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Autore: lalychan    31/05/2013    2 recensioni
Jonghyun si sente solo da quando Yonghwa ha trovato la sua anima gemella...qualcuno pensa allora di proporgli un fidanzato in "prestito"
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Library Couples'
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Questa OS fa parte di una raccolta di quattro da me chiamata "Library Couples"
Al momento ne ho scritte altre due, "You've fallen for me" e "Burning" sempre con i CNBLUE come personaggi. Vi consiglio, se vi interessano, di leggerle nell'ordine indicato nel titolo. Buona lettura




RENT A BOY
Ce l'hai la tessera per prendermi in prestito?







Ci misi più di due minuti a staccare gli occhi dai suoi.

L’estate doveva avergli giovato più di quanto pensassi.

Era semplicemente splendido, leggermente abbronzato, più muscoloso della prima volta che l’avevo visto, i capelli leggermente più lunghi del solito raccolti in una coda, due ciuffi troppo corti per venire raccolti ad incorniciare quel viso così dolce.

Il suo sguardo era un po’ perplesso.

E come dargli torto? Non ero nemmeno sicuro che si ricordasse di me.

Dopotutto avevamo parlato solo una volta.

Alzò una mano per salutarmi, accennando un sorriso imbarazzato.
Mi irrigidii, sentendo uno strano calore invadere il mio viso. Risposi al saluto con un leggero inchino e mi affrettai a sparire dietro gli scaffali più vicini.

“Lee Jonghyun, che diavolo ti prende? Datti una calmata”.

Inutile, il cuore continuava a battermi all’impazzata. Dovevo essere malato, era meglio andare a farsi controllare da un medico al più presto.
Sospirai per cercare di riprendere il controllo e quando fui sicuro di non essere sul punto di fare un infarto mi diressi a un tavolo libero, tolsi i libri di statistica dalla borsa e cercai di concentrarmi nello studio.

Non so bene quanto tempo fosse passato, ma ad un tratto iniziai a sentirmi osservato. Sollevai lo sguardo dal quaderno incontrando il suo.

L’urlo di sorpresa e il salto che feci fecero voltare la testa di tutti gli studenti della biblioteca dalla mia parte, e le loro occhiate non erano esattamente amichevoli.

Di nuovo con la faccia in fiamme cercai di ricompormi bevendo un sorso d’acqua dalla bottiglietta che avevo posato sul tavolo.

«Scusa se ti ho spaventato hyung» sussurrò ridacchiando divertito.

“Dio che melodia arriva alle mie orecchie…voci di angeli”

«Accidenti Jungshin, la prossima volta non piombarmi di fronte in quel modo»

«Veramente ti stavo osservando da cinque minuti buoni. Ma tu eri troppo occupato a studiare. A proposito, che stai facendo di bello?» chiese Jungshin allungando la testa per leggere gli scarabocchi sul mio quaderno.

Con più rumore di quanto ne avessi provocato appena prima, mi fiondai sugli
appunti, arraffandoli alla velocità della luce e infilandoli a forza nella borsa.

«Non è niente, noiosissima statistica. Credo proprio che ora andrò a casa, non riesco a studiare qui, c’è troppo rumore» risposi cercando una scusa per scomparire il più velocemente possibile.

“Sei tu che stai facendo tutto questo casino, idiota. E solo per nascondere i tuoi appunti di statistica…..*Calcolo delle probabilità che ho con Jungshin*…decisamente una fortuna che non abbia visto il quaderno”

«Aspetta hyung, ho io il posto che fa per te, seguimi» disse trascinandomi per mano dopo aver conficcato silenziosamente tutto il mio materiale nella borsa ed essersela messa a tracolla.

«Jungshin, non dovresti essere al banco prestiti a fare il tuo lavoro? Potresti finire nei guai» lo ammonii, imbarazzato alla vista della mia mano stretta nella sua. Era così calda, le dita così lunghe e sottili…

“C’era droga in quella bottiglietta o cosa?”

«Non ti preoccupare hyung, aiutare gli studenti fa parte del mio lavoro. Devo essere sempre a disposizione per ogni bisogno» rispose con un tono che non mi piacque affatto.

O meglio, mi piacque.

Eccome se mi piacque.

Era chiaramente un doppio senso no?

