Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: kymyit    31/05/2013    2 recensioni
-Per quanto ancora credevi di ignorarmi?- domandò una voce irritata alle sue spalle.
Jotaro rimase in silenzio, tacque il tempo necessario alle ultime gocce di caffè per cadere nel bicchiere, poi si voltò.
-Non dovresti stare a riposo?- ribatté ignorando la domanda. L’altro incrociò le braccia al petto e lo fissò dritto negli occhi.
Non ammetteva più repliche o evasioni.
-Ho riposato abbastanza.- disse fermo.
Jotaro continuò a studiarlo con lo sguardo, in quel silenzio tipico che precedeva le spiegazioni. Kakyoin non si poteva dire propriamente in forma. Era pallido, più magro e apparentemente più fragile, ma si reggeva sulle gambe autonomamente, anche se con fatica.
Jotaro, in silenzio, gli fece cenno di seguirlo e si diressero verso il giardino dell’ospedale.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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SMILE


You turn it all around
And suddenly you’re all I need
(Smile, Avril Lavigne)




Lo scrosciare del caffè versato nel bicchierino di carta scandiva lentamente il tempo. Probabilmente quel distributore di bevande non era stato sostituito con uno più rapido al solo scopo di tenere occupata la mente degli attendenti in sala d’attesa, risparmiando loro, almeno in parte, il dolore di macerare nella speranza e nello sconforto.
Jotaro non era triste, né sconvolto: era felice, eppure non riusciva a godere appieno di quella gioia.
In un certo senso, anche per lui quella macchinetta del caffè era una benedizione perché gli permetteva di temporeggiare.
-Per quanto ancora credevi di ignorarmi?- domandò una voce irritata alle sue spalle.
Jotaro rimase in silenzio, tacque il tempo necessario alle ultime gocce di caffè per cadere nel bicchiere, poi si voltò.
-Non dovresti stare a riposo?- ribatté ignorando la domanda. L’altro incrociò le braccia al petto e lo fissò dritto negli occhi.
Non ammetteva più repliche o evasioni.
-Ho riposato abbastanza.- disse fermo.
Jotaro continuò a studiarlo con lo sguardo, in quel silenzio tipico che precedeva le spiegazioni. Kakyoin non si poteva dire propriamente in forma. Era pallido, più magro e apparentemente più fragile, ma si reggeva sulle gambe autonomamente, anche se con fatica.
Jotaro, in silenzio, gli fece cenno di seguirlo e si diressero verso il giardino dell’ospedale.



Solo un mese prima era morto.
Era morto ed era tornato in vita.
Jotaro aveva scelto per lui, non gli aveva neppure chiesto il permesso di rianimarlo. Gli aveva afferrato il cuore fra le mani intangibili di Star Platinum e l’aveva costretto a pompare nuovamente il sangue in tutto il corpo. Egoisticamente aveva pensato di strapparlo alla morte.  Memore dei racconti del nonno, della storia dello svitato cyborg nazista, aveva costretto i medici della Speedwagon a tentare un’impresa ancora più audace di riportare alla vita un vecchio dissanguato trasfondendo il sangue di un vampiro nelle sue vene prosciugate.
I dottori erano riusciti a tenerlo in vita fino al trasporto in una delle strutture della fondazione al Cairo, lì avevano stabilizzato le sue condizioni e si erano immediatamente adoperati per impiantargli degli organi provvisori artificiali, in previsione di un trapianto di quanto poteva essere ancora recuperato.
In quel momento Jotaro aveva tentennato.
Durante il viaggio verso l’Egitto avevano rischiato di morire più di una volta, il sangue era scorso a fiumi, le fatiche erano state stremanti, i poteri dei nemici terribili.
Ma avevano sempre reagito.
Kakyoin non reagiva mentre gli riempivano il corpo di macchinari, non aveva scelto lui, non si era potuto esprimere.
Jotaro aveva deciso.
Si chiese se non avesse agito davvero solo per egoismo.


