Il
viaggio più
corto
Di
solito quando la gente parte in cerca di se stesso ci
mette molto tempo a tornare.
Sono necessari lunghi viaggi e peripezie varie prima di poter trovare
un senso
alle proprie domande.
Ecco, diciamo pure che quello non è stato il mio caso.
Il mio
nome è Ichigo, frequento il liceo e credo di non essere una
persona qualsiasi; almeno non caratterialmente parlando. A me sono
bastati
pochi minuti -sotto la pioggia, per inciso- per capire cosa volessi
realmente,
prendere una decisione e andare a suonarle di santa ragione al tipo che
mi
aveva scombussolato la vita.
Ci vuole carattere, senza dubbio, e forse a voi può sembrare
strano, ma io vi
ho avvisati: non sono una ragazza qualunque. E questa è la
mia storia.
Avevo
appena iniziato il secondo anno delle superiori quando
incontrai per la prima volta uno spilungone odioso di nome Raito. Non
era uno
dei tipi più simpatici su cui avrei messo la mano sul fuoco,
ma in fin dei
conti non mi trovavo male in sua compagnia. All’occorrenza
poteva anche
diventare gentile e non poche volte mi aveva salvato dal morire
linciata a
causa del mio temperamento per nulla calmo.
Era il
tipico alunno per cui tutte le ragazze svenivano e,
purtroppo, anch'io non potei fare a meno di innamorarmi di lui.
Ovviamente contro la mia volontà. Avevo lottato con tutta me
stessa per evitare
questa situazione, eppure non ero riuscita a resistergli.
Poteva
sembrare la solita situazione che tutti descrivono come
l’amore impossibile e unilaterale tra due ragazzi totalmente
opposti tra loro,
ma, a quanto pare, il destino aveva qualcos’altro in mente.
Non so come, ma ci
ritrovammo a uscire insieme poco dopo esserci conosciuti.
Non
sembrava che lui desse particolare peso al tempo che
trascorreva insieme a me, probabilmente mi considerava
un’amica in più, ma
ricordo ancora che i momenti vissuti con quel fantastico quanto
insopportabile
ragazzo, nonostante fossimo solo amici, furono bellissimi ed
indimenticabili.
Cercavo di custodirli nella mia mente il più profondamente
possibile, per avere
qualcosa a cui aggrapparmi il giorno in cui lo avessi perso.
Non mi
ero accorta che anche lui aveva iniziato a guardarmi con
occhi diversi finché, un maledettissimo giorno di pioggia in
cui avevo
dimenticato l’ombrello, mi propose di diventare la sua
ragazza. In un modo per
niente romantico, dal momento che eravamo entrambi bagnati fradici e
stavamo
correndo sull’asfalto zuppo. Quel gran cretino se lo
lasciò lo stesso sfuggire
con completa nonchalance, come se stessimo parlando dei nuvoloni grigi
che
aleggiavano sopra le nostre teste.
E mentre
mi poneva la fatidica domanda con noia totale si era
fermato di botto, totalmente incurante della possibile, quanto
probabile,
pneumonia che avremmo potuto beccarci. Gli rifilai
un’occhiataccia, ma nel
frattempo lui stava già avvicinando il suo viso al mio. Era
così vicino che
potevo sentire le sue umide e morbide ciocche dorate solleticarmi le
guance.
Gli occhi gli lucevano di un blu profondo e sembravano voler scavare
nel
profondo di me stessa.
Non
c’è bisogno di dire che la mia reazione fu un
misto di shock,
sorpresa e mutismo totale. Insomma, era l’occasione della mia
vita: finalmente
la persona che mi piaceva mi si era dichiarata! Ma, come al solito, non
potevo
semplicemente dire di sì e baciarlo appassionatamente sotto
la luce di mille
stelle, no. Dovevano intervenire migliaia di dubbi filosofici a
chiedermi se
fossi pronta o no per stare con un Brad Pitt agli inizi della sua
carriera.
Decisi
che avevo bisogno di pensarci e così lo scostai neanche
troppo delicatamente con una mano, abbassando la testa per nascondere
le mie
gote rosse. Gli chiesi timidamente di concedermi un po’ di
tempo e m’incamminai
verso casa mia. Che imbranata! Avevo appena mandato all’aria
un’opportunità
d’oro!
In preda all’imbarazzo e allo sconforto più
totali, potei sentire il mio cuore
frantumarsi in mille pezzi. Mi chiesi tristemente se una simile
opportunità mi
sarebbe mai ricapitata.
