Fanfic su artisti musicali > Oasis
Segui la storia  |       
Autore: Nagem    04/06/2013    3 recensioni
Rockfield Studios, Maggio 1995.
E se dopo il famoso litigio tra i due fratelli durante la lavorazione di "(What's the story) Morning Glory?" Liam - e non Noel per una volta - avesse deciso di mollare tutto? Che ne sarebbe stato di lui? E di Noel? Gli Oasis avrebbero avuto lo stesso successo?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Liam Gallagher, Noel Gallagher
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 17

Dalmeny, 30 Aprile 2000

Mood’s era l’unica tavola calda di Dalmeny. Che fosse per la colazione, per il pranzo o per la cena, o anche solo per gustarsi uno dei famosi frappè del signor Lambert, tutta Dalmeny passava di lì almeno una volta a settimana. Per questo dopo pochissimi giorni che Liam lavorava lì, anni prima, erano giunte strane voci al padre di Sophie. Da uomo schietto e diretto qual era, aveva affrontato subito la questione: “Mi hanno detto che ti droghi, che sei una specie di alcolizzato e che quello che è successo al cantiere non è stato un vero e proprio incidente. Che c’è di vero?”. Preso in contropiede, Liam aveva vagliato la possibilità di negare tutto ma era riuscito a cogliere per tempo un qualcosa in quello sguardo così somigliante a quello di Sophie, che vietava bugie e sotterfugi. Aveva perciò risposto che sì, nei mesi precedenti aveva bevuto come una spugna, aveva preso ogni tipo di sostanza stupefacente gli fosse passata davanti e che quel giorno al cantiere aveva combinato un casino. Aveva anche aggiunto che erano abitudini che aveva già avuto in passato e, nonostante la giovane età, per svariati anni. “Ti stai facendo ancora?” gli aveva chiesto il signor Lambert, al quale già allora non era sfuggita l’assidua frequentazione che aveva con la figlia. “No, non mi faccio dalla notte prima dell’incidente e bevo solo un paio di birre quando esco la sera. Nient’altro. Glielo giuro”. “Sophie lo sa?”, “Sì”, “Si fida?”, “Sì”. Lo aveva fissato per un attimo che a Liam era parso eterno, con le sopracciglia aggrottate e le braccia conserte. “Allora mi fido anch’io. Per me il discorso è chiuso”. E da quel momento in poi non ne avevano più parlato.

Liam finì si sistemare i bicchieri asciutti. Se qualche anno prima qualcuno gli avesse detto che un giorno avrebbe perso del tempo a impilare uno sull’altro degli stupidi bicchieri, gli avrebbe riso in faccia dandogli dell’idiota. Dopo aver riordinato la sala dall’invasione mattutina, se ne era andato nel retro lasciando il suocero alle prese con la preparazione di panini e pietanze varie per il pranzo.

Quasi tutti gli eventi successivi della vita di Liam si misero in moto quel 30 di Aprile, nonostante la giornata fosse iniziata come sempre: stessi orari, stessi ritmi, stesse persone … E niente gli avesse fatto presagire cosa sarebbe successo di lì a poco.

Superstrada Yellowhead Highway SK/16 V

“Bel concerto quello di ieri sera. Niente di eccezionale ma bello. Andy e Gem sono cento volte meglio di Guigsy e Bonehead … ma Cristo Santo, non li potevo mandare a ‘fanculo prima quei due? Avrei dovuto segarli quando Liam se n’è andato. Una band tutta nuova … cazzo, perché non ci ho pensato allora?” pensava Noel sbadigliando.
Si mosse un po’ sul sedile per cercare una posizione più comoda, poi chiuse gli occhi e appoggiò la testa. Dio, quanto era stanco. Era riuscito solo a schiacciare un pisolino sull’aereo, due misere, fottutissime ore. E ci era riuscito solo perché era praticamente svenuto, dopo quasi 24 ore passate sveglio. L’ansia e il nervosismo per quello che stava per succedere non contribuivano certo a farlo rilassare.

Ogni singola volta che in tutti quegli anni era stato in Canada per qualche concerto, era arrivato sfinito alla fine delle date previste. Senza la minima idea di dove fosse Saskatoon, e non avendo nessuna intenzione di mettersi a cercarla su un fottuto atlante o semplicemente chiederlo a qualcuno, anche a Toronto o a Vancover i suoi sensi erano sempre tesi al massimo. Anche non volendo si ritrovava a vagare con lo sguardo tra la folla in cerca di quel viso dai tratti familiari o a tentare di captare quella voce sentita miliardi di volte tra il vociare confuso delle strade. La sera precedente spinto da un impulso che non avrebbe saputo definire,  si era rivolto alla tour manager chiedendole di prenotargli il primo volo disponibile per Saskatoon. Maggie l’aveva guardato come se le avesse parlato in giapponese: “Noel, dopodomani sera devi essere a New York”, “E allora prenotami anche il volo Saskatoon – New York” le aveva risposto uscendo in fretta dall’hotel. Per tutto il tragitto albergo-aeroporto, poi per tutto il volo e adesso su quel taxi che dall’aeroporto di Saskatoon lo stava portando a Dalmeny, non aveva pensato alla decisione che aveva preso e voleva continuare a farlo. Voleva continuare a non pensarci. Perché se si fosse messo a pensarci sul serio, avrebbe detto all’autista di tornare indietro.

In una specie di sonnolento dormiveglia pensava o forse sognava una bambolina di porcellana. Morbida e calda però. E bionda. Anais. Sua figlia. Quando Meg gli aveva dato la notizia della gravidanza, un anno prima, si era sentito congelare. La loro storia era finita, lo sapeva da un pezzo, e infatti, dopo un’iniziale ripresa dovuta a una certa tenerezza che il pancione di sua moglie gli ispirava (“Quando aspettano un bambino le donne sono sempre così carine”, aveva detto in un’intervista), si era sbriciolata definitivamente. Non c’erano state tragedie da Guerra dei Roses, lei si era impuntata su un bel po’ di cose ma lui aveva lasciato correre, gli bastava allontanarsi il più presto possibile. Non aveva calcolato però quanto gli sarebbe mancata sua figlia. Era ovviamente ancora troppo presto per avere un rapporto vero e proprio, ma quando la prendeva in braccio, quando la addormentava, quando lei lo cercava con lo sguardo muovendo le manine e sorridendo quando lo vedeva lui … beh, lui si scioglieva. E tutto il suo distacco, tutta la sua freddezza venivano meno. E si sentiva incredibilmente, stupidamente, immensamente felice. Mi ha fatto proprio rincoglionire pensava, sorridendo con gli occhi chiusi, la testa abbandonata sul sedile.

Dalmeny

Il taxi era ripartito e Noel, in piedi sul marciapiede, continuò a fissarlo fino a quando fu solo un puntino lontano, come se, rimanendo immobile, potesse tenere ben distante il momento che aspettava e temeva allo stesso tempo. Alla fine si costrinse a guardarsi intorno in cerca di un’insegna ben precisa.

La via è questa, non dovrebbe essere troppo lontano,si disse incamminandosi. In giro non c’era quasi nessuno, solo qualche persona che si voltava a guardarlo, ordinaria amministrazione per lui, anche se, considerando le dimensioni di quella cittadina, gli rimaneva il dubbio che quello che pensavano guardandolo non fosse: “Ehi, c’è Noel Gallagher degli Oasis!” ma: “E questo chi è?”. Il cielo plumbeo, l’aria fredda, l’enorme viale fiancheggiato da prati e casette dipinte di bianco o con colori pastello, qualche costruzione di mattoni … tutto gli suggeriva una forte impressione di solitudine che però cozzava con l’allegra serenità che traspariva dalle lettere del fratello. Probabilmente la fonte di illuminazione e piacere risiede tutta in lui – riflettè Noel – una volta che gli levi paranoie e stronzate varie, Liam è una persona sostanzialmente gioiosa, aperta, ricettiva. E’ tutto fuoco e fiamme ma poi quando si calma gli passa tutto. Non si fa mangiare vivo dal rancore.  Non è come me.

