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Autore: Mellark_    01/06/2013    3 recensioni
Nonostante la guerra sia finita, Katniss non può sfuggire a tutto quello che questa ha portato via con sé. Tra queste cose, c'è Finnick, e proprio in prossimità dell'arrivo di Annie e del piccolo Owen dovrà scontrarsi con il dolore della morte dell'amico.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ una mattina di un placido giorno d’aprile, il freddo sta andando a scomparire e un timido alone di calore aleggia sul Distretto 12, allietando le mattinate dei suoi abitanti.
Tra questi, ci sono anche io.  
Mi stiracchio pigramente e mi lascio scivolare adagio su una delle sedie del tavolo della cucina. Peeta posa sul tavolo un cestino intrecciato colmo di pane, focaccine al formaggio e croissant fumanti e dal sapore paradisiaco.
Mi allungo per afferrare un focaccina, che mi scotta tra le mani, la mordo in tutta calma e mentre il formaggio dolce mi si scioglie piacevolmente in bocca Peeta mi versa un generoso bicchiere di succo d’arancia e me lo posa davanti, mi dà un bacio delicato sulla fronte e si siede affianco a me.
Sorrido senza nemmeno accorgermene. Anche lui inizia a mangiare una delle sue splendide creazioni, mentre la timida luce del sole inizia a bagnare la stanza, facendo risplendere i capelli e le ciglia di Peeta. Sembra proprio un angelo.
Bevo un sorso del mio succo e gli tendo una mano lungo il tavolo, lui la stringe, intrecciando le sue dita alle mie.
Il campanello della porta suona e io sospiro. –Haymitch avrà finito il liquore- dico con tono sarcastico, ma lasciandomi scappare un sorriso.
Peeta mi sorride di rimando, posa un leggero bacio sulle nostre mani intrecciate, si alza e va ad aprire. Lo seguo con lo sguardo, finché non sparisce dietro un angolo. Poco dopo torna con Haymitch al suo seguito, e un sorriso stampato in faccia, perché in effetti, fino ad ora, la mia previsione si è avverata.
-Mi sa che sto diventando una veggente- commento, con una risatina. Ecco un’altra cosa che ho imparato a fare da quando sono tornata a vivere.  
Non posso dire che le morti non m’incombano più sul petto, ma Peeta alleggerisce di molto il mio carico.
Ride anche lui e si mette di fianco a me, che intanto mi sono alzata e appoggiata al tavolo.
-Cosa possiamo fare per te, Haymitch?- chiede Peeta, sempre gentile, mentre io continuo a sogghignare. Per questo ricevo uno sguardo gelido da parte del mio vecchio mentore, al quale rispondo continuando a ridere. Io e lui ci dimostriamo così che teniamo l’uno all’altra. E’ strano, ma è il nostro modo.
In ogni modo distoglie lo sguardo da me e parla con Peeta. –Oggi pomeriggio, con il primo treno, arriva Annie con il bambino- il sangue mi si gela completamente nelle vene, mi mordo l’interno della guancia e avverto l’improvviso bisogno di andarmene da lì.
Haymitch continua a parlare ma io non sento più una sola parola, comincio a camminare verso le scale. L’unico suono che mi giunge è la voce di Peeta –Kat? Dove vai?- chiede, venendomi dietro.
Farfuglio qualcosa che dovrebbe far intuire che sto andando a farmi la doccia, così mi lascia andare, ma rimane per un po’ sul fondo delle scale.
Io entro frenetica nella nostra stanza, afferro i vestiti che avevo ieri senza neanche guardarli e mi infilo in bagno.
Mi infilo sotto il getto dolce dell’acqua calda, che però non mi calma affatto. Rimango comunque lì sotto per almeno trenta minuti, il rumore dell’acqua offusca i miei pensieri, ma le parole di Haymitch continuano a rotearmi in testa, come se non avessero senso. Annie. Bambino. Treno. Oggi.
Quando la mia pelle inizia a diventare spugnosa decido di uscire, ma appena metto piede fuori dalla doccia e sento il freddo che colpisce la mia pelle, tutto è dolorosamente chiaro.