Si sedettero su una delle panche di pietra, Kakyoin tamburellava le dita sull’asta della flebo che si tirava dietro da giorni senza lamentarsi.
-Allora?- gli chiese guardando il cielo.
Jotaro si accese una sigaretta, poi, però, osò guardare l’amico.
-Posso?-
-Fai pure.- rispose quello.
Il moro tirò con la sigaretta ed espirò una liberatoria boccata di fumo.
-Cosa ne pensi?- chiese.
-Penso che se non parli non posso indovinare ciò che pensi.- rispose Kakyoin con un ghigno divertito.
-E’ solo che… per te va bene così?-
Il moro accennò al suo addome. Nascosto dalla stoffa a righe del pigiama, l’impianto artificiale era come invisibile.
Ma era lì.
-Sì.- rispose Kakyoin, serio. -Quando Dio mi ha colpito, ho pensato che il mio unico rimpianto fosse di non averlo sconfitto. Ma ho anche pensato che i miei genitori dovevano essere disperati e poi… - fece un debole e imbarazzato sorriso -Voi siete i miei unici amici perciò… sono stato contento di vedere che tenevate così tanto a me… -
Il picchiettio sull’asta della flebo si fece quasi isterico, nella sua mente Kakyoin rivisse quel momento. Il preciso istante in cui aveva sentito la vita pervadere nuovamente il suo corpo. Con un lungo sospiro era riemerso da un sonno profondo. E aprendo gli occhi aveva rivisto Jotaro chino su di lui, come quella volta.
-Buffo no?- domandò concedendosi una risata e poi guardando l’altro negli occhi -Non fai che salvarmi la vita.-
Il suo sguardo allora era simile a quello che aveva quando gli aveva strappato il Germoglio di Carne, restituendogli la libertà. Era solo più disperato, aggrappato con forza alla speranza.
Jotaro era la Stella, Star Platinum rappresentava la speranza, solo in quel momento aveva capito davvero cosa significasse.
Jotaro aveva sconfitto Dio Brando, aveva sconfitto la morte e l’aveva trascinato alla vita perché possedeva una speranza invalicabile che lo portava a non cedere mai, neppure di fronte alle difficoltà più estreme.
Il loro gruppo confidava in lui perché nella sua forza si sentivano invincibili.
Buffo, in quel momento era lui a sentirsi fragile, spaesato, insicuro.
C’era una domanda che gli premeva, una domanda delicata, che non sapeva bene come porre all’altro.
Era anche stupida, in realtà, ma aveva bisogno di sapere.
Fu sul punto di parlare diverse volte e le parole gli morivano in gola ancor prima di essere messe insieme.
“Sei davvero felice che io abbia scelto per te?” pensava.
Poteva essere felice di essere vivo nonostante le cure travagliate che stava sopportando? Non era come quando gli versavano il liquore direttamente sugli occhi per non farli infettare, là, in mezzo al nulla, dove nessun medico poteva salvare la sua vista.
Era anche peggio.
Budella, stomaco, diaframma, la spina dorsale!
Chissà cos’altro gli aveva strappato via, The World, quella notte.
Jotaro aveva preteso che tutto ciò gli fosse restituito, ma sarebbe stato Kakyoin a dover sopportare il peso di tutte quelle parti del corpo fittizie, con tutti i loro problemi e i rischi che comportavano, non lui..
Non sarebbe stato più caritatevole lasciarlo semplicemente andare?
-Io volevo vivere.- gli disse Kakyoin.
Jotaro si riscosse dai suoi pensieri e solo allora si accorse degli occhi dell’altro fissi su di lui.
Fra loro c’era molto più che l’intesa di due amici e compagni, poteva dire con certezza che fosse sincero, sicuro, determinato e capiva sempre qual’era il problema.
Non c’era bisogno di parlare, sapeva studiare la situazione e agire di conseguenza.
Gli prese la mano e poggiò la testa sulla sua spalla, senza smettere di sorridere con le sue labbra sottili.
-Grazie, Jojo.-
Jotaro si calò la visiera del berretto sugli occhi, accennando appena un sorriso. La sigaretta gli cadde dalle labbra, distrazione ormai inutile, e le sue braccia forti si strinsero intorno al corpo fragile del compagno.
-Sono contento che tu sia vivo.- mormorò col viso sprofondato fra le pieghe del suo pigiama, gli occhi lucidi di lacrime che nessun altro avrebbe dovuto vedere.
Kakyoin non smise di sorridere, ma le lacrime rigarono anche le sue guance.
-Ti prego, smettila... - mormorò restituendo l’abbraccio, tremante -Se ti metti a piangere tu, come faccio a trattenermi?-




   
 
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