“Mood’s” recitava l’insegna dipinta di rosso con la scritta bianca. Il cuore cominciò ad aumentare la velocità con cui batteva. Eccolo. Andò verso la porta con i vetri coperti da tendine colorate. Mise la mano sulla maniglia di ottone lucido, si prese un secondo per respirare e poi esercitò una pressione verso il basso. Era talmente agitato che bastò lo scampanellio che accompagnava lo spalancarsi della porta per farlo trasalire. Il locale era grande e curato, colorato sui toni del rosso e dell’azzurro. I tavolini di legno chiaro erano vuoti, l’unica presenza sembrava essere quella del robusto signore con i capelli grigi che si dava da fare dietro al bancone. Si guardò intorno con il cuore in gola, aspettandosi di vedere Liam da un momento all’altro. “Hai bisogno di qualcosa?”. Noel si voltò di scatto e si trovò di fronte il signore con i capelli grigi. Aveva la gola secca e ci mise un secondo di troppo ad articolare qualche suono di senso compiuto. Il signore gli chiese se volesse sedersi. Noel annuì e si sedette sulla prima sedia che trovò. Sto facendo la figura dell’idiota.

La voce baritonale del signor Lambert chiamò: “Liam, c’è gente al tavolo 3!” e poi si rimise a lavoro dietro al bancone senza perdere di vista un secondo il ragazzo che era appena entrato. Era sicuro di averlo già visto da qualche parte, aveva un non so che di familiare.

Di fronte al posto in cui Noel si era seduto, dall’altra parte della sala, c’era una porta che doveva dare sul retro. Noel fissò lo sguardo su quella porta. Il cuore continuava a martellargli nel petto e anche il respiro accelerò. Oh Cristo, non mi starà venendo un altro attacco di panico? Sono passati mesi dall’ultimo, non può venirmi proprio ora. La porta si aprì.

Liam. Liam che camminava verso di lui senza guardarlo mentre scarabocchiava su un taccuino. Liam che si voltava verso il signore con i capelli grigi dicendogli: ”Possibile che mi lasci sempre le penne che non scrivono?” . Liam che girava dietro al bancone evidentemente alla ricerca di una penna. Liam che ritornava sui propri passi provando la penna sul taccuino. Liam che era sempre Liam, solo più adulto e più … meno … boh, c’era qualcosa di diverso. L’impressione che ne ebbe Noel in quei primi secondi di osservazione  fu estremamente positiva. Ricordava un ragazzino travolgente e divertente, ma anche nervoso, petulante e irritante, perennemente ubriaco e pronto a fare a botte. Ricordava un ragazzino antipatico e arrogante che sembrava sempre in guerra con il mondo, sempre sul punto di infuriarsi. E si ritrovava davanti un giovane uomo dall’aspetto sano, rilassato, tranquillo. Non raccontava cazzate nelle lettere. E’ felice sul serio. Noel ebbe il dubbio di averla fatta lui la cazzata. E se adesso gli rovinassi tutto? Chi mi dà il diritto di venire qui e imporgli la mia presenza?  Dovevo farmi i cazzi miei, ma che cavolo mi è venuto in mente? Non è venuta mamma e sono venuto io? Ma che cazzo di idiota sono. Adesso mi alzo e me ne vado prima che mi veda, se continua a giocare con quell’accidenti di penna e io faccio abbastanza in fretta ci riesco. Ma Noel avrebbe dovuto essere Flash per riuscire nell’impresa visto che ormai Liam era a un passo dal suo tavolo. “Vuoi ordinare?” gli chiese gentilmente alzando finalmente lo sguardo. Noel non seppe cosa rispondere mentre guardava gli occhi del fratello dilatarsi per lo stupore. Liam impallidì e a Noel sembrò di rivederlo durante quella maledetta litigata da cui tutto era iniziato. Anche allora era impallidito prima di esplodere. Ecco fatto. Ricominciamo da dove ci siamo lasciati pensò stancamente. E invece no. Riabbassando in fretta lo sguardo e stringendo la penna con un po’ troppa forza, Liam gli chiese di nuovo se volesse ordinare.

Ora. Per quante volte si era immaginato la scena, aveva previsto sostanzialmente sempre due reazioni da parte di Liam: nella prima s’incazzava e gli sparava un pugno dritto sul naso e nella seconda gli saltava al collo abbracciandolo come un naufrago che si aggrappa alla zattera. Mai, mai, mai, si sarebbe immaginato quella specie di sofferta indifferenza. Preso alla sprovvista, gli rispose che una birra sarebbe andata più che bene. “Non vuoi niente da mangiare?”, “No”.

Liam tornò dietro al bancone, aprì il frigorifero e prese una bottiglia. “Tutto bene?” gli chiese il signor Lambert che aveva osservato in silenzio la scena. “Sì”. “Perché ho l’impressione di conoscerlo?”, “Perché te l’ho fatto vedere in televisione”. Al padre di Sophie si accese finalmente una lampadina: “E’ tuo fratello? Quello famoso?”. Liam armeggiava con l’apribottiglie, ci mise più del dovuto perché le mani gli tremavano e non rispose. “Come mai è qui?”. “Non lo so” disse in fretta. Tornò da Noel, posò sul tavolo la birra aperta insieme a un bicchiere che aveva preso al volo, tirò fuori dalla tasca un mazzo di chiavi e poggiandolo rumorosamente vicino alla birra, gli disse bruscamente: “Quando esci gira a destra, poi all’angolo gira di nuovo a destra. La mia casa è quella bianca con il tetto grigio scuro e tre gradini davanti l’entrata. Aspettami lì”. Senza aspettare la risposta, quasi corse di nuovo nel retro. Il cambio di umore di Liam lo rese in un certo senso più familiare agli occhi di Noel e per qualche strano motivo, la cosa lo calmò. Finì con calma la birra, pagò il conto e si avviò seguendo le indicazioni che gli aveva dato il fratello.

Aspettandosi il monolocale di cui aveva parlato tre anni prima il signor Richardson, Noel rimase piuttosto stupito quando si trovò davanti quella che Liam aveva definito “la mia casa”. E lo fu anche di più una volta entrato. Non sapeva esattamente cosa aspettarsi ma di sicuro non quello che trovò. Non lo colpirono tanto l’arredamento o la composizione della casa, entrambi piuttosto semplici e ordinari, quanto una sensazione di calore, di intimità, di benessere da cui fu investito appena aprì la porta d’ingresso. Era tutto l’insieme a procurargli quella sensazione. Il lieve sentore di lavanda, le tende leggere che riparavano dalla strada ma che lasciavano filtrare la luce, le piantine sui davanzali, i cuscini colorati sul divano, le candele su una mensola … tutto gli parlava di una casa viva e curata con amore. Girava per le stanze, osservava foto, apriva porte e sportelli senza sentire il minimo senso di colpa per quella specie di ispezione, gli sembrava invece qualcosa di ovvio data l’affascinata curiosità che provava per quello che vedeva. Questa deve essere la sua ragazza - pensò Noel guardando la brunetta che gli faceva la linguaccia da un’istantanea attaccata sul frigo con una calamita - Ha cambiato genere. Carina però. Gli venne da ridere quando si accorse che in ogni stanza c’era almeno un angolo con quel tipo di disordine e caos totale che in cuor suo definiva “tipico di Liam” e che aveva riconosciuto subito per averci suo malgrado convissuto per anni.