Ormai
era inutile rimuginare, ma decisi comunque che gli avrei
dato una risposta al più presto possibile, dopo averci
riflettuto un po’ su,
anche se magari a lui non sarebbe più importato.
Comunque mai avrei immaginato che il mio futuro fidanzato fosse uno
stalker!
Infatti mi seguì fin dentro il mio appartamento e, comodo e
tranquillo come se
fosse a casa sua, mi disse che avrebbe aspettato tutto il tempo
necessario lì,
in quella casa, in quella stanza, seduto sul mio letto.
Sì,
proprio sul mio letto. E, colmo dei colmi, dopo avermi fissato
un attimo decise che non ero abbastanza interessante e si
sdraiò sui miei
cuscini, accendendo la tv.
Ero sicura che il mio viso intanto fosse diventato paonazzo
dall’indignazione e
dalla mia bocca uscì un ringhio sommesso, ma poco
rassicurante. L’idiota non si
scompose minimamente.
Mi sentii come se fossi invisibile e in preda a un attacco di collera
gli
gettai contro il mio zaino e gli urlai che avevo bisogno di pensarci,
era vero,
ma da sola se fosse stato possibile.
Di nuovo lui non si mosse di un millimetro, neanche fosse stato di
pietra.
E fu così che, con le orecchie che fumavano dalla rabbia, me
ne andai sbattendo
la porta, conscia del fatto che mi stavo auto-cacciando dal mio
appartamento
invece di far valere la mia autorità. Ma guarda te! Era casa
mia e adesso
dovevo pure andarmene solo perché un ragazzo impazzito aveva
deciso di
trasferircisi.
Camminai
per un bel pezzo, assorta nei miei pensieri, bagnata
dalla pioggia torrenziale, e ragionai sulle cose più
assurde, cercando di
trovare una risposta ad ognuna di esse.
I pesci hanno sete? Se un operatore del 118 si sente male, chi chiama?
Come mai
Tarzan non aveva la barba? Ma soprattutto- e la domanda ci stava tutta,
vista
la situazione in cui si trovava- perché tutti i vestiti che
si bagnano
diventano più scuri se l’acqua è
comunque trasparente?
Ci pensai talmente tanto che alla fine il mio cervello
sembrò averne abbastanza
e andò in tilt. E fu proprio in quel momento che nella mia
testa scattò una
lampadina, il colpo di luce, la rivelazione all’unico quesito
che non mi ero
posta e su cui non avevo ragionato affatto: se Raito voleva stare con
me e io
volevo stare con lui, allora che problema c’era? Anche se
quello non era Amore,
quello con la A maiuscola, tanto valeva provarci, no? Era assurdo stare
lì a
pensarci così tanto quando in realtà quella non
si poteva neanche considerare
una domanda.
E se davvero non avesse funzionato, niente avrebbe potuto toglierci i
grandiosi
ricordi dei momenti di noi due insieme. Essi sarebbero stati indelebili
nella
mia memoria come una delle migliori storie d'amore del mondo e
sicuramente
provare in questa impresa era meglio che buttare all'aria la nostra
amicizia,
il nostro possibile futuro insieme e, in generale, noi due.
Feci
marcia indietro in tempo record e ripercorsi tutto il cammino
da cui ero venuta al contrario, eventualmente scivolando e cadendo
sulle
pozzanghere. Per la prima volta da quando avevo conosciuto
quell’insopportabile
svampito mi sentivo piena, di una felicità che non conosceva
limiti. Avevo
voglia di buttarmi tra le sue braccia e di dirgli quanto lo amassi, ma
quando
osai varcare la soglia della mia camera non potei fare altro che
restare a
guardarlo con occhi quasi adoranti.
Lui si
accorse della mia presenza quasi un minuto più tardi.
<< Ti
sono mancato mentre cercavi te stessa là
fuori? >> sogghignò,
sfoderando il suo sorriso più sghembo e
seduttore.
Al che
non resistetti e mi buttai su di lui, ansiosa di assaggiare
le sue labbra. Ci separammo solo quando la necessità di
respirare ormai si era
fatta insopportabile.
Rimanemmo
a guardarci, talmente vicini che i nostri respiri si
fondevano, e tra ansimi lui mi sorrise di nuovo. Quell’ultimo
gesto pose fine a
tutto il mio discutibile autocontrollo e lo abbracciai di scatto,
nascondendo
la testa nell’incavo della sua spalla e inalando il suo odore
a muschio, virile
e fresco allo stesso tempo.
Lui
contraccambiò l’abbraccio e restammo in quella
posizione per
un tempo che parve infinito, consapevoli solo del fatto che eravamo
insieme ed
era l’unica cosa che importava.