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Autore: hapworth    03/06/2013    1 recensioni
Era stata forse quella, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: un senso di inadeguatezza, quello che la donna pareva ogni attimo ricordargli con il suo stile di vita eccessivamente ricco e il suo continuo desiderio di apparire in pubblico, con lui o senza di lui. Lei era una donna di successo, un avvocato molto quotato, mentre lui non era altro che un impiegato in una grossa multinazionale – la più grande di Washington, certo, ma era pur sempre uno come tanti.
IN HIATUS || ATTESA DI REVISIONE
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Una volta ancora'
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Mi sono fatta un sacco di fisime se pubblicare o meno questa storia (ci ho messo un anno a decidermi se postare o meno questo capitolo): amo moltissimo ogni personaggio in essa, perché nella mia mente sono reali ed esistono, hanno una vita e sono ciò che sono proprio per questo. Premetto che questa è la prima originale seria – nel senso che ci sto appresso da parecchio – che decido di mettere su efp.
Non pretendo nulla se non un po’ del vostro tempo nel leggerla, perché io, in questo testo, ci sto lasciando il cuore. Basti pensare che ogni nome ha la sua ragione di essere e, se chi legge conosce me o chi stimo molto come scrittore, non faticherà affatto a capire il mio tributo e la dedica. Potrebbe anche essere considerata mancanza di fantasia – e in parte potrebbe essere così – ma amo davvero troppo molti nomi che ho messo in questa storia per renderli in qualche modo anche miei.
Non ho la più pallida idea di quando/come/perché/quanto continuerà. So solo che continuerò a scriverla, con tempi magari lunghi, magari brevi, con pause e riprese forse; ma è veramente troppo che ce l’ho dentro per non metterla giù, davvero.
Le coppie sono quasi tutte slash – due sono invece het – e i personaggi citati, specialmente la famiglia Glass, è nata per caso, un giorno, mentre creavo un personaggio per un GDR. Da allora ho sempre pensato di voler scrivere qualcosa che li racchiudesse tutti, in un universo tutto loro che li crei veramente. Il progetto è piuttosto ampio: ho in cantiere anche due raccolte collegate che, un giorno, posterò sicuramente; probabilmente in contemporanea a questa che è la storia principale.
Non sarà un granché ma, davvero, Seymour ha voluto che io scrivessi questa storia per lui.
By athenachan

A Seymour Glass,
sempre e comunque
per il suo lieto fine.

Una volta ancora
01. Indietro

Trent’anni potevano apparire tanti, troppi, per chiunque. Erano un peso non indifferente da portare sulle spalle e Seymour, di certo, non faceva affatto mistero del suo disappunto a riguardo. Non era una persona irritante, non come certi elementi da lui conosciuti.
Il non più giovane figlio dei North aveva una sorta di complesso per la propria età - da ricercarsi forse nelle vecchie sedute a cui aveva presieduto per qualche tempo da un noto psicologo - ma non era il tipo da lamentarsi con la gente; una persona a modo ecco come sarebbe, per certo, stato definito ad una prima occhiata.
Un impiegato qualunque, senza particolari doti lavorative; si limitava ad andare al lavoro ogni giorno, con lo stesso completo e la stessa voglia che aveva un uomo come tanti altri di guadagnarsi da vivere facendo qualcosa per cui si aveva studiato ma per la quale, di fatto, ormai non poteva far altro se non provare repulsione.
Sinceramente odiava a morte il proprio lavoro, odiava trattare con i grandi clienti che la Glass Corporation si era, negli anni, guadagnata: lo trovava mortificante, principalmente perché lui non era mai stato abile ad imbrigliare la gente. Cosa che invece riusciva molto bene all’amministratore delegato della sua azienda: Victor Glass.
Niente di strano se si pensava che la sua ascesa come dirigente era stata decisa fin dalla sua nascita dal suo predecessore e padre: Reynold Glass; era palese che fosse un’azienda a conduzione familiare e, al tempo stesso, era altrettanto ovvio quanto, con l’entrata in scena di Victor nell’amministrazione, la produzione non aveva fatto altro che andare sempre più in alto. Era giovane, l’erede dei Glass: trentuno anni di pura intelligenza e di senso per gli affari - quello che lo faceva scadere era, forse, la sua eccessiva mania di avere sempre tutto sotto controllo, in ogni momento. Se fosse dovuto al fatto che avesse una famiglia numerosa, benché nato figlio unico - voci di corridoio avrebbero osato asserire che avesse almeno tre cugini di primo grado in posizioni di spicco in altri campi, specialmente in quello legale – non era dato sapere ai suoi impiegati. Certo era, però, che avesse sempre avuto un che di libertino nella propria condotta di vita: donne o uomini non importava e, nonostante il suo essere molto discreto da quel punto di vista, i pettegolezzi nell’azienda di certo non erano mancati. Belle donne alte e bionde, con i seni prosperosi e i visi attraenti o, al contrario, giovani uomini dall’aspetto gentile e affabile che si tenevano ad una distanza ponderata ma che, ad uno sguardo, facevano ben intendere il proprio coinvolgimento nel letto dell’amministratore delegato.
