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Autore: mareavagus    28/05/2013    1 recensioni
Giallo come il sole, come le stelle, come i girasoli, come i tulipani, come la speranza di Charlotte e Stephen.
“Voglio che questa meravigliosa scena ti rimanga in mente..facciamola diventare la nostra speranza, che ne dici?” domandai, aggiustandole una ciocca di capelli.
“La speranza non è verde?” chiese, leggermente confusa.
“La speranza di tutti è verde, facciamo che la nostra è gialla.”
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Giallo come il sole, come le stelle, come i girasoli, come i tulipani, come la speranza di Charlotte e Stephen.
 
“A volte la vita è semplicemente ingiusta, non credi?” chiesi guardando il vecchietto che mi stava tenendo compagnia da tre settimane a questa parte. Non sapevo come si chiamava, quanti anni aveva, dove viveva e nemmeno la cosa che più mi interessava: come conosceva Charlotte. Perchè lei non mi aveva mai parlato di lui? Perchè lui era con lei durante quella notte? Perchè, perchè e ancora perchè che si formavano nella mia testa come branchi di rondini in volo. L'uomo scrollò le spalle e guardò altrove.
“Mi parli di Charlotte?” chiesi nuovamente sperando che, almeno questa volta, mi avrebbe degnato di una risposta. 
“L'ho incontrata la stessa sera in cui ti ho chiamato. Camminavo per le strade di Brooklyn quando l'ho vista, l'avevo cercata per così tanto tempo, Stephen. Pensavo fosse bellissima, ma non così tanto. Le sono andato incontro quando ho notato che aveva lo sguardo perso, confuso così, quando mi sono ritrovato davanti al suo esile corpo, ho provato a dire qualcosa di sensato, ma non riuscivo a parlare. Charlotte mi ha riconosciuto subito e, fortunatamente, non cercava parole, ma conforto..mi ha parlato di te, mi ha detto che sei l'amore della sua vita e poi è scoppiata a piangere e il resto credo tu lo sappia.” disse, penetrandomi con lo sguardo per scrutare ogni mia emozione, gesto, parola.
“L'avevi cercata per tanto tempo? Sono l'amore della sua vita? Ma se..io non capisco, davvero.” dissi cercando di formare una frase di senso compiuto, ma tutto ciò che uscì dalla mia bocca furono parole legate da un filo logico che, probabilmente, non esisteva.
“Stephen, io sono il padre di Charlotte e tu sei l'amore più grande di mia figlia, non c'è molto da capire.” rispose l'uomo, sorridendomi.
 
Perchè avevo scelto di accompagnare Megan? Non potevo continuare a non farmi mai i cazzi degli altri? Perchè proprio quel mercoledì, avevo scelto di accompagnarla a quel ritrovo in compagnia di venti tossicodipendenti? Certo, Megan mi aveva implorato per tre quarti d'ora ed io ero crollato, ma perchè diamine non avevo resistito alle suppliche di mia sorella? 
“Stephen, torno subito.” disse Megan, lasciandomi completamente solo circondato da una trentina di persone che mi guardavano come se fossi un alieno. Sia maledetta mia sorella e il suo lavoro di aiutante.
“Oddio, scusami.” esclamò una ragazza dai capelli ricci che ora era parzialmente stesa su di me.
“Non ti preoccupare.” dissi, alzandomi per poi tenderle una mano che non rifiutò. Era piuttosto bassa, con dei capelli lunghi e ricci e castani come gli occhi.
“Charlotte, vieni?” urlò..mia sorella? Quindi Charlotte era una tossicodipendente. La ragazza mi sorrise dolcemente per poi raggiungere mia sorella nel cerchio e sedersi. Non passarono nemmeno dieci minuti che, oppresso da tutta quella situazione, mi diressi verso l'uscita. Non ce la facevo, non potevo farcela. 
 
Io e Charlotte ci siamo conosciuti quel giorno, quel mercoledì dell'8 maggio 2011, in quel ritrovo per tossicodipendenti; ma non siamo subito diventati ciò che siamo adesso, ma pensandoci, ancora oggi non riesco a definire cosa siamo. Una coppia? No, troppo. Amici? No, nemmeno. Due persone legate da un qualcosa? Probabilmente. Da quel mercoledì, ho sempre accompagnato mia sorella a lavoro finchè Charlotte non mi chiese di farla cominciare a vivere perchè era come se fosse stata morta per ventun anni. 
 
