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Autore: LyraB    01/06/2013    0 recensioni
Giorgia ha ventisei anni, è carina e intraprendente e ha trovato lavoro nella città dei suoi sogni: Roma. A Roma appartiene il suo presente, fatto di lavoro nell'ufficio cultura della città e dell'amore di Simone. All'improvviso, però, il mondo di Giorgia si capovolge. Simone la lascia sola e il suo capo le propone di volare alle porte di Milano, dove c'è bisogno di lei per una mostra. La voglia di cambiare aria e di rivedere Elisabetta, l'amica di sempre, la convinceranno a tornare nei posti della sua adolescenza. Dove, tra dipinti e affascinanti assistenti, dovrà affrontare segreti, bugie e inaspettate sorprese.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Una settimana più tardi il panorama davanti agli occhi di Giorgia era più che familiare: ferma davanti alla stazione di Monza, a due passi dall'albergo dove avrebbe alloggiato, riconobbe il profilo dei tetti della città dove aveva trascorso la sua adolescenza, distinguendo il campanile del Duomo, i tetti rossi dell'Arengario e la linea bianca e dorata della Rinascente. L'idea che non fosse cambiato niente nonostante fossero passati anni la rassicurava e la infastidiva allo stesso tempo. Sospirando si avviò lungo il viottolo lastricato che portava al Royal Falcone, l'hotel dove avrebbe alloggiato.
Non aveva fatto in tempo a sistemare le proprie cose nella stanza che fu chiamata nella hall:  ad aspettarla c’era un signore sulla sessantina, stempiato e vestito in modo molto elegante con un completo nero e scarpe lucide. Appena la vide le si avvicinò.
- Signorina Assisi, piacere di conoscerla. Emilio Brigassi, sono l'ideatore della mostra. - Disse stringendole la mano.
- Giorgia. - Si presentò lei con un sorriso.
- Devo ammettere che non ci aspettavamo una ragazza così giovane. Anche se ammetto che sono piacevolmente colpito. Sarà un evento giovane dall'inizio alla fine! - Disse emozionato l'uomo. - Ma venga, possiamo parlare mentre camminiamo. La accompagno al luogo dove abbiamo pensato di allestire la mostra. Mi dica, conosce già la nostra città? -
- Sono cresciuta qui. Ho studiato allo Zucchi. - Disse Giorgia.
- Oh, ma davvero? E cosa l'ha spinta ad andare così lontano dopo il liceo? -
- Lavoro. -
“E il fatto che questa città provinciale mi fa venire l'orticaria.” Aggiunse mentalmente.
- Beh, è un vero peccato che si sia dovuta spostare tanto dalla nostra bella Monza. Chissà, magari dopo questa mostra riceverà offerte di lavoro così allettanti che le faranno venire voglia di tornare. -
- Vedremo. - Disse Giorgia, con un sorriso conciliante che nascondeva il ribrezzo che provava alla sola idea di tornare al nord.
Raggiunsero a piedi l'Arengario, luogo della mostra, attraversando l'isola pedonale ricca di negozi di alta moda e di firme, ancora più costosi ed eleganti di come li ricordava: Monza era diventata una piccola Milano, e il centro era la sua via Montenapoleone.
“Forse avrei dovuto mettere qualcosa di più elegante”. Pensò Giorgia, vendendo riflessi in una vetrina i suoi jeans aderenti, le anonime ballerine rosse e la camicetta traforata.
Arrivati all'Arengario, il signor Brigassi la presentò ai suoi collaboratori, affidandola al suo assistente perché le illustrasse il progetto. L'idea era quella di appendere opere d'arte ai vari pilastri dell'Arengario, illuminandole da faretti abilmente nascosti tra le arcate e i capitelli del soffitto. All'esterno ci sarebbero stati dipinti interessanti, ma il meglio doveva essere risparmiato per il piano superiore, dove i visitatori avrebbero potuto informarsi sulle attività dell'agenzia organizzatrice e chiedere di poter comprare i quadri esposti.
Al termine del giro visite le diede un grosso raccoglitore colmo di fotografie di dipinti tra cui Giorgia avrebbe dovuto iniziare a scegliere i quadri da esporre. La ragazza tornò in albergo per il pranzo barcollando sotto il peso del faldone di fotografie, delle parole di cui era stata sommersa e del caos che regnava per le strade di Monza.
Dopo pranzo, mentre dedicava qualche ora al riposo, pensò che forse era giunto il momento di annunciare ad Elisabetta la sua parentesi brianzola. Avrebbe fatto i salti di gioia, sapendolo... e sarebbe anche stato probabile vedersela comparire all'improvviso davanti alla porta della camera d'albergo.