Oggi vedrò suo figlio e sua moglie. Le persone con le quali lui non potrà mai vivere. Lui che è morto per colpa mia. Lui di cui non riesco neanche a pensare il nome.
Mi trascino fuori dal piccolo bagno avvolta nel mio accappatoio, con i capelli gocciolanti e senza preavviso cado a terra e mi accovaccio in un angolo.
Lacrime silenziose mi solcano il viso.
Non ho mai pianto veramente la morte di quel ragazzo al quale avevo imparato a voler bene a modo mio, anche se non glielo ho mai detto. Adesso vorrei averlo fatto.
Mi rendo conto quanto lui mi abbia aiutato, sempre, quando Peeta era ancora prigioniero ed io stavo per cadere a pezzi. Quando Peeta è tornato depistato. Lui era praticamente l’unico ad esserci sempre, perché lui capiva. Lui mi capiva. Capiva il mio dolore.
Sto per piombare nell’isteria più pura, mentre inizio a fare quei singhiozzi strozzati che faccio sempre quando piango sul serio, per un dolore profondo.
Stringo i capelli zuppi tra le mani, comincio perfino a tirarli. Provo veramente a trattenermi dall’urlare ma arrivata ad un certo punto non ce la faccio più, ed un urlo di strazio esce dalle mie labbra, tra le lacrime.
So’ che Peeta arriverà a minuti per sapere cos’è successo e una parte di me vuole che arrivi, perché il dolore che mi sta divorando il petto sta diventando insopportabile ed ho veramente bisogno di lui.
Ogni ricordo, ogni immagine è come un coltello, un altro, che mi si conficca nel cuore.
La sua voce mentre raccontava di come veniva usato a Capitol City; il giorno in cui hanno riportato Annie nel 13 e lui le è corso incontro, quando sono caduti a terra, abbracciati; quando mi aveva sostenuta nei momenti peggiori, nei momenti in cui stavo per spezzarmi.
Perché le persone migliori subiscono sempre i destini peggiori? Perché non poteva avere una vita felice, dopo tutte le sofferenze che aveva patito? Perché!?
Sono arrabbiata con la vita, con il destino, con tutto quello che lo ha strappato a questo mondo.
Mi alzo con uno scatto di adrenalina, le mie mani sono fuori controllo, così come le braccia e le gambe, afferro il mio cuscino, lo  butto a terra con tutta la forza che ho e ,senza potermi controllare, caccio un urlo disumano.
-KATNISS!- urla Peeta, sento i suoi passi pesanti pestare il pavimento.  Forse non aveva sentito il primo grido, ma questo di sicuro l’ha spaventato.
Intanto le gambe mi cedono, cado in ginocchio, facendomi piuttosto male. E ricomincio il mio pianto straziato gettandomi a terra, letteralmente.
Peeta piomba nella stanza un secondo dopo, le pupille dilatatissime grandi come piatti, il respiro affannoso.
Mi fissa per un secondo ed io lo scorgo appena dal groviglio di capelli che mi copre il viso. Lo sento deglutire e sedersi vicino a me. Mi mette a sedere poggiandomi la schiena al letto.
Stiamo in silenzio per un po’. Lui prende una spazzola e lentamente mi districa i capelli, mentre io continuo a piangere in silenzio. La sua presenza mi ha tranquillizzata un po’ e poi sono talmente esausta, sia psicologicamente che fisicamente, che lasciarmi coccolare così mi fa solo che bene.
Quando ha finito posa la spazzola e prende ad accarezzarmi per un po’.
-Ne vuoi parlare?- mi chiede dolcemente. Annuisco ancora tremante, con la testa sulla sua spalla. –E’ per Finnick, vero?- il solo udire quel nome mi fa rabbrividire, e tornare la voglia di ricominciare a piangere e urlare. Ma mi trattengo ed annuisco ancora una volta.
-Io non posso….- mormoro, e scopro che la mia voce è parecchio roca, Peeta mi passa dell’acqua.
-Lo so che è difficile, ma non sei stata tu a causare la sua morte, devi ricordarlo sempre- dice deciso ma dolce, mentre mi prende il viso tra le mani. Scoppio di nuovo a piangere e seppellisco il viso nella sua camicia.
