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Autore: SoffioDiVento    29/05/2013    3 recensioni
Una storia di una ragazza che non riesce a buttarsi alle spalle il passato, che è sull'orlo della depressione per ciò di cui lei si sente in colpa. Il suo nome è Mia, e nonostante tutto, lei nasconde la sua tristezza a tutti, persino alla sua migliore amica: la madre. Si mostra sempre sorridente e spensierata e nel frattempo scivola sempre più nell'oscurità. L'unico modo per salvarla dalle tenebre e riportarla alla luce sarà l'arrivo del suo angelo custode, Stefano, che diventerà in men che non si dica suo amico. Ma la loro, resterà solo amicizia?..
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Eccomi lì, come al solito immersa nella mia bolla privata a pensare cose del tipo: "Chi cavolo sono io?" e magari anche "Perché mi sto facendo questa domanda?"

Per rispondere alla prima, io ero una ragazza a cui non piaceva mostrarsi triste ne vedere gli altri in questo stato. Forse era per questo che mi comportavo da idiota? Davo sempre un immagine sorridente di me, ma nessuno sapeva che in realtà ero tutt'altro che felice e spensierata. Io tendevo sempre a trasformare la mia tristezza in felicità quando mi trovavo con qualcuno. Era un difetto? O forse un pregio?

Un altro tratto del mio carattere è l'essere asociale. Non facevo altro che divorare libri e vedere film rintanata nella mia stanza, che ritenevo un luogo sicuro. Il sabato sera tutti uscivano a divertirsi, tutti tranne me. Io mi limitavo a restare rinchiusa nel mio luogo sicuro, quasi come una principessa intrappolata su di una torre, però in questo caso nessuno mi ci aveva rinchiusa. Ero stata io stessa a rinchiudermi, e non mi aspettavo neanche che qualcuno mi strappasse via da quella vita monotona, un qualcuno tipo il principe azzurro. Cavolo che banalità il principe azzurro!

Altra domanda: Perchè mi piaceva così tanto leggere e vedere film?

Mi piaceva tanto perché era l'unico modo che avevo per allontanarmi dalla realtà e per vivere attraverso gli occhi di un personaggio in cui mi immedesimavo. una vita da favola, che in realtà non potrei mai avere. Per quanto riguarda l'essere asociale, lo sono perché la nuova generazione, mi ripugna. A volte mi sento come Leopardi con il suo pessimismo. Valle a dire tutte queste cose ad una persona!

Depressa? No, non ancora, ma quasi. E questo è tutto quello che so dire su di me. Stop.

Mezz'ora, ero stata mezz'ora a pensare a tutto questo invece di studiare.

'Studiare? Perché tu studi?' Sentì quasi la voce della mia coscienza deridermi. La verità era che io ce la mettevo tutta per studiare a casa, ma i compiti di pomeriggio non se ne scendevano proprio. Insomma, i compiti si fanno a scuola, perché prolungare il tormento anche a casa e per di più di pomeriggio? Mi arresi. Richiusi il libro di diritto così come lo avevo aperto. Guardai l'orologio che portavo al polso, e segnava le sei e mezza di pomeriggio. Cosa potevo fare? La risposta mi arrivò dopo neanche mezzo minuto da mia madre.

«Mia, posso chiederti un favore se non hai nulla da fare?» mi chiese dalla cucina.

Io mi allontanai rumorosamente dalla scrivania e la raggiunsi, Quant'era bella con quel suo viso dall'aspetto innocente, quegli occhi verde acqua e quei capelli biondi e delicati.

«Al tuo servizio» le dissi mentre le feci un grosso sorriso come conferma della mia attiva voglia di fare.

«Ho provato una nuova ricetta di una torta, ed è favolosa. Assaggia» Ordinò.

«Sissignora» Risposi, dando un morso alla fetta di torta che mi aveva dato.

«Buona!» Esclamai gustandola.

«E' la torta di carote» Annunciò fiera del suo operato.

«Di carote?» Chiedi incredula inarcando un sopracciglio.

«Già. Da non crederci, vero?» Rispose, poi prese il telefono e scattò una foto alla torta.

