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Autore: lalychan    31/05/2013    4 recensioni
Choi Siwon è stato invitato a una riunione di famiglia a cui non ha nessuna voglia di partecipare. I suoi sospetti non erano poi così infondati dal momento che dopo il suo arrivo...
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Violenza
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Non avrei mai creduto possibile una cosa del genere.
Nonostante conoscessi bene la mia famiglia, quello scempio era inimmaginabile. Eppure camminavo velocemente, per quanto la ferita me lo consentisse, allontanandomi dal fuoco e dal fumo, sentendo le sirene dei pompieri e della polizia avvicinarsi.
«Siwon, sei sicuro che andrà tutto bene?» mi chiese lei. Camminava al fianco di mio cugino, qualche metro dietro di me. Aveva del fegato la ragazza. Aveva sopportato tutto senza piangere o rimanere shockata. Kyuhyun aveva buon gusto.
«Non ti preoccupare. Nessuno piangerà per loro» risposi mentre andavo ad affrontare il mio futuro.



Era successo tutto nel giro di due giorni. La mia era una famiglia mafiosa molto pericolosa. E molto grande. Non mi era mai piaciuto quello che facevano, mi ero sempre tenuto fuori dai loro “affari”.
Ero un erede minore, nonostante fossi di qualche anno più vecchio di mio cugino Kyuhyun. Lui era figlio del primogenito di mio nonno, quindi a lui spettava prendere in mano le redini degli affari loschi di cui si occupavano i nostri padri. Mio nonno era morto qualche mese prima. Non ero andato al suo funerale e non sarei mai voluto tornare in quell’enorme villa. Invece mi ci ero ritrovato, volente o nolente, in mezzo al parentado con la fedina penale lunga quanto il trentottesimo parallelo. Mia madre si era suicidata quando ero molto piccolo, io ero andato via di casa a quindici anni, accordandomi con mio padre per essere disconosciuto come figlio. Non volevo assolutamente far parte di quella famiglia. E questo mi aveva creato non pochi problemi. Mio nonno aveva fatto di tutto per inculcarmi i princìpi della nostra tradizione familiare. Una volta capito che ero dotato di una mia volontà e che non avrei mai accettato quella vita aveva iniziato ad odiarmi e perseguitarmi. Inutilmente. Conoscevo troppo bene i metodi dei suoi scagnozzi, li avevo sempre evitati facilmente. Anche se quel peso che mi portavo dietro mi aveva impedito di vivere una vita normale. Nessun amico, nessuna ragazza. Chiunque si fosse avvicinato a me sarebbe stato in pericolo mortale, quindi, a costo di farmi odiare, ero sempre stato molto attento a non permettere a chicchessia di entrare nella mia vita e farne parte stabilmente.
L’unico che avessi mai potuto considerare amico era il mio cuginetto Kyuhyun. Era diverso da me. Non piaceva nemmeno a lui quello che la nostra “azienda” faceva, ma non si era mai ribellato in maniera esplicita come avevo fatto io. Aveva un atteggiamento passivo nei confronti del ruolo che un giorno o l’altro avrebbe dovuto ricoprire, quello di boss. Non aveva il temperamento del leader, e anche per questo il nonno aveva cercato in tutti i modi di persuadere me a diventare come loro. Voleva nominarmi suo erede, perché conosceva bene il mio temperamento indipendente e autoritario. L’indole tranquilla e sottomessa di Kyuhyun non era adatta al capo supremo di quella famiglia di assassini.
Quel giorno, arrivai alla villa nel tardo pomeriggio. Appena scesi dal taxi, scorsi Kyuhyun sullo scalone d’entrata, e mi salutò con un cenno della mano. Ricambiai avvicinandomi.
«Ciao cugino. È un po’ che non ci si vede. Come te la passi qui all’inferno?» chiesi dandogli una pacca sulla spalla. Era cresciuto. Il suo sguardo era vacuo, e leggermente sulla difensiva.
«Al solito. E tu, come si vive da eterno latitante? Non sei stanco di scappare?» mi chiese in tono ironico, nonostante sul suo volto non ci fosse ombra di ilarità.
«Mah, non direi. Sono ancora giovane per sistemarmi definitivamente in un posto. È bello cambiare aria così spesso, si imparano un sacco di cose» risposi con un ghigno.
«Se lo dici tu» rispose facendo spallucce.
«Piuttosto, ho sentito che ti sei fidanzato. Lei lo sa chi sei veramente?» chiesi senza preoccuparmi di dosare le parole.
«Certamente. JeongYeon è in gamba. Ci siamo conosciuti durante un viaggio di “lavoro”, quindi fin dall’inizio sapeva con chi aveva a che fare. È una ragazza forte, sono contento di averla al mio fianco. Ci sarà anche lei in questi giorni, in veste di fidanzata ufficiale» rispose senza mutare lo sguardo inespressivo che aveva dall’inizio della conversazione.
«Allora sarò felice di conoscere questa donna così in gamba, o così folle, da accettare di far parte di una famiglia di assassini» risposi, precedendo Kyuhyun all’interno dell’enorme villa.
Ero stato convocato, assieme a tutto il resto della famiglia, per l’apertura del testamento di mio nonno. Inizialmente avevo rifiutato, ma il notaio aveva detto che senza di me, per disposizione del vecchiaccio, il testamento non poteva essere aperto. Quindi mio padre, mia nonna e i miei zii avevano promesso di non sfiorarmi con un dito, se mi fossi presentato alla data prevista, e che mi avrebbero lautamente ricompensato. Essendo a corto di soldi, avevo pensato che in fondo potevo anche passarcele ventiquattrore con quella gentaglia. Dopotutto c’ero cresciuto assieme, sapevo bene che il codice d’onore della famiglia prevedeva che se mi fosse stato promesso di non venire in alcun modo messo in pericolo, a costo della vita, i membri del clan avrebbero dovuto mantenere la promessa. Mi sentivo abbastanza al sicuro, anche se avevo comunque portato con me la mia pistola. Con loro non si poteva mai stare del tutto tranquilli.
«Siwon. Da quanto tempo non ci si vede» mi salutò mio padre, non appena misi piede nel salone. Erano tutti lì, che aspettavano il mio arrivo. Trenta paia di occhi mi fissavano, chi sorpreso, chi furioso, chi del tutto indifferente. Tutti i miei zii, zie e cugini erano presenti, assieme all’attuale boss e alla mia nonnina, che era la vera burattinaia che muoveva i fili dell’organizzazione. Un brivido mi percorse la schiena, pensando a tutte le persone che erano morte per il bene del nostro antico clan. Avevo di fronte una schiera di spietati killer, probabilmente nessuno di loro avrebbe scampato l’ergastolo se solo il governo avesse avuto il coraggio di combattere legalmente quella gente. Ma era un’utopia, lo sapevano anche i sassi che quei macellai che mi fissavano avevano le mani in pasta anche nelle faccende politiche, e ovviamente, alcuni di loro ricoprivano delle alte cariche a livello di governo nazionale. Che schifo.
