Atto I: Scommettiamo che…
Lunedì mattina.
Uno dei giorni più sadici della settimana.
Uno di quei giorni nei quali faresti “carte false” pur di rimanere a casa, anche
se implorare tua madre inginocchiato a terra senza ritegno, si sa, non serve a
niente. Ferito e sconfitto, ti carichi la cartella in spalla, domandandoti cosa
diavolo ci sarà mai dentro e imprecando contro i produttori di quei simpatici
tomi pesanti tre kg ciascuno e che recano, stampata orgogliosamente dietro la
copertina, la regolare licenza per il peso specifico del manuale. Regolato da
chi, poi, nessuno lo sa…
Ed fu in quel lunedì mattina, un normalissimo lunedì mattina, proprio
durante l’ora di filosofia, che Gabriele ricevette una proposta che,
inaspettatamente, avrebbe rivoluzionato la sua vita.
Sta a voi scoprire se in bene, oppure in male…
***
Lunedì 19 dicembre.
[-5 giorni a Natale]
- Empedocle, filosofo della scuola degli atomisti, aveva una sua specifica
teoria su cosa rappresentasse l’Arch‘
[*Archè”]… -
Già, pensò scocciato Gabriele, sedici anni e quattro mesi, poggiando la
testa fra le braccia e chiudendo pigramente gli occhi, anch’io ho una teoria
su cosa sia questa roba…noia…
Ma evidentemente, il professore non era dello stesso parere, fattostà che
cominciò a snocciolare nozioni della filosofia di Empedocle come ciliegie in una
bacinella, nel silenzio attento e sonnacchioso dell’aula.
Aprì un occhio e si girò a destra, sempre riverso in avanti sul banco, fissando
la ragazza seduta accanto al suo posto, nonché migliore amica, Laura, scrivere
diligente gli appunti di ciò che l’uomo stava dicendo, nella sua grafia tutta
tonda e schiacciata. A volte, posava la penna blu e sottolineava un concetto che
riteneva importante, senza perdere il filo del discorso e ignorando del tutto
l’occhiata di puro tedio che le rivolgeva il ragazzo al suo fianco. Si chiese
come potesse non addormentarsi, con quella nenia che osava chiamare
“lezione di filosofia”, e che al giovane sembrava solo l’ennesima trovata della
scuola per conciliargli il sonno.
- Poi me li fai copiare, vero? - sussurrò Gabriele, poco convinto ma in tono
supplichevole.
- No, fai il piacere di stare attento… - sibilò Laura, cerchiando di rosso la
parola “Radici”, che evidentemente centrava qualcosa con quel discorso di
sottofondo che sgorgava dalla bocca del prof e ricominciando a scrivere
velocemente.
Il ragazzo sospirò, riabbassando il capo sul tavolo. L’avrebbe convinta in
seguito, nessun problema.
Poi, rialzò lo sguardo e si concesse una panoramica della classe che, essendo
all’ultimo banco, era perfettamente visibile da ogni angolazione.
Riccardo, il caso perso tra quei ventisette alunni di prima liceo classico, si
stava mettendo un dito nel naso, probabilmente credendo di essere invisibile.
Gabriele fece una smorfia, preferendo cambiare visuale e passando rapidamente
alla fila dietro. Quattro ragazze della sua classe, Martina, Camilla, Giulia e
Federica, stavano prendendo appunti come Laura, confrontandosi tra loro se
perdevano qualche parola di quel discorso che, stranamente, consideravano
importante…
E, seduta dietro Giulia, concentrata a scrivere la spiegazione del professore,
c’era lei.
Cecilia.
Il giovane trasse un breve sospiro, che suonò quasi sognante, mascherandolo
velocemente. Scoccò un’occhiata in tralice a Laura, che adesso aveva stampato in
faccia un sorrisino malizioso, mentre girava pagina e ricominciava a
scribacchiare. Imprecò mentalmente, sperando che la figura appena fatta gli
costasse almeno un bonus di “pietà” per copiare i suoi appunti. Pensò che,
successivamente, l’essere preso in giro per almeno mezz’ora per quell’uscita
degna dei più famosi romanzetti rosa gli meritasse almeno una pagina di
quel filosofo “come-si-chiama”. Questo lo fece risollevare un pochino.
Rivolse nuovamente un’occhiata fugace a Cecilia, il viso nascosto da quella
cascata di capelli biondo scuro, così lisci e, immaginò, serici al tatto, seduta
a sinistra di Matteo, considerato il ragazzo più carino della classe. E
della scuola. E, a dirla tutta, le dolci fanciulle del liceo non usavano certo
“carino” come definizione, anzi, paragonato a cosa usciva dalla loro boccuccia,
la parola “carino” era un gentile eufemismo.