“Masturbarsi mentalmente è peggio che farlo fisicamente lo sai? Rovina il cervello oltre che la vista”

Lo seguii senza più fiatare attraverso i corridoi e oltre un’uscita di emergenza. Cominciai a preoccuparmi quando mi accorsi che mi stava conducendo in un sotterraneo. Che diavolo aveva in mente?

«Jungshin dove diavolo mi stai portando?» chiesi sul chi vive mentre scendevamo delle scale traballanti.

«Aspetta e vedrai» rispose in tono giocoso.

Deglutii rumorosamente, continuando ad andargli dietro fino alla fine della scalinata e lungo un corridoio buio. Alla fine di questo, un portone di legno macilento recava una targhetta con scritto “Archivio”.

Jungshin infilò nella toppa una pesante chiave arrugginita e spinse l’uscio. Odore di carta ammuffita riempì le mie narici facendomi starnutire violentemente. Sentii Jungshin ridacchiare, premendo un interruttore alla destra del portone.

«Non preoccuparti hyung, ti ci abituerai subito» disse costringendomi ad entrare in quella stanza.

Era un enorme camerone colmo di scaffali, a loro volta pieni di raccoglitori di scartoffie, libri troppo consunti per essere letti, aeroplanini di carta e tutto ciò che dalla cellulosa poteva essere prodotto e poi portato a marcire laggiù. Mi dava un’impressione di abbandono, ma dall’altro lato ero anche incuriosito. Chissà cosa c’era scritto su quei fogli. Chissà quante persone avevano studiato su quei libri.

«Laggiù c’è un vecchio tavolo con una sedia. Qui sotto non arriva nessun rumore, a volte ci vengo anch’io a studiare perché stare di sopra in mezzo agli altri studenti mi distrae. Puoi rimanere quanto vuoi, quando sarà ora di chiudere verrò io a chiamarti» spiegò con una nota entusiasta nella voce.

Mi venne da sorridere. Avevo l’impressione che Jungshin avesse voluto condividere con me qualcosa che apparteneva solo a lui. Mi chiesi se Yonghwa fosse a conoscenza di quel luogo. Magari no.

Mi piaceva pensare che almeno quella fosse una cosa solo tra me e il mio Jungshin.

“Mai stato tuo, razza di scemo. E mai lo sarà”

Il sorriso sulle mie labbra si incrinò e la cosa sembrò non sfuggire al mio amico.

«Che c’è hyung? Non ti piace? Se è per l’odore non ti preoccupare, l’impianto di illuminazione è collegato a quello di ricambio dell’aria, tra una mezz’ora non sentirai più nulla» mi informò Jungshin in tono ottimista.

Scossi la testa. Non era di aria che avevo bisogno. Avrei voluto che rimanesse con me. Volevo passare un po’ di tempo con lui in quel posto speciale. Volevo l’occasione di conoscerlo meglio. Di capire perché il mio cuore avesse iniziato a battere così forte.

«Devo tornare di sopra, prenditi tutto il tempo che ti serve e se hai bisogno vieni pure a chiamarmi. Ci vediamo dopo hyung, buono studio» aggiunse
lanciando un’occhiata all’orologio da polso.

Dettò ciò girò sui tacchi e corse a grandi falcate verso le scale che portavano al piano di sopra.

Rimasi solo.

Io, il tavolo consunto, la sedia cigolante e l’odore di muffa delle tonnellate di carta che stavano in quella stanza.

Tirai un sospiro profondo. Non avevo nessuna voglia di rimanere lì da solo, né tantomeno di studiare, ma non potevo rifiutare così la gentilezza di Jungshin. Probabilmente rischiava anche il posto a farmi stare nell’archivio della biblioteca. Non mi sembrava un luogo cui normalmente potevano avere accesso gli studenti.

Così, a malincuore mi accomodai al tavolo e tirai fuori nuovamente gli appunti di statistica.

Il nome di Jungshin scritto in maniera ossessiva con inchiostro rosso sul retro del foglio non aiutava di certo la mia concentrazione.
Cercai di liberare la mente e mi misi d’impegno. Dovevo approfittarne per cercare di combinare qualcosa di buono. Pian piano i miei fogli cominciarono a riempirsi di calcoli e scarabocchi che solo io potevo comprendere. Jungshin aveva ragione, quel posto conciliava davvero lo studio. Non c’era nulla che potesse distrarmi lì sotto. Regnava il più totale silenzio, nessun movimento di studenti intorno. Il nulla più assoluto.