Mia madre era davvero brava in cucina e sfornava sempre ricette deliziose. Da poco si era iscritta ad un sito di culinaria, perciò, ogni volta che cucinava un piatto speciale, la ritrovavi in un angolo a scattare foto della pietanza. Puntualmente, di pomeriggio, chiedeva il mio aiuto per caricare le foto con la ricetta sul sito di cui parlavo.

La esaltava leggere i commenti e i complimenti che quasi tutte le facevano, a tal punto che quasi si metteva a saltellare come una scolaretta per tutta la casa.

A pensarci bene qualche volta lo aveva fatto.

«Ah, comunque dovresti portare una fetta di torta a tua zia, così la mangiano i bambini» Aggiunse poi.

Mia madre e mia zia, che era la sorella di mio padre, erano molto legate. Passavano pomeriggi al telefono e si consultavano sulle varie ricette. Quando sfornavano qualcosa di nuovo, io facevo da tramite, correndo da un palazzo all'altro. Fortuna che abitavamo praticamente di fronte!

«Va bene»

«Grazie»

«Di niente»

Scesi le scale e mi diressi verso il portone che dava sulla strada. Il palazzo di mia zia si trovava appena fuori al mio parco.

«Ciao Mia. Come stai? Tua madre ha creato qualcosa di nuovo?» Disse lei indicando la busta che portavo.

Mia zia era alta, con la carnagione chiara, i capelli neri e mossi con gli occhi scuri. Era come una seconda madre. Per lei provavo un affetto immenso.

Durante la mia infanzia, passavo la maggior parte del tempo con lei e mio fratello. Eravamo il trio del divertimento. Insieme facevamo decoupage, creazioni con il DAS, lottavamo, portavamo il cane a spasso, facevamo vari giochi da tavolo o semplicemente giocavamo a carte, mangiavamo a più non posso caramelle...

Adesso era sposata, con due figli e io e mio fratello eravamo grandi, ma, nonostante tutto, io quasi ogni pomeriggio mi presentavo a casa loro per vedere mia zia e per giocare con i miei cugini. Più che cugini, ci consideravamo fratelli, ma proprio fratelli veri dato che litigavamo sempre!

«Ciao zia, sì è una torta di carote»

«Mia!» Esclamarono all'unisono mio cugino e mia cugina.

Lei aveva sei anni e lui quattro.

«Ciao Etta, e ciao campione!» Esclamai abbassandomi per abbracciarli.

«Resti con noi oggi??» Mi chiede speranzosa Etta.

«No, oggi proprio no»

«A proposito Mia, sabato sera, cioè domani, ci sei per una partita ad un nuovo gioco da tavolo?» Mi chiese poi mia zia.

Feci finta di rifletterci...

«Si ci sono. A che ora devo venire?»

«Verso le dieci»

«Perfetto. Ora vado, ci vediamo domani»

«Ciao» Mi salutarono all'unisono.

Quando arrivai a casa erano ancora le sette. Presi il primo libro che trovai finché non si fece ora di cena.

«Mia, chiudi Silvestro e vieni a mangiare» Urlò mia madre dalla cucina.

Silvestro era il mio gatto. Quando cenavamo dovevamo chiuderlo a chiave nella stanza, altrimenti ci veniva a rompere le scatole dato che la porta della mia stanza era scorrevole e lui riusciva ad aprirla con le zampe. Così avevamo architettato un modo per non farlo uscire dalla stanza, e consisteva nel chiudere la porta della stanza a chiave e serrare la finestra dall'esterno, cosicché il gatto rimaneva intrappolato nella stanza. Ingegnoso, no?

Corsi per la casa nel disperato tentativo di acciuffarlo, e quando lo feci, applicai il nostro astuto metodo.

Il mio balcone circondava la casa. Arrivai alla finestra della cucina e aspettai che mi aprissero.

«Hai chiuso il gatto?» Mi chiese mia madre appena entrai.

«Si mamma» Sbuffai.