«Eh, già, è bello vedere tutta la famiglia riunita dopo tanto tempo. Sembra uno splendido dipinto dell’inferno» risposi sarcastico, cancellando ogni traccia di simpatia da quei volti, ora furibondi.
«Siwon, Siwon. Non bisogna parlare così della propria famiglia. Non è carino. In fondo ti abbiamo dato tutto fin dall’infanzia» mi rimproverò affettuosamente mia nonna, ridacchiando e smorzando i toni di quella conversazione disgustosa.
Non risposi, limitandomi a chiamare uno dei camerieri perché mi conducesse nella mia stanza.
Salii le scale in silenzio, dietro a quel povero ragazzo che aveva l’aria di una volpe in mezzo a un branco di cani da caccia. Non ricordavo di averlo mai visto in quel posto, quando ero più piccolo, quindi dedussi che doveva essere un nuovo acquisto. Chissà come c’era finito, nel girone dei dannati.
«Ecco, questa è la stanza che le è stata riservata. Se ha bisogno di qualcosa le basta alzare quel telefono sul comodino. La cena sarà servita alle otto nel salone» disse prima di voltarsi per uscire.
«Aspetta un momento. Tu sei nuovo qui vero? Come ci sei finito a fare da servo a questi sciacalli?» chiesi esprimendo tutto il disprezzo che provavo per i miei parenti.
«Lavoro qui da un anno. La famiglia mi ha adottato dopo che i miei genitori sono morti» rispose quello senza guardarmi negli occhi. Mi avvicinai a lui che arretrò spaventato, fino a ritrovarsi con le spalle alla porta. Diedi un giro di chiave, quindi facendogli segno di tacere, mi misi a ispezionare ogni angolo della stanza, distruggendo cimici e microcamere. Quando fui certo che non fosse rimasto nulla che permettesse ai cani della sicurezza di spiarmi, invitai quel tipo a sedersi sul letto, e mi sistemai accanto a lui.
«Puoi parlare liberamente ora, nessuno ti sta ascoltando. Dì un po’, ti hanno risparmiato la vita perché avevano bisogno di un cameriere in più non è vero? Sono stati loro ad ammazzare i tuoi, non è così?» chiesi, sicuro di averci azzeccato. Mi osservò terrorizzato per qualche secondo, poi annuì con un cenno del capo. Vidi una lacrima sfuggire ai suoi occhi, e sentii le mie viscere contorcersi al pensiero di quanto doveva aver sofferto per colpa di quei bastardi.
«Come ti chiami?» chiesi, incuriosito. Vedendolo da vicino, dovevo ammettere che era davvero un bel ragazzo. Un po’ femmineo forse, e dall’aria non troppo sana, ma tutto sommato avrebbe anche potuto essere un fotomodello.
«Heechul signore» rispose con un filo di voce.
«Non mi chiamare signore, è una cosa che mi fa incazzare. Io sono signore solo di me stesso. Chiamai Siwon. Dì un po’ Heechul, davvero vuoi passare il resto dei tuoi giorni a fare da schiavo a quei vermi?» continuai. Non sapevo perché mi stessi intrattenendo con quello sconosciuto di cui non mi importava nulla, ma di certo era meglio che fare conversazione con qualcuno dei miei parenti, ed erano mesi che non parlavo con qualcuno così tranquillamente.
«Io…io lavoro per la famiglia» rispose tremando. Non si fidava di me. E come dargli torto, visto che nelle mie vene scorreva lo stesso maledetto sangue di coloro che gli avevano ammazzato i genitori e rovinato l’esistenza.
«Ehi, non devi aver paura di me. Immagino tu sappia chi sono io. Ti avranno certamente parlato del figlio ribelle, la piaga infetta del clan. Molto piacere di conoscerti. Adesso, per favore, sii sincero e dimmi: davvero vuoi vivere all’inferno per sempre?» insistei costringendolo a guardarmi in faccia. Era teso come una corda di violino. Gli sorrisi. Era tremendamente carino. Se non avessi avuto paura che urlasse per lo spavento, l’avrei baciato. Anche questa mia tendenza non piaceva alla mia famiglia. E per questo mi avevano sempre circondato solo di donne. Idioti.
«Io…io…vorrei tanto andare via. Ma non posso. Mi ucciderebbero. E non mi va di morire come un cane, da solo» rispose in un tono talmente risoluto che mi sorprese. Forse non era poi tanto debole e malaticcio. Avevo l’impressione che dietro quell’apparenza di fragilità nascondesse una forza grandissima. Persino più grande della mia, se possibile.
In quel momento qualcuno bussò alla porta della mia stanza, facendo scattare Heechul come una molla, con un’espressione terrorizzata. Per conto mio non mi scomposi.
«Chi è?» domandai in tono piatto.
«Sono io, Kyuhyun» rispose la voce di mio cugino dall’altra parte della porta. Mi alzai e andai ad aprire, mentre Heechul tremante non si mosse.
Kyuhyun entrò, seguito da quella che immaginai fosse la sua fidanzata, una ragazza piccola e molto carina, con uno sguardo vigile e serio. Nonostante l’aspetto dolce e femminile aveva l’aria di essere un bulldozer, sicuramente tra i due, quella che più aveva l’apparenza del mafioso era lei. Sorrisi tra me e me, ricambiando il suo sguardo indagatore.
«Io…io vado. Compermesso» disse Heechul sgusciando fuori dalla stanza prima che potessi fermarlo. Sospirai accomodandomi su una delle poltroncine di fronte al piccolo caminetto della stanza. I miei due ospiti mi imitarono.
«Qual buon vento ti porta nei miei appartamenti Kyu?» chiesi non appena ci fummo sistemati tutti e tre.
«Volevo presentarti JeongYeon, la mia fidanzata. Lui è Siwon, il mio cugino reietto di cui hai già sentito parlare» rispose Kyuhyun rivolgendosi prima a me e poi alla ragazza.
«Piacere di conoscerti Siwon. Ho sentito molto parlare di te» disse lei in tono formale.
«Immagino. Pare che non si sia parlato d’altro ultimamente eh?» commentai sarcastico rivolgendo lo sguardo verso mio cugino.
«Beh, tutti si chiedono come mai il vecchio abbia voluto che tu fossi presente a tutti i costi. In fondo sei il nipote diseredato, il figlio disconosciuto, il reietto perseguitato, la vergogna del clan»
«Grazie dei complimenti Kyu, è bello che tu conservi un così bel ricordo di me» lo interruppi irritato.
«È la verità Won. Non sono io a pensarle queste cose, ma tutti quelli che stanno al piano di sotto. In effetti avrei scommesso che non ti saresti presentato. Cosa ti ha spinto ad accettare di tornare?» mi domandò visibilmente curioso.