Strinse gli occhi, l’invidia che cominciava a mordergli e lacerargli lo stomaco,
pezzo dopo pezzo.
Matteo era simpatico, intelligente, alto e con un fisico tecnicamente
*perfetto*, con quei capelli neri e gli occhi scuri, sempre sorridente ed
educato con tutti, perfino con gli altri ragazzi.
Era appunto questo, il grande problema.
Matteo era perfino ragionevolmente sopportabile, aveva anche un discreto senso
dell’umorismo. Anche Gabriele, gli doleva ammetterlo, poteva considerarlo una
specie di…amico. Ma poteva scommettere tutta la sua paga settimanale che, appena
Matteo girava le spalle, ogni ragazzo presente gli augurava di cariarsi quella
fila di denti bianchi e regolari che riposavano nella sua bocca. Se non di
peggio…
Anche il ragazzo più corteggiato dell’istituto, tuttavia, non sembrava essere
immune all’azione soporifera dell’ora di filosofia. Invece che prendere appunti,
giocherellava con la matita, il mento appoggiato alla mano destra e lo sguardo
indolente, immobile sull’infisso della finestra.
- Bobo…Ehi, Bo - Laura lo stava chiamando, sottovoce, picchiettando la penna
sulla testa del giovane. Quello si alzò, scocciato, un sopracciglio inarcato
-Che c’è? Non dirmi che hai smesso di prendere appunti…- disse in un soffio,
sarcastico. La ragazza strinse gli occhi scuri, solitamente così allegri e
ridenti nelle lentiggini, trafiggendolo con un’occhiata al vetriolo.
Gabriele sapeva benissimo che non c’era da scherzare quando gli rivolgeva quelle
occhiatacce. Poteva anche decidere di non dargli più quei preziosissimi appunti,
tanto precisi. Catastrofe.
Deglutì, teso
- Emh…Cos… - ma non fece in tempo a finire la frase che gli posò un bigliettino
piegato sul banco, scocciata.
- Da Luca…E non sono la vostra postina, di grazia… - e tornò alla lezione,
imbronciata.
Il giovane alzò lo sguardo, incrociando quello di un sedicenne davanti a lui,
sulla sinistra, alto e dai fluenti ricci castano chiaro. Gli stava sorridendo,
uno di quei sorrisi sornioni che parlano da soli. E indicava il biglietto con
l’indice, eloquente.
Ecco, l’altra persona che completava il terzetto. Con Laura, ovviamente.
Luca, il ragazzo più vulcanico che avesse mai conosciuto. Lui, Gabriele, era
sempre stato abbastanza tranquillo e riflessivo, quanto basta per tenersi fuori
dai guai. Aveva sempre avuto quell’aria calma e disinvolta, che sua madre
criticava sempre, definendolo freddo. La sua cara mamma aveva esultato come se
suo figlio avesse appena preso un dieci e lode in una versione di greco, quando
aveva conosciuto l’esuberante Luca, sempre così sicuro di sé, tutto calcio e
ragazze. Sempre così protettivo con la sorellina, sempre attaccabrighe e
saccente, solo Laura sembrava tenergli testa. Egregiamente, anche.
Nascose il biglietto dietro l’astuccio, spiegandolo lentamente. La grafia
stretta e spigolosa dello stampatello dell’amico gli si presentò in cinque
parole, precise e laconiche
- Scommetto che
non ci riesci...
-
Corrugò le sopracciglia. Adesso, oltre che irrimediabilmente pazzo, era
anche diventato un ermetico?
Prese la penna e scrisse rapido la risposta, nascondendo il foglietto a Laura
che cercava di leggerlo con studiata indifferenza, gettando occhiatine da sopra
il foglio fitto di appunti. Almeno, questa soddisfazione non gliel’avrebbe data.
- Non capisco cosa intendi. -
Rispedì il biglietto al mittente con un lancio calibrato, e si chiese come
facesse il professore a non averlo visto. Ma, evidentemente, questo filosofo
“come-si-chiama” era più importante del previsto…
Vide Luca leggere il biglietto e ridacchiare. Appallottolò il foglio e si girò
nuovamente verso l’amico, mimando con la mano il gesto di “dopo”, non facendo
altro che fomentare la sua curiosità.