C’era da sempre un gran via vai di chiasso a causa di quella sua abitudine: chi parlava del fatto che potesse essere, oltre che bisessuale, anche la figura attiva della coppia ed era certo persino a Seymour – che di esperienze omosessuali non ne aveva mai avute – quanto l’uomo fosse il classico dominante in un rapporto sessuale oltre che nella vita di ogni giorno. E glielo suggeriva tutto di lui, persino lo sguardo affilato, in quei suoi occhi ambrati che restavano a fissare forse troppo a lungo certi punti del corpo di chiunque potesse sembrare in qualche modo attraente. Victor Glass era un uomo che non sembrava aver bisogno di chiedere a nessuno, mai.
La notizia che si fosse messo a posto con la coscienza era arrivata quando la giovane segretaria di Glass - che controllava le entrate e le uscite dal suo ufficio – aveva preso a sorridere sorniona, parlando di un adorabile diciottenne dagli occhi dell’acqua marina e i capelli neri come le ali di un corvo, che era stato preso come momentaneo segretario personale del loro dirigente. A lui sembrava assurdo a dire il vero, davvero inconcepibile ad una analisi razionale: come poteva un uomo cambiare il proprio essere “onnivoro” da sempre, in una totale devozione verso un singolo individuo? Eppure il cambiamento dovuto alla settimana in cui il giovane Daniel Miller – questo era il suo nome – aveva svolto presso di loro i lavori più mortificanti e minori, aveva sconvolto North, nel profondo. Mai aveva visto il proprio superiore così cambiato, così devoto tanto da non lanciare neppure uno sguardo alle forme generose di una bella cliente o al sodo fondoschiena di qualche aitante nuovo acquisto dell’azienda.
Tornando a Seymour, le sue origini non erano particolarmente rilevanti. Nato in una cittadina modesta ma sconosciuta, era stato cresciuto in un orfanotrofio di Washington D.C. e solamente passati i diciannove anni era riuscito a sfuggirne grazie alla sua spiccata intelligenza che gli aveva garantito una borsa di studio per continuare un percorso che avrebbe potuto, per certo, renderlo un uomo con una vita dignitosa; aveva accettato il compromesso di lasciare tutto, persino un lavoro sicuro – benché misero – solo per avere la possibilità di fare qualcosa di vero, nella propria vita. Era un po’ come iniziare un viaggio verso l’ignoto a suo modo.
Ed era proprio mentre frequentava la Facoltà di Economia che aveva incontrato quella che, negli anni a venire, sarebbe stata il suo unico pensiero: capelli rossi, occhi verdissimi, fisico snello e proporzionato con una pelle leggermente abbronzata che davano la sua origine probabilmente in una zona del sud; si era innamorato di lei fin dalla prima volta che l’aveva vista, davanti alla segreteria degli studenti.
Non era mai stato avvezzo a provarci ma, quella volta, ci aveva messo veramente l’anima, tutto il proprio coraggio, ed era riuscito a strapparle - forse per via dell’arrossamento eccessivo delle gote, forse perché pareva essere terribilmente impacciato e infantile - un appuntamento. Il primo di molti altri che, negli anni, si erano susseguiti ed erano stati il preludio di un matrimonio che, per quanto breve, Seymour aveva desiderato con tutto il cuore.
Loren Ross era una bella donna con una laurea in Giurisprudenza e che era entrata, fin da subito, in uno Studio abbastanza influente nel panorama legale: lo Studio Hamilton. Aveva avuto un bel daffare, specialmente i primi tempi della loro convivenza – poco prima del matrimonio – per farsi riconoscere come un avvocato abbastanza in gamba da ritenersi degna di fiducia e Seymour, reo di essere entrato da poco nella compagnia dei Glass, l’aveva supportata come meglio aveva potuto. Ma questo non aveva evitato di far andare a rotoli la loro vita di coppia.
Le cose non dette, in quegli anni, erano state tante, probabilmente troppe. Primo fra tutti, probabilmente, la scoperta che lui fosse senza genitori o parenti alle spalle, cosa che la famiglia di lei non aveva gradito molto – sane tradizioni e menti conservatrici che sembravano ancora legate al fatto che Dio dà a tutti ciò che si meritano – ma, ingoiando l’amaro, Seymour si era detto che i figli non sono come i padri e che Loren era diversa, anche per questo l’amava.
