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Autore: notAnymore    29/05/2013    2 recensioni
[storia ambientata nel 1472, quattro anni prima della tragedia che colpì la famiglia Auditore, quando Leonardo era ancora un novello artista fresco di bottega del Verrocchio ed un misterioso ma ancora inesperto assassino girovagava per i tetti della città]
In quelle fresche mattine, quando il sole ancora stentava a farsi strada tra l’orizzonte fiorentino di mille palazzi e chiese, Leonardo conosceva una Firenze diversa dalle altre, una Firenze lontana dal trambusto, dalle scorribande e dai ladruncoli da quattro soldi.
Genere: Azione, Generale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Federico Auditore , Leonardo da Vinci , Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
LE PRIME LUCI



Una tenera brezza si stagliava attraverso sottili ed evanescenti tratti di nebbia mattutina che ancora persistevano nell’aria, infranti a poco a poco dai teneri raggi del sole che invitavano tutta la città a prender parte ad un nuovo giorno. Erano ancora le prime ore del mattino ma già le strade erano percorse da un ritmo incalzante di passi svelti, merce da esporre e comandi urlati a gran voce a qualche aiutante sfaccendato. Era questo il risveglio di Firenze. Il medesimo ogni mattina, di solito accompagnato dal dolce suono delle campane di Santa Croce, che svegliavano anche i più ritardatari.
Ed ogni fiorentino amava quel risveglio: era come se la città stessa fosse lì, appena fuori dalla balconata, a ricordare che anche il lavoro del più umile servitore era indispensabile e che indugiare oltre tra le lenzuola non sarebbe servito a farle smettere di chiamarti a gran voce. 
Molti dicevano che “Firenze è come una bella donna, che ti persuade a seguirla nelle sue stanze per poi rispedirti nelle tue stremato e distrutto, ma soddisfatto”. Ed era una similitudine che calzava a pennello, quella, perché se c’erano tre cose che i fiorentini amavano più di loro stessi  erano le donne, l’arte e la loro bella Firenze.
Anche Leonardo aveva imparato ad amare Firenze, ma non allo stesso modo dei fiorentini.
A Leonardo quella “bella donna seducente” non piaceva farla aspettare: amava alzarsi alle prime luci del giorno, indugiar qualche minuto in più di fronte ai suoi progetti ancora a mente lucida per poi abbandonare la sua bottega e girovagare per le infinite viuzze della città senza meta precisa, ma con il solo intento di voler osservare quella realtà così lontana dalla sua piccola Vinci, in ogni suo minimo particolare.
Nella sua giovane pelle di appena ventenne, Leonardo sentiva fremere il desiderio di mille nuove avventure. Il suo occhio indagatore e vispo come quello di un bambino indagava ogni anfratto, ogni minimo gesto, ogni segno caratteristico che, per la sua mente brillante, non poteva essere lasciato al caso.
E così, in quelle fresche mattine, quando il sole ancora stentava a farsi strada tra l’orizzonte fiorentino di mille palazzi e chiese, Leonardo conosceva una Firenze diversa dalle altre, una Firenze lontana dal trambusto, dalle scorribande e dai ladruncoli da quattro soldi.
Qualche commerciante organizzava il bancone nella piazza della città, un fabbro era intento a sistemare i nuovi arrivi appena recapitatigli da un mercante dal forte accento andaluso, due ragazzi di neppure sedici anni giacevano sdraiati per terra qualche passo distanti da una taverna chiusa da poco, un gruppo di prostitute si riunivano all’angolo opposto, guardando furtivamente la cintura di uno dei due giovani ubriachi svenuti sulla strada che conteneva ancora un bel gruzzolo di fiorini …
Dopo mesi, per Leonardo quelle piccole scene erano entrate a far parte di una quotidianità tutta personale. A lungo andare sentiva come se quegli anonimi personaggi fossero divenuti conoscenze di una vita.
Ma, tra tutte quelle scene che gli si proiettavano dinnanzi lungo il cammino, una in particolare lo lasciava stupito ogni volta che gli capitava di osservarla (il che non era raro, anche se a quelle ore del giorno poco di così sbalorditivo ci si potrebbe aspettare).
Un ragazzo, agile come una lepre e veloce come un’aquila, superava a gran falcate le tegole appena qualche metro al di sopra della testa di chi attraversava quelle vie senza fare il minimo rumore. Leonardo si accorse della sua presenza in una fredda mattinata d’autunno, quando la nebbia era così fitta da non permettergli di vedere nulla oltre un metro dal suo naso e così, ormai lontano dalla sua bottega, si sedette su di una panchina e sollevò lo sguardo attendendo i primi raggi di luce che gli avrebbero mostrato la via di casa.
Improvvisamente, una figura scattante squarciò quella densa coltre di biancore saltando da un tetto a quello successivo con tanta naturalezza da non sembrare nemmeno umano.
