Torno prima del
previsto dato che il romanzo non riesco a scriverlo, e sto al contrario
dedicandomi alla stesura di storie brevi e favole ^^
Premetto che i Tokio Hotel non mi appartengono e questa storia non mira a
sminuirli né in alcun modo dare di loro un’immagine negativa. Tutto ciò che vi
apprestate a leggere è opera mia: Arashi Hime (che trovate sempre a: arashihime@hotmail.it)
Vogliate scusare l’inizio ingarbugliato, spero vi possa comunque piacere questo
primo capitolo iniziale… ^^
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Capitolo 1
« …Ti prego, bambina mia, dimmi che sei pronta! »
Urlò una voce profonda e ansiosa da dietro la porta scorrevole di riso della
mia cameretta, e io –trasalendo- non potei fare a meno di scoccare un’occhiata
veloce all’orologio appeso al muro dinnanzi a me: le sette e quattro minuti.
Sgranai leggermente la bocca, sconvolta, e mi bastò solo un attimo per posare
sulla mia antica toilette orientale la spazzola di crino che stavo usando per
pettinarmi, prima di schizzare in piedi –inciampando prontamente nella lunga
seta del mio abito- così da poter correre, per quanto mi era possibile, verso
la porta.
« Eccomi, padre! » Esclamai ansante quando vi fui davanti, facendo scivolare
verso destra il leggero muro di carta di riso che mi separava da quegli occhi
blu e quei capelli biondi che tanto amavo; e il vederlo sorridere
-accarezzandosi i suoi baffi in quel gesto che da piccola mi aveva fatto tanto
ridere- non poté che mettermi di buon umore.
« Scusatemi il ritardo, spero non vi saranno complicazioni per l’aereo… »
Mormorai a bassa voce, inchinandomi velocemente in una tacita richiesta di
perdono, ma la risata del mio interlocutore mi fece presto capire...quanto
ancora, della cultura occidentale, dovevo imparare.
« Non ci si inchina per scusarsi, Shinoko » Mi ammonì scuotendo la testa «
...Non in occidente perlomeno, cerca di ricordarlo per quando arriveremo. »
« Si padre, come desiderate » Risposi prontamente io, riportandomi in eretta
postura e sorridendogli radiosa, mentre le mie mani correvano velocemente a
lisciare gli strati del mio kimono celeste e bianco, in un gesto di mascherata
paura.
Chissà –pensai socchiudendo gli occhi al piacevole tocco della seta ricamata-
forse avevo errato nell’indossare un simile capo? Forse avrei dovuto preferire
un paio di... “pantaloni” e una “maglietta” come aveva detto Okasaan, mia
madre...?
Forse, avrei messo in imbarazzo...lui...? ...mio padre...?
...oh...oh...no...!
« PADRE, VI PREGO, PERDONATEMI! » Urlai allarmata e improvvisamente
terrorizzata, portandomi le mani al petto e indietreggiando di qualche passo
dall’uscio della porta. Impaurita. « Io...io...mi cambierò d’abito! Io, vi
prego...!! Non odiatemi! Io non... »
...Perché? Perché dovevo essere tanto ottusa? E’ chiaro, una volta partiti,
avrei messo in difficoltà mio padre continuando imperterrita ad attaccarmi alle
mie tradizioni! Quante volte ancora avrei dovuto pregare gli antenati di
donarmi intelligenza e perspicacia!?
Perchè, avendo me come figlia, la sua vita era sempre così spiacevolmente
complicata!?
« ...Come? » Borbottò mio padre, guardandomi spiazzato mentre -automaticamente-
scattava verso di me per riafferrarmi al volo prima che riuscissi ad inciampare
sui miei geta laccati, finendo rovinosamente a terra. « Shinoko, cosa stai
dicendo? » Mi domandò perplesso, tirandomi verso di sé e cercando di
immobilizzarmi per accarezzarmi i capelli. « Perché dovresti cambiarti d’abito?
» Chiese poi, infine, inarcando un sopracciglio e osservandomi ora quasi
incuriosito, mentre sul suo volto andava a comparire un sorriso divertito e
sornione. Allegro e amabile.
Uno di quei sorrisi che sin dai miei primi giorni di vita avevo serbato nel mio
cuore come il più dolce dei regali donatomi dal cielo.
« ...Perché... » Esordii io, spiazzata a mia volta da quella sua domanda strana
e quasi assurda.
Forse, con la sua fittizia prova di incomprensione, non voleva mettermi in
difficoltà. Forse non voleva strapparmi rapidamente alla mia realtà. Forse
desiderava che fossi io a sentirmi a mio agio...
Oppure...
« ...Forse dovresti smettere di costruire nella tua mente tanti castelli
d’aria, Shinoko » Bofonchiò improvvisamente l’uomo immobile di fronte a me,
sospirando mentre i suoi occhi color del mare si alzavano al cielo prima di
scivolare nuovamente a scrutare ogni espressione che, sul mio volto, si
susseguiva in un’altalena di dubbi, timori e speranze. « ...Voglio che tu
sia felice... »
Felice –Lo ripetei nella mia mente più e più volte, quasi volendo imprimermi la
parola nella mente. Nel cuore.
Che strano sentirmi rivolgere quelle parole, e quella gentilezza...