«Soldi amico mio. Mi servivano dei soldi e me ne hanno offerti parecchi per essere qui in queste quarantotto ore. Sarebbe stato un peccato che nessuno ricevesse un centesimo dell’eredità del vecchio pazzo solo per colpa mia. Credo sarebbe stato ancora più difficile per me lasciarmi alle spalle la famiglia se fossi stato così maleducato da non presentarmi, non credi anche tu?» risposi.
«Già. Ti avrebbero seguito fino in capo al mondo pur di farti venire qui per poter aprire quello stupido testamento» sghignazzò Kyuhyun, visibilmente divertito all’idea della famiglia che adopera tutte le sue forze per darmi la caccia. Sarebbe stato divertente anche per me, se non fossi stato la preda.
«Secondo te per quale motivo il vecchio mi ha voluto qui?» domandai. Magari ne sapeva più di me che mancavo da otto anni da quella casa.
«Non ne ho la più pallida idea, ma se posso essere sincero, non credo sia nulla di buono. Fossi in te terrei gli occhi aperti. Tra i membri stessi del clan ultimamente i rapporti si sono fatti complicati» rispose guardandomi serio.
«Non sono mai stati semplici Kyu. Era la paura del vecchio a tenere a bada quella marmaglia di sotto. La nonna, per quanto sia anche peggio del defunto marito per certi versi, non ha abbastanza autorità per tenere a bada le nuore e i figli. Non voglio essere da queste parti quando inizieranno i veri conflitti interni. Mi sa che nel giro di qualche tempo cominceranno ad ammazzarsi fra di loro» ribattei scuotendo la testa. Com’era possibile che io fossi nato in mezzo a gente del genere? Non biasimavo mia madre per essersi suicidata. Molte volte avevo pensato anch’io di farlo, ma poi avevo capito che la vita era troppo preziosa per essere gettata via per colpa di quei bastardi.
«Beh, comunque credo che lo scopriremo presto. Scendi con noi a cena?» chiese mio cugino alzandosi, imitato dalla fidanzata.
«Non ci penso nemmeno. Non mi danno abbastanza soldi perché mi venga anche voglia di passare del tempo in loro compagnia. Credo mi farò portare su qualcosa da quel Heechul» risposi sogghignando.
«Vedo che non hai cambiato gusti, eh Siwon? Come vuoi. Ci si vede domattina alle undici per l’apertura del testamento. Non mancare, o qualcuno potrebbe rimanerci molto male» rispose Kyuhyun prendendo per mano la fidanzata e uscendo. Appena fui solo chiamai Heechul col telefono della stanza, chiedendogli di portarmi la cena in camera. Quindi mi stesi sul letto, fissando il soffitto affrescato. C’era qualcosa che non quadrava, me lo sentivo. Avrei dovuto stare molto attento se volevo uscire vivo da quella casa.

***
Il bussare leggero che veniva dalla porta mi svegliò. Non mi ero nemmeno reso conto di essermi addormentato.
«Sì, chi è?» chiesi alzandomi a sedere, infilando una mano sotto il cuscino, sfiorando il metallo freddo e rassicurante della mia pistola.
«Heechul. Le ho portato la cena» rispose la flebile voce del mio amichetto. Si ostinava a darmi del lei. Che fastidio.
Mi alzai e raggiunsi la porta, aprendola di scatto, facendo trasalire Heechul. Trascinai dentro lui e il carrello portavivande, quindi richiusi la porta, ci sbattei contro il povero ragazzo, bloccandolo tra le mie braccia poggiate ai lati della sua testa. Tremava come una foglia. Ridacchiai tra me e me. Forse anch’io avevo ereditato un po’ del gusto sadico della mia famiglia.
«La vuoi smettere di darmi del lei? Non lo sopporto» cominciai, avvicinando pericolosamente il mio viso al suo. Se avesse potuto diventare un disegno in 2D, appiattito sul legno della porta lo avrebbe fatto. Mi allontanai un po’ per lasciarlo respirare. Poveraccio. Un po’ mi sentivo in colpa per quello scherzetto. O forse no.
«Mi…mi dispiace…ti ho portato la cena, come mi hai chiesto. Ora però devo andare» disse voltandosi per aprire la porta. Fui più rapido di lui, girai velocemente la chiave, quindi la tolsi dalla toppa e la gettai in fondo alla stanza, dalla parte del caminetto. Si voltò a fissarmi terrorizzato.
«Io ho chiesto che mi portassi la cena e che mi facessi compagnia. Che razza di servitore sei se compi il tuo dovere a metà?» risposi scuotendo la testa con un ghigno. Impallidì ulteriormente.
«Ma…ma io…» cominciò.
«Niente ma. Stasera sarai il mio servo personale. Non ti preoccupare, ho già avvertito il capo maggiordomo che non sarai a disposizione di nessun altro fino a domattina. Accomodati, non fare complimenti. Ho ordinato per due» dissi indicando il carrello, colmo di cibo a sufficienza per dieci persone. Heechul non si mosse, fissando terrorizzato prima me e poi le pietanze.
«Beh? Che c’è? Non hai fame?» rincarai la dose. Lo presi per mano costringendolo ad accomodarsi su una delle poltrone vicino al caminetto, servendogli una porzione di tutto quello che era nascosto sotto i coperchi dei piatti del carrello portavivande. Me ne servii anch’io, e iniziai a mangiare in silenzio. Heechul fissava il piatto di fronte a sé senza proferire parola e senza toccare nulla. Dopo cinque minuti di immobilità iniziai a seccarmi.
«Heechul perché non vuoi mangiare? Ancora non ti fidi di me? Hai paura che ti faccia del male?» chiesi posando il mio piatto vuoto sul tavolino di fronte a noi. Abbassò lo sguardo, fissandosi i piedi senza rispondermi. Era dannatamente irritante.
«Heechul dannazione rispondimi. Si può sapere perché ti comporti così? E io che volevo essere gentile» lo rimproverai nuovamente, avvicinandomi e costringendolo a guardarmi in faccia. La sua espressione era indecifrabile ma irrimediabilmente sexy. Mi ci volle tutto il mio autocontrollo per non saltargli addosso in quel preciso istante. Sospirai allontanandomi verso il caminetto, dando le spalle al mio ospite.
«Come preferisci. Se non hai fame non mangiare. Comunque ti ho voluto qui per farti una proposta che forse ti può interessare. Ti va di ascoltarmi?» domandai. Calò il silenzio per qualche secondo. Quindi dalle mie spalle giunse un flebile “Ti ascolto”. Sorrisi, soddisfatto, quindi tornai a sedermi vicino a lui.