-Mi manca- sussurro con il viso contro il suo petto, e lui mi stringe più forte. –Perché è dovuto succedere a lui?- chiedo, come una bambina. 
-Perché a volte la vita è uno schifo, e si prende le persone migliori. Le persone che amiamo, e che non lo meritano- comincia, carezzandomi i capelli. -A noi non sembra giusto, e forse non lo accetteremo mai, ma la vita è fatta così. A volte dà, altre toglie. A noi ha tolto Finnick, ma lui vivrà per sempre nei nostri ricordi. Nei tuoi, Katniss. Lo so che fanno male, ma sono l’unico modo per farlo rivivere, per far rivivere tutti quelli che abbiamo perso…- detto questo si ferma, perché ha la voce rotta. A volte dimentico che anche lui ha perso la sua famiglia, anche lui ha perso degli amici. Anche lui gli voleva bene.
Lui saprebbe calmare anche un mare in tempesta, solo con le parole.
Ora sono io stringerlo, entrambi versiamo lacrime salate e dolorose, ma liberatorie.
Sono ormai le 4 del pomeriggio quando riusciamo ad alzarci ed a mangiare qualcosa, ma io non smetto un secondo di pensare  a lui.
Alle 6 usciamo di casa per andare a prendere Annie e il bimbo, che ormai ha un anno, alla stazione. Il treno arriva puntuale   e la ragazza dagli occhi verdi scende dal vagone, con in braccio un bambino dai capelli bronzei e sorridente. Al suo seguito c’è Johanna Mason, carica di borse.
Non avevo sentito che ci sarebbe stata anche lei, ma la sua presenza non mi dispiace affatto.
Rimango rigidamente in piedi, non riesco a muovere un  passo e sono praticamente un pezzo di ghiaccio. Dentro di me le ferite si riaprono dolorosamente, sto per scappare, ma la mano di Peeta stringe saldamente la mia e riesco a camminare verso di loro.
‘No, mi ha colto di sorpresa…’ il ricordo di quella frase mi trafigge come un pugnale, mentre cerco di non distogliere lo sguardo da Annie.
-Ragazzi…-dice dolcemente, sorridendoci. –State benissimo..- poi dice qualcos’altro, ma io non posso fare a meno di rimanere stregata da quel piccolo umano che le si agita in braccio.
Capelli bronzei, occhi colore dell’oceano un sorriso gioioso ma malizioso. E’ lui.
-Oh, lui è Owen- solo quando pronuncia quel nome così armonioso alzo i miei occhi su di lei, ma solo per un secondo. Ritorno a guardare quel piccoletto, che adesso ha un nome. Ma nella mia mente ce n’è un altro.
Annie porge il piccolo in braccio a Peeta che sembra in estasi alla visione di quel cucciolo dai capelli d’oro.
Gli carezza delicatamente la guancia rossa e paffuta. –Ehi, Owen- lo saluta sorridente.
-Eh! I, i! Eh-i!- ripete il bimbo con un gridolino.
Mentre una lacrima mi riga il viso lo rivedo in quel piccoletto, vedo la sua vita, finita troppo presto, rivivere in quel cucciolo d’uomo. Prendo le sue manine tra le mie e gli sorrido tra le lacrime. –Ciao, Owen- sussurro appena, nessuno può sentirmi tranne Peeta, che si volta e mi sorride.
Forse la sua morte non avrà mai abbastanza motivazioni per essere ritenuta accettabile, ma la vita e il sorriso di quel bimbo, che non dovrà vivere con il terrore degli Hunger Games, sono la prima consolazione. 
-Ao! ao!- mi risponde il piccolo, battendo le manine. 
“Ciao, Finnick” dico nella mia mente, mentre guardo ancora quegli occhi color oceano, nei quali vedo i suoi. 



Salve! 
Per me scrivere quest'OS è stato veramente difficile e non nego di aver pianto ad un certo punto, perché Finnick è il mio personaggio preferito (insieme a Peeta) e la sua morte mi ha sconvolta, e anche se ho finito di leggere i libri quasi un anno fa  sono comunque molto affezionata a questo personaggio. 
Spero di aver fatto un discreto lavoro. 
A presto, Angela.

  
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