Qualche secondo dopo, il tanto agognato trillo della campanella segnò la fine
della lezione e il conseguente inizio dell’intervallo. Finalmente…
- Per la prossima volta, leggetevi il capitolo dedicato agli atomisti e ai
pluralisti…Buona giornata. - si congedò il prof, uscendo dall’aula e diretto
verso l’aula professori del piano terra. Evidentemente, aveva una certa fretta…
- Si, certo… - sbuffò Filippo, un ragazzo abbastanza basso e dai capelli castani
sempre in disordine, prendendo il pacchetto delle sigarette –Contaci- e scappò
fuori, nella fredda aria di dicembre, deciso a fumare quanto più poteva in
quello scarno quarto d’ora dell’intervallo, seguito da numerosi compagni di
classe.
Gabriele si alzò, stiracchiandosi come un gatto, passandosi una mano nei ciuffi
castani, rigorosamente alzati dal gel, che lo facevano assomigliare ad un
riccio. Un riccio dagli occhi verde scuro.
Rivolse un’occhiata di soppiatto a Cecilia, che stava chiacchierando
tranquillamente con Simona, la sua amica, mentre usciva dalla porta della
classe. La sentì ridere, quella sua risata cristallina, come tanti campanellini
d’argento, quando gli passò giusto a fianco. Gabriele percepì, improvvisamente,
la parte sinistra del suo corpo percorsa da scariche e, stranamente, incapace di
muoversi.
Il tocco delicato della mano di Luca sulla nuca lo riscosse
- Ehi, terra chiama Bo! - rise il biondino, trafitto da un’occhiata di Gabriele,
che si massaggiava la nuca dolorante – Andiamo fuori a farci un giro -
- Vuoi scherzare? - lo riprese Laura, incrociando le braccia – Si muore dal
freddo, non so se hai notato…ma siamo a dicembre -
- Esistono i cappotti, Lau, a questo mondo… - rispose, facendole il verso. La
ragazza non rispose, limitandosi a sospirare e infilarsi il piumino nero. Matteo
si presentò davanti a loro, in maniche di camicia, i neri capelli gli ricadevano
davanti agli occhi, schiusi in un sorriso
- Laura, lasciali perdere…Perché non vieni a fare un giro con me? - propose, con
fare da galantuomo, il tono ironicamente pomposo. La giovane ridacchiò,
scoccando un’occhiata ai due giovani
- Andate avanti, vi raggiungo… -
Matteo si infilò il giubbotto di jeans, sdrucito e scolorito ad arte, porgendo
il braccio a Laura
- My Lady…A dopo, ragazzi -
Quella sorrise, prendendolo a braccetto, un leggero rossore diffuso sulle gote
della pelle chiara, mentre lo seguiva nel vasto giardino della scuola. Gabriele
notò che Luca seguì l’operazione con un leggero fastidio, una ruga di disappunto
tra le sopracciglia di oro scuro. Poi, quell’ombra nei suoi occhi grigi passò
rapida, e si rivolse all’amico
- Usciamo? Qua dentro sto cominciando a soffocare. -
Il moretto si mise lo smanicato imbottito, calcandosi le mani in tasca e
chiudendosi la porta alle spalle.
Evitò di domandare a Luca perché gli avesse dato fastidio che Matteo se ne fosse
andato in giro con Laura. Non ci voleva certo un filosofo, per capirlo.
***
Il sole del dodicesimo mese faceva capolino nel cielo pallido, sprazzi di nubi
chiare e soffici si muovevano pigramente, preannunciando una nevicata
abbondante. Luca guardò in su, il respiro che si condensava davanti a lui, le
mani incrociate dietro la nuca
- Speriamo che nevichi, per questo Natale… -
- Lu… -
- …sai che mia sorella ha detto che mi ha già comprato un regalo? -
- Luca… -
- …e io non ho ancora pens… -
- Luca!! - sbottò Gabriele, interrompendo la parlantina del giovane. Quello lo
guardò, inarcando un sopracciglio, sorpreso
- Che ti prende? -
- Che cosa, non riuscirei a fare…? -
Il biondino rifletté e, dopo, sorrise malizioso
- Ah, quello… -
Gabriele si rabbuiò e si chiese se, per caso, non potesse far passare l’occhio
nero che desiderava immensamente fare a Luca un incidente. Si immaginò
nell’ufficio del preside, davanti alla sua scrivania, mentre spiegava con aria
affranta di come il ramo spoglio della betulla sotto la quale si trovavano era
improvvisamente caduto, centrando l’occhio destro del suo amico, e che solo la
prontezza dei suoi riflessi aveva salvato da fine ben peggiore. E poteva
consigliare all’uomo di chiamare Cecilia e informarla del suo atto eroico.