Alla fine di quella specie di tour nella vita di suo fratello, si sedette sul divano del soggiorno, un po’ incerto su come far passare il tempo in attesa di Liam. Continuò a guardarsi intorno. Un maglione appallottolato e infilato per metà sotto un cuscino. Un paio di orecchini abbandonati su un testo di anatomia (anatomia?) che, se veri, erano di diamanti e rubini(e che a Noel sembrarono decisamente fuori luogo, troppo lussuosi in quel contesto). Alzatosi a guardare più da vicino gli orecchini si accorse che nell’angolo formato dal divano e dalla poltrona vicina, mezza nascosta dalla tenda della finestra stava una chitarra e lì accanto, buttato per terra, un quadernino sgualcito, pieno di orecchie e cancellature. Faticò non poco a credere ai propri occhi quando vide di cosa erano riempite quelle pagine. Accordi e testi. Quelle erano canzoni. Alcune lasciate a metà, alcune terminate, di altre esistevano ancora solo pochi accordi. Da quando in qua Liam componeva? Chi glielo aveva insegnato? Beh, a te chi l’ha insegnato? Imbracciò la chitarra e, quaderno davanti, cominciò a suonarne qualcuna. Erano melodie molto semplici, in alcuni casi elementari, ma interessanti. Molto interessanti. Come sempre quando aveva a che fare con la musica, perse la cognizione del tempo.

Non si accorse della figura che lo fissava rabbiosa ed ebbe un sussulto quando ne sentì la voce. “Che cazzo stai facendo?”, “Oh merda, Liam! Mi hai fatto prendere un colpo!”, “Non credo di dover suonare al campanello di casa mia - gli rispose Liam avanzando velocemente verso di lui e strappandogli di mano la chitarra – e comunque, di nuovo, che cazzo stai facendo?”, “Ho trovato questo – Noel alzò il quaderno – e … sai, alcune non sono per niente male. Ci si deve lavorare un po’ su, certo, e le altre francamente fanno cagare ma ce n’è una che con l’arrangiamento giusto può diventare un fottuto gioiellino. Aspetta, come si chiamava ...” Noel sfogliava il quaderno senza accorgersi dello sguardo del fratello che diventava sempre più scuro. “Oh eccola, parlo di questa, Songbird”.“Spunti dal nulla dopo cinque anni e la prima cosa che mi dici è che scrivo merdate? Ma qualcuno ti ha chiesto un parere? E come cazzo ti è venuto in mente di mettere il naso fra le mie cose?”. A differenza di anni prima, Liam non urlava, ma aveva un tono di voce talmente gelido che se Noel non lo avesse avuto davanti avrebbe giurato che non poteva trattarsi del fratello. “Ma non ho detto che scrivi merdate, io …“, “No, no, certo, per carità … quello cattivo sono io, tu sei quello buono e saggio”, commentò sarcastico Liam, sedendosi sulla poltrona vicino al divano. Si sporse verso il fratello appoggiando gli avambracci sulle ginocchia e intrecciando fra loro le dita: “Hai detto che volevi parlarmi. Avanti, sono tutto orecchi”. Gli fece il sorriso più finto che riuscì a mettere su.

Noel si sentì enormemente a disagio. Come spiegargli qualcosa che non era chiara neanche a lui? Il dubbio di aver fatto una cazzata diventò una certezza. Aveva sbagliato ad andare lì. Ma che cazzo si era aspettato? Se non si faceva vedere da cinque anni doveva pur esserci un motivo no? E quel motivo era lui. Più semplice di così. Liam non aveva nessuna voglia di rivederlo né aveva bisogno di essere salvato. Si era salvato da solo. Stava bene dove stava, stava bene in una vita in cui non c’era posto per lui, era solo lui a farsi tutte quelle seghe mentali, Liam non ci pensava proprio. E magari non gliene poteva fregare di meno della sua vecchia vita. E tutto sommato poteva dargli torto? Le cose alla fine gli erano andate bene. Aveva un lavoro, aveva una casa, era amato da una ragazza che “avrebbe potuto fargli tutto il male del mondo”, era felice e si vedeva. Almeno era stato felice fino all’attimo prima di vedere lui. Strusciò più volte le mani sui jeans scoloriti – e che probabilmente costavano metà dello stipendio mensile di Liam - prima di alzarsi e buttare lì a mezza voce: “Senti, facciamo finta che non sia successo niente, me ne vado, ok?”. Si diresse verso la porta lasciandoselo alle spalle.

Liam non si era mosso di un centimetro, né aveva cambiato espressione, ma gli disse, sempre con quel tono freddo che non gli aveva mai sentito: ”Prova ad uscire da quella fottuta porta e giuro che ti rompo la faccia”. Noel si voltò sorpreso e Liam continuò: ”E meno male che lo stronzo ero io. Tu che cosa sei? Arrivi, dici che devi parlarmi, non dici un cazzo tranne che per spalare merda su cose che non ti riguardano, decidi che ne hai avuto abbastanza e te ne vai. Sei anche peggio del fottuto dittatore che ricordavo, perchè almeno prima qualche diritto di dirmi cosa fare ce l’avevi, adesso neanche sai più chi sono”. Noel si sentì punto sul vivo e ribattè: ”Non è certo colpa mia se non ti conosco più. Non sono mica io quello che è scomparso da un giorno all’altro senza motivo”, “Senza motivo? Io sarei scomparso senza motivo Noel? Ah, a proposito, non ti ho mai ringraziato per avermi fratturato un polso e spaccato una mazza in testa!”. “Cioè, fammi capire bene: te ne sei andato per quello?”, “Dovevo aspettare che la volta dopo mi ammazzassi direttamente? E comunque quella è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso”. Noel era sbigottito. Tornò sui suoi passi e si rimise seduto, mentre Liam lo seguiva solo con lo sguardo, l’espressione che man mano si induriva. “Questa è una cosa interessante. Dimmelo, perché sono cinque anni che me lo chiedo: perché cazzo l’hai fatto?”.

Liam rialzò la schiena appoggiandosi allo schienale, frugò nella tasca posteriore dei jeans tirando fuori il pacchetto di sigarette, l’aprì, estrasse prima l’accendino e poi una sigaretta che mise fra le labbra. Compì quei gesti lentamente e in silenzio. “Non ci arrivi, genio?”. Noel non rispose, ma lo guardò serio, le sopracciglia aggrottate, la solita ruga marcata come non mai. Scatto dell’accendino. Fiamma. Lunga aspirazione. Fumo. “Per colpa tua”. “Sembri un fottuto bambino di cinque anni. Strano che tu non sia andato da mamma a piagnucolare: “Noel mi ha fatto la bua, gnè gnè gnè””. Liam sorrise, ma fu un sorriso amaro. “Sono contento che la cosa ti diverta. Ma d’altra parte deve averti divertito fin dall’inizio. Non ti sarà sembrato vero che il fratellino rompicoglioni si togliesse dalle palle da solo, vero Noelie?”. Il fratello scosse la testa con una smorfia: “Tu sei tutto scemo, lo eri anni fa e lo sei adesso”. “Ma falla finita cagasotto che non sei altro – per la prima volta Liam alzò la voce, per riabbassarla subito dopo - Mi hai usato finchè ti sono servito, poi, quando le cose hanno preso il via avresti voluto buttarmi nel cesso, solo che non avevi le palle per farlo direttamente e hai cercato di fare tutto il possibile perché ti togliessi dall’impiccio io. E hai fatto pure bene - alzò le spalle con noncuranza - visto come sono andate le cose”. Noel continuava impercettibilmente a scuotere la testa.

Liam non aveva proprio tutti i torti, un certo tendersi in quella direzione c’era stato davvero da parte sua, ma i suoi erano stati solo pensieri in libertà, per la maggior parte inconsapevoli o appena appena coscienti. Non aveva mai avuto un intento così brutale, non aveva mai voluto cancellarlo realmente dalla sua vita. Sospirò facendo girare lo sguardo per la stanza, guardando tutto senza però vedere niente: ”Pensi di sapere tutto ma in realtà non sai un cazzo”, “So quello che devo sapere”, “No” fece Noel perentorio. “Non sai un cazzo”. Chinandosi in avanti per spegnere la sigaretta nel posacenere, che tanto l’aveva accesa ma non la stava fumando, Liam borbottò: ”Non fare la vittima. Hai venduto milioni di dischi, sei sempre in televisione o sui giornali. Che cazzo c’è da sapere più di questo?”. Noel chiuse per un attimo gli occhi. La mente che traboccava di ricordi, paure e fallimenti. Il panico. Aveva avuto successo, sì, ma a che prezzo?