Dopo che ebbi finito un capitolo di esercizi mi alzai per sgranchirmi un po’ le gambe, decidendo di dare un’occhiata a tutta quella carta abbandonata.
La maggior parte erano documenti d’acquisto dei libri, bilanci della biblioteca, liste dei tesserati risalenti a prima dell’era dei computer. I libri invece, per quanto logori e ingialliti, avrebbero potuto benissimo essere consultati ancora per studi o ricerche. A quanto pareva, il sapere non era cambiato molto da quando erano stati acquistati, alcuni addirittura cinquanta anni prima. Stavo per tornare alla mia statistica quando qualcosa attirò la mia attenzione. Da un libro di sociologia ancora in discrete condizioni spuntava un foglio candido come la neve. Non poteva certo appartenere a uno studente di vent’anni prima, era evidentemente stato messo lì dentro da poco.

Incuriosito, lo sfilai e gli diedi un’occhiata. Rimasi di sasso osservando la mia espressione concentrata su alcuni libri fare bella mostra di sé da quell’A4. Era un ritratto. Un ritratto di me fatto a penna. Era incredibilmente somigliante ed aveva un che di “vivo”. Non avrei mai pensato che un’espressione del genere potesse stare sulla mia faccia. Rimasi diversi minuti a contemplarlo, fino a che mi ricordai dei libri reali sui quali avrei dovuto studiare in quel momento.

Rimisi il foglio nel libro di sociologia, continuando a chiedermi chi mai potesse averlo fatto, il quando e il perché, e tornai alla scrivania. Ricominciai con una certa malavoglia a riempire fogli e fogli di calcoli, fino a che, guardando l’ora mi resi conto che erano le nove.

Rimasi un momento di sasso.

La biblioteca chiudeva alle otto di sabato.

Com’era possibile che Jungshin non fosse ancora venuto a chiamarmi?

Iniziai a sudare freddo. Avevo un pessimo presentimento. Afferrai tutta la mia roba e la gettai alla rinfusa nella borsa, correndo velocemente fuori dall’archivio verso le scale di emergenza che salii quasi volando, rischiando più volte di ammazzarmi.

Aprii la porta, ritrovandomi nella sala principale della biblioteca. Chiusa. Buia.

Mi avevano chiuso dentro.

«Merda» imprecai correndo verso l’uscita, provando a spingere le porte, trovandole completamente chiuse. Non c’era modo di uscire da quella parte. Provai allora con le finestre, controllandole tutte una per una. L’apertura consentita dal telaio non era sufficiente a farmi passare. Ero bloccato lì dentro fino al mattino dopo.

Come era potuto succedere? Jungshin si era evidentemente dimenticato di me.

Sentii un peso schiacciarmi le costole appena quel pensiero raggiunse la parte cosciente di me.

Contavo così poco per lui che si era dimenticato di me.

E io che pensavo che l’avermi mostrato il suo posto segreto fosse un gesto con un qualche significato.

Magari invece si era reso conto che passavo i pomeriggi a fissarlo invece che a studiare e aveva voluto chiudermi lì sotto per non venire infastidito.

“Povero stupido, Lee Jonghyun! Sei un idiota senza speranza, ed ora ti tocca anche passare la notte tutto solo in questa vecchia biblioteca deserta e buia”

Non era un pensiero incoraggiante.

Dimenticai per un momento la questione Jungshin e drizzai le orecchie. Forse ero solo condizionato dalla situazione, non era possibile che qualcuno stesse sussurrando il mio nome.

C’ero solo io lì dentro.

No?

«Jonghyun»

Non l’avevo sognato.

Non era la mia immaginazione.

In quel posto c’era qualcuno che mi chiamava.

Mi si rizzarono i capelli in testa e mi acquattai pronto a reagire a qualsiasi attacco.

Un fruscio dietro di me mi fece scattare, e presi a correre a zig zag tra gli
scaffali, sperando di confondere il mio aggressore.

Che ci fosse il fantasma di qualche studente dimenticato nella biblioteca come me? Magari era venuto a prendermi per portarmi con sé nel limbo dei dimenticati in archivio.

“Complimenti per la fantasia, e soprattutto per il coraggio. Un leone, davvero! Guarda, ti sta spuntando la corona del re dei fifoni in testa!”