“Stephen, cosa c'è dietro queste quattro mura?” chiese, guardandomi. 
“Una strada che porta a un parco, perchè?” risposi, sinceramente confuso. Brooklyn non era una città particolare, era una città..normale, niente di estremamente particolare. 
“Ho passato ventun anni della mia vita dietro le mura di casa mia o di questo posto perchè fin da piccola, ero considerata strana. Non so cosa significa essere felici, non so cosa significare vivere..tu, potresti insegnarmelo?” domandò. Era seria, estremamente seria ed io ero deciso, estremamente deciso a farla vivere.
 
“Ti piace?” chiesi, guardandola mentre seguiva con lo sguardo due bambini. Eravamo in quel famoso parco, quello di cui le avevo parlato una settimana fa. Charlotte si era decisa a vivere. Non rispose, annuì semplicemente. 
“Hai voglia di vedere un posto speciale?”chiesi nuovamente. Annuì di nuovo, accennando un sorriso. La presi per mano e ci dirigemmo verso una parte speciale del parco, almeno per me. Era completamente piena di girasoli e tulipani gialli, spettacolare.
“Ti piace, Charlotte?” chiesi.
“Non ho parole per descrivere quant'è bello.” disse, guardando l'enorme distesa.
“Voglio che questa meravigliosa scena ti rimanga in mente..facciamola diventare la nostra speranza, che ne dici?” domandai, aggiustandole una ciocca di capelli.
“La speranza non è verde?” chiese, leggermente confusa.
“La speranza di tutti è verde, facciamo che la nostra è gialla.”
 
Da quel giorno, Charlotte iniziò a vivere. Usciva con me e a volte con mia sorella, si impegnava costantemente per chiudere con la droga e l'alcol. Era stanca di vivere nel passato, in quel labirinto che lei stessa aveva definito vita per troppo tempo. Passarono due mesi e noi diventammo..due persone legate da un qualcosa. Ci eravamo baciati in quel parco, una delle tante volte in cui ci eravamo trovati lì nei pomeriggi di luglio. Il 12 luglio, precisamente. Da quel giorno però, tutto cambiò. Charlotte si chiuse in se stessa. L'avevo spaventata, secondo Megan. Non potevo guarirla con il mio amore, secondo Megan. Non si può riparare un qualcosa che non vuole essere riparato, secondo Megan. 
 
“Charlotte, apri!” dissi, cercando di mantenere un tono calmo mentre bussavo alla porta della sua abitazione. Silenzio, silenzio e ancora silenzio. Era la quarta volta che mi presentavo fuori casa sua ed era la quarta volta che me ne tornavo a casa, sconfitto. Charlotte non rispondeva ai messaggi, alle chiamate, non apriva la porta..Charlotte era sparita. Da una settimana, non avevo notizie della ragazza dal sorriso spezzato, della ragazza con una storia triste, della ragazza che amavo. Stavo per andarmene per l'ennesima volta quando il mio cellulare vibrò. Un nuovo messaggio. Da Charlotte.
“La porta sul retro è sempre aperta.”
 
“Stephen, hai mai amato qualcuno così da tanto da poter dare la tua vita per lei? Da poter provare ad essere una persona migliore? Da poter pensare che il domani sarà migliore? Da poter avere la certezza di non essere più solo? Da poter affrontare tutto? Da poter dire la frase 'Fino alla fine di noi, io resto' e crederci perchè sai che è così?” chiese Charlotte, guardandomi con occhi lucidi. Stava per piangere, ma perchè? Non risposi, le sorrisi dolcemente e le accarezzai i capelli con la mano sinistra.
“A te è mai capitato?” chiesi, cercando di evitare quella domanda.
“Sì, credo proprio di sì.” rispose, sorridendomi e cercando la mia mano libera per poterla stringere.
 
Quattro mesi. Io e Charlotte eravamo legati da qualcosa da quattro mesi. Poche parole, pochi baci, niente sesso, tanti sguardi, tante mani intrecciate, tanti sorrisi. La nostra relazione, se si può definire tale, era diversa. Non avevamo bisogno del contatto fisico, avevamo bisogno di un parco cosparso di tulipani e girasoli gialli e di noi due.
 
“E quando non ci sarà più?” domandò fissando il parco che tanto amava.
“Continuerà a vivere dentro di noi.” risposi, baciandole dolcemente la guancia sinistra.
 
Cinque mesi, quasi cinque mesi da quando le cose sembravano andare in modo..normale? Cinque mesi da quando Charlotte era uscita quasi completamente da quel famoso labirinto. Cinque mesi da quando io non potevo dirle che l'amavo perchè si sarebbe chiusa in se stessa, di nuovo. Si sarebbe spaventata, si sarebbe sentita persa e io non volevo. Volevo essere l'amore della sua vita, volevo dirle che l'amavo, volevo salvarla? Probabilmente sì. Cinque mesi di apparente normalità finchè una notte, una maledetta notte il mio telefono squillò e tutto andò a puttane. 
 