“Tu non sai … - la voce gli tremò leggermente - … tu non sai quello che ho passato”. Fu lì che Liam non ci vide più. Balzò in piedi e tuonò: “Quello che hai passato? Quello che TU hai passato? Quello che IO ho passato vorrai dire!”. “Oh poverino, che c’è, vuoi una medaglia perché per la prima volta nella tua vita hai dovuto lavorare?”. Liam gli afferrò un braccio strattonandolo violentemente per farlo alzare. I due fratelli si fissarono a vicenda, immobili, gli occhi colmi di furore e un grosso carico di dolore. I loro occhi avrebbero potuto liquefarsi, in quel violento, cocente, terribile sguardo. “Eccoti qui, finalmente. Adesso sì che ti riconosco fratellino” gli sussurrò Noel. Ma Liam non mollò la presa e riprese: “Hai idea di che significa andare in un posto in cui non conosci nessuno e fare tutto il giorno su e giù da una fottuta impalcatura con 10 gradi sotto zero? E sai che significa caderci da quella fottuta impalcatura? E sai che significa rinunciare a tutto quello che hai sempre sognato, sempre voluto, un momento dopo averlo finalmente toccato? E te mi vieni a dire che non so cosa hai passato? Ma fottiti! Che negli ultimi anni il tuo unico problema è stato quale banca scegliere per i tuoi schifosissimi soldi!”.

Noel divincolò il braccio e Liam lo lasciò andare con una spinta. Ci fu un attimo di silenzio, in cui Noel scelse con cura le parole. “Vedi, il tuo problema è questo Liam: io, io, io … solo a questo pensi e solo di questo parli. Ad esempio avresti potuto chiedermi di mamma, di Paul … per quanto ne sai potrebbero benissimo essere morti”. Liam ammutolì mentre il cuore gli saltava in gola. Noel non proseguiva, aspettando che fosse il fratello a parlare. Quasi balbettando, Liam gli chiese:”Ma non sono morti vero? Stanno bene, vero?”, “Tu che dici?” lo punzecchiò malignamente Noel, tornando per un attimo a quando Liam era piccolo, quando era così facile spingerlo sull’orlo delle lacrime. A Liam intanto sembrava che il cervello gli fosse andato in pappa perchè per quanto si sforzasse, non riusciva a pensare congelato com’era dal terrore che fosse quello il motivo della visita di Noel. C’era qualcosa che non gli quadrava, ma non riusciva a pensare altro che non fosse E’ successo qualcosa a mamma o a Paul o a tutti e due. “E’ … è per questo che sei venuto? Perché gli è successo qualcosa?”riuscì a chiedergli con un filo di voce, gli occhi sbarrati. Ok, può bastare pensò Noel, sedendosi sul bracciolo del divano. Le cose erano sempre andate così fra di loro: Liam partiva in quarta con gli insulti e una voglia matta di prenderlo a pugni, mentre Noel, sapendo che fisicamente avrebbe facilmente avuto la peggio e perché gli piaceva sentirsi concettualmente superiore, lo prendeva per il culo con tutta una serie di giochetti verbali e mentali nei quali il fratello puntualmente cadeva con una facilità disarmante. Non che Liam fosse stupido, tutt’altro, solo che era talmente trasparente e limpido nel riversare all’esterno i suoi pensieri e le sue emozioni in maniera diretta e impulsiva, senza la presenza del minimo filtro, che era per lui praticamente impossibile avere accesso ai meccanismi mentali sofisticati usati dal fratello. Noel aveva dalla sua anche un’innata abilità a giocare con le parole, e questo, tra le altre cose, faceva incredibilmente colpo in una persona che aveva sofferto di una balbuzie atroce da bambino. “Non è successo niente, stanno bene. Ma il punto è che non ti è passato neanche per l’anticamera del cervello di chiedermi qualcosa su di loro come qualsiasi persona sana di mente avrebbe fatto dopo anni passati a non sapere niente della propria famiglia. Hai recitato la parte dell’indifferente e poi ti sei incazzato. Finita lì.”. Liam, che si era appena ripreso dallo spavento di poco prima sbottò con un: ”E’ colpa tua” che suonò maledettamente lamentoso perfino alle sue di orecchie. “Ma mi spieghi come cazzo fa ad essere sempre colpa mia?” fu l’ovvia risposta del fratello.

Sperimentando la frustrazione totale che derivava dal fatto di sapere di essere nel giusto ma di essere incapace per chissà quale motivo di ribattere, Liam si ributtò pesantemente sulla poltrona, i gomiti sulle ginocchia, la testa fra le mani, gli occhi bassi, cercando di dare ordine ai propri pensieri che si urtavano e accavallavano fra loro come un nugolo di api impazzite. E’ perché hai preso la mia chitarra, che suoni meglio di me. Perché hai suonato le mie canzoni, che sono lontane anni luce dalle tue. Perché infatti non ti piacciono. Perché non ti piaccio io. Perché non è bastato stare lontani degli anni per farti cambiare idea su di me. Perché mi hai preso alla sprovvista. Perchè hai invaso il mio mondo senza chiedere il permesso, come sempre. Perché mi mancavi da morire. Perchè mi odi.

Quando, qualche ora prima, aveva alzato gli occhi e si era trovato Noel davanti, aveva pensato in una frazione di secondo e probabilmente tutto insieme: ”Noel! No, è impossibile! Cazzo, è lui. E adesso che faccio? Che vuole?”. Con uno sforzo abnorme, si era costretto a posticipare una reazione, una qualunque reazione, al momento in cui sarebbe stato di nuovo lucido. Se mai fosse successo di nuovo. La prima cosa che aveva deciso era che Noel doveva andarsene, Liam lo voleva fuori di lì subito, non riusciva neanche a pensare di lavorare con lo sguardo del fratello addosso. E si sarebbe sparato nelle palle piuttosto che far sapere a tutta Dalmeny che Noel Gallagher degli Oasis era suo fratello. Pur non facendo i salti di gioia, aveva deciso di mandarlo a casa sua: una volta finito il turno lo avrebbe raggiunto e avrebbe sentito cosa cazzo era venuto a fare.

Quel giorno Mood’s era stato particolarmente preso d’assalto, sembrava che tutta Dalmeny si fosse data appuntamento lì per pranzo. Sophie aveva faticato non poco a raggiungere il bancone e aveva ringraziato il cielo per poter passare oltre la fila e servirsi da sola dato che lo stomaco le brontolava già da un bel po’. Il padre, pur indaffarato come non mai, le aveva fatto cenno di avvicinarsi e mentre continuava a preparare panini e riempire bicchieri di carta, aveva cominciato a raccontarle quanto successo un’ora prima. “Oggi ho conosciuto tuo cognato”, “Chi?” aveva mugolato distrattamente Sophie con mezza foglia di insalata che le sporgeva dalla bocca. “Tuo cognato”. “Mio cognato? Ma di che parli? Io non ho cogn … oh, cavolo! – per poco non si era strozzata – Quale dei due? Paul?” aveva chiesto con un filo di speranza. “Ah, che diavolo ne so. Mica mi vado a ricordare i nomi dei fratelli sconosciuti del tuo fidanzato”, “Papà non scherzare, è importante! Era quello famoso o l’altro?”, “Questa la so! Era quello famoso!”. “Oddio - Sophie si era afflosciata sul bancone – Liam come l’ha presa?”, “Beh, diciamo che ho pensato di dovertelo portare in ospedale. E non sono ancora andato dietro. Dalla confusione che ho sentito deve aver spaccato un bel po’ di roba”. “Oddio – aveva ripetuto Sophie - Ma che si sono detti?”, “Niente. Liam gli ha dato le chiavi di casa vostra e gli ha detto di aspettarlo lì. Il fratello ha bevuto la birra che aveva ordinato, ha pagato il conto e se n’è andato. Senza lasciare mancia, tra l’altro”, “Ho capito. Dov’è Liam adesso?” Sophie si era alzata in punta di piedi per individuarlo tra la folla. “Ah guarda, è facile trovarlo. Basta che segui la scia di tutto quello che sta rovesciando per terra. Anzi, fammi un favore: prendi tu il suo posto e fallo andare a casa perché oggi mi è più d’impiccio che d’aiuto”.