Che strano concepire che di lì a qualche ora, mai più avrei rivisto il mio
giardino di bambù o il mio specchio di legno.
Che strano immaginarmi persa in una grande nazione straniera, al fianco di
quell’uomo che avevo potuto mirare solo poche volte nella mia vita.
Che...buffo.
Si. Buffo.
Doveva essere questo il termine che chiunque avrebbe cercato all'interno del
proprio vocabolario personale, dopo avermi visto camminare di fianco a colui
che chiamavo padre, per le affollate vie Tedesche.
Un futuro che ancora non riuscivo a delineare, e che –nel mio animo-
forse troppo ancora mi impauriva...
…eppure...
« Padre... » Sussurrai, abbassando lo sguardo. Timorosa del porre la domanda,
ma terrorizzata all’idea di sentirne la risposta.
« ...Si? » Mormorò dolcemente l’uomo che, dinnanzi a me, continuava a guardarmi
–forse speranzoso di riuscire a capire e interpretare la mia mente, o forse
solo incuriosito dalla mia gamma di pensieri troppo irreale per essere vera.
« ...Cosa vedi, guardandomi? » Domandai infine, dopo aver inspirato
profondamente e aver stretto le mie mani l’una sull’altra in una morsa d’ansia.
Temevo la risposta poiché, nel mio animo, ne conoscevo le alternative.
Sapevo l’effetto che il mio essere suscitava negli occhi di un uomo o una donna
occidentali.
Sapevo i pettegolezzi che su di me venivano fatti, anche tra i miei vicini o le
mie consorelle.
Sapevo ma, pur sapendo, continuavo a temere l’eventualità.
Io ero una donna così.
Sciocca. Ecco.
Nulla più...
« Vedo una ragazza » Sussurrò mio padre dopo un attimo di silenzio esitante, e
nel dirlo, portò l’indice della sua mano destra sotto il mio mento, invitandomi
ad alzare lo sguardo verso il suo.
Verso il suo sguardo apprensivo. Dolce. Un po’ impaurito e un po’ inconsapevole.
« …anzi, una giovane e bellissima donna... » Si corresse dopo un istante,
sorridendo gentilmente, e il suo dito –dal mio mento- venne posato sulla mia
fronte, da dove lentamente, prese a scivolare...
« Vedo un ovale bianco e perfetto, da bambola di porcellana, splendidamente
incorniciato da una cascata di capelli color della notte...
Vedo un bellissimo paio di occhi color del mare, e delle labbra rosee e
carnose...
Vedo un nasino alla francese... » E così dicendo mi solleticò il naso,
facendomi ridere e quasi starnutire. Proprio come quando ero bimba. « ...e un
sorriso incantevole » Disse allora, prontamente, abbassandosi alla mia altezza
e afferrandomi dolcemente il viso tra le mani, sorridendo a sua volta.
« Ecco cosa vedo...nulla più di mia figlia. Shinoko Swarz »
...Suonava davvero male quel nome –pensai istantaneamente accennando ancora una
volta ad un sorriso, per non deludere le aspettative del mio amato
interlocutore.
« Shinoko Aliné Swarz » Lo corressi allora io, arrossendo leggermente.
Se non altro, aggiungendovi quell’unico nome occidentale ereditato da ancora
non ricordavo quale sconosciuto parente europeo, il mio nuovo cognome non suonava poi così strano.
« Certo... » Bofonchiò l’uomo, ridacchiando. « ...Allora, mia piccola Shinoko
Aliné Swarz » Ripeté quel nome con ligia sicurezza, quasi volesse prendere in
giro i miei complessi o semplicemente il mio essere mezzosangue. « ...te lo
richiedo: Vuoi venire ad abitare in Germania con me? »
...E io, osservando sorridere quel padre che per troppi anni avevo desiderato,
e che in quell’unico momento avevo lì di fronte a me...
Osservando i suoi lineamenti marcati...I suoi baffi biondi e allegramente
smossi dal suo sospiro paziente...
Scrutando nel suo sguardo chiaro e nel suo cuore puro...
...Mi fu impossibile non annuire, intimidita ma infondo felice.
Felice di poter immaginare un futuro, dopo anni in cui vedevo solo nero e
vuoto.
Felice.
« Ja! » Esclamai, e finalmente -soddisfatta- riuscii a far sfoggio di un po’ di
quel “linguaggio strano” che Okasaan aveva tanto insistito per farmi apprendere
sin da piccola.
« Portatemi in Germania, padre...! »
Inizia così la mia storia, caro diario. Un po’ confusa, non pensi?
Oggi parto da Tokyo con mio padre –Sebastian Swarz- in direzione di Amburgo, la
sua città natale e luogo dove trascorrerò il resto della mia vita.
Hai visto, mio caro diario, quant’è strana la vita?
Fino a qualche anno fa, avrei giurato che sarei per sempre rimasta a recitare
Haiku e a danzare al suono di un koto, sul teatro più famoso di Tokyo. Ora,
invece...
...E’ proprio vero.
La vita di una piccola Geisha è proprio imprevedibile...
...ma i numi, visti i miei 19 anni appena compiuti, sapranno sicuramente
aiutarmi.
tua,
Shinoko.