«Tu non vuoi marcire in questo posto vero? Allora ti faccio una proposta. Domani dopo pranzo, quando me ne andrò di qui, verrai via con me. Potremmo andarcene un po’ a zonzo insieme, se vorrai potrai restare con me altrimenti ti aiuterò a scappare ovunque tu voglia, cosicché i bastardi qui sotto non ti possano più trovare. Anche se dubito che spenderebbero tempo e denaro per inseguire un semplice servo. Allora, che mi dici? Ci stai?» dissi osservando attentamente la sua reazione. Non mutò in alcun modo espressione. Lo sguardo serio era lo stesso di poco prima.
«Perché lo fai Siwon? Perché mi vuoi aiutare?» chiese lanciandomi un’occhiata penetrante.
Ricambiai lo sguardo con tutta l’intensità che mi riuscì. Quindi sogghignai, prima di fornire la più ovvia delle motivazioni.
«Perché mi piaci Heechul. È davvero uno spreco che un ragazzo bello come te se ne stia prigioniero in questo circolo di assassini» dissi rivolgendogli il più amabile dei sorrisi.
«Allora che mi dici? Accetti la mia proposta?» insistei di nuovo. Mi fissò con diffidenza. Poi sospirò e fece spallucce.
«Non credo di avere altra scelta» rispose alla fine, iniziando finalmente a mangiare quello che aveva di fronte. Lo osservai consumare in silenzio la sua cena, studiando le sue movenze e le sue espressioni. Lui mi lasciò fare, lanciandomi di quando in quando un’occhiata per controllare se lo stessi ancora fissando.
Quando ebbe finito si rilassò, iniziando a chiacchierare in maniera tranquilla.
«Siwon, perché tu non sei come loro?» mi chiese, squadrandomi curioso e ancora leggermente diffidente.
«Vedi Heechul, mia madre amava davvero mio padre, per sua sfortuna. Ma ancora di più amava me. E dal momento della mia nascita fino a quello del suo suicidio c’è una cosa che mi ha sempre ripetuto: “Pensa con la tua testa”. Sono cresciuto con quest’unico principio sano trasmessomi da lei. E l’ho sempre seguito, andando contro tutti i membri della famiglia, arrivando a chiedere a mio padre di essere disconosciuto. E sono felice di averlo fatto. Anche se vivo come un latitante, sono libero perché posso decidere per me stesso» risposi, confidando per la prima volta a qualcuno quel segreto che mi portavo nel cuore da sempre. Sentivo di potermi fidare di lui. Sapevo che era molto più simile a me di quanto le sue sembianze dimostrassero.
«Ho capito» disse semplicemente. Poi si versò del vino rosso nel bicchiere, e lo bevve tutto d’un fiato, riempiendolo di nuovo subito dopo e versandone anche a me.
«Beh, visto che devo rimanere qui fino a domani tanto vale passare una bella serata, no Siwon?» disse porgendomi il bicchiere e facendo tintinnare i due contenitori in un brindisi silenzioso. Bevve di nuovo il nettare rosso, e stavolta lo imitai. Quindi si apprestò a versarne ancora ad entrambi.
Un’ora dopo le due bottiglie che aveva portato in camera erano completamente vuote, e lui giaceva addormentato sulla poltroncina di fronte al caminetto. Non reggeva bene l’alcol a quanto pareva. Sbuffai. Sicuramente l’aveva fatto apposta ad ubriacarsi così. Non avrei potuto sfiorarlo con un dito in quelle condizioni. Era più furbo di quanto pensassi.
Mi alzai, prendendolo in braccio e distendendolo nel letto. Mi stesi al suo fianco, coprendo entrambi con il pesante piumone e puntellandomi su un gomito per osservare il mio amico che russava leggermente.
I capelli tinti di rosso erano tutti scompigliati. Era sexy anche mentre dormiva.
Che avevo da perdere? In fondo era talmente ubriaco che non si sarebbe accorto di nulla.
Mi abbassai su di lui sfiorandogli le labbra con le mie. Sapevano di vino rosso. Erano calde e morbide. Alzai lo sguardo sui suoi occhi, scoprendoli aperti. Mi allontanai di scatto, leggermente imbarazzato. Ero convinto che dormisse. Aveva finto?
«Scusami» dissi subito, distogliendo lo sguardo dal suo viso. Lo sentii muoversi, ma mi accorsi delle sue intenzioni solo quando me lo ritrovai addosso. Mi aveva spinto a distendermi e si era messo cavalcioni su di me. Accidenti. Quella sì che era una reazione inaspettata. Lo guardai sorpreso.
«Che fai?» chiesi in tono curioso. Mi fece segno di tacere, quindi si abbassò su di me incontrando la mia bocca con la sua, coinvolgendomi in un bacio bollente alla fine del quale le mie mani erano saldamente posate sulle sue natiche, e le sue sotto la mia maglietta, all’altezza degli addominali.
«Accidenti Heechul. Sei un ragazzo pieno di sorprese» dissi boccheggiando per riprendere fiato.
«E non hai ancora visto nulla» mi sussurrò provocatorio all’orecchio, prima di iniziare a mordermelo.

***
Qualcosa mi solleticava la pelle del petto. Aprii gli occhi di malavoglia. Ero ancora assonnato e confuso. Vidi una macchia rossa poggiata ai miei muscoli pettorali, e ricordai in un lampo tutto quello che era successo.
Sorrisi tra me e me stringendo di più il corpo nudo e caldo di quel ragazzo così strano che dormiva beatamente usandomi come cuscino. Quindi richiusi gli occhi riaddormentandomi di colpo.
Quando mi svegliai per la seconda volta, ero solo sotto le coperte. Tastai attorno a me, ma non c’era traccia di Heechul sul materasso. Mi alzai a sedere di scatto, guardandomi intorno nella stanza in penombra.
«Tranquillo, non sono scappato» disse una voce da una delle poltrone di fronte al camino. Tirai un sospiro di sollievo e mi lasciai ricadere esausto sul letto.
«Che ore sono?» chiesi stropicciandomi la faccia con i palmi delle mani.
«Le nove e mezzo. Tra un’ora e mezza apriranno il testamento, sarà meglio che inizi a prepararti» rispose Heechul. Lo sentii camminare fino al letto e salirci. Mi voltai dalla sua parte, trovandomi il suo viso a pochi centimetri dal mio. Era a gattoni sul materasso, indossava solo i boxer ed era tremendamente pericoloso. Deglutii sonoramente e lo vidi sogghignare.
«Che c’è?» chiesi distogliendo lo sguardo e cercando di recuperare i miei vestiti.
«Oh, nulla, pensavo che era da molto che non passavo una serata così divertente» rispose con finta noncuranza passandomi gli abiti che poche ore prima mi aveva letteralmente strappato di dosso.
Mi rivestii in fretta, evitando di guardarlo. Quando mi voltai nuovamente verso di lui era completamente vestito e in ordine, pronto a riprendere il suo servizio di cameriere come se nulla fosse accaduto.