Sophie aveva oltrepassato nuovamente il bancone cercando di farsi largo fra tutte quelle persone e quando finalmente l’aveva visto gli si era attaccata al braccio per richiamare la sua attenzione. Liam si era voltato e il cuore di lei aveva mancato un battito: così sconvolto non l’aveva visto mai. L’espressione era un mix malriuscito tra l’infuriato e lo spaventato. Gli occhi, nel pallore del viso, sembravano ancora più grandi del solito, più lucidi, ma il loro azzurro radioso si era incupito, virando verso un blu profondo, quasi nero. Sempre tenendolo per il braccio, si era fatta seguire fuori del locale. “Come stai?” gli aveva chiesto appena si erano chiusi la porta alle spalle. “Tuo padre ti ha detto di Noel?” Sophie aveva annuito, aspettando la risposta di Liam. “Perché è venuto, Sophie?” le aveva chiesto lui invece. Era agitato, si muoveva ancora più del solito, tremava quasi. “Probabilmente vuole solo parlare”, aveva osservato razionalmente lei. Liam si era passato nervosamente una mano fra i capelli: “Io non voglio parlare”, “E allora starai zitto e lascerai parlare lui”. Lo aveva guardato concentrata, cercando le parole giuste per tranquillizzarlo o almeno per non farlo andare ancora di più nel pallone. Liam aveva mosso la testa in un lento cenno di diniego, fissando un punto indefinito della strada: ”No. Non … non voglio ascoltarlo. Non … Io … io sto bene adesso – l’aveva guardata improvvisamente negli occhi – non penso più a com’era prima, quasi non lo ricordo più, lo sai. Perché cavolo è venuto qua?”, le aveva chiesto di nuovo con un tono di voce che trasudava una sofferenza antica, che veniva da lontano. Sophie aveva deciso in quel momento di prendere in mano la situazione: ”Sai che ti dico? Che dovevi aspettartelo. Non puoi pretendere di decidere tu per tutti. Se non volevi avere una sorpresa del genere dovevi deciderti a muovere il culo prima. Quanto tempo è che ti dico di andare a Manchester o almeno di telefonare? Mettiti nei loro panni, tu te ne saresti stato con le mani in mano ad aspettare per un tempo indefinito?”. Liam aveva abbassato lo sguardo, come a contemplare quell’ipotesi. Bene, ha ripreso a ragionare, Sophie glielo aveva letto in faccia, quasi fosse in grado di vedere le rotelline del suo cervello girare. “E’ inutile che continui a chiedermi come un disco rotto perché è venuto. Ormai è qui, vai a casa e chiediglielo tu di persona il perché. Vedi il lato positivo, dopo quella follia che mi hai regalato, risparmierai i soldi per il volo”, aveva sorriso Sophie, alludendo ai preziosi orecchini che Liam le aveva regalato per il suo compleanno, settimane prima. La frase aveva strappato un sorriso anche a Liam, che aveva replicato: ”Ho ancora quasi tutti i miei soldi, fattelo fare un regalo come si deve qualche volta, piccola”. Sophie gli aveva preso il viso fra le mani, lui si era voltato appena per baciarle il palmo di una. “Hai sorriso” aveva constatato lei. “Allora non è così grave”, “E’ un casino di proporzioni apocalittiche invece. E non so da che cazzo di parte girarmi”. “Sei cambiato Liam. Non sei più quello di cinque anni fa. Inizia a mostrargli questo. Calmati. E poi ascoltalo. Il resto verrà da sé”.  Liam non ne era stato convintissimo, ma le alternative non erano poi molte. Le aveva messo le mani sui fianchi e l’aveva baciata a lungo, come a prendere forza da lei. Quando si erano staccati Sophie aveva mormorato: ”Io vado a dormire dai miei stasera, prendetevi tutto il tempo che vi serve. E se non ti farai vivo entro domani mattina – aveva scherzato - ti manderò la polizia, va bene?”. Ridacchiando Liam le aveva risposto: ”Forse è meglio un’ambulanza”.

Camminando verso casa, aveva ripensato alle parole di Sophie. Era cambiato, lo sapeva lui per primo. Cresciuto, per certi versi indurito, maturato. Aveva cercato di immaginarsi la scena che si sarebbe svolta dopo poco. Si vedeva entrare in casa, salutare decentemente il fratello, chiedergli educatamente se poteva offrirgli qualcosa, per poi sedersi e chiedergli il motivo della sua visita. Si sarebbe mostrato perfettamente calmo e controllato. Aveva iniziato a salire i gradini di casa quando una melodia familiare proveniente dal suo soggiorno lo aveva fatto bloccare di colpo. Sta suonando la mia chitarra. Cazzo – aveva pensato atterrito - sta suonando le mie canzoni. Un attimo. Vuol dire che ha frugato tra le mie cose. Era bastato quel pensiero a mandare in fumo tutti i suoi propositi di mostrarsi disinvolto e noncurante. Blasèe. Sofisticato. La rabbia e il dolore che aveva accumulato avevano preso a sgorgare copiosamente come sangue da una ferita aperta. Da qualche parte nella sua anima aveva fatto di nuovo capolino quella parte di sé che pensava di aver definitivamente distrutto. No, questa soddisfazione non gliela do a quello stronzo, aveva pensato deciso come non mai. Quando aveva spalancato la porta aveva sentito una rabbia sorda e fredda che non aveva mai provato.

Com’era arrivato a stare seduto con la testa fra le mani, davanti allo sguardo impietoso di Noel? Per associazioni di idee pensò e poi, rialzando il capo, chiese: “Come mi hai trovato?”. “Dopo un anno che eri andato via mamma ha iniziato a dare i numeri per il fatto di non sapere dove fossi, abbiamo deciso di ingaggiare un investigatore privato e ti giuro che mai nella vita avrei pensato di fare una stronzata del genere. Comunque sia, abbiamo trovato questo tizio, tale Richardson, di cui nostra madre si è praticamente innamorata a prima vista. Gli abbiamo dato l’incarico e … beh, ti ha trovato uno che lavora per la sua agenzia dopo un bel po’ di mesi” gli rispose Noel seduto lì accanto sul bracciolo del divano, le braccia conserte. Altro che giornalisti a caccia di scoop, era un investigatore. Liam lo guardava a bocca aperta: ”Quindi sono almeno tre anni che mamma sa dove sono?”, “Più o meno tre anni, sì”, confermò Noel. Sbam! Altro cartone in piena faccia. “Sono tre anni che mamma sa dove vivo e non è venuta a cercarmi?”, ripetè incredulo più a se stesso che a Noel, che dal canto suo lo fissava con un sorrisetto: Prendi questa egocentrico del cazzo. “Se ti può consolare la cosa ha sorpreso pure me. Fece tutto un discorso sul fatto di lasciarti libero di scegliere quando tornare e bla bla bla. Insomma, cazzate. Io lo sapevo che volevi che ti cercassimo, l’ho sempre saputo. Ti conosco come le mie tasche, fratellino”, rispose Noel. “Non è ... – Liam si passò una mano sugli occhi - … non è per quello”. Sospirò. “Perché sei venuto Noel?” gli domandò sottovoce, guardandolo da sotto in su. Supplichevole. Dimmi che ti sono mancato, ti prego dimmelo.