“Stephen, Charlotte ha provato a suicidarsi..” una voce, lacrime, il mio telefono, il suo numero, la confusione più totale.
“Dov'è? Perchè lei è viva, vero?” chiesi con un filo di voce.
“Al Brooklyn Hospital Center, è..grave. Molto.” bip, bip, bip..l'uomo attaccò. Non ebbi nemmeno il tempo di prendere le chiavi che mi diressi verso la mia macchina.
 
“La stanza di Charlotte Wright?” chiesi con tono ancora affannato per la corsa dal parcheggio al secondo piano. La donna mi scrutò attentamente per poi sfogliare una lista di nomi e numeri. Muoviti, cazzo.
“La ragazza è ancora in sala operatoria, ma la sua stanza è la 237. Può aspettarla lì, vede che troverà un uomo all'esterno, non può sbagliarsi.” Non ebbi nemmeno il tempo di ringraziarla che le mie gambe iniziarono a correre verso la stanza della ragazza che amavo.
“Tu sei Stephen, giusto?” chiese l'uomo, guardandomi attentamente. Annuì semplicemente ed ero sul punto di fare la stessa domanda quando un medico ci interruppe.
“Signori, la signorina Charlotte Wright è in coma per overdose. Ci sono tante possibilità che si svegli e tante possibilità che non lo faccia.”
 
Erano passate tre settimane da quando avevo scoperto che l'uomo di cui ero in compagnia era suo padre, che lui l'aveva trovata morta sul suo letto dopo che si erano ritrovati per le strade di Brooklyn, quella maledetta notte. Ma anche tre settimane da quando avevo ricominciato a credere nella speranza..nella nostra speranza, quella gialla. Tre settimane da quando ero convinto che Charlotte si sarebbe svegliata per dirmi che ero l'amore della sua vita, per dirmi che mi amava, per dirmi che voleva stare con me. E come l'avrebbe fatto lei, l'avrei fatto anche io. Il 28 settembre erano esattamente due mesi che Charlotte era in coma ed esattamente quel giorno, venni svegliato bruscamente da qualcosa o da qualcuno.
“Stephen, Charlotte è viva..Charlotte si è risvegliata! Ha chiesto di te ai medici, ma poi si è riaddormentata perchè troppo stanca, ma lei è qui..con noi, solo che dorme. Oh Dio..” urlò il padre di Charlotte, in lacrime. Non ebbi nemmeno il tempo di realizzare che corsi dalla donna alla reception per chiederle il mazzo di fiori che le avevo portato due mesi fa e che le avevo chiesto di custodire finchè Charlotte non si fosse svegliata. Rappresentavano la speranza..la nostra. 
“Tieni, Stephen.” disse porgendomeli delicatamente. Corsi di nuovo dove si trovava il padre e, senza dire niente, entrai nella stanza dell'amore della mia vita. Passarono quattro ore quando gli occhi che tanto mi mancavano, si aprirono. Non ci mise molto ad accorgersi della mia presenza che mi sorrise dolcemente. Stavo per iniziare a parlare quando Charlotte mi bloccò.
“Ci sono così tante cose da dire, ma adesso voglio solo andarmene da qui, con te..scappiamo, Stephen; scappiamo nel nostro parco perchè finchè ci siamo noi due, c'è la nostra speranza e, e io..” disse, interrompendosi perchè scoppiò a piangere.
“Charlotte, piccola mia, smettila di piangere. Non devi piangere perchè sei qui, io sono qui e c'è anche la nostra speranza; non ci serve il resto o le parole o le lacrime.” esclamai per poi darle un leggero bacio sulla guancia. Charlotte, non appena le diedi quel bacio, si girò e fece sfiorare le nostre labbra. Potrei giurare che in quel pomeriggio, tra un bacio e l'altro, dopo che le ho detto che non ho mai amato qualcuno così da tanto da poter dare la mia vita per lei, che potevo provare ad essere una persona migliore per lei, che pensavo che il domani sarebbe stato migliore con lei, dopo averle detto con certezza che finchè ci sarà lei io non sarò solo, che posso affrontare tutto per/con lei, dopo che le ho detto che 'Fino alla fine di noi, io resto'; mi ha sussurrato quelle due parole che tanto aspettavo e un 'Sei la mia speranza, Stephen, non abbiamo bisogno del parco se ci siamo noi, se io ho te..sei l'amore della mia vita'.
  
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