«Devo tornare al lavoro adesso. Ti lascio il mio numero di cellulare, così se avrai ancora voglia di portarmi via di qui potrai chiamarmi» disse poggiando un biglietto sul comodino.
«Che diavolo dici? Certo che ti porterò via di qui» risposi in tono leggermente irritato.
Sorrise leggermente, quindi prese la chiave, aprì la porta e uscì in silenzio portando via il carrello con gli avanzi della sera prima.
Sospirai dirigendomi verso il piccolo bagno in fondo alla stanza. Avevo la faccia di uno che è appena uscito perdente da un incontro di sumo. E la verità era che più o meno era così che avevamo passato la notte. Mi sciacquai il viso con l’acqua fredda, quindi cercai di sistemarmi i capelli e quando fui soddisfatto del mio aspetto tolsi la pistola da sotto il cuscino, infilandola nella fondina che portavo sotto la giacca del completo elegante che indossavo, uscendo poi dalla mia stanza per scendere nel salone dove il parentado si stava riunendo, fremente, per conoscere le ultime volontà del vecchio pazzo a capo di quel manipolo di spietati killer.
«Eccomi. Sbrighiamo in fretta questa cosa. Non ho nessuna voglia di sprecare altro prezioso tempo qui dentro» annunciai attirandomi gli sguardi inceneritori dei miei consanguinei. Eravamo tutti in piedi attorno al tavolo da pranzo. Tutti troppo nervosi per sedersi. A capotavola il notaio stava sistemando i suoi incartamenti in maniera troppo calma. Avvertivo l’elettricità scatenata dai nervi tesi di tutti i presenti.
L’ometto con gli occhiali spessi come fondi di bottiglia iniziò il suo monologo sul come si sarebbe svolto il tutto. Non ascoltai una parola, troppo concentrato su Heechul che aveva fatto capolino in quel momento dalla cucina, portando del tè per il burocrate, e sparendo subito dopo, non prima di avermi lanciato uno sguardo strano.
«Bene. Mi accingo a leggere le ultime volontà del defunto Choi Sanghun» annunciò schiarendosi la voce.

Il sottoscritto, Choi Sanghun, nel pieno delle mie facoltà fisiche e mentali, dispongo che il mio patrimonio venga così suddiviso all’atto della mia dipartita

La voce monotona del notaio cominciò a elencare tutte le proprietà del vecchiaccio, e la loro assegnazione a questo o quel membro della famiglia. Io non venni nominato nemmeno una volta, e la cosa non mi sorprese affatto. Quello che non riuscivo a capire era perché il maledetto boss aveva voluto che presenziassi a tutti i costi a quella farsa.

Infine, dispongo che tutte le assegnazioni sopra menzionate, non vengano rese effettive senza il compimento di un preciso evento.
Entro un’ora dall’apertura i questo testamento, al notaio Kim dovrà essere presentato il cadavere di mio nipote Choi Siwon, assassinato per mano di un membro della famiglia. A colui o colei che riuscirà nell’impresa verrà data la facoltà di cambiare a proprio favore una delle clausole del testamento.
Buon divertimento a tutti, che la caccia abbia inizio


Trenta paia di occhi si voltarono a osservarmi sconvolte e allo stesso tempo con l’aria di predatori affamati. Maledetto vecchiaccio. Persino dopo essere crepato riusciva a rendermi la vita impossibile. Era assurdo. Uccidere un membro della famiglia era contro le regole d’onore del clan.
Scrutai a uno a uno i miei parenti, tesi e silenziosi. Non avrebbero rispettato il codice. Me ne accorsi appena in tempo.
Mentre mi riparavo oltre la porta udii uno sparo. Dannazione, ero diventato preda di trenta assassini professionisti.
Dovevo fuggire al più presto.
Salii le scale di corsa, mentre dietro di me udivo rumori confusi. Non avevo tempo di stare a controllare di chi si trattasse. Quando arrivai al corridoio del primo piano mi trovai di fronte uno dei miei zii con la moglie. Erano saliti dallo scalone del lato ovest dell’edificio. Accidenti.
«Crepa» gridò mio zio iniziando a sparare. Mi riparai dietro una colonna di marmo del corridoio, estraendo la mia pistola, pronto a contrattaccare. Nemmeno mi fermai a prendere la mira quando risposi ai colpi, ma udii un grido, e pensai che fosse il momento opportuno per filarsela. Attraversai il corridoio imboccandone un altro. Percorsi questo fino in fondo, cercando di ricordare dove portasse. Non entravo in quella casa da troppo tempo. Cominciavo a dimenticarne la pianta. Udii dei passi di corsa alle mie spalle e mi infilai velocemente in una stanza alla mia destra. Fortunatamente era deserta. Tesi l’orecchio verso l’esterno, ascoltando i passi oltrepassare il punto in cui mi ero rifugiato, lasciando posto a un silenzio teso. Dopo un interminabile minuto sospirai, pensando ad Heechul. Come diavolo avrei fatto a portarlo fuori di lì se nemmeno ero certo di riuscire ad uscirne vivo? Afferrai il cellulare dalla tasca e composi il numero che mi aveva dato.
«Heechul» dissi appena lo sentii rispondere.
«Sei vivo. Accidenti, mi ero preso un colpo quando ho sentito quello che stava succedendo. Va tutto bene? Dove sei?» mi chiese con un tono di voce nervoso.
«Non lo so. Ho dimenticato com’è fatta questa dannatissima villa, ma devo scappare al più presto. Che informazioni puoi darmi?» chiesi sottovoce, col cuore che batteva come un tamburo per il terrore che qualcuno mi sentisse.
«Kyuhyun ha portato la sua ragazza fuori di qui e ho visto qualcuno dei tuoi parenti fare lo stesso con i figli. Non so in quanti se ne siano andati, non molti comunque. I rimanenti si sono separati, sono tutti determinati a scovarti per primi e ucciderti come un animale» rispose in tono divertito. Che accidenti c’era di così divertente?
«Lo trovi tanto divertente?» chiesi nervoso.
«Abbastanza. Ora devo andare, se scoprissero che ti sto aiutando mi ucciderebbero. Chiamami quando capirai dove ti trovi» disse per poi riattaccare. Che cavolo gli era preso? Il suo tono aveva qualcosa di strano, sembrava non aspettasse altro che trovarsi coinvolto in quella specie di battuta di caccia. Peccato che la preda fossi io. Maledizione. Avrei dovuto aspettarmelo.
Rimisi il cellulare in tasca e mi apprestai ad uscire dalla stanza. Arrivai fino in fondo al corridoio, quindi mi guardai intorno circospetto prima di imboccare le scale per scendere al piano terra. Avevo quasi raggiunto la mia mèta quando mi trovai di fronte il padre di Kyuhyun, attuale boss del clan. Schivai per un pelo il proiettile, gettandomi di lato, e risposi al fuoco, costringendolo a ripararsi dietro una statua. Sparò di nuovo, e stavolta avvertii un bruciore fortissimo alla guancia, e qualcosa di caldo e vischioso scendere lungo la mia pelle fino al collo.