Avviò la chiamata verso il telefono della sua amica e attese di sentire la sua voce trillare dall'altra parte della linea.
- Giò! -
- Elie, ciao. -
- Che bello sentirti! Come stai? Che fai di bello? -
- Lavoro, come sempre. Ma non indovinerai mai da dove ti sto chiamando. -
- Credo di poter escludere New York, altrimenti non avresti il coraggio di dirmelo. -
- No, infatti. È molto più vicino a dove abiti tu. Davvero molto. -
Elisabetta gridò di entusiasmo con un volume tale da obbligare Giorgia ad allontanare il cellulare dall'orecchio.
- Sei qui a Milano! -
- Indovinato. - Rise Giorgia. - Sono a Monza per una mostra. -
- Comecomecome? Sei a Monza per una mostra? E che aspettavi a dirmelo? -
- Volevo farti una sorpresa ma ho l'impressione che non avrò nemmeno un momento libero. Come stai, Elie? -
- Bene, ma non ho nessuna intenzione di parlarti al telefono quando posso averti dal vivo! Stasera alla Gelateria del Centro? -
- Non so se... - Iniziò Giorgia.
- Non accetto scuse! Non ci vediamo da mesi, ci dobbiamo incontrare! A costo di presentarmi alla porta della tua stanza d'albergo a picchiare i pugni finché non mi apri! - Esclamò Elisabetta, senza darle il tempo di finire.
Giorgia sorrise: se c'era una cosa che il tempo non aveva cambiato, nella sua migliore amica, era la totale mancanza di mezzi termini.
- D'accordo. Ci vediamo lì davanti. - Disse con un sorriso.
- Perfetto. A stasera! - Trillò Elisabetta con entusiasmo, prima di riattaccare.
Dopo il lungo pomeriggio di lavoro Giorgia si concesse una doccia tiepida prima dell'appuntamento con la sua migliore amica.
Non si vedevano da quando ad ottobre Elisabetta era scesa a Roma a trovarla: durante quelle settimane si erano scritte spesso e telefonate, qualche volta, ma vedersi era un'altra cosa.
Appena giunse in vista della gelateria, luogo di ritrovo dell'adolescenza di entrambe, Giorgia vide Elisabetta già lì davanti. Era la solita di sempre: portava un vestito a fiorellini, un golfino azzurro e un paio di ballerine.
- Elie! - Esclamò.
Elisabetta si voltò, la vide e le corse incontro per salutarla.
- Hai tagliato i capelli! - Esclamò Giorgia, vedendo che la lunga chioma color miele della sua amica era stata drasticamente accorciata, scalata e dotata di frangetta.
- Cambiare fa bene. - Replicò Elisabetta, scuotendo i capelli e sorridendo allegramente. - Tu invece sei bella come sempre. -
- Esagerata. - Rispose Giorgia sorridendo.
Si sedettero ai tavolini rotondi della gelateria godendosi il tepore della sera di maggio e il vociare delle famiglie che passeggiavano nella piazza di fronte al locale. Al di là del monumento che vi sorgeva in mezzo si vedeva la massiccia costruzione ocra del liceo dove avevano studiato entrambe.
- Allora, allora, raccontami. - Disse Elisabetta, sporgendosi sul tavolino avida di novità.
- Sono un po' stanca, lo ammetto: non ho ancora avuto un momento per realizzare di essere qui. -
- E pensare che avevi detto che non saresti mai tornata a Monza. Mai e poi mai. -
- Vero. Ma non ho intenzione di rimanere: tra una settimana la mostra sarà avviata e potrò tornare al mio ufficio a Roma. -
- Ti dà così fastidio potermi vedere tutti i giorni? - Rispose Elisabetta mettendo il broncio.
- Ma no, Elie, sai benissimo che non è per te. È proprio la città. -
- Lo so. - Disse Elisabetta con un sorriso. - Ed è per questo che mi chiedo come mai tu abbia accettato. Anche se una mezza idea ce l'avrei. -
Giorgia abbassò gli occhi, mescolando con il cucchiaino il suo marocchino bevuto a metà.
- Avevo bisogno di cambiare aria. - Rispose alla fine, in un sussurro.
- L'hai più sentito? -
Giorgia scosse la testa, alzando gli occhi per dire alla sua amica quanto le facesse ancora male affrontare quell'argomento.
