stavano tenendo occupati i seguaci del Riku-riflesso. Topolino si lanciò contro di lui, mentre Sora e Kairi cercavano di tenere a bada il Riku assoggettato. Il Re durante il combattimento fece volare la chiave ai piedi di Leon. Il ragazzo la raccolse e sentì il freddo metallo scaldarsi sempre di più. Lungo l’estremità vi era la scritta: “Amor puros iuvat” (“L’amore aiuta i puri di cuore”). Al suo tocco la chiave si trasformò, diventando un gladio romano tutto ricoperto d’oro. Topolino lo guardò e sorrise: era proprio come si aspettava. Il ragazzo alzò la spada in alto e una luce fortissima avvolse tutta la radura. Un barlume di sette luci di diversi colori si risvegliò nel petto di Violetta, ormai svenuta. I sette frammenti rispondevano al richiamo: sfrecciarono fuori andando a creare un cerchio intorno alla punta della spada, per poi riunirsi ognuno al rispettivo proprietario. “No!” esclamò Riku-riflesso, osservando quel fenomeno con disprezzo, per poi lanciarsi contro il ragazzo. Leon si preparò a combattere, ma non era ovviamente ai livelli di quell’eccellente spadaccino. Era stato messo alle strette, ma un urlo di dolore dell’uomo gli diede la possibilità di contrattaccare con una certa rapidità. L’avversario si aggirò intorno continuando ad emettere urla strazianti. “Cercavi forse questo?” disse Re Topolino, mostrandogli i frammenti di uno specchio, che gli aveva sottratto durante il combattimento. Riku-riflesso lo guardò con un misto di dolore e odio, ma il suo corpo poi cominciò a frammentarsi, proprio come la superficie di uno specchio, fino ad esplodere, lanciando schegge tutt’intorno. Il combattimento si concluse in fretta: Riku tornò in sé, come se fosse uscito da una specie di trance, gli altri seguaci vennero intrappolati. Leon diede un colpo con la spada dorata alla mano di tenebre che teneva intrappolata Violetta, liberandola. La ragazza aprì lentamente gli occhi e si ritrovò tra le braccia di Leon, il suo principe, con quell’aria fiera e dolce allo stesso tempo, e con la spada dorata che brillava rendendolo simile ad un Dio. “Stai bene?” le chiese con sguardo innamorato, dandole la possibilità di rimettersi in piedi. “Si, grazie, Leon” disse Violetta con aria innocente.
Intanto Topolino era dietro con Sora, Riku, Kairi, Pippo e Paperino. “Direi che il nostro compito si conclude qui. Un po’ mi mancheranno quei due” disse Sora, passando il braccio intorno alle spalle di Kairi. “L’artefatto ha funzionato. E quel Leon è stato la chiave per il successo di questa missione. Solo nelle sue mani la chiave avrebbe potuto trasformarsi nella spada di luce, quella utilizzata in antichità per difendere i cuori di pura luce” spiegò Topolino. “Vuoi dire che…” esclamò Riku, ancora un po’ intontito. “Si…quella è la prima di tutte le Keyblade” concluse Topolino mentre la luce del sole mattutino brillava sempre più forte.
“Leon…” disse Violetta, stretta ancora tra le sue braccia. “Dimmi” la incoraggiò il ragazzo piano. “Davvero…davvero tu mi ami?” chiese lei, un po’ imbarazzata. “Io…si, Violetta” rispose Leon, dopo aver preso un respiro profondo. Aveva paura, paura di essere rifiutato, ma non poteva rimangiarsi le parole, né poteva reprimere i suoi sentimenti. “Prima non ho fatto in tempo a dirtelo, ma anch’io ti amo” disse lei, staccandosi dall’abbraccio e guardandolo negli occhi per osservare la sua reazione. Leon sorrise felice, poi si avvicinò timidamente per baciarla, lasciando cadere la spada per avvolgerla con le sue braccia. Quando si separarono, Violetta gli accarezzò la guancia e lo guardò teneramente: “Credo proprio che tu sia il mio principe azzurro”. Leon a quelle parole tirò fuori il disegno della pagina di diario ed entrambi scoppiarono a ridere. Poi appoggiò la fronte sulla sua: “Adesso sei libera, mia principessa”. 

NOTA AUTORE: *piange* Sono bellissimi...ok. magari la storia vi può pure fare schifo, ma rimangono bellissimi, e niente, non so davvero che dire... *si mette all'angolino* Allora, questa è la mia prims OS, ed è un crossover con Kingdom Hearts; se non lo conoscete ho fatto comunque in modo che la storia fosse comprensibile (spero di esserci riuscito), e niente io amo quei due, sia quando non si sopportano, sia quando si amano follemente (ok, magari quest'ultima parte la amo anche di più *-*). Vi è piaciuto il finale? No, perchè io solitamente sono un pò una pippa con i finali, nel senso che non so mai con quela frase concludere ed entro in crisi, e poi boh...xD Comunque ci ho messo davvero lacrime e sangue per scrivere queste 13 pagine di Word (una faticaccia O.O), quindi una qualsivoglia (LOL) recensione è bene accetta, anche per dirmi che vi fa schifo (spero di no :O), perchè ci tengo molto :D Magari mi potreste dare quealche consiglio, visto che è la mia prima OS. OK, credo di aver detto tutto. Ringrazio ARY_6400 per tutto l'affettto che mi dimostra nelle sue recensioni, e perchè è la mia sorella di EFP, e dedico a lei questa One Shot, sperando che sia di suo gradimento xD Buona lettura a tutti!!!! :D
P.S: per chi conosce KH. Quanto possono essere fighi Sora, Riku e Kairi a 30...no vabbè ho provato a immaginarli e sono una cosa fantastica :Q______
  
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