Subito il pittore cercò di seguire con lo sguardo quell’agile sagoma che ora si perdeva, ora ricompariva tra le basse nubi, ma più presto del previsto fu costretto a continuare l’inseguimento con i suoi stessi piedi.
Il primo tentativo fu vano: appena due angoli e la sagoma scomparve del tutto.
Nei giorni che seguirono non ci fu traccia dell’uomo.
Leonardo continuò a sedersi sulla stessa panchina per le seguenti due settimane e mezzo, voltando lo sguardo ora a destra ora a sinistra ad ogni minimo rumore.
Quelle poche volte in cui riusciva a scorgerlo in lontananza esitava a rincorrerlo come la prima volta, forse aspettandosi che sarebbe stato il misterioso individuo a venire da lui, quindi si limitò a seguire la sua frenetica corsa quanto più gli era possibile seduto sulla stessa panchina di qualche settimana prima.
Poi un giorno, una piovosa mattina di novembre Leonardo uscì dalla sua bottega con qualche minuto di ritardo rispetto al solito e, forse per via della pioggia o della convinzione che quella mattinata sarebbe stata inconcludente come le precedenti, con animo più sconfortato. Si dedicò una passeggiata più breve del previsto a metà della quale prese la strada sbagliata e si ritrovò in una via diversa da quella in cui era solito fermarsi ed aspettare.
La pioggia cadeva scrosciante sui tetti color borgogna di Firenze, il cielo grigio opaco si confondeva con il fumo dei comignoli e al centro delle vie scorreva rapido uno stretto fiumiciattolo di acqua sporca e foglie ingiallite. Il mantello era l’unica copertura che, scioccamente, si era concesso quella mattinata e per questo motivo, al rimbombare del terzo tuono consecutivo, si decise a girare i tacchi e ritornare sulla strada della sua bottega, con la speranza di evitarsi un brutto malanno.
D’un tratto, un lieve rumore di passi sul bagnato proveniente dall’alto del palazzo alla destra attirò la sua attenzione: nel medesimo istante in cui Leonardo alzò gli occhi al cielo, proprio al di sopra della sua testa, il misterioso ragazzo fece la sua comparsa in tutto il suo imperscrutabile fascino, compiendo un balzo di almeno tre metri e mezzo senza la minima esitazione.
"Stupefacente!" urlò Leonardo.
E da lì in poi fu solo questione di attimi.
Il ragazzo raggiunse l'estremità del tetto verso cui si era lanciato, atterrando con il piede sinistro. Una delle tegole cedette sotto il suo peso. L'acqua, da parte sua, giocò un brutto scherzo al piede destro del giovane, il quale perse l'equilibrio e scivolò rovinosamente giù dall'appiglio a cui era riuscito ad arrivare.
Istintivamente Leonardo si coprì il volto con le mani, aspettandosi un rumore di acqua scrosciata ed ossa rotte che risuonava orribile persino nella sua immaginazione. Ma, fortunatamente, nulla di tutto ciò fu udito.
Quando ebbe la forza di alzare nuovamente lo sguardo al cielo, Leonardo si accorse che il giovane sconosciuto era riuscito ad aggrapparsi appena in tempo ad una delle sporgenze della balconata appena due piani più in basso dal punto cui era inciampato.
Un brivido di adrenalina attraversò le membra del giovane pittore risalendo lungo tutta la spina dorsale.
Eppure lui non aveva rischiato nulla, standosene a guardare in piedi qualche passo distante dal punto in cui sarebbe potuto cadere l'agile sconosciuto. Ma poi, d'un tratto, realizzò che forse non era stato davvero del tutto estraneo alla scena: se non avesse urlato proprio nel bel mezzo del salto, forse il ragazzo non avrebbe perso l'equilibrio. Ripensando a cosa sarebbe potuto accadere, fu subito sopraffatto da un pressante senso di colpevolezza che gli impedì di continuare a starsene lì immobile da semplice spettatore.
" St-Sta bene, messere?" fu la prima cosa che gli passò in mente di chiedergli.
Il ragazzo, impegnato nella sua faticosa e fin troppo bagnata scalata, non lo degnò di una risposta.
" Mi dispiace, è tutta colpa mia, non dovevo distrarla dai suoi... Ehm, impegni mattutini..." balbettò. " Mi sento in dovere di... Ehm, ripagarla del danno che avrei potuto arrecarle... qualsiasi cosa, mi chieda qualsiasi cosa".
Anche questa volta la domanda rimase sospesa nell'aria: il giovane compiva faticosamente i suoi ultimi passi in verticale e Leonardo con lui, seguendo ogni minimo movimento con lo sguardo, provando un senso di pesantezza sul cuore mai provato prima.