Anzi no, meglio un annuncio ufficiale…
- Ok, ok, te lo dico… - la voce contrariata di Luca interruppe i suoi pensieri
di gloria – Anche se dovresti averlo capito. -
Si guardò attorno, come a voler controllare che non ci fosse nessuno ad
ascoltarli. Poco distante, un capannello di studenti dell’ultimo anno fumavano
come ciminiere, riempiendo l’aria dell’acre odore del tabacco. Gabriele
riconobbe Stefano, il “ribelle” della scuola, una sigaretta tra le labbra e un
ghigno sul volto, abbracciato ad una ragazza di nome Sara. Accanto a Stefano,
Andrea, un giovanotto alto almeno 1.90, con lunghi dread e un pizzetto sul
mento.
Luca lo riscosse, e gli fece cenno di spostarsi dietro al tronco dell’albero, al
riparo da eventuali spioni
- Ti va di fare una scommessa? - propose il biondino, sfoderando il suo sorriso
più convincente.
Gabriele corrugò la fronte, dubbioso. Non è che si fidasse poi così tanto,
delle scommesse del suo amico…
L’ultima scommessa che ricordava, coinvolgeva il biondino e una decina di altre
persone. Quel simpaticone di Luca aveva messo in palio ben 50 € per chi
avesse bevuto un bicchiere intero di champagne tutto d’un fiato, all’ultima
festa di Capodanno, l’anno scorso. Inutile dire che, anche se ben più d’uno
aveva vinto la scommessa, Luca si era rifiutato di pagare. Non era finita
granché bene, la cosa.
- Su cosa, di preciso…? -
- Su chi, Bo, su chi è la domanda giusta. - ribattè il ragazzo, un
luccichio furbo negli occhi grigio chiaro.
Gabriele ci mise giusto un secondo netto a realizzare la “folle” intenzione che
animava il suo amico: il bigliettino nell’ora di filosofia, era solo il Preludio
del Disastro.
- No, assolutamente no! - il moro scosse la testa, scrutando poi Luca dritto in
viso – Non voglio compiere un suicidio sociale, grazie… -
- Oh, insomma! Scommetto che… -
- No… -
- …riuscirai a far innamorare di te… -
- Piantala, Lu -
- …la bella Cecilia, prima di Natale! - concluse teatrale il giovane, ignorando
le interruzioni dell’amico e incrociando le braccia, soddisfatto.
Gabriele rifletté sulle parole dell’amico, affranto. Non solo era un suicidio
sociale, visto che Cecilia non sarebbe di certo rimasta zitta dopo il suo
clamoroso e annunciato fallimento, ma era anche impossibile pensare che
l’aspirante Romeo riuscisse a far di lei la sua Giulietta prima di Natale.
- Che giorno è, oggi? - chiese sconsolato. Luca guardò l’orologio al polso,
scostando la lunga manica del giubbotto blu scuro.
- E’ il diciannove -
Fantastico, cinque giorni alla mia rovina…
- Allora? - incalzò il ragazzo – Non mi hai risposto. -
Il moro aprì bocca, per ribattere, ma una voce a loro conosciuta li interruppe
- A cosa, non ti avrebbe risposto? -
Laura, mia salvatrice.
- Dove hai lasciato quel damerino…? Credevo fossi in giro con lui… -
- Credevo non ti importasse… - rispose rapida, la lingua sibillina sempre pronta
a tacitare il ragazzo. Quello incassò, leggermente ammirato dalla velenosa
risposta.
Laura si rivolse a Gabriele, sorridendo
- Mi rispondi tu, Bobo, visto che questo qui - il “questo qui” in causa
si irritò – …non mi vuole spiegare? -
Il moro sospirò, passandosi nuovamente una mano nei capelli ispidi
- Beh…teoricamente, io e Lu avremmo fatto una scommessa… -
- Allora accetti? Lo sapevo! - esclamò Luca raggiante, afferrando la mano
dell’amico e stringendola con calore. Quello ricambiò, riluttante, consapevole
di aver appena firmato la sua condanna a morte.
No, si corresse, forse definirlo Patto con il Diavolo andrebbe meglio.
Si immaginò Luca vestito di rosso, due cornini appuntiti nei riccioli castano
chiaro, anche se questi ultimi erano più un attributo da cherubino, e un sorriso
alquanto *sadico* sulle labbra. Spostò lo sguardo su Laura, aspettando il suo
commento, per “vestirla” adeguatamente da angelo o piccolo demonietto.
La ragazza ascoltava le bizzarre farneticazioni di Luca, osservandolo con un
leggero sorriso stringere ancora la mano di Gabriele. Poi sospirò, stringendosi
nel nero cappotto
- Se mi dite su cosa avete scommesso, posso anche esprