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Autore: Selene Silver    03/06/2013    2 recensioni
||demon!Stiles, pre-slash||
Non ci sono due Stiles, solo quello vero ed il suo riflesso nello specchio.
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Allison Argent, Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
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I'm already fighting me, so what's another one?

I get the feeling that it's two against one
I'm already fighting me so what's another one?
The mirror is a trigger and your mouths a gun
Lucky for me I'm not the only one

(Danger Mouse & Daniele Luppi (feat. Jack White) - Two Against One)
 


Non ci sono due Stiles, di questo è certo. Sì, ci sono momenti in cui fumo nero sembra appannare la sua visione, il mondo si fa confuso, i suoi movimenti troppo fluidi e allo stesso tempo troppo lenti, come il battito di un cuore morente. Ma tutte le decisioni sono ancora sue.

È ancora solo, nella sua testa. Per quanto confortante questo possa essere.


Sua madre inizia a morire il giorno del suo decimo compleanno, e muore pochi giorni dopo l’undicesimo. C’è una certa giustizia poetica, in come le date sono allineate.

Un segno dall’universo, forse.

In fondo, sua madre non era proprio il tipo da svegliarsi presto per preparargli il cestino del pranzo, o da baciargli le ginocchia sbucciate dopo averci messo dei cerotti. Era sempre stato suo padre a fare cose del genere.

Sua madre non era un tipo materno. Ogni tanto si sarebbe dimenticata di lui. E ogni tanto, negli ultimi stadi della malattia, avrebbe urlato contro Stiles e suo padre, dicendo loro ch’erano la cosa peggiore che le fosse mai capitata nella vita, e che era colpa loro, tuta colpa loro.

Se una parte di lui diceva che erano bugie - perché sua madre lo amava, lo amava, vero?, una parte molto più grande di lui sapeva che era la verità. È questo che fa il cancro al cervello, no? Disinibisce le funzioni cognitive, rimuovendo i filtri fra pensiero e parola. E, di conseguenza, tutto ciò che sua madre aveva detto doveva essere vero.

Stiles avrebbe dato di tutto per poter dimenticare quella verità. Iniziare a mentire compulsivamente anche sulle più piccole cose non sarebbe servito a cancellarla, ma era meglio di niente. Finché non aveva trovato il libro. Quello era un buon rimedio (come un segno dall’universo).

Per quello che gli riguarda, non crede che sua madre l’avrebbe biasimato per il metodo d’emergenza che ha usato per arrivare al quinto stadio del lutto. Non le sarebbe neanche importato, forse.


(C’erano stati momenti, però. Momenti in cui sua madre lo aveva amato, li aveva amati.

Come quando suo padre le lasciava il caffè sul comodino la mattina o le portava fiori per il loro anniversario; come quando l’Adderall faceva effetto e Stiles riusciva a calmarsi abbastanza per sedersi accanto a lei e leggere insieme, o farle una tazza verde a pois argentei troppo grossi, col manico storto, per la Festa della Mamma. Quando gliel’aveva data, lei aveva sorriso e l’aveva baciato sulla punta del naso - all’insù, come la sua.

Era solita a berci tè alla pesca, in quella tazza. Quando il cancro aveva raggiunto il cervello, impedendole di coordinare l’attività motoria di braccia e mani, paralizzandola, la tazza era caduta, rompendosi in mille pezzi e spargendo tè sul parquet davanti al fornello. È ancora gonfio; lo sente quando ci passa sopra a piedi nudi.

Stiles ricorda i frammenti verdi e argento sparsi per tutta la cucina, l’odore di pesca troppo forte e nauseante nell’aria, quand’erano rientrati dall’ospedale molte ore dopo e suo padre li aveva finalmente tirati su.

Stiles ricorda le brouchures sul cancro al cervello sparse per tutta la casa dopo la prima diagnosi parola per parola, e il modo in cui la Jeep non scoppiettava, quand’era lei a guidarla.

Eppure, ogni tanto, ha problemi a ricordare il sorriso di sua madre.)


La mancanza è una cosa strana.

All’inizio è insopportabile. Ogni giorno che passa sembra ti scavi un solco sempre più profondo dentro, portandosi via anche qualche organo vitale nel processo. Poi, col passare dei mesi, diventa come una coperta calda, un po’ troppo stretta, quasi soffocante, ma rassicurante.

La mancanza di una persona ci è ricordata dai suoi oggetti che ancora ci circondano, e dai ricordi della loro presenza in luoghi che siamo ancora costretti ad abitare.

La mancanza di sentimenti ci è ricordata da quanto poco voglia dire per noi il contatto umano, e quanto l’amore per una persona possa trasformarsi in qualcosa che va oltre ‘amare’ e diventa ‘proteggere’.

E una parte di te continua a dire non voglio vedere queste persone come giocattoli, sono importanti per me, ma è una discesa inarrestabile, che ti riempie la bocca di un sapore come veleno, e ben presto ‘proteggere’ diventa ‘possedere’.

E scusate tanto il gioco di parole.


Stiles non capisce che Scott è un lupo mannaro grazie alle meraviglie d’internet, o ad una fantasia troppo sviluppata, né grazie alle infinite maratone di film fantasy/horror che fanno da sottofondo ai suoi compiti fin dalle scuole medie.

No, lo capisce per esperienza personale.

Lo capisce, soprattutto, perché nell’esatto momento in cui vede Scott il primo giorno di scuola, i suoi occhi riescono a percepire un nonsoché scintillare tutt’attorno alla figura di quello che fino al giorno prima era stato il suo sincero, testardo, distratto, completamente umano migliore amico.

Se c’è una cosa per cui Stiles è grato, sono i suoi nuovi occhi, davvero.


Sia lui che suo padre hanno sempre sofferto d’insonnia, uno dei sottili modi in cui sono uguali, quando d’aspetto fisico sono l’opposto - Stiles ha preso tutto da sua madre.

Dopo la sua morte - non riescono neanche più a dire il suo nome ad alta voce - nel tentativo di stancarsi abbastanza da dormire la notte, e dimenticarsi del nuovo vuoto nelle loro vite, avevano iniziato a fare dei giri in auto nelle città vicine, o fino alla costa; la destinazione non era davvero importante, tanto che, a volte, non ce n’era una.

In una di queste loro gite, si erano femati in un mercatino delle pulci in una città vicina.

Su una bancarella, frugando fra romanzetty Harmony e guide sulla cura perfetta del giardino, mentre suo padre guardava un’esposizione di coltelli da caccia dall’altra parte della strada, Stiles aveva trovato il libro. Sottile, con la copertina di pelle e le pagine ingiallite, e le parole vergate, apparente a mano, con un inchiostro marrone e ruvido al tatto.

Non c’era titolo sulla copertina né sulla spina del libro, ma sulla prima pagina c’era scarabocchiata, quasi illegibile, la parola Dæmons.

Una parte di lui avrebbe voluto sbuffare, ma anche solo tenere quel tomo fra le mani gli dava una specie di brivido; gli chiudeva lo stomaco con un’anticipazione febbrile, non dissimile a quella con cui aveva pregato nessuno in particolare, di notte, sentendosi un mostro: ti prego, falla morire.

Aveva sgogliato il libro, cercando di essere il meno appariscente possibile - facile: era solo un ragazzetto pelle ed ossa con capelli rasati quasi a zero, e gli unici che avrebbero potuto tenerlo d’occhio, suo padre ed il proprietario della bancarella, erano rispettivamente impegnati a trattare sul prezzo di un coltello e a discutere con un cliente del modo migliore per allontanare parassiti dalle rose.

C’erano anche immagini; immagini di esseri umani dissezionati, diagrammi dell’energia passante per il corpo, normali occhi con pupille, iridi e sclere che si trasformavano in puro nero.

Deglutendo il groppo d’emozione che aveva in gola, aveva dato un’occhiata furtiva al proprietario della bancarella e, vedendolo ancora ancora distratto, e aveva fatto scivolare il libro nella tasca della sua felpa, nascosto dal giubbotto.

Ne aveva sentito il peso per tutto il viaggio di ritorno, ed il sollievo di non dover fingere di star bene durante cena, perché suo padre doveva uscire per un giro di pattuglia, era tanto grande che aveva dovuto trattenersi dal saltellare da un piede all’altro.

Se suo padre aveva notato la sua agitazione, doveva averla attribuita all’Adderall che finiva i suoi effetti.

Una volta uscito lo Sceriffo, Stiles aveva lasciato perdere gli avanzi di lasagne da scaldare nel microonde per andare a chiudersi in camera sua, spegnendo tutte le luci eccetto la lampada sul suo comodino, per poi iniziare a leggere.

Ogni tanto gli capita di pensare: non è tanto l’esistenza di lupi mannari e invocazioni demoniache che definisce il soprannaturale, quanto la presenza di un qualche insondabile destino. Non è un caso che abbia trovato quel libro, di questo è certo (come un segno dall’universo).


Non è come in Supernatural. Non è una qualche entità all’infuori di lui a prendere possesso del suo corpo, non è fumo nero, non è un mostro uscito dall’inferno. No, è come in quelle fiabe che parlano di come ci sia luce e tenebra dentro ciascun essere umano, che un giorno sceglierà quale strada prendere.

Di solito, è solo una scelta figurata basata su nient’altro che le nostre azioni. Ma nel caso di Stiles c’era stato un vero e proprio rituale, per il quale aveva dovuto aspettare il plenilunio, versare qualche goccia di sangue e mangiare un pezzo di carne cruda. Abbastanza disgustoso e demoniaco, in totale, aveva pensato Stiles, a malapena dodici anni.

Alla fine del rituale, il sapore del sangue ancora in bocca, Stiles non si era sentito molto diverso dal solito, tranne che per la sparizione del peso costante alla bocca del suo stomaco, apparso coi primi sintomi di sua madre. Senza, era vuoto. Pacifico. Leggero.

Una cosa Supernatural l’ha azzeccata, comunque. Quando si era guardato nello specchio del bagno, incontrando il solito viso troppo pallido, pieno di nei, col naso all’insù - come quello di sua madre - i suoi occhi erano diventati nero pece. Il che stravolgeva l’ordinarietà della sua faccia completamente, e non avrebbe potuto esserne più felice.

Aveva sorriso, e c’era voluto solo un secondo, un attimo di concentrazione, perché le sue iridi tornassero del solito marrone-dorato - come quelle di sua madre.


È ancora solo nella sua testa, di questo è certo, ma non è che gli manchi compagnia, e ogni tanto si chiede se sia vero che essere un demone renda impossibile morire, o impazzire.

Perché ci sono tutte queste cose che adesso sa, e non sa neanche da dove vengono; è come un sussurro che arriva da qualche parte dentro di lui, come uno spiffero freddo attraverso una porta socchiusa.

Vede Scott, e sa che è un lupo mannaro. Allo stesso modo in cui vede Derek Hale, e sa che è ciò che rimane di un lupo mannaro; come fatto di frammenti di metallo accuminati, che si graffiano a vicenda e stridono quando si muovono. Qualcosa nell’essere così spezzati, e insieme ancora capaci di muoversi, gli fa pensare alle parole ‘opera d’arte’. Il tipo che Alex e i suoi drughi avrebbero distrutto ridendo.


Non è come in Supernatural perché i suoi poteri non sono altrettanto appariscenti - di base, solo vedere al di là del materiale e forza e velocità leggermente più sviluppate di quelle di un normale adolescente, che quindi deve nascondere per la maggior parte del tempo.

La cosa migliore, però è la desensibilizzazione. La totale incapacità di sentire dolore fisico, o psicologico. Come essere leggeri, e vuoti.

Quando Derek squarcia la gola di suo zio con i suoi artigli, o il meccanico muore davanti ai suoi occhi per mano di Jackson-la-kanima, il pensiero che continua a risuonare nel suo cervello in entrambe le situazioni, calmo e distaccato, è be’, con mamma è stato peggio.

Allo stesso tempo, si rende conto di quanto lontano potrebbe andare per proteggere suo padre, proteggere Scott, proteggere Lydia - Stiles non la ama, ma qualcosa in lei pizzica tutte le sue corde, come uno shock di sensazione; ci sono momenti in cui pensa che Lydia sia come lui, non fosse che anche i suoi nuovi occhi gliela mostrano come completamente umana. E non è il potere dell’amore a farlo sentire così protettivo verso queste persone; è perché sono una sua proprietà, suoi, da proteggere, ma anche da far soffrire.

Alcune cose lascia che succedano, e altre le crea lui, con parole come proiettili, o bugie, o silenzi.

Ammanetta Scott ad un termosifone e riempie una ciotola per cani col suo nome  sopra d’acqua. Lascia che Jackson ferisca Lydia - solo quel tanto che basta per farle capire che Jackson è un idiota e che dovrebbe trovarsi una migliore compagnia, ecco. Suo padre lo guarda con un’espressione che dice cosa ti sta succedendo? Non ti riconosco più.

Non lo ferisce, che suo padre non si fidi più di lui. Non è che si sbagli. Solo che, quando magari è seduto nella Jeep, e dagli spazi fra i sedili si alza l’odore di sua madre, pesche e creta, e pensa a quegli sguardi, i suoi occhi s’inumidiscono senza che lui ci dia tanto peso.


Su un certo livello, Stiles può manipolare le persone - o almeno, l’idea che loro hanno di lui. L’unica con cui non ci è mai riuscito è Allison. Forse perché, in qualche modo, le loro anime, o quello che ne rimane, si somigliano troppo.

Un paio di settimane dopo l’apparente morte di Gerard, Stiles la incontra al supermercato. È abbastanza ridicolo, considerando tutti i sospiri e le paranoie che Scott gli ha rovesciato addosso, imbattersi in lei, da sola, nella sezione dei cibi da colazione. Stiles suppone di non essere nella posizione di giudicare il destino, comunque.

“Ottima scelta per allontanare la mente dalla corrente situazione, mh?” esordisce, indicando i cereali Count Chocula che Allison sta mettendo nel carrello.

Si aspetta quasi che gli dia un pugno in faccia, invece Allison sbuffa una risata. “Almeno non sei scappato appena mi hai visto.”

“Perché dovrei,” risponde lui, indifferente, cercando un muslei senza uvetta per placare le lamentele di suo padre.

“Uhm,” è la risposta. Si è tagliata i capelli, e deve aver fatto qualcosa come colpi di sole, perché sono molto più chiari dei riccioli corvini che sfoggiava all’inizio dell’anno. “Non hai paura che ti pugnali nella schiena?”

“Pfft. Nah. E, anche se dovessi provarci, sarei pronto.” Punta verso di lei indice e pollice a formare una pistola, ma qualcosa nel suo tono dev’essere più serio di quanto non avesse voluto, o Allison è solo diventata un po’ più percettiva, perché non sorride in risposta.

Si squadrano per un attimo senza dire nulla. Alla fine, Stiles decide di mollare il colpo. “Non ti biasimo, comunque.” Dice, mentre si accovaccia per prendere una scatola di muslei ai quattro cereali con pezzetti di banana e mela disidratati. Contento, pa’?

“No?” chiede Allison, voce incerta, guardandolo dall’alto.

Nope. Ci sono modi peggiori per superare un lutto, credimi.” Tipo decidere di trasformarsi in un demone. Tanto per dire.

“Grazie.” Sembra incredibilmente insicura, e grata, mentre lo dice, il che lo costringe a deglutire per ricacciare indietro un fiotto d’emozione - qualcosa a cui non sa dare un nome.

“Non ringraziare.” La voce gli esce più dura di quanto non vorrebbe. I suoi occhi sul punto di diventare neri, come per un meccanismo di difesa.


Forse l’insensibilità emotiva è solo qualcosa che si è convinto di avere perché la sua idea di demone non ha emozioni. Stiles non è mai stato bravo a soddisfare le aspettative di nessuno, tanto meno le proprie.

Sarebbe quasi divertente, non fosse così fottutamente irritante.


Sta correndo, di notte, nella foresta, con le mani sporche di sangue. Ha ucciso un Alpha, uno di quelli del branco della cui esistenza Derek non ha avvertito né lui né Scott.

Stiles è ad un punto in cui la sua rabbia è fredda e incapace di venire espressa a parole; aveva fatto a malapena in tempo a trafiggere il cuore dell’Alpha con un coltello imbevuto di aconito per impedirgli di decapitare Scott. Poi altri Alphas erano arrivati e avevano dovuto separarsi, correndo ognuno in direzioni diverse.

È esattamente il tipo di situazione del cazzo che si potrebbe evitare facilmente, se qualcuno insegnasse a quel coglione di Derek Hale a comunicare a parole invece che con inarcamenti di sopracciglia.

Mentre si pulisce le mani sui suoi jeans, una figura scura con occhi rossi esce dagli alberi, ma agli occhi di Stiles è chiaro come il giorno chi è. Si parla del diavolo… pensa, e nonostante la rabbia riesce a sbuffare una risata.

“Tu, brutto-” inizia a dire; ma poi un rumore che anche orecchie umane potrebbero udire echeggia per la foresta: l’ansimare di una grossa bestia che corre a quattro zampe.

Derek non lo lascia parlare; lo afferra per il polso ancora sporco di sangue e inizia a tirarlo e spingerlo in una direzione che Stiles non conosce. Arrivano davanti ad un albero così grande che due uomini non potrebbero abbracciarlo, e Derek lo spinge per terra e dentro una fessura fra le radici, a malapena grande per passarci.

“Molto Pippi Calzelunghe.”

Derek non lo sta ascoltando; sono premuti insieme, Stiles con un ginocchio fra le gambe di Derek, tirate su contro il suo petto. C’è uno sfregio sulla sua spalla che continua a sanguinare.

“Perché non stai guarendo?”

Questo attira la sua attenzione, e dallo sguardo sorpreso di Derek capisce che, teoricamente, non avrebbe dovuto essere in grado di vedere in questo buio. Troppo tardi, ora.

“Aconito.”

Stiles sbuffa e muove le mani che prima erano ai suoi fianchi sulle spalle di Derek, senza gentilezza. Quando tocca la ferita, il lupo sibila, ma lui non ci fa caso. “Questa è tutta colpa tua, lo sai? Se ti decidessi a parlare con me e Scott-”

“Stiles, c’è un branco di Alpha in circolazione che vuole reclutarmi per diventare uno di loro,” Derek lo interrompe, voce piatta, occhi socchiusi probabilmente per il dolore, come due lunette cambiacolore - grigio viola azzurro nocciola verde - nella luce che esiste in realtà solo nel campo visivo di Stiles.

“Vai a farti fottere.” C’è altro sangue sulle sue mani, adesso: spera che Derek capisca che non è una cosa da niente.

D’improvviso, come un calcio nello stomaco, il blocco di emozioni di cui pensava di essersi liberato diventando un demone compare di nuovo sotto il suo sterno. È già successo, ma solo con Derek. La mezza giornata che hanno passato insieme mentre Derek aveva il proiettile di Kate Argent conficcato nel braccio, la volta alla stazione di polizia, paralizzati dal veleno della kanima.

In entrambe le occasioni, Derek aveva sofferto in silenzio, stoico, e una parte di Stiles, la voce dispettosa come uno spiffero freddo, aveva passato tutto il tempo a domandarsi cosa, finalmente, avrebbe spinto Derek dall’altra parte del confine sottile fra rabbia impotente e follia su cui stava camminando.

In fondo, ragionava la vocina, c’è solo un tot di dolore che puoi dirti di meritare, prima di crollare per il dolore ed impazzire.

Stiles pensa che, se si fossero incontrati quand’era ancora umano, magari subito dopo l’incendio, il suo cuore si sarebbe spezzato di fronte a tutto il dolore di Derek, e magari avrebbe cercato di farlo stare meglio.

Ma ora, coi suoi nuovi occhi, Derek non è altro che un cane bastonato troppe volte. Una parte di lui si sente beffata da quanto umano Derek sia rimasto nonostante ciò che ha passato. Magari, grazie a questo suo talento nel non diventare un vero e proprio mostro, un giorno sarebbe tornato ad essere felice; magari avrebbe trovato una lupa mannara con cui sposarsi e avere tanti lupacchiotti in una casa con una staccionata bianca sui confini di una foresta. La sola idea lo nausea.

Si chiede quale sarà l’ultima goccia che farà traboccare il vaso, quanto a lungo Derek potrebbe resistere sotto pressione prima di spezzarsi. Quanto a lungo potrebbe resistere ad una sua tortura.

L’odore di Derek, mescolato a quello del sangue, sa di paura e impotenza, come un retrogusto pesante e acre nella sua gola.

Probabilmente, Derek non avrebbe problemi a morire qui e ora. Probabilmente sta cercando un modo di morire dall’incendio, o anche solo dall’omicidio della sua sorella: e invece la Morte si ostina a ridere alle sue spalle e allontanandosi ancora una volta - ma non troppo, giusto per scena - dicendo beffarda: “Non ora, Der, c’è ancora qualcosa che ami che non hai perso.”

Come una tortura: Stiles non la biasima, ma pensa che i suoi, di tormenti, sarebbero pià piacevoli per sia lui che Derek, se non altro.

Se Derek riuscisse ad essere di nuovo felice - se Stiles glielo lasciasse fare, ma non è qualcosa che vuole, non se include una lupa e dei cuccioli, non se non include quel dolore che sta proprio sul filo del rasoio, fra piacere e strazio - riuscirebbe a provare di nuovo emozioni sane, non avvelenate da senso di colpa e miseria?

La sensazione di costrazione nel suo stomaco diventa più pesante; le iridi di Derek sono quasi argentee - non rosse - nella luce che esiste solo nei suoi occhi, e Stiles pensa: se sopravvivi stanotte, prenderò il posto della Morte, per te.

Se non altro, perché è qualcosa che Derek vuole disperatamente.


Non ci sono due Stiles, solo quello vero ed il suo riflesso nello specchio. Ogni tanto, i loro occhi sono marrone-dorati, e ogni tanto completamente neri. Ogni tanto, le loro mani sono sporche di sangue, e ogni tanto bianche e pulite; ma le loro bocche sono sempre come pistole, parole come proiettili.

Le due nature non si bilanciano a vicenda: sono più come trapezzisti che si scambiano trapezio, in acrobazie che potrebbero essere fatali. Stiles non è preoccupato, ad ogni modo. L’importante è calcolare il momento giusto per saltare.




Count Chocola
Alex e i suoi drughi sono una citazione di Arancia Meccanica.

a) SEASON 3 TONIGHT
b) un tempo questa cosa aveva un finale ma faceva schifo. come la cosa che ho postato comunque.
  
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