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Autore: SICPARVISMAGNA    29/05/2013    1 recensioni
Questa è la prima FF che pubblico perciò siate clementi con me ^^ Tra l'altro lo faccio per l'insistenza di un'amica che, dopo averla letta, mi ha consigliato di pubblicarla.
Questa OS nasce principalmente come 'post-it' per ricordarmi di un sogno che ho fatto qualche notte fa; e infatti è lo stesso sogno che fa John, grosso modo, nel periodo successivo alla 'morte' di Sherlock. E non aggiungo altro. Poi mi è stato detto "scrivici qualcosa su!" e così ho aggiunto una semplicissima cornice. And here we are, cuore infranto e tutto il resto!
*Consiglio di leggerla -se vi va- mentre ascoltate Clair de Lune di Debussy e SHERlocked (dalla OST della seconda stagione di Sherlock).
Live long and prosper.
Silvia.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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John Watson non ha una vita sociale da mesi ormai. E come potrebbe? Tutta la sua vita roteava attorno a quel sole instabile che era Sherlock Holmes, consulente investigativo. L'unico al mondo. Ora si sente perso nello spazio infinito che l'amico ha lasciato vuoto. Lui, la signora Hudson, Mycroft, Molly e persino Lestrade erano solo suoi satelliti, infondo. Ma il suo ex coinquilino non avrebbe capito la metafora. Sherlock non sapeva nulla di astronomia.

Eppure un sistema solare continua a sopravvivere anche senza il suo sole. Sopravvivere, non vivere. Ed è quello che sta tentando di fare anche John senza sforzarsi troppo. Tutti tentano di fargli dimenticare quello che è successo, ma come si fa? E poi perchè dovrebbe dimenticare? Neanche loro stanno dimenticando. Nemmeno Anderson e Donovan, che tanto lo hanno disprezzato fino a portarlo alla rovina. Alla caduta.

Questa volta è il turno della signora Hudson. Vuole portarlo ad un concerto.

«Che tipo di concerto?» chiede svogliato John.

«Musica classica» risponde lei e non accenna a ridiscendere le scale.

John capisce di non avere altra scelta e, dopo aver indossato il primo indumento che gli capita sotto mano, scende in strada e prende un taxi con lei.

Il teatro è un bel teatro, ma a John non fa la minima impressione anche se crede di averlo già visto da qualche parte. Forse gliene ha parlato Sherlock. Ecco che il pensiero costante dell'amico perduto ritorna. Sempre.

Entrano e prendono posto dove capita. È la signora Hudson a guidare i passi maldestri di John.

Inizia il concerto. John sente, ma non ascolta nulla.

''Tu vedi ma non osservi'' gli ritornano in mente le parole che l'amico gli ripeteva ogni volta che non notava un particolare di singolare importanza per la riuscita di un caso. Anche se ce l'aveva proprio sotto al naso e a lui era sfuggito, ma non a Sherlock Holmes, questo mai.

Allora, prestando fede al suo monito, John si mette in ascolto proprio nel momento in cui un uomo in frac prende posto di fronte all'immenso pianoforte a coda. Il brano è abbastanza famoso per cui anche John riesce ad identificarlo: Clair de Lune di Debussy. John è stranamente catturato dalla melodia e dal movimento elegante delle dita del pianista. Al termine della performance l'applauso è scrosciante.

Le luci si abbassano per poi rialzarsi su un trio; due donne e un uomo imbracciano dei violini. Inevitabilmente la mente di John ritorna alla maestria del suo più grande amico nel suonare quello stesso strumento. In quell'istante si sarebbe messo a disquisire sul tipo di legno utilizzato per costruire quei tre violini adoperati ora sul palco scenico. A John sembra quasi di sentire la sua voce nell'orecchio, ma accanto c'è solo la signora Hudson.

È troppo per lui. Non può più sopportarlo. Bofonchia delle scuse campate in aria alla sua padrona di casa e abbandona il concerto. Intanto è iniziato a piovere perciò John ferma un taxi e ritorna al 221B di Baker Street.

L'appartamento è silenzioso e buio come sempre da quando...

Il pensiero si blocca. Anzi è John a bloccarlo. Forse se non lo pensa non è reale e Sherlock rientrerà più tardi insieme alla signora Hudson, dopo in concerto, criticando tutti i musicisti che si sono esibiti e la scelta dei brani. Sì, questo sì che è un pensiero confortante.

John sprofonda nella sua poltrona. Di fronte a lui c'è la poltrona in pelle nera di Sherlock, stranamente vuota e rigida per il disuso...

''Dopo il concerto vorrà suonare il violino e dimostrare a tutti quanto sia più bravo lui rispetto a tutti quei musicisti da strapazzo'' pensa stupidamente John. Un angolo del suo cervello, quello dove sta il buonsenso, gli dice che è solo un'idiozia e che Sherlock non rientrerà affatto con la signora Hudson. Ma John lo scaccia con violenza ferina. Niente buonsenso, non stasera.

Il violino di Sherlock giace ancora abbandonato nella sua custodia sul pavimento vicino alla finestra del salotto, accanto agli spartiti, dove soleva lasciarlo il suo proprietario e dove è rimasto inutilizzato dall'ultima volta...