Il livello d’adrenalina nel mio corpo ebbe un picco improvviso. Ero arrabbiato. Ero furioso. Ero deciso a sopravvivere a tutti i costi. Quindi sparai.
Non avevo nemmeno preso la mira accuratamente, ma mi resi conto di aver fatto centro quando vidi il suo volto contrarsi e lo sguardo svuotarsi di qualsiasi espressione. Si accasciò al suolo come un burattino cui fossero stati tagliati i fili.
L’avevo ucciso.
Avevo ucciso mio zio. Avevo ucciso il boss. Avevo ucciso il padre del mio unico amico.
Mi avrebbe mai perdonato Kyuhyun? Non era il momento per porsi certe domande.
Mi toccai la guancia, osservando poi le mie dita sporche di sangue.
Dovevo riuscire a fuggire al più presto, o non sarei sopravvissuto. Sentii che la testa mi girava e provai un senso di nausea mentre oltrepassavo il corpo inerme dell’uomo che avevo appena freddato per pura fortuna.
Niente rimpianti. Dovevo fuggire.
Il cellulare mi squillò in quel momento. Heechul.
«Che succede?» chiesi, riparandomi in una rientranza, continuando a scrutarmi intorno per controllare che non arrivasse nessuno.
«Se riesci ad arrivare alle cucine sei a cavallo. La servitù ha sgomberato la villa, sono rimasto solo io. Sono nella dispensa sotterranea a cui si accede dalla cucina. C’è una botola che da sul giardino. Possiamo fuggire da quella, raggiungere il garage e darcela a gambe. Credi di farcela ad arrivare fin qui intero?» rispose Heechul. Era dannatamente serio. E mi stava offrendo la mia unica possibilità di uscire vivo da quelle mura.
«Arrivo. Nel frattempo cerca di nasconderti. Se ti trovassero in giro potrebbero ammazzarti» dissi chiudendo la conversazione.
«Con chi parli Siwonnie? Dillo alla tua cuginetta» sentii una voce provenire da dove avevo lasciato il cadavere di mio zio.
Mi voltai incontrando lo sguardo perverso e omicida della giovane donna che aveva parlato. In mano reggeva un grosso coltello. Contro la mia pistola non aveva speranze, ma io non ero un assassino come loro. Non avrei ucciso. Non più. Non di mia spontanea volontà, e soprattutto, non una donna in svantaggio.
«Metti giù quella cosa Young, non voglio combattere con te» dissi indietreggiando verso il portone che dava sul cortile interno della villa. Mi sarebbe bastato attraversarlo per raggiungere le cucine. Sentivo di essere a un passo dalla salvezza, e a mezzo passo dalla morte. Quante possibilità avevo di attraversare illeso quello spazio aperto, privo di punti in cui rifugiarsi, esposto alla vista dei corridoi del primo piano? Praticamente zero.
«Sei sempre stato un codardo, e da codardo morirai» rispose Young avventandosi contro di me, rivolgendomi contro l’arma. Schivai con facilità il suo attacco e la bloccai facendole perdere la presa sul coltello.
«Non voglio farti del male. Smettila» insistei, cercando di farla ragionare. Mi morse il braccio, facendomi urlare dal dolore, quindi afferrò di nuovo la lama e riprovò a colpirmi. La schivai per un pelo, e risposi spingendola contro una pianta lì vicino, facendole perdere l’equilibrio. Approfittai di quell’attimo per gettarmi oltre la porta del cortile interno, correndo alla massima velocità consentita dalle mie gambe verso la porta a vetri che stava di fronte a me, dall’altra parte di quello spazio che non mi era mai sembrato così grande come in quel momento.
Udii delle grida provenire dai piani superiori, quindi una serie di spari. Continuai a correre sperando nella stessa buona sorte che mi aveva fatto scampare agli attacchi precedenti, ma non fui altrettanto fortunato. A pochi passi dalla meta avvertii un dolore lancinante al polpaccio destro e capii di essere stato colpito. Traballai per un secondo, ma raccolsi tutte le mie forze e raggiunsi la porta a vetri, che andò in frantumi subito dopo il mio passaggio, sotto i colpi dei miei inseguitori. Le cucine erano alla mia sinistra, mi ci infilai sperando di non incontrare nessun nemico ad aspettarmi al loro interno. L’intrico di padelle, stoviglie, fornelli, carrelli mi impediva di avere uno sguardo generale sulla stanza, quindi, trascinandomi meglio che potei mi diressi verso la dispensa del seminterrato. Aprii la porta che dava sulla rampa di scale che scendeva nel buio di quella stanza. Me la chiusi alle spalle e il rimbombo del colpo echeggiò per qualche secondo nell’immenso spazio sottostante. Scesi le scale nella penombra, trascinando la gamba destra dolorante e inerme, con la pistola in mano, carica e pronta a sparare. Mi sentivo un coniglio braccato dai cacciatori. Era la sensazione peggiore che avessi mai provato nella mia vita, e in quanto a spiacevoli situazioni, ne avevo una discreta esperienza. Ma nessuna era mentalmente e fisicamente logorante come quella. Avevo voglia di urlare, ma se l’avessi fatto sarei di sicuro stato scoperto.
Una volta raggiunto l’ultimo gradino mi guardai intorno. Dal nulla, qualcosa mi toccò la spalla e mi voltai di scatto puntando la pistola contro uno spaventatissimo Heechul che si bloccò con la mano a mezz’aria e gli occhi fuori dalle orbite. Mi ci volle qualche secondo per realizzare che non era un nemico, e decidermi ad abbassare la mia arma. Nel frattempo, il mio amico era completamente sbiancato e tremava come una foglia.
«Cazzo, Heechul, mi hai spaventato, stavo quasi per ammazzarti pensando che fossi uno dei maledetti lì sopra. Va tutto bene?» dissi tutto d’un fiato sospirando. La gamba mi faceva terribilmente male.
Heechul si gettò tra le mie braccia, stringendomi tanto forte da soffocarmi.
«Piano, idiota, così mi fai male» dissi, mentre il polpaccio ferito protestava per il brusco movimento.
Si staccò da me, osservandomi dalla testa ai piedi.
«Sei ferito» disse con un filo di voce.
«Ma va’? Non me n’ero accorto. Accidenti, è un miracolo che sia ancora vivo» risposi sentendo la tensione arrivare a un punto di rottura. Dovevo fuggire. E dovevo farlo subito.
Heechul si tolse la camicia e la fece a pezzi, stringendo quella che una volta era la manica attorno alla mia gamba sanguinante, facendomi imprecare sonoramente per il dolore.
