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Autore: sunonshame    31/05/2013    9 recensioni
In pochi istanti un uomo giovane dal fisico magro e slanciato,capelli bagnati,mossi e neri, si piazzò davanti a me guardandomi spaventato. Abbozzai un piccolo sorriso e lanciai un piccolo sguardo al portone, come a fargli capire che volevo entrare. Sbattè una decina di volte le palpebre e poi estrasse una chiave dalla tasca del suo lungo trench color tortora. Si avvicinò alla serratura e con uno scatto aprì il portone spingendolo un po' e spostandosi lievemente a destra per farmi passare.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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April 26, 1988

 
 
La pioggia cadeva irrequieta sull'asfalto maltrattato delle periferie di Dallas. Correvo velocemente, schivando le grandi buche stradali colme di acqua giallastra, puntellata dalla pioggia che non si decideva a smettere.
La pioggia era solita a infondermi tranquillità, ma quel giorno la aborrivo, la detestavo, non potevo proprio sopportarla...forse perché le piaceva intrattenersi inzuppandomi tutti i pantaloni. 
 
Riuscii ad arrivare al portone di casa; verde,puzzolente e con molteplici macchie di ruggine che mischiate alla pioggia emanavano un odore strano e non gradevole al mio olfatto. Presa dalla fretta aprii la borsa che posava saldamente sulla spalla e lasciai uscire da essa un mazzo infinito di chiavi argentate. Ora mi toccava lottare contro la mia memoria e la sua fatica nel ricordare qual'era la chiave di casa. Le infilai tutte nella serratura del portone, ma nessuna andava bene. E per rimanere nel drammatico, la mia mano tremava ed era assolutamente congelata dal freddo che c'era lì. Mi arresi e gettai il mazzo di chiavi nella borsa, richiudendone la cerniera. 
Mi guardai varie volte intorno sperando di trovare qualche mio vicino di casa che girava per la strada, magari diretto proprio qui, almeno avrei ricevuto un po' di aiuto.
La strada era deserta, giravano solo palle di carta e pezzetti di poster che prima erano ben attaccati ai muri dei palazzi. Ero totalmente sola e incapace di risolvere quella situazione.
Passarono più di 20 minuti ed ogni secondo speravo e pregavo che quella pioggia finisse. Ringraziando il cielo c'era un piccolo pezzo di muro sopra la mia testa che mi riparava quanto bastava. Dopo qualche sbattuta nervosa di piede sul mattonato arancione sotto di me, sentii qualcuno avvicinarsi e poi vidi la sua sagoma.
In pochi istanti un uomo giovane dal fisico magro e slanciato,capelli bagnati,mossi e neri, si piazzò davanti a me guardandomi spaventato. Abbozzai un piccolo sorriso e lanciai un piccolo sguardo al portone, come a fargli capire che volevo entrare. Sbatté una decina di volte le palpebre e poi estrasse una chiave dalla tasca del suo lungo trench color tortora. Si avvicinò alla serratura e con uno scatto aprì il portone spingendolo un po' e spostandosi lievemente a destra per farmi passare. Subito entrai furtiva, sperando che non capisse che era un po' spaventata. Mi avventai subito all'ascensore e cliccai il pulsante per chiamarlo almeno una trentina di volte interrottamente. L'uomo entrò poco dopo la mia ventesima cliccata e chiuse il portone dietro di sé, per poi posare la chiave di nuovo dentro la tasca del trench.
 
Si mise alla mia sinistra e mi guardò con sguardo incuriosito, aggrottando le sopracciglia. Era davvero un bell'uomo: carnagione olivastra, capelli scuri, labbra rosse e screpolate dal freddo e un naso a punta. Cercai di non prolungare il mio sguardo e così abbassavo gli occhi e guardavo,come interessata, i miei stivali beige, tutto tranne che alla moda. 
L'ascensore arrivò poco dopo e lui,ancora una volta, aspettò che passassi prima io. Entrai con cautela, ma con la coda dell'occhio provavo a guardare i suoi movimenti e se aveva intenzioni poco buone. Dopo poco lo ritrovai al mio fianco. Rimasi immobile.
-Che piano, signorina?- chiese ed io sobbalzai leggermente. Provai a spiccicare una parola, ma un groppo in gola mi si formò, non permettendo alle parole di uscire.
Schiarii la gola e risposi un po incerta.
-Mhm..terzo piano, grazie- Sorrise e si allungò per cliccare il pulsante. Si ritrasse e mi scoccò uno sguardo accompagnato da una lieve curva sulle labbra.
L'ascensore si azionò e barcollò leggermente. Quell'ascensore si sarebbe rotto definitivamente prima o poi. Tutto il condominio,però, continuava a chiamare gli ascensoristi, sperando di allungare la vita a questo ascensore.
 
-Piacere,signorina, io sono Michael- allungò la sua mano ed io la guardai esitante. Gliela strinsi con delicatezza, poi passai il mio sguardo sui suoi occhi e solo allora mi accorsi che portava un Fedora nero che gli copriva il volto, anche se potevo vedere abbastanza bene gli occhi.
-Piacere mio,Michael, io sono Diana- sorrisi e lasciai la sua mano. Le sue guance si colorarono di rosa e la cosa mi lasciò un po' perplessa. Che fosse timido? Impossibile, sennò non mi avrebbe chiesto neanche il nome. Non badai molto al suo arrossire.
L'ascensore arrivò a destinazione e le porte si aprirono una a destra ed una a sinistra e finalmente potei entrare nel corridoio puzzolente dove c'era il mio appartamento.
Dopo dieci passi mi girai lievemente e mi accorsi che Michael era dietro di me, così accelerai il passo, lasciando sbattere il tacco dello stivale sul pavimento che, di conseguenza, echeggiò dappertutto. 
-Signorina!- urlò, quando ero a meno di un metro dalla porta di casa. Mi girai e pregai Dio che non volesse uccidermi. Aveva un foulard color prugna tra le mani e lo sventolava come per dirmi che me l'ero dimenticato. Si avvicinò a me e mi prese la mano aprendola e posizionandoci dentro il foulard. Sorrise e strinse la mia mano in un pugno che poi strinse lui con le sue mani.
-Le era caduto nell'ascensore, signorina Diana- terminò in fine. Annuii incantata dalla sua misteriosità e bellezza.
-Grazie mille, Signor Michael.- dissi abbozzando un lieve sorriso. Lui fece un piccolo inchino con il capo e dopo aver fatto due passi indietro,ed avermi lasciato il pugno, mi diede le spalle. Per il corridoio si sentiva solo il tacco dei suoi mocassini che sbatteva sul pavimento, un po' come i miei stivali.
Presi un bel respiro e guardai il foulard. Aggrottai le sopracciglia. Io non portavo mai foulard, anzi, li detestavo. Il cuore iniziò a battere all'impazzata. Da un momento all'altro mi sarebbe venuto un'attacco di tachicardia. Cercai di controllare il mio respiro e mi calmai.
Passai il foulard nell'altra mano e lo aprii. Dentro c'era un pezzetto di carta bianca. Lo lasciai cadere al suolo ed aprii il bigliettino. 
"L'aspetto stasera alle 21.00 al Reunion Arena. Entri da dietro, la lasceranno passare. Con affetto, Michael Jackson". Sgranai gli occhi. E capii.
  
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