Noel si sentì di nuovo incerto. “Sinceramente, non lo so. Ho seguito l’impulso del momento. Ogni volta che ho suonato in Canada non ho fatto altro che guardarmi intorno come uno scemo, come se dovessi apparirmi davanti all’improvviso, neanche fossi la Madonna. Ieri sera mi sono detto che quella storia doveva finire, ho detto a Maggie di prenotarmi il volo e sono andato direttamente all’aeroporto”, Liam si dimenticò per un attimo della loro situazione e chiese curioso: “Maggie? Lavora ancora per noi …eeeehm … per te?”, “Sì, è ancora lei la tour manager. E c’è sempre Marcus. E Jason e Phil. Alan no, la Creation è affondata”, “Davvero?”, “Già. Da non credere, eh?!”, Liam annuì, sovrappensiero. Poi: “Ho letto che Bone e Guigsy hanno lasciato”, “Diciamo di sì” rispose Noel con un sorrisetto che Liam conosceva bene e che gli fece sgranare gli occhi: “Li hai cacciati tu? Ma nooo. Quanto sei stronzo?!? Ma perché?”. Noel non rispose. Gli era piaciuto quello scambio, gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo, quando ancora riuscivano a parlare come tutti i comuni normali, senza abbaiarsi contro e senza cercare di mettersi le mani addosso per ogni cavolata. Decise che quello era il momento giusto. “No. Adesso è il mio turno. Perché cazzo te ne sei andato? E stavolta non te la cavi dicendo che è colpa mia, stavolta me lo spieghi per filo e per segno”.

Liam tornò con la mente a cinque anni prima. Tornò a quando si sentiva costantemente diviso in due: da una parte c’era la sensazione di invincibilità pura che provava stando dietro a un qualsiasi microfono, dall’altra la costante paura che finisse tutto di colpo. Tornò a quando sembrava fosse tutto bello, a quando saliva sul palco e la folla iniziava a scandire il suo nome, a quando intonava le prime note e aveva la sensazione che la sua voce si liberasse dalla prigionia impostale dalla gola, quasi vivesse di vita propria. Ricordava gli autografi, le groupies che si affannavano ad attirare la sua attenzione, ricordava nottate intere passate a bere e non solo, perché tanto siamo giovani, famosi, ricchi e facciamo quello che ci pare e vivremo per sempre. Ricordava quando, seduto per terra con le gambe incrociate e gli occhi chiusi, la schiena poggiata contro la porta chiusa, ascoltava il fratello comporre. Gli era sempre piaciuto ascoltare la genesi delle canzoni che avrebbe fatto poi vivere cantandole, gli piaceva entrare per un attimo nella testa di Noel: si accorgeva subito quando imbroccava il giro di accordi giusto, quello che non avrebbe cambiato, quello su cui avrebbe costruito tutta la canzone. Gli piaceva quella vicinanza mentale con il fratello. Gli piaceva perché era l’unico momento in cui riusciva a leggergli nella mente , anche se solo per un attimo. Ma non c’erano solo cose belle, cinque anni prima.

Si mosse un po’ a disagio sulla poltrona: “Non ti ricordi come si erano messe le cose fra di noi? Sembravamo cane e gatto”, “Stronzate. Abbiamo sempre litigato”, “No. Non in quel modo”. Noel ricordò quell’ultima volta, quanto si era spaventato per quella mazza che continuava a colpire senza che lui riuscisse a fermarla: “Va bene, te lo concedo, non in quel modo. Poi?”. “Sentivo che volevi mandarmi via, che non mi volevi più nel gruppo, avevo paura che mi avresti dato il benservito da un momento all’altro”, Noel alzò le sopracciglia incredulo: “Mandarti via dal TUO gruppo, Liam? Ma sei fuori? Casomai sarei andato via io”, Liam scosse la testa: “E’ la stessa cosa. Resta il fatto che non mi volessi”. Noel riflettè un attimo e poi: “Ok, per certi versi è vero. Ma tu ti ricordi che razza di idiota eri? Con le cazzate che facevi si sarebbe potuto strozzare anche un cavallo. Sempre ubriaco, sempre fatto, sempre in giro a scopare con qualche troietta delle tue o a fare a botte con qualcuno. Mai una volta che potessi rilassarmi, neanche fossi il tuo baby sitter, per la miseria! E non c’era verso di farti fare un cazzo di soundcheck. E non eri mai in orario per un video o un’intervista, quando ti degnavi di farti vedere, chiaro. E durante i concerti dovevamo sempre stare sul chi va là perché potevi decidere all’improvviso che non ti andava di cantare e te ne andavi al primo pub che incontravi. E sempre lì a cambiarmi i testi. E sempre a lamentarti per qualsiasi cosa. E –“, “Va bene, va bene, basta – lo interruppe Liam alzando una mano in segno di resa – Hai ragione, ero un fottuto coglione. Lo so, lo sapevo anche allora”, “Oh, questo mi rincuora davvero tanto”, fece ironico Noel, innervosito non poco da quei ricordi. “Ma ti sei mai chiesto perché mi comportavo così?”, “Me lo chiedevo di continuo, deficiente. E lo chiedevo a te che mi rispondevi, che te lo dico a fare, che la colpa era mia, che ero noioso, vecchio dentro e che il tuo era l’atteggiamento giusto da rock star. E lo chiedevo anche a mamma che mi rispondeva che dovevo capirti, che eri solo un ragazzino, che prima o poi saresti maturato, che dovevo avere pazienza. E lo chiedevo anche a tutti gli altri che mi dicevano che eri solo in cerca della mia approvazione. Ma che cazzo di approvazione dovevo darti – si piegò in avanti avvicinando il viso a quello del fratello, guardandolo negli occhi - quando qualcuno mi svegliava in piena notte perché la polizia ti stava portando via ammanettato come un hooligan?”, Liam fece per scansarsi distogliendo lo sguardo dal fratello ma Noel lo prese per la maglietta e se lo avvicinò di nuovo: “Quale approvazione Liam? Me lo dici?”.  Lasciò la presa cercando di mantenersi calmo, ma stava arrivando al limite. Anche Liam fremeva, mentre si aggiustava la maglietta spiegazzata. Stava tentando di aprirsi e il fratello non faceva che rigirare il coltello nella piaga. Ma possibile che non ci arrivasse? Era davvero così difficile da capire, porca miseria?

“E’ che tu non capisci …” iniziò continuando a lisciare la stoffa. “Ma che cazzo è che devo capire? – sbottò urlando a quel punto Noel – E’ una vita che cerco di capirti, ma perché devo sempre capirti? Perché non provi tu a capire me per una cazzo di volta? Mi hai lasciato solo in un mare di merda perché eri un bambinetto viziato che voleva per sé tutte le attenzioni, basta! Non ce n’è un’altra di spiegazione!”, Noel si era alzato, imitato subito da Liam: “Io me ne sono andato perché tu volevi che me ne andassi!”, “Ma non ho mai detto niente del genere Liam!, “Non c’è bisogno di dirle certe cose! Certe cose si sentono e basta! Sentivo, sapevo, che ti davo fastidio! Come ho sempre sentito e saputo che a te di me non è mai fregato un cazzo di niente!”, Noel alzò l’indice con fare intimidatorio: “No eh, non farlo, ti avverto. Non iniziare con queste stronzate!”, “Ma è vero! Ed è sempre stato così! Da piccoli, mi mollavi appena potevi, non facevi che lamentarti di dover dividere la stanza con me, eri sempre un alzare gli occhi al cielo appena mi vedevi. Tu non mi hai mai sopportato!”, “Ma tu ti rendi conto di che cosa mi stai parlando? Fra un po’ mi accuserai di averti nascosto il ciuccio! Tu hai avuto un vita fin troppo facile, te lo dico io! Bastava un sorriso o una mezza lacrima e ottenevi sempre tutto quello che volevi! Papà più di due sberle non ti ha mai dato, io venivo regolarmente massacrato, perché? Te lo dico io perché! Perché l’unico figlio che lui riconosceva come tale eri tu! Perché gli facevi fare bella figura con gli amici, era ovvio preferire un bambino bello, che ha la risposta sempre pronta e fa quel cazzo che vuole quando vuole. Faceva più figo, come dici tu, di un ragazzino che ci metteva venti minuti solo per dire “ciao” perché si incastrava su ogni cazzo di sillaba! Gli piacevi perché eri uguale a lui!” Noel sbiancò. Cazzo, ma come mi è uscito? Cercò frettolosamente di riparare: “No, aspetta, non volevo dire questo”. Ci volle un minuto buono prima che Liam rispondesse: ”Potevi prendermi a pugni, mi avresti fatto meno male. E comunque questo spiega molte cose. E dimostra che ho ragione. L’unica volta che non volevo averne”. Noel alzò le mani scuotendo vigorosamente la testa: “No, no, no. Non volevo dirlo, sono solo incazzato. Non penso che tu sia uguale a papà”.