Quel gatto era diventato fondamentale per lei, e lo trattava come fosse un bambino. D'altronde non potevo biasimarla, io e mio fratello eravamo grandi ormai -io avevo sedici anni e lui diciotto- e non necessitavamo più di tutte quelle attenzioni di un tempo, così lei le donava tutte a Silver -era così che chiamavo Silvestro- e lui le restituiva tutto l'affetto che un tempo le davamo noi. Non ero gelosa, lei lo meritava.

Dopo cena aiutai mia madre a sparecchiare la tavola e uscì fuori dal balcone per tornare nella mia stanza. A metà strada inciampai in qualcosa e mi ritrovai a gattoni per terra. Tipico di me!

Fortunatamente era tutto a posto, ma dov'era il telefono che poco prima avevo in mano?

«Oh merda!» Esclamai.

Ebbi un tuffo al cuore, ma per fortuna era ancora sano e salvo a pochi centimetri dalla ringhiera. Mi allungai per prenderlo e notai una figura in lontananza con al guinzaglio un cane, un ragazzo.

Si trovava vicino all'entrata del parco, ed io riuscivo a vederlo dato che il mio palazzo si trovava lì vicino. Un lampione lo illuminava, così notai che mi stava fissando, e non saprei dire se rideva. Mi alzai di scatto e corsi verso la mia stanza e notai che anche lui si stava allontanando.

Che figura di merda!

'Sempre la solita, eh?' Canzonò quell'odiosa vocina della mia coscienza.

In effetti la mia goffaggine mi aveva fatto fare molte figuracce. Mi tornò alla mente di quella volta in cui inciampai nei bagni della scuola facendo cadere il telefono nel water. Ricordai anche di averci infilato il braccio dentro nel disperato tentativo di salvare il mio telefono sotto lo sguardo disgustato di tutti.

Scoppiai a ridere all'improvviso e, logicamente, c'era qualcuno affacciato al palazzo che si trovava a pochi metri di distanza dal mio che mi osservava accigliato. Chiusi alla svelta la bocca ed entrai nella stanza.

Quella sera decisi di restare sveglia fino a tardi per leggere il libro che avevo cominciato quel pomeriggio, così verso le due arrivai alla fine in lacrime. Come ho detto all'inizio, io divoravo i libri.

'Io non ne andrei tanto fiera'.

La mattina seguente mi svegliai confusa, non ricordando come mi fossi addormentata. Dopo circa dieci giri per casa, mi resi conto di essere sola. Feci colazione con calma e, da brava figlia quale sono, riordinai la mia stanza. Alla mezza ero ancora sola ed annoiata, così feci la cosa più sbagliata che si può fare quando si è da soli in casa: mi misi le cuffiette e alzai il volume della musica al massimo. Canticchiai e ballai per tutta la casa finché non sentì qualcosa picchiettarmi sulla spalla. Mi fermai all'improvviso e mi girai con una faccia simile al dipinto “l'urlo” di Munch. Mi scappò un urletto a scoppio ritardato nel vedere mia madre.

«Mi dispiace non doverti dire che non siamo ad X Factor. Be' il pubblico c'era, sai, tutto il palazzo ti avrà sentita» Sogghignò lei ridendo di gusto.

Passai da un colorito bianco cadaverico a un rosso acceso. Feci per dire qualcosa, ma poi risi anch'io.

Dopo pranzo ricevetti una chiamata inaspettata dalla mia amica Elena. Lei era il tipo di ragazza schietta, autoritaria e molto simpatica. In quanto a bellezza, io mi sentivo una nullità al confronto. Lei aveva quella chioma di boccoli neri che si accostavano perfettamente alla sua carnagione olivastra -che io invidiavo dato il mio colorito pallido- e a quegli occhi blu notte.

«Ciao Mia, senti stasera esci con noi?»

La domanda che meno desideravo di essere fatta!

«No El, mi dispiace, ma stasera sono dai miei zii. Magari un'altra volta»

«Si, un'altra volta scenderai con noi. E non la prendere come un'affermazione banale, è un ordine!»

«Giuro solennemente che sabato prossimo sarò dei vostri» Le rassicurai mio malgrado.