Mi fermai. La mia coscienza aveva ragione. Qualsiasi fosse la cosa che mi stava dando la caccia, avrei dovuto affrontarla da vero uomo.

Mi voltai…e mi trovai di fronte un volto maligno, illuminato dalla luce della luna piena che entrava dalla finestra lì accanto.

“Bravo” sentii la mia coscienza commentare, un momento prima che intorno a me si facesse tutto buio.


***



Perché mi prendevano a sberle? Non era divertente. Volevo che la smettessero.
Aprii gli occhi, infastidito da quelle dita che continuavano a colpire il mio viso.
Mi trovai di fronte un viso familiare e preoccupato.

“Jungshin?”

«Hyung? Hyung va tutto bene hyung? Sei svenuto, mi hai fatto preoccupare da morire» disse la voce dolce di Junshin. Mi accorsi di avere la testa poggiata sulle sue ginocchia. Erano le sue lunghe dita quelle che fino a poco prima cercavano di svegliarmi a suon di schiaffi.

Un momento. Ero svenuto? Quando? Perché? Ricordavo di essere chiuso dentro e poi quel volto maligno. Il fantasma.

«Fantasma» dissi ad alta voce, vedendo la fronte di Jungshin aggrottarsi.

«Di cosa stai parlando hyung? Non c’è nessun fantasma qui. Non dirmi che sei svenuto per questo?» mi chiese iniziando a ridere come un pazzo, facendo sobbalzare anche me che ero appoggiato alle sue gambe.

Mi sollevai, irritato, afferrai la mia borsa e mi diressi verso l’uscita.

«Hyung dove vai?» chiese Jungshin raggiungendomi con due falcate.

«A casa. È già tardi, non ho tempo da perdere con questi scherzi» risposi soffiandogli contro quelle parole. Lo vidi irrigidirsi. Il suo sguardo si spense.

«Credi che sia uno scherzo?» mi chiese quasi sottovoce.

«Perché non lo è? Ti dimentichi di venire a chiamarmi, mi chiudi dentro una biblioteca enorme deserta, spunti dal nulla nel buio fingendoti un fantasma e vuoi farmi credere che non sia uno scherzo?» urlai poi in preda all’ira.

Perché Jungshin? Perché a me? Se solo sapessi quanto mi fa male una cosa del genere proprio da parte tua. Fosse stato un altro ci avrei riso su, ma tu. Tu sei troppo importante per me, e non dovresti. Tu sei di Yonghwa.

«Non mi sono dimenticato di te hyung. Non avrei mai potuto. E non era certo mia intenzione spaventarti. Volevo solo stare un po’ da solo con te in pace» rispose Jungshin a testa bassa, continuando a giocare con una ciocca dei lunghi capelli.

“Lee Jonghyun sei un completo idiota”

Lo so grazie, non serviva dirlo.

«Tu…tu ed io…»

“Complimenti per l’eloquenza re degli imbecilli. Dì qualcosa maledizione, ti ha fatto una mezza confessione e tu te ne stai impalato in silenzio. Non lo vedi che è sul punto di piangere? Dopo quello che gli hai detto prima starà
pensando che lo odi”


Devo dire qualcosa. Devo fare qualcosa.

Vidi Jungshin muoversi, oltrepassandomi per andare verso l’uscita.

“Finalmente qualcosa che ti funziona. Se non il cervello almeno i riflessi”

Afferrai il suo polso stringendo così forte che finii per fargli male. Me ne accorsi dalla smorfia e dal gemito che mi rivolse una volta voltatosi a guardarmi.

«Lasciami hyung, ti ho detto che non volevo farti del male» si lamentò lasciandosi sfuggire una lacrima.

«Però lo stai facendo. Stai piangendo, e non hai idea di quanto questo mi faccia male» risposi allentando leggermente la presa e avanzando di un passo verso di lui.

Era una manciata di centimetri più alto di me ma mi bastò tirare il suo braccio per farlo abbassare quanto bastava.

“Ecco, questo da te non me lo sarei mai aspettato. Bella mossa. Ti sei guadagnato la mia stima”


Le sue labbra tremavano leggermente, ma erano così morbide. Lasciai la presa sul suo polso per infilare le dita tra le ciocche ribelli che tanto adoravo, mentre con l’altra mano andai ad accarezzare la pelle vellutata del suo viso, attirandolo ancora di più verso di me, cercando di dare un seguito a quel semplice sfioramento di labbra che non mi soddisfaceva per nulla.