Liam si era girato verso la finestra dando le spalle al fratello: “E invece è proprio quello che pensi. Finalmente l’hai tirato fuori. E pensi anche che sia iniziato tutto con me, perché papà ha cominciato a picchiarvi dopo che sono nato io”,“Papà è sempre stato uno stronzo totale anche appena sposato”, “Ma solo con la mamma. Probabilmente non sarebbe stato il padre dell’anno, ma quantomeno non vi avrebbe picchiati ogni santo giorno. Non c’erano soldi per tre figli e-“ “Non ce n’erano neanche per due se è per questo”, “Ma mamma a voi due vi ha voluti, a me no. Sono arrivato per sbaglio. E comunque avrebbe voluto una femmina. Vedi? Sono stato un casino fin dall’inizio”, tentò di controllarsi sdrammatizzando ma ormai aveva le lacrime agli occhi e la voce gli si andava incrinando. Noel riconobbe quel tremito nella gola del fratello e istintivamente fece un passo verso di lui. Liam continuò: “Per questo mamma mi ha viziato in quel modo, perché si sentiva in colpa”. Voltò per un attimo il viso verso Noel, un lieve e fugace sorriso gli piegò le labbra: ”Pensavi che non me ne fossi accorto? Lo so che sono sempre stato accontentato in tutto. Mi rendevo pure conto che non avrei dovuto approfittarne ma come facevo? Era così comodo”. Stettero per un po’ nella stessa posizione, Liam con lo sguardo puntato fuori della finestra, verso quello scorcio che gli piaceva tanto, dove giù giù, in lontananza, il verde degli alberi si confondeva con l’azzurro del lago, perso in pensieri e considerazioni che gli procuravano un dolore profondo, radicato, che nasceva dal passato. Noel appena dietro di lui, tanto vicino che sarebbe bastato un niente per toccarlo, sapendo di dover dire o fare qualcosa, ma senza azzardarsi a dire o fare niente. “Sai – disse a un certo punto Liam, sempre con quella voce che sembrava sul punto di spezzarsi, ma con un tono dolce, appena velato di tristezza – mi sarebbe piaciuto se nonostante tutto fossi riuscito a volermi bene. Sarebbe stato bello”.

Noel si sentì come se gli avessero sparato. Sentì proprio un tonfo sordo in mezzo al petto e per un attimo ebbe l’assurda certezza che se si fosse guardato, ci avrebbe visto un buco, sul petto. Non fu in grado di rispondere, di nuovo. E Liam continuò, come se stesse parlando a sé stesso, come se stesse pensando ad alta voce: “Ci ho pensato tanto in questi anni e sono arrivato alla conclusione che tutto quello che facevo fosse un modo per sentirmi amato. Se mi avessi mostrato di volermi bene anche dopo aver sfasciato un locale o aver rovinato un concerto, allora magari potevo pure crederci al tuo affetto. Non lo facevo apposta, non stavo a ragionarci su, ma credo che il senso fosse questo”. Si asciugò gli occhi appena inumiditi con una mano, poi si voltò, passò oltre Noel urtandolo leggermente con la spalla per poter passare. Andò verso la cucina e stampandosi in faccia un’espressione di allegria esagerata, scherzò: “E dopo questa gita nella nostra meravigliosa infanzia e nelle nostre menti fottutamente bacate, ti va di bere qualcosa?”. Noel rimase dove si trovava, non riuscendo a stare dietro al cambio di rotta imposto dal fratello. Liam aveva iniziato a parlare ad un volume troppo alto, lo infastidiva. Era scosso, troppo scosso. Si sentì di nuovo immerso nella nebbia, come quando prendeva gli ansiolitici. Di nuovo quella sensazione odiosa di ovatta nella testa. “Attacchi di panico”. Liam smise di parlare e guardò il fratello, che continuò: “Ho sofferto di attacchi di panico. Per parecchio tempo, non riuscivo ad uscirne, non riuscivo più a comporre” disse molto velocemente, quasi mangiandosi le parole. “Una volta, dopo una tirata, mi sono sentito male, male seriamente intendo. Il dottore che mi ha soccorso mi ha detto che mi stavo distruggendo, che mi stavo avvelenando e che l’unico modo per non morire prima del tempo era smettere completamente con ogni tipo di droga. Così ci ho dato un taglio netto. All’inizio non è stato difficile come mi ero immaginato, ma all’improvviso sono iniziati quei maledetti attacchi di panico, così, dal nulla. La prima volta ho pensato che stessi morendo sul serio, che la decisione di ripulirmi era arrivata troppo tardi, ero davvero convinto che fosse un infarto. Ma non lo era, naturalmente”. Mentre parlava Liam era tornato indietro, l’aveva spinto dolcemente ma risolutamente su una sedia della cucina e gli si era seduto accanto. Noel continuava a raccontare, come una brutta favola, di quel tunnel che sembrava volesse inghiottirlo e dal quale era uscito da poco e con una fatica immane. E mentre parlava, parlava, parlava, si sorprese a pensare che quel lato di Liam se l’era proprio scordato.