Dopo esserci salutate, attaccai e mi ritrovai senza nulla da fare. Verso le otto e mezza di sera, mangiai la pizza con i miei e per le nove il mio umore era alle stelle. Mancava poco alla serata dai miei zii. Feci il solito giro fuori al balcone per tornare nella stanza e... caddi nello stesso punto del giorno prima, con la differenza che stavolta il telefono era al sicuro nella stanza.

«Ma cosa c'è qui per terra!» Urlai rivolta.. al pavimento . Alzai lo sguardo e sott'occhio vidi qualcuno all'entrata del parco. Un ragazzo con al guinzaglio un cane.

Il tipo del giorno prima.

'Doppia figura di merda!'.

Questa volta, però, potevo vedere chiaramente che stava ridendo. Era piegato in due dalle risate.

Infuriata mi alzai e corsi nella stanza. Come si fa ad inciampare due volte nello stesso punto e per di più sotto lo sguardo della stessa persona?

'Il più delle volte capita solo a te'.

Presi la giacca che si trovava sulla sedia e mi precipitai verso la porta di casa. Non avevo intenzione di aspettare fino alle dieci.

«Mia aspetta, potresti buttare la spazzatura?» Mi fermò mia madre.

«Si. Ci vediamo domani»

«Domani?» Chiese accigliandosi.

«Si, dovrei tornare per le quattro di mattina»

«Va bene»

Scesi alla svelta le scale ed, uscita dal portone, mi guardai intorno. Il cassonetto era un po' più distante dal palazzo di mia zia. Non c'era quasi nessuno per strada, fatta eccezione per una signora con un bambino ed un ragazzo con un cane che si trovava a un metro di distanza da me. Oh, no. Era il tipo. Mi soffermai sul suo viso. Era davvero un bel ragazzo, aveva la carnagione un po' più scura della mia, una chioma ribelle di un biondo cenere e degli occhi verde smeraldo capaci di ipnotizzare.

Okay, non dovevo fare altre figuracce.

'Direi che è il caso di camminare. Sembri una rincoglionita ferma così. E poi, mica sa che sei tu l'imbranata del balcone'.

Giusto. Gli voltai le spalle e mi diressi verso il cassonetto. Feci attenzione ad ogni mio minimo movimento, ma la mia goffaggine ebbe la meglio così inciampai ma per fortuna non caddi. Mi rigirai per tornare al palazzo di mia zia e lo vidi passarmi accanto. Tratteneva a stento le risate.

«Dovresti stare più attenta» Sogghignò quando mi fu accanto.

La sua voce aveva un che di presuntuoso, di odioso. E che stizza, gli avrei dato volentieri uno schiaffo perché stava ridendo di me. E si, aveva capito che ero io la ragazza del balcone.

'Oh, andiamo Mia, tu cosa faresti se un tipo ti cadesse sotto agli occhi per ben due volte e la terza inciampasse?'.

Al diavolo quella stupida vocina. Le avrei dovuto dare un nome. Rompiscatole era senz'altro un nome adatto, ma le avrei lasciato il nome di coscienza.

Raggiunto il palazzo di mia zia, decisi di buttarmi alle spalle l'accaduto.

Fui di ritorno alle cinque di mattina e, nonostante la prospettiva di buttarmi sul letto senza spogliarmi e lavarmi fosse allettante, corsi nel bagno a prepararmi per andare a dormire. Era stata una giornata da dimenticare, eccetto per la serata dai miei zii che era stata piacevole. Per tenerci svegli, non avevamo fatto altro che bere cocacola e le caramelle non mancavano mai. Per me una serata del genere il top.

'Per te'.

Il giorno seguente era domenica e, come al solito, fu una giornata da coma. L'unica cosa divertente fu la graffe. Al momento della foto, le sistemai alla meglio su un vassoio e cercai di nascondere le più brutte. Non potei fare a meno di pensare alla nostra società, in cui le più belle venivano poste in prima linea e le meno belle si trovavano sempre dietro a tutto, proprio come le graffe che stavo sistemando sul vassoio.

'Perchè un semplice vassoio di graffe ti fa pensare una cosa del genere?'.

Ah, non lo so.

Quella sera andai a dormire ad un orario molto più che accettabile già sapendo che la settimana di scuola che si trovava alle porte, sarebbe stata un inferno.
  
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