Una nebbia
ormai fin troppo conosciuta mi offusca il
cervello, rendendomi difficile ogni pensiero.
Solo uno mi pulsa nella mente: oggi è il Giorno. Alle due in
punto due ragazzi
saranno gettati in un’arena a morire per il piacere
dell’ottusa Capitol City
che non permetterà mai di dimenticare. Non
permetterà mai a me di dimenticare. Perché
io sono il mentore. Io sono colui che dovrebbe salvare i tributi del
Distretto
12. Ma cosa si può fare con due ragazzini pelle e ossa che
non hanno avuto mai
abbastanza da mangiare?
Finisco con l’ubriacarmi collassando per non pensare.
Ma gli incubi, oh gli incubi non mi abbandoneranno mai. Come non lo
faranno con
tutti gli altri vincitori degli Hunger Games, perché quegli
stramaledettissimi
giochi ti spogliano di tutti i principi di un essere umano, della
persona
entrata lì dentro non resterà nulla. Ed
è per questo che non dormo mai col buio.
È per questo che sono sveglio alle cinque del mattino,
vagando con una
bottiglia di liquore in mano per la casa che mi hanno assegnato al
Villaggio
dei Vincitori ventiquattro anni fa.
Una casa che sento non appartenermi e nel quale mi sentirò
sempre un intruso.
La mia vecchia abitazione al Giacimento, invece, era tutta
un’altra storia:
sapeva di vita, di affetto, di famiglia. Ma quella è andata
distrutta insieme
ai miei genitori, al mio fratellino e alla mia fidanzata.
Capitol City mi ha privato di tutto, persino della vita. Quella
l’ho persa nell’arena
e non tornerà mai più.
Bevo un ultimo sorso dalla bottiglia e la nebbia si fa più
fitta, fino a
coprirmi interamente la vista.
Non so come
né quando, ma mi ritrovo vestito decentemente per
i miei standard, pronto per andare alla mietitura.
Sono preparato fisicamente, ma non psicologicamente. Non ce la
farò mai a
guardare le prossime due vittime al macello negli occhi, non senza
alcol nelle
vene e l’effetto di questa mattina comincia a svanire
rendendomi i ragionamenti
troppo nitidi per i miei gusti.
Mi dirigo in cantina, dove tengo le scorte di liquore e mando
giù a grandi
sorsate il liquido trasparente dal sapore più che noto da
venti anni a questa
parte. Così facendo arriverò tardi, ma che
m’importa? Proseguiranno anche senza
di me. Quando sono certo di essere considerevolmente confuso, mi dirigo
lentamente verso la piazza principale. Attraversarla per arrivare al
palco non
è semplice, data la presenza di tutti i ragazzi tra i dodici
e i diciotto anni
del Distretto 12, i loro parenti e la gente delle scommesse. Quei tipi
mi danno
il voltastomaco. Scommettere sull’età, la
provenienza o la fragilità del
tributo dovrebbe essere un reato, ma non è così,
per cui i limito ad evitarli.
Arrivo sul
palco barcollando giusto alla fine del discorso
del sindaco. Meglio così: non avrei retto le stupidaggini
sulla pace di Panem
conquistata a fatica grazie ad innumerevoli sforzi di Capitol City
nemmeno con
tutto l’alcol del mondo.
Investo accidentalmente Effie Trinket, la spumeggiante accompagnatrice
del
Distretto 12 che con un inspiegabile entusiasmo ogni anno viene qui
dalla
capitale per sorteggiare i nomi dei ragazzi da mandare al macello. Del
resto,
che mi aspetto da una capitolina? Laggiù sono tutti col
cervello anestetizzato
dal peso troppo grande dei loro capelli cotonati e i loro occhi non
vedono a causa
delle ciglia lunghe metri.
Si pronuncia
nel suo solito: "Benvenuti ai 74esimi
Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro
favore."
Noto alcuni ragazzi nel pubblico farle il verso. Almeno qualcuno riesce
ancora
a scherzare.
Si dirige a grandi passi verso la bolla delle ragazze esclamando:
"Prima
le signore!"
Scava per un po’ tra i piccoli fogliettini ed in piazza di
potrebbe sentir
cadere uno spillo. Ne afferra uno e torna al microfono.
Il nome è Primrose Everdeen. Conosco questa ragazza. O
sarebbe meglio dire
bambina.
È la sua prima mietitura. La scorgo in fondo alla piazza. Il
volto che non
maschera il terrore. Si dirige lentamente verso il palco. Povera
piccola, aveva
sempre una parola gentile per tutti, persino per me. La incontravo
spesso in
piazza a vendere il suo formaggio di capra.
Un giorno lo acquistai, fu in quel momento che feci la sua conoscenza.
I bei
capelli biondi raccolti in due trecce, gli occhi azzurri
così rari nel
Giacimento ed un sorriso che poteva illuminare anche la giornata
più buia.
Quella mattina mi ero ubriacato più del solito e non mi ero
nemmeno reso conto
di essere arrivato al mercato, quando notai quella bella bambina. Mi
avvicinai
e comprai un po’ dei suoi prodotti. Si accorse dello sguardo
perso dei miei
occhi e mi chiese se stessi bene. Le annuii e mi avvia verso casa
barcollando,
ma subito caddi a terra.
Primrose si precipitò per aiutarmi poi non ricordo
più niente, la mente
offuscata dall’alcol. La sera dello stesso giorno mi ritrovai
nel mio letto con
una coperta addosso.
Quest’anno,
penso, sarà più dura del solito. Non ho il tempo
di finire, che una voce urla: <
ANGOLETTO DI UN'AUTRICE
SQUILIBRATA
Ok, non sarà la più grande storia che abbiate mai
letto, ma che ne dite di lasciare una resionciuzza? Infondo non costa
nulla ^_^ Spero che l'idea vi sia piaciuta e che vi piaccia
com'è stata scritta. Se non fosse così lasciate
anche critiche (purchè costruttive, si capisce):
è la mia prima fan fiction e devo ancora fare molta strada :)
Bene vi ho annoiato abbastanza...a presto...BESOS!