Sentii il cuore venire risucchiato per qualche secondo via dal petto, per poi ricomparire pulsando più velocemente che mai, quando Jungshin si rilassò e lasciò che la mia lingua curiosa esplorasse la sua bocca, intrecciandosi con la
sua che cercava di raggiungere le mie tonsille.

“Hai scatenato una reazione nucleare”

Le mani di Jungshin vagavano da un po’ sul mio corpo senza che me ne fossi accorto, troppo concentrato sul suo sapore per accorgermi di quello che avevo combinato.

Mi allontanai a fatica dalle sue labbra, ma durò meno di un secondo perché si attaccò di nuovo a me voracemente, scendendo con le mani a strizzare le mie natiche, facendomi arrossire.

Si incollò al mio corpo, muovendosi sinuosamente, facendomi sentire la sua eccitazione che premeva vogliosa contro il mio inguine.
Arrossii di nuovo. Non era proprio quello a cui stavo pensando quando l’avevo baciato.

“Ti prego, non fare cazzate. Dimostrati degno dei tuoi boxer per una volta e fai quello che ti senti senza pensare troppo”


Il cuore che mi scoppiava nel petto, il corpo di Jungshin addosso al mio, il suo profumo dolce, il suo sapore, il solletico che i suoi capelli facevano alla mia pelle ogni volta che posava le labbra sul mio corpo.
Non era il caso di pensare. Meglio lasciare che succedesse.



***



«Jungshin?»

«Uhm?»

«Hai fatto tu il mio ritratto?» domandai ricordandomi improvvisamente del foglio che avevo visto in archivio.

«Quale ritratto?» chiese aggrottando le sopracciglia.

«Ho trovato un mio ritratto fatto a penna in un libro di sociologia dell’archivio. Solo tu vai lì sotto no?»

«Devi aver sognato hyung. Io non ho fatto alcun ritratto. E sono l’unica persona ad avere le chiavi dell’archivio» rispose in tono serio.

«Se non sei stato tu allora chi è stato?» domandai di nuovo con una strana inquietudine. Mi sentivo osservato.
Mi voltai di scatto da una parte e dall’altra ma la biblioteca era ancora deserta. E del resto non era ancora l’alba, anche se il cielo fuori dalla finestra si stava pian piano rischiarando.

Intorno a noi solo i vestiti sparpagliati nella foga di appartenerci, e la silenziosa testimonianza dei libri che tutti i giorni stavano sugli scaffali in attesa di qualcuno che avesse bisogno del loro sapere.

Sospirai posando un bacio sulla testa del mio Jungshin, seduto tra le mie gambe, la schiena contro il mio petto, stanco almeno quanto me, probabilmente altrettanto felice.

«Hyung, io sono il ragazzo di Yonghwa» disse all’improvviso, fissando i suoi occhioni dolci e un po’ tristi nei miei.

«Lo so. Non ti preoccupare» risposi con un sorriso amaro.

Si allungò a incontrare le mie labbra un’ultima volta, prima di alzarsi e rivestirsi.
Lo imitai, e insieme uscimmo da quello strano posto, testimone di una notte fuori dal normale.

Un po’ era doloroso pensare di dover tornare alla realtà.

Jungshin amava Yonghwa e io non avrei certo messo in discussione il loro rapporto. Anche perché Yonghwa era il mio migliore amico. Però era stato bello, almeno per una volta, dimenticare i nostri vincoli, essere semplicemente Jonghyun e Jungshin. Amarsi come due perfetti sconosciuti.

«Grazie per stanotte hyung. Non lo dimenticherò» disse infilando il casco e salendo in sella alla sua moto.

Sorrisi, stavolta a cuor leggero.

«Grazie a te Jungshin. Salutami Yonghwa, è un po’ che non usciamo insieme io e lui» risposi facendo ciao ciao con la mano e osservandolo mettere in moto e schizzare fuori dal cortile del campus, sparendo nella nebbiolina del mattino.

“Asciugati quella lacrima, ci fai la figura del fesso”


No, ci faccio la figura di chi ha appena lasciato andare via una parte di sé in sella a una moto.
  
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