Come se ciò non fosse bastato, era arrivata, improvvisa, la consapevolezza che Loren non desiderava una famiglia. Seymour amava i bambini e, da sempre, avrebbe voluto stringerne uno suo tra le braccia; Loren no, non era cresciuta come figlia unica ma come figlia in una famiglia di quattro fratelli, in cui lei era la terza e unica femmina. Pareva averne abbastanza del caos familiare dove una madre correva dietro ai figli dispettosi che distruggevano ogni cosa.
Era stata forse quella, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: un senso di inadeguatezza, quello che la donna pareva ogni attimo ricordargli con il suo stile di vita eccessivamente ricco e il suo continuo desiderio di apparire in pubblico, con lui o senza di lui. Lei era una donna di successo, un avvocato molto quotato, mentre lui non era altro che un impiegato in una grossa multinazionale – la più grande di Washington, certo, ma era pur sempre uno come tanti.
Non passò molto che lei cominciò a sentirsi costretta in un rapporto che non sentiva più proprio; e a nulla valse l’amore di cui, Seymour, ogni volta la ricopriva. Perché era vero amore, quello si, un amore intenso: avrebbe lasciato tutto, cambiato persino aspetto, se solo lei glielo avesse chiesto. Ma mai parola venne da lei, mai una sola che non fosse atta a ferire il proprio marito in quel briciolo di orgoglio che, ancora, si teneva stretto. Non era stato il tradimento a farli lasciare – fosse stata una cosa come quella, di certo, si sarebbe detto che non c’era affatto rimedio per un amore ormai spento – ma tante piccole cose sommate insieme che avevano segnato, una volta per sempre, quel rapporto ormai freddo. Non il termine di un amore ma l’inadeguatezza di lui nei confronti di lei. E questo aveva ferito Seymour, lo aveva ferito talmente in profondità – sotto la pelle – che non era più riuscito a guardarsi allo specchio senza sentirsi miserabile nella propria magra e inutile esistenza.
La folle consapevolezza di non essere abbastanza era stata avvalorata negli anni, quando la sua giovane moglie gli aveva presentato dinanzi i successi di quei tre fratelli prodigiosi che sembravano sempre essere un passo davanti a lui, in ogni momento, in ogni fottuta situazione.
Oliver Ross aveva trentasei anni quando si erano visti la prima volta, lui ne aveva ventisei. Dieci anni di differenza, con altrettanto divario per quanto concerneva altri particolari: in verità lo aveva visto già in precedenza ed era stato proprio quello il primo fattore di disagio; era un suo superiore nell’azienda. Certo, in un altro ambito ma era, comunque, un suo superiore. Per non parlare del fatto che fosse anche il fratello maggiore di Loren.
Era stato gentile, affabile con lui e Seymour, malgrado la paura iniziale per via di non essere all’altezza delle aspettative, si era tranquillizzato. Tranquillità che aveva mantenuto anche con Alexander: un tredicenne dall’aspetto e dai modi simpatico, aperto. Forse per via del suo soggiorno prolungato in Inghilterra, protrattosi sin dalla prima infanzia fino ai dodici anni, gli aveva insito nel suo modo di fare qualcosa di molto gentile e, di certo, non era la cattiveria inglese – anche se l’accento molto pulito gli conferiva un’aria saccente ma non antipatica.
Le cose, tuttavia, erano precipitate quando aveva avuto il primo incontro con Holden Ross. Un quattordicenne incazzato con il mondo che non sembrava avere altro scopo nella propria vita se non farlo sentire ridicolo; era piacente di aspetto ma aveva un carattere chiuso e scontroso, sembrava rianimarsi solo per guardarlo in malo modo. Loren gli aveva detto che era sempre stato così, che odiava tutta la famiglia e che non era mai riuscito a farsi degli amici - sinceramente Seymour non stentava a crederci visto il suo comportamento.
Il loro rapporto, leggermente incrinato dalla consapevolezza di avere obiettivi di vita coniugale differenti, aggiunto al senso di inadeguatezza divenuto ormai un complesso non da poco, non aveva retto a lungo e, solo due anni dopo il matrimonio, avevano divorziato. Per North era stato un colpo al cuore, principalmente perché era follemente innamorato di Loren; ma aveva accettato la cosa, consapevole che non avrebbe potuto fare altro se non quello. L’amava ancora malgrado gli altri due anni passati lontano e, adesso, a trent’anni, senza una relazione su cui contare, senza nessuno accanto, si chiedeva che cosa avesse il suo modo di pensare di così sbagliato: volere dei bambini era così terribilmente spaventoso? Perché era anche lì, il problema che gli si era posto con Loren, era che erano venuti problemi. O almeno si sforzava di pensare che fosse solo quello, il problema; in realtà c’erano molte altre cose che non avevano mai funzionato davvero.