Quando finalmente il giovane sconosciuto raggiunse vittoriosamente il tetto, il petto di Leonardo si svuotò di quel grosso macigno che gli bloccò il respiro per diversi secondi. Notò istantaneamente una scala a pioli non molto distante da lui che portava proprio al tetto su cui era sdraiato ansimante e visibilmente spaventato il ragazzo.
"Vengo su... A-Aspettami lì, vengo a darti una mano, sono un medico! O una specie..." urlò, correndo in direzione della scala.
"NO!"
Quella risposta secca costrinse il pittore ad arrestare la sua breve corsa. Leonardo alzò lo sguardo verso il giovane, con la speranza di poterne intravedere il volto ed eventualmente, qualche ferita.
Un'espressione di sofferenza e terrore colorava il volto del ragazzo per metà nascosto dal grigiore della mattinata: un volto di un ragazzino, forse nemmeno della sua stessa età, dagli abiti malconci ma di ottima fattura, particolarmente insoliti per un ragazzo di quell’età, notò il giovane artista, con un grosso cappuccio che nascondeva il volto contornato da grosse ciocche fradice color castano scuro.
Tentò un paio di volte di sollevarsi sulle ginocchia, scivolando sulle tegole bagnate ma senza mai rischiare davvero di cadere. Dopo qualche tentativo, riuscì a trovare l'equilibrio giusto per rimettersi in piedi e finalmente Leonardo poté constatare che quell'agile corpo non aveva subito nemmeno un graffio.
"Tu non hai visto niente" furono le uniche parole che il giovane gli rivolse prima di riprendere la sua frenetica corsa sopra i tetti fiorentini. Le pronunciò di spalle, con tono pacato, quasi minaccioso, ma visibilmente velato da paura.
Leonardo rimase immobile a fissare il punto da cui il ragazzo era scappato via cercando di ricollegare quelle veloci immagini nella sua mente: fece uno sforzo mentale immenso e ripercorse ogni singolo momento appena vissuto, provò a imprimere nella memoria quella voce, quei capelli, quel volto, quel fisico, ogni suo singolo movimento, gli abiti, il passo...
Ma più ci rifletteva, più quelle immagini diventavano sfocate, buie, magari frutto della sua stessa fantasia, forse influenzate da ricordi precedenti. Tornò alla sua bottega eccitato e confuso.
Anche visibilmente scosso.
Nulla, in quelle buie mattine di Firenze, era lasciato al caso. Ogni cosa, in quelle ore così anonime e silenziose, accadeva per una ragione più o meno nascosta.
A Leonardo intrigavano tutte quelle strane creature che vivevano fino alla morte della notte. Erano lì per raccontargli qualcosa. E lui era lì per ascoltarli.
Per un breve momento, fu sopraffatto da un senso di pressante responsabilità: il fato gli aveva concesso di assistere a quello strano rituale non una, ma diverse volte. E quell’incontro, così fuggevole ma intenso era sicuramente un segno del destino, un invito a scoprirne di più.
O almeno era quello che lui immaginava.
Accese una candela e si accomodò al suo tavolo da lavoro: sui vetri la pioggia picchiettava ad un ritmo frenetico ma al contempo musicale. Leonardo intuì che la mattinata sarebbe rimasta grigia ancora per molto.
Lasciò che la sua mano guidasse il carboncino sul foglio allo stesso ritmo di quella malinconica melodia d’acqua, ora con tratti più decisi, ora indugiando sui particolari, ora sollevando la mano, esitante.
Quel ricordo, prima così evanescente, prendeva finalmente vita sulla carta, diventando reale come lo era stato in quegli attimi fugaci.
Quei pochi tratti del volto –il naso aquilino, la carnagione olivastra, labbra piccole ma carnose- sul momento non suggerivano nulla di indicativo a Leonardo: tutta colpa di quella fastidiosa nebbia, pensò.
Se solo avesse salito quella scala a pioli magari avrebbe potuto vederlo più da vicino, scorgerne il colore degli occhi, scoprire se era più alto o più basso rispetto alla sua statura, avrebbe persino potuto sentirne l’odore. Ma tutti questi “se” ora come ora erano solo forvianti ed inutili rimpianti.
Si abbandonò sulla sedia del suo studio, cupo in volto.
Doveva saperne di più. Doveva.
Era divenuta una questione di principio, una promessa fatta con se stesso.
Avrebbe cominciato le sue ricerche da quell’unico particolare interessante che aveva potuto scorgere in quella uggiosa mattinata di pioggia: il cappuccio bianco.
Quando finalmente i suoi aiutanti arrivarono, nascose frettolosamente gli schizzi sotto un corrimano in pelle e scoprì le tele ancora incomplete.
Firenze lo richiamava impaziente al suo lavoro con l’ultimo scoccare delle campane di Santa Croce.
Leonardo non la fece attendere oltre.
  
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