Lontano da lui si era ritrovato a pensarlo nella sua luce peggiore, che poi era quella più vistosa. L’assoluta arroganza di cui dava prova da sbronzo o perfino da sobrio. L’oppimente volgarità del linguaggio – che poi a voler essere onesti era anche una sua caratteristica, ma sulla bocca del fratello minore, per chissà quale motivo, lo trovava brutto. Le esplosioni delle sue emozioni, talmente dirette da risultare paradossalmente teatrali. Si era dimenticato di quanto Liam potesse essere gentile e realmente interessato agli altri, la sua era una curiosità sincera, buona, ingenua, senza secondi fini. “Ti riferivi agli attacchi di panico quando mi hai detto che non sapevo cosa avessi passato?”, “Soprattutto a quelli, sì” annuì Noel.  Liam stava per aggiungere qualcosa ma si fermò perché aveva colto quelle specie di tic che agitavano le mani, la testa e i piedi del fratello quando doveva dire qualcosa e non sapeva come fare. Peggy faceva sempre finta di niente quando vedeva Noel agitarsi in quel modo e ricordandolo, Liam si dedicò con grande interesse all’ispezione del braccialetto che aveva al polso, facendolo strusciare contro la pelle e mettendosi a contarne la maglie che lo componevano. Aspettando. Finalmente Noel si decise ad aprire bocca: ”Sai, il medico mi disse che è abbastanza frequente soffrire di attacchi di panico quando ci si disintossica. Però io non ero sicuro che fosse proprio così. O almeno penso che non fosse solo quello il motivo. Io credo che … credo che c’entrassi tu in qualche modo”. “Io?” chiese sgomento Liam. “Sì, tu. Il fatto che te ne fossi andato. Credo che … insomma … credo che fosse perché mi sentivo in colpa, anche se mi sarei ucciso prima di ammetterlo. Il primo anno ero talmente incazzato e impegnato che neanche mi ero accorto realmente della tua assenza. Ma dopo …  – la voce di Noel diventò un sussurro - beh, dopo hai iniziato a mancarmi sul serio e te l’ho detto, mi sentivo in colpa. Mi sembrava di aver sbagliato tutto e di non aver capito niente. E prima, quando hai detto che sarebbe stato bello se ti avessi voluto bene …”. Liam, che si era dovuto avvicinare ancora di più per riuscire a sentire il bisbiglio del fratello, si affrettò a rassicurarlo: “Noel ascolta, non ti devi sentire obbligato a farmi chissà che dichiarazione. E’ andata così, non è stata colpa di nessuno. O magari è stata colpa di papà ma sicuramente non nostra. Non fa niente, ormai me ne sono fatto una ragione, non mi importa neanche più”. Noel alzò la voce tornando risoluto a un volume normale: “Importa a me però, soprattutto se sei convinto di una cosa sbagliata. E ora apri bene le orecchie perché te lo dico adesso e poi non te lo ripeterò più finchè campo”. Si costrinse a voltarsi e a guardare il fratello negli occhi, voleva essere sicuro che lo ascoltasse e capisse bene. Era la prima volta che faceva qualcosa del genere e solo lui sapeva quanto gli costasse: “Ti voglio bene, non posso non volertene. E ci ho provato a non volertene, eh?! Quindi posso dirlo a maggior ragione. Ci sono stati lunghi periodi duranti i quali ti ho detestato, ma non sono mai riuscito a fregarmene totalmente di te. E non ci riuscirò mai probabilmente. Sei mio fratello, ti ho visto nascere, crescere e anche se la maggior parte delle volte sei una totale testa di cazzo, ti voglio bene Liam. Capito? Ti voglio bene”.

Fuori il sole era ormai tramontato e i lampioni accesi rischiaravano le strade della piccola Dalmeny. La casa di Liam e Sophie era ancora immersa nel buio invece, perché i due fratelli non si erano accorti del passare delle ore e anche quando più che vedersi erano costretti ad immaginarsi, avevano continuato, con il cuore che batteva come un tamburo, a dirsi cose che nessuno avrebbe mai ascoltato al di fuori di loro stessi. Forse per questo Noel era riuscito nell’impresa di svelarsi in quel modo a suo fratello e Liam dal canto suo si era potuto permettere di accettare quelle frasi semplicemente, senza dover cercare per forza un’obiezione o anche solo una risposta.

Il primo a scuotersi fu comunque lui, si avvicinò all’interruttore della luce ma poi deviò verso il lume. Non si sentiva pronto a guardare il fratello sotto una luce accecante e sapeva che per Noel sarebbe stato ancora più penoso. Sotto quella luce filtrata, delicata, Noel tirò fuori una foto dal portafoglio e la mostrò a Liam: ”Guarda che ti sei perso a scappare di casa come una ragazzina di tredici anni”. Liam guardò con le sopracciglia aggrottate la foto di un Noel neonato, stranamente vestito con una tutina rosa. Solo dopo qualche secondo mise a fuoco quella che doveva essere l’identità di quell’esserino: ”Hai una figlia?”, domandò sbalordito. Noel padre? E questa non se l’aspettava proprio! Noel guardò orgoglioso la foto: ”Hai visto? Sono un fottuto genio pure quando si tratta di fare bambini. Guarda che meraviglia”. Liam riprese la foto e mettendosela vicino al viso gli rispose: ”Certo che è bella. Assomiglia tutta a suo zio”, “Non c’entra un cazzo con te. E’ la mia copia esatta. Solo al femminile”. “E’ vero, ti somiglia tanto. Ma per sua fortuna è bella come me”, continuò imperterrito il novello zio restituendo la foto al legittimo proprietario. “Col cazzo. Se vuoi qualcuno che ti somigli fallo tu un figlio. Ah ti prego fallo. Mi divertirò da morire a vederti passare tutto quello che abbiamo passato noi con te”. Un figlio. Liam non ci aveva mai pensato prima ma l’idea gli piaceva proprio. Sì, gli sarebbe piaciuto avere un figlio. Anzi no, una figlia. Tanto per competere meglio con Noel. E poi un paio di maschietti. Ne voleva uno dietro l’altro, voleva che crescessero tutti e tre insieme. Doveva parlarne con Sophie. Si vedeva già proiettato nel futuro, lui, Sophie e i loro tre figli, belli come il sole. Ma prima doveva sposarla, le cose si fanno per bene. Preso da questi pensieri chiese al fratello: ”Cos’è che dicevi a proposito di Songbird?”

Saskatoon Airport, 1 Maggio 2000

Dopo aver effettuato il check in, Noel fece per affrettarsi verso il gate, ma prima si girò e chiese a Liam: ”Allora, ci penserai?”, “Noel, ne abbiamo parlato tutta la notte, non credo proprio”, “Perché sei un fottuto cocciuto. E ti caghi in mano all’idea”, “Io non mi cago in mano. Mai”, “Come no. Sei un fottuto cocciuto pisciasotto”, “Ma la smetti? Sono solo una persona seria”. Noel lo guardò con un sopracciglio alzato e Liam si mise a ridere: ”Vabbè, una persona quasi seria”. Si fissarono con uno sguardo colmo di sottointesi, di domande, di risposte e di domande senza ancora delle risposte. L’altoparlante annunciò il volo per New York. “Ok, devo andare. Ci vediamo, va bene?”, “Sì, ci vediamo. Per Natale Anais conoscerà lo zio più fottutamente figo della storia”. Inforcando gli occhiali scuri e avviandosi, Noel scosse la testa: ”No, ci vedremo prima di Natale”, “Noel cazzo! Ho detto di no!”. Il fratello non si degnò neanche di girarsi e lo salutò alzando il dito medio: ”Vaffanculo pisciasotto”, “Vaffanculo tu, nano”.
 


Siete arrivati fino a qui? Siete tutti interi? Sì? Oddio, mi commuovo!

Mi dispiace per il capitolo lunghissimo (almeno per i miei standard), non mi piaceva molto l’idea di pubblicarne uno così over size rispetto agli altri, ma l’idea di tagliarlo in due mi piaceva ancora meno. E’ un capitolo importante, anzi, IL capitolo per eccellenza nella mia fic e credo che avrebbe perso in pathos troncandolo, perché è un continuo saliscendi di eventi, umori, emozioni. Se vorrete farmi sapere cosa ne pensate ve ne sarò grata perché è stato un duro lavoro! Sono ben accette anche le critiche ovviamente, anche perché l’ho letto e riletto talmente tante volte che non sono riuscita a darne un giudizio obiettivo!

Ho inserito qualche frase presa da interviste, ve ne sarete accorti.

Le date non sono messe a caso, lo “Standing on the shoulder of giants Tour” fece sul serio tappa a Toronto il 29 Aprile 2000 e a New York due giorni dopo.

Songbird è stata scritta l’anno successivo, ma ci stava taaaaaaaaaaanto bene, no?

Quando Liam pensa agli eventuali figli pensa ovviamente a femmina-maschio-maschio perché così li ha nella realtà (anche se la prima non l’ha mai riconosciuta).
 
La nostra avventura si sta per concludere, il prossimo capitolo sarà l’ultimo e sarà in realtà un epilogo. L’ho immaginato corto, ma non ve lo posso dare per certo perché ho imparato che spesso i capitoli si scrivono praticamente da soli!

Grazie mille a tutti voi che continuate a seguirmi! Su su, ormai lo sforzo è quasi finito !!! Cheers!

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Oasis / Vai alla pagina dell'autore: Nagem