Sapeva bene che avrebbe dovuto serbarle rancore: per lei non era mai stato abbastanza, non era mai bastato, nella sua vita. Non era bastato, pur di compiacerla, abbandonare l’idea di andare all’estero per lavorare magari in Canada una volta laureato; così come non era bastato nemmeno giurarle amore eterno davanti ad un Dio in cui lui non credeva. Per lei c’era sempre qualcosa che stonava, nella sua figura: prima era il suo disagio allo stare tra le persone, poi il rapporto di confronto alla sua inadeguatezza che aveva sempre avuto nei riguardi dei suoi fratelli e, come se tutto ciò non fosse bastato, c’era la sua famiglia. Quella famiglia che lo aveva abbandonato fin da piccolo, facendogli pesare l’essere vissuto completamente da solo, in un ambiente povero e sterile, da cui si era levato con la sua sola forza di volontà perché, sapeva, nessuno lo avrebbe aiutato, men che meno il Dio di cui la gente andava da sempre tanto parlando. Che salvezza ci sarebbe potuta essere, per lui? Nessuna, non ci credeva, non c’era alcuna salvezza. Aveva sempre creduto che ci si salvava da soli, rialzandosi dal baratro in cui si era caduti, uscendone con le proprie forze e basta.
Eppure si era sforzato di vederla, quella salvezza divina; per lei, solo per lei. Ci aveva provato e riprovato ancora ma mai era stato soddisfacente per Loren. Non era stato lui a regalarle quella Luna che tanto voleva, non era stato lui a comprarle quella Felicità che tanto agognava. Chi era stato? Nessuno, probabilmente. La donna aveva solamente trovato una scusa per liberarsi di lui, del suo essere un peso su di lei, quando in realtà si era sempre fatto in quattro per permetterle di andare avanti con quello stile di vita che, talvolta, reputava sbagliato.
Dopo Loren non c’era stata alcuna storia seria, dopo di lei c’era sempre e solo stata lei. Si rendeva conto di essere patetico ad appoggiarsi, ancora, ad un rapporto che non aveva più un futuro da tempo ma… Che altro avrebbe potuto fare? I suoi sentimenti erano ancora fermi a quell’abbandono prematuro - almeno per il proprio cuore – e poi il lavoro, di certo, era un buon espediente per non avere giovani donne che pretendevano di stabilirsi da lui solo per il suo aspetto e il suo modo un po’ troppo tranquillo di fare.
Era bello, in effetti: un’altezza che arrivava al metro e novanta – merito della pallacanestro fatta quando era ancora al liceo e continuata anche negli anni successivi fino alla laurea – che faceva solo da cornice ad un corpo ben allenato e sviluppato, con muscoli appena accennati ma non per questo assenti. Aveva capelli neri sbarazzini, quasi infantili, e gli occhi dello stesso colore dell’oscurità; ma non faceva affatto paura: i suoi occhi erano gentili, la sua altezza troppo poco spaventosa e, di certo, la carnagione chiara non lo aiutava.
Spesso si rimproverava di essere ancora troppo legato a Loren, lo era ancora troppo e la prova lo erano i pensieri che, quando rimaneva da solo, spesso faceva nell’osservare l’orizzonte. Oh, era stupido e lo sapeva ma… Che altro avrebbe potuto fare? Era come fosse ancora lì, con lui; alle volte si illudeva, ancora, di vederla, di sentirla con le proprie dita, di riuscire ad appoggiare i polpastrelli sulla sua pelle lievemente abbronzata ma liscia al tatto. E lei era lì, non lo aveva mai abbandonato, non lo aveva lasciato solo. Ci si perdeva, a volte, guardando il mare di quel colore indescrivibile: era più verde o più azzurro? Parevano i suoi occhi, sembravano le profondità più recondite di quello sguardo che, per quasi dieci anni, aveva riflesso i propri occhi neri. Faceva male non averla più, faceva male sapere che, in fondo, non l’avrebbe mai più avuta; si illudeva spesso di sentire quella voce, capitava fin troppo di avvertire quel senso di vuoto che si ha solamente presa la consapevolezza della mancanza.
Perdersi ad osservare quel mare immenso, rimanendo appoggiato alla ringhiera metallica che impediva di cadere su quegli scogli che, anche se non erano appuntiti o a strapiombo, potevano fare male. Ma quale dolore in fondo poteva provare, ormai? Aveva amato Loren e, malgrado tutto, l’amava ancora.


Continua...

   
 
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