- Non pensarci. - Disse in fretta Elisabetta. - Vedrai che ti passerà. -
- Non credo che sarà così facile. Lui era... beh, era perfetto per me. -
- Se ti ha lasciato non poteva essere perfetto per te. Gli mancava di sicuro qualcosa, per essere il massimo. -
- Davvero? E cosa, sentiamo. - Rispose Giorgia, punta sul vivo.
- Il fatto di amarti. - Replicò Elisabetta con un sorriso.
Giorgia sorrise a sua volta, pensando che la candida saggezza della sua migliore amica sembrava ancora uscita dai libri che lei tanto amava.
- Ogni volta che ci vediamo finiamo per parlare di me. - Disse. - Non mi hai più detto se l'affascinante infermiere di radiologia ti hai poi invitata ad uscire. -
- Giorgia! - Esclamò Elisabetta.
- Beh, che c'è? Me l'hai detto tu che vi incontrate ogni mattina alla macchinetta del caffè! Pensavo che dopo tutti quegli incontri casuali avrebbe trovato il coraggio di invitarti! -
- A parte un paio di cappuccini e un passaggio in macchina il giorno in cui la Cinquecento mi ha lasciato a piedi, Andrea non ha mai dimostrato di avere particolare simpatia per me. -
- Certo. -
- Non essere supponente! -
- È solo che non capisco come non ci sia mai nessun uomo nella tua vita. -
- Sto bene anche da sola, e lo sai anche tu. -
- Ma certamente... è solo che non mi sembra possibile che non ci sia nessuno che si accorga di quanto sei fantastica. Come ti ho sempre detto, forse sei tu che non lo noti. -
Elisabetta rimase in silenzio per un momento, poi alzò gli occhi verso Giorgia.
- Andrea è gay. - Aggiunse Elisabetta, con voce carica di delusione.
A quell'affermazione, a Giorgia morirono le parole in bocca.
- Me l'ha detto l'altro giorno, con serenità, mentre mi offriva l'ennesimo caffè. - Continuò Elisabetta con amarezza. - Forse si era accorto che iniziavo ad interessarmi troppo a lui. -
Giorgia si sporse per stringerle una mano, ma Elisabetta sfuggì al suo contatto e si guardò rapidamente intorno, per poi tornare a sorriderle.
- Sei andata a fare un giro allo Zucchi? - Le chiese.
- Oh, no. Non sono ancora pronta a un tour dei ricordi con tutti i crismi. -
- Dobbiamo assolutamente rimediare. - Disse Elisabetta alzandosi.
- Dove stai andando? -
- Alla scuola, ovviamente. Il cancello sarà chiuso, ma si vede benissimo anche da fuori. -
- No. Elie, no! - Esclamò Giorgia, prendendo anche le sue cose e protestando inutilmente mentre seguiva la sua amica verso la scuola.
Sui gradini dell'ingresso erano seduti dei liceali vestiti piuttosto eleganti. Giorgia si sentì i loro occhi addosso per tutto il tempo che impiegò a raggiungere Elisabetta vicino al cancello di ferro battuto.
All'interno la luce dei lampioncini rotondi era bianca e limpida e spandeva riflessi argentati sulle foglie delle siepi ben curate e tra i chiaroscuri dei grandi sempreverdi del cortile. Le rose canine vibravano nell'aria tiepida della sera di maggio e l'acqua che zampillava dalla fontana rendeva ancora più idilliaco il quadretto, incorniciato dal loggiato dai colori pastello. Visto così, sembrava lo scenario di un bel film medievale, non un liceo classico decisamente vecchio stile.
- Un po' mi manca, questo posto. - Disse Elisabetta.
- A me no. -
- Non ti piacerebbe tornare indietro? - Domandò l'amica, aggrappandosi alle sbarre del cancello per riuscire a vedere più lontano.
- E tornare ad essere un'adolescente imbranata che non sapeva vestirsi e non aveva idea di cosa fare della sua vita? No, grazie. Sto bene così. -
- A me manca. - Disse in un sussurro Elisabetta. - Però la parte migliore del liceo è stata di certo la nostra amicizia. E quella è ancora qui. -














Ecco qui il secondo capitolo.
Riscrivere questa storia è stato molto faticoso,
ma sono convinta che devo mettermi a sistemare ciò che non funziona,
invece di ignorare il lavoro fatto e ricominciare daccapo.
Quindi ecco qui, un altro capitolo del mio racconto originale dedicato ai maturandi di questo e di tutti gli anni a venire.
Come sempre, grazie per aver letto!


Flora
   
 
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