«Non puoi andare in giro in queste condizioni. Finirai morto dissanguato se non ti fascio» disse seccato dopo che l’ebbi insultato.
«Allora sbrigati e andiamocene di qui» dissi, facendomi nuovamente vigile. Mi ripulì il viso con quello che rimaneva della camicia, quindi la gettò a terra, e, indossando solo una canottiera bianca, mi prese per mano e mi condusse attraverso il labirinto di scaffali della dispensa, verso la botola in fondo alla stanza. Era chiusa con un pesante catenaccio, ma fu sufficiente un colpo di pistola per renderla nuovamente utilizzabile.
«Vai prima tu» dissi aiutando Heechul ad issarsi verso la stretta apertura. Quando fu uscito del tutto, mi apprestai a seguirlo, ma una voce alla mie spalle mi bloccò, facendomi gelare il sangue nelle vene.
«Non penserai di riuscire ad andartene vivo di qui, vero Siwon? Lo so che non sei uno stupido. Lo sai bene di non avere nessuna possibilità di scampo» disse quella voce, che riconobbi immediatamente. Mi voltai lentamente, incontrando gli occhi freddi e trionfanti di mia nonna. Lo sapevo che in fondo era lei il vero boss da quando il vecchiaccio era morto, ma non l’avevo mai considerata una vera minaccia. Si era sempre mossa dietro le quinte di tutte le operazioni dell’organizzazione, per quello che sapevo non si era mai sporcata le mani con il sangue di qualche povero innocente. Non uccideva, si limitava ad organizzare le “missioni” degli altri membri della famiglia. Per questo motivo vederla con in mano una pistola, carica e puntata verso il mio petto, mi sembrava qualcosa di surreale. Mia madre aveva sempre nutrito una sorta di rispetto reverenziale, quasi un’ammirazione, per quella donna che era riuscita a vivere tutta una vita al fianco di un assassino senza impazzire. O suicidarsi, come invece aveva deciso di fare lei.
«Nonna» la chiamai, con il poco di voce che riuscii a trovare.
«Sei sempre stato un ragazzo brillante Siwon. È un peccato che tu debba finire così. Sei il maggiore dei miei nipoti dopotutto. Ti ho sempre preferito a Kyuhyun, saresti stato un ottimo leader per la famiglia, se solo non avessi scelto di abbandonarci. Non ti ucciderò per denaro Siwon, non è quello che mi interessa. Voglio essere io a ucciderti perché il mio povero marito sia orgoglioso di me almeno una volta» rispose la donna.
«Che stai dicendo nonna? Uccideresti un tuo nipote solo per far piacere al tuo defunto marito? Sei impazzita per caso?» chiesi sconvolto. Come poteva arrivare a tanto?
«Siwon, Siwon. Io amavo tuo nonno. Altrimenti come avrei potuto sopportare questa vita fatta di inganni e morte? Ma quell’uomo non ha mai apprezzato gli sforzi che ho fatto per essere d’aiuto a questo clan. Almeno alla fine, voglio la mia rivincita. Voglio essere io a ucciderti e a rivendicare per me il titolo di capofamiglia che mi spetta. Ho sacrificato la mia felicità per questa famiglia, ma i miei figli e i loro stupidi compagni la stanno portando alla disfatta. Non intendo stare a guardare mentre tutto quello per cui ho lavorato viene distrutto dalla loro incompetenza. Mi dispiace Siwon. In questa casa non c’è posto per amore o pietà» rispose preparandosi a colpire. Chiusi gli occhi d’istinto, e udii il boato di uno sparo.
Quando riaprii gli occhi mi resi conto di essere ancora vivo e illeso. La donna che fino a poco prima stava per uccidermi giaceva accasciata al suolo, agonizzante.
Spalancai gli occhi avvicinandomi a lei, inginocchiandomi al suo fianco. Mi guardò, piangendo, prima di esalare il suo ultimo respiro. Com’era possibile. Chi era stato? Diedi un’occhiata alla botola, ma era ancora chiusa come dopo la fuga di Heechul.
«Non sprecare lacrime per lei. Le abbiamo solo fatto un favore» disse una voce conosciuta uscendo dall’oscurità a passi lenti.
Davanti ai miei occhi comparve la figura di Kyuhyun, affiancato dalla fidanzata.
Aprii la bocca senza pronunciare alcun suono, completamente shockato. Mio cugino, l’erede del titolo di boss, il ragazzo cui avevo appena ucciso il padre, mi aveva appena salvato da una morte certa.
«Kyuhyun» chiamai.
«Andiamocene» mi interruppe aiutandomi ad alzarmi e ad attraversare la botola.
Appena fui fuori respirai l’aria fresca del giardino assolato. Mi voltai e vidi spuntare alle mie spalle JeongYeon, subito seguita da Kyuhyun.
Dove diavolo era finito Heechul? Afferrai il cellulare per chiamarlo.
«Dove sei?» chiesi quando sentii rispondere.
«Raggiungi il cancello principale, ti aspetto lì. Fa in fretta se vuoi vivere» mi rispose con una voce terribile.
Mi voltai verso i miei due compagni.
«Kyu. Grazie» dissi.
«Ho sempre detestato il modo che ha questa famiglia di risolvere le questioni» rispose abbassando lo sguardo sulla pistola che ancora teneva in mano e gettandola lontano. Si rivolse alla sua ragazza.
«Mi odierai per questo?» le chiese con uno sguardo preoccupato. Lei lo fissò per qualche secondo, prima di rispondere.
«No. Non è colpa tua. Anche se dubito che dopo quello che hai fatto potremo ancora stare insieme. Sarai un reietto come Siwon, no?» rispose lei fingendosi forte. Ma le tremavano le gambe e la sua voce era incrinata.
«Sinceramente non mi sembra il momento adatto per discuterne» li interruppi. Si voltarono a fissarmi.
«Andiamocene di qui il prima possibile, poi penseremo a dove nasconderci» continuai precedendoli verso la fila di alberi che portava al cancello principale. Dovevamo fare in fretta o si sarebbero accorti della nostra fuga.

All’improvviso, un’onda mi investì facendomi cadere. Un boato gigantesco alle mie spalle e un calore improvviso. Mi ritrovai disteso carponi sull’erba, cercai di ripararmi la testa con le mani.
C’era stata un’esplosione.
Rimasi fermo qualche secondo, finché non sentii Kyuhyun chiamarmi. Mi voltai, osservando lo spettacolo orrendo che avevo di fronte.
La villa era esplosa e in fiamme. L’ala est era un cumulo di macerie, mentre il resto dell’edificio veniva velocemente divorato da un incendio di vaste proporzioni. Forse era solo un’allucinazione acustica, ma mi sembrò di sentire delle grida provenire dall’interno delle pareti di quello che aveva tutto l’aspetto dell’inferno.
«Siwon, è scoppiata una bomba» disse Kyhyun avvicinandosi a me, tenendo tra le braccia la fidanzata. Mi alzai in piedi, la gamba protestò ma non ci feci caso.
«Erano tutti lì dentro. Kyuhyun la nostra famiglia al completo era all’interno della villa, vero?» chiesi con l’improvvisa consapevolezza di quello che significava.
«Sì, erano tutti lì dentro a cercarti. Gli unici usciti sono stati i servi e i bambini piccoli, che sono stati affidati alle cameriere. Il resto della famiglia si era messo a darti la caccia subito dopo la tua fuga dal salone» confermò mio cugino osservando la mia espressione.
«Lo sai cosa vuol dire Kyuhyun?» chiesi voltandomi verso di lui con un ghigno trionfante. L’espressione che mi rivolse era terrorizzata.
«Siamo liberi Kyu. Siamo liberi finalmente. I maledetti assassini del clan Choi stanno bruciando in quell’inferno. È la fine più degna per quel bastardi. Siamo degli uomini liberi ora» dissi quasi urlando, dando forma concreta a quella che era diventata la mia nuova ragione di vita. Mio cugino mi fissò senza parlare. Dalla casa si udì un altro boato. Qualcosa era esploso ma non mi importava. Ero libero.
Il cellulare squillò di nuovo.
«Muoviti, stanno arrivando la polizia e i pompieri» disse la voce di Heechul dall’altra parte. Annuii e sorrisi, incamminandomi verso il cancello d’uscita, zoppicando a causa della ferita ma sentendomi colmo di un’incredibile energia. Il mio incubo era finito. Ero un ragazzo normale. Finalmente.

Non avrei mai creduto possibile una cosa del genere.
Nonostante conoscessi bene la mia famiglia, quello scempio era inimmaginabile. Eppure camminavo velocemente, per quanto la ferita me lo consentisse, allontanandomi dal fuoco e dal fumo, sentendo le sirene dei pompieri e della polizia avvicinarsi.
«Siwon, sei sicuro che andrà tutto bene?» mi chiese lei. Camminava al fianco di mio cugino, qualche metro dietro di me. Aveva del fegato la ragazza. Aveva sopportato tutto senza piangere o rimanere shockata. Kyuhyun aveva buon gusto.
«Non ti preoccupare. Nessuno piangerà per loro» risposi mentre andavo ad affrontare il mio futuro.


Quando raggiungemmo il cancello trovammo un’auto sportiva rossa ad attenderci. Kyuhyun e JeongYeon salirono dietro, mentre io mi accomodai accanto ad Heechul, che partì sgommando.
«Dove l’hai presa?» chiesi riferendomi al bolide che sfrecciava portando noi quattro verso una nuova vita e una nuova libertà.
«Dal garage ovviamente» rispose Heechul con un sorriso beffardo. Si voltò ad osservarmi per un attimo.
«Appena saremo abbastanza lontani ti porto all’ospedale. Devi farti medicare come si deve quelle ferite» ordinò perentorio. Non mi opposi. Ora che eravamo al sicuro tutta l’adrenalina era scomparsa e sentivo dolori ovunque.
«La villa è esplosa. Erano tutti dentro» dissi, ben sapendo che probabilmente aveva assistito a tutta la scena dalla strada mentre ci aspettava.
«Già. Bel lavoro Heechul» intervenne Kyuhyun, lasciandomi di stucco. Che voleva dire?
«Che stai?...» riuscii a dire spostando lo sguardo dall’uno all’altro.
«Ancora non hai capito Siwon? Sono stato io a piazzare e far esplodere le bombe in casa. Io e tuo cugino ci siamo messi d’accordo subito dopo che tu hai iniziato a fuggire. Ci conosciamo da molti anni, ed entrambi non aspettavamo altro che la giusta occasione per liberarci di quei bastardi. Io volevo vendetta per i miei genitori, Kyuhyun voleva essere libero di vivere una vita normale. Abbiamo colto la palla al balzo» spiegò Heechul senza staccare gli occhi dalla strada. Lo fissai a bocca aperta, incapace di proferire parola. Mai avrei creduto che mio cugino avesse tanto fegato. L’avevo davvero sottovalutato. Un brivido mi percorse la schiena mentre pensavo a cosa sarebbe stato di me se non ci fossero stati loro a contribuire alla mia fuga. Non sarei uscito vivo da quel girone infernale.

DUE ANNI DOPO
«Heechul, ti vuoi dare una mossa? Faremo tardi alla cerimonia» gridai verso l’interno dell’appartamento. Come al solito impiegava delle ore a prepararsi. Come se non fosse maledettamente perfetto in ogni minuto della sua vita. Osservai la mia immagine allo specchio in entrata. Il riflesso della cicatrice sottile sulla guancia era qualcosa a cui non riuscivo ad abituarmi. Pensavo che mi desse un’aria minacciosa. Ed era l’ultima cosa che desideravo, ora che finalmente ero libero di girare senza pistola.
«Eccomi, eccomi. Volevi forse che mi presentassi in disordine al matrimonio di Kyuhyun?» rispose comparendo sulla porta, raggiante.
Mi si mozzò il fiato osservando la sua bellezza abbagliante. Riusciva sempre a stupirmi. Si avvicinò a me, intrecciando le braccia dietro il mio collo, coinvolgendomi in un bacio appassionato che mi diede le vertigini.
«Heechul, che bisogno c’era di metterci tanto? Sai benissimo di essere perfetto anche quando sei appena sveglio» lo rimproverai dopo che si fu staccato, chiudendo la porta del nostro appartamento e precedendolo verso il garage.
«Dipende da quello che ho fatto prima di andare a dormire caro Siwon. E dopo quello che abbiamo fatto stanotte ti assicuro che il mio aspetto stamattina era tutt’altro che presentabile, appena sveglio» rispose in tono malizioso, salendo in macchina dopo avermi lanciato un sorriso provocatorio. Maledizione. Arrossii pensando alla notte di fuoco che avevamo trascorso.
Quando arrivammo davanti alla chiesa trovammo gli ospiti ancora fuori, in attesa dell’arrivo della sposa. Parcheggiai e mi diressi subito verso Kyuhyun.
«Scusa il ritardo, la damigella d’onore qui non voleva più uscire dal bagno» dissi appena raggiunsi mio cugino. Lanciò un ghigno divertito in direzione di Heechul che alzò entrambi i pollici sorridendo.
«Meno male che JeongYeon è in ritardo. Almeno rispetta la tradizione. Se fosse stato il testimone a far aspettare tutti sarebbe stato un vero e proprio scandalo» rispose Kyuhyun ridacchiando. In quel momento il brusio intorno a noi si fece più forte. La sposa scese da un’elegante macchina nera. Indossava un meraviglioso vestito avorio ed era bellissima. Persino più bella di Heechul. O forse no. Che importava in fondo?
Avevamo finalmente una nuova vita.
  
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