John si alza e lo recupera. Accarezza la custodia e la apre sentendo il confortante CLIC della chiusura che si apre. Estrae il violino dalla fodera rossa e sorride come se avesse appena rivisto un vecchio amico. Ne pizzica lievemente le corde, come faceva Sherlock nei momenti di trance. Quando si ritirava nel suo Palazzo e niente e nessuno avrebbero potuto tirarlo fuori da lì a meno che non lo avesse voluto lui stesso.

John posa il violino sulla poltrona di Sherlock, fra lo schienale e il bracciolo. Lo fissa per un po'. Poi si alza e prepara il tea per due, come al solito. Sorseggia la sua tazza mentre guarda la pioggia che scorre sui vetri delle finestre e infine si decide finalmente ad andare a letto. La paura di non riuscire a dormire lo coglie impreparato ogni notte. La paura di rimanere troppo a lungo solo con i suoi pensieri.

 

Non ricordava che lui e Sherlock avessero un completo di tweed uguale eppure entrambi erano nel salotto con un completo di tweed grigio topo a scacchi identico. Entrambi erano a piedi nudi. John aveva intrecciata intorno al collo la sciarpa blu di Sherlock mentre lui ne aveva una rossa, una che John non aveva mai visto prima. John aveva la sensazione di trovarsi nel salotto di casa sua, ma tutto il mobilio era stato sostituito da un pianoforte a coda nero e talmente lucido da scintillare. L'unico altro elemento in comune col 221B era la testa di bue appesa al muro. John siede al piano e i suoi piedi nudi sono poggiati sui pedali dorati. Alla sua sinistra, in piedi accanto al pianoforte, c'è Sherlock Holmes che imbraccia il suo adorato violino. La sua presenza, in quel momento, non è affatto aliena al dottore.

''Sapevo che avresti voluto suonare'' dice semplicemente John.

Sherlock sorride. ''Devi attaccare tu'' replica ''che brano scegli?''.

''Clair de Lune di Debussy'' risponde senza pensarci un attimo.

''Frivola'' sbuffa Sherlock roteando gli occhi, ma si mette comunque in posizione per iniziare a suonare.

E John incomincia. L'Angolo del Buonsenso gli dice che non ha mai sfiorato un pianoforte in vita sua, ma lo ignora. Ignora altresì come faccia a ricordarsi a memoria quel brano, nota per nota.

Sherlock sta suonando un pezzo che John solo in un'altra occasione gli aveva sentito suonare, quando era convinto che Irene Adler fosse deceduta, la notte di Natale. Lo aveva composto nel periodo natalizio, stando di fronte alla finestra com'era solito fare. In quel momento però aveva riadattato il suo pezzo per accompagnare John nel loro duetto.

La melodia era struggente abbastanza per potersi fondere alla perfezione con Clair de Lune. I riccioli neri del consulente investigativo si agitano e vibrano insieme alle corde del violino, così come le mani di John accarezzano con riverenza i tasti bicolore del pianoforte, proprio come aveva visto fare all'uomo in frac.

Il novello pianista posa di nuovo gli occhi sul suo amico e vede che ora i suoi riccioli sono fradici di sangue, del suo sangue, che gli cola sul viso e sugli occhi e sulle labbra e inzuppa la sciarpa che da rosso brillante assume toni sempre più scuri man mano che si bagna. Sembra che pianga sangue eppure sorride, sereno.

John piange. Non sa di preciso quando ha iniziato a piangere. Le lacrime gli offuscano la vista; sono salate quando gli sfiorano gli angoli della bocca. Però anche lui sorride beato di rimando all'amico. Le lacrime cadono sulle mani e sulla tastiera del pianoforte come pioggia, mentre ai piedi di Sherlock si è formata una pozza di sangue che si allarga nel mezzo della quale contrastano i piedi magri e diafani del consulente. Ma entrambi continuano a sorridere confortati dalla presenza l'uno dell'altro e dall'esecuzione perfetta che stanno per portare a termine.

Entrambi gli strumenti smettono di produrre le ultime dolci note quasi contemporaneamente. John alza gli occhi ancora una volta dai tasti e un attimo dopo Sherlock allontana l'archetto dal violino.

''Bel lavoro, John'' dice e il suo sorriso è rosso di sangue quando i suoi occhi si posano su John. Quegli occhi unici al mondo, proprio come Sherlock Holmes.

 

La voce di Sherlock è ancora nelle orecchie di John quando spalanca gli occhi e inspira pesantemente l'aria nei polmoni. Ha sentito quella voce familiare come se gli avesse parlato appena oltre la soglia della sua camera. Scalcia via le coperte e si precipita fuori dalla porta.

Il salotto è sempre buio e silenzioso. È notte fonda e non piove più; timidi raggi di luna entrano dalle finestre. Il violino giace ancora sulla poltrona di pelle nera, fra lo schienale e il bracciolo. La seconda tazza di tea che John aveva preparato per nessuno in particolare rimane intonsa sul tavolo della cucina, il suo contenuto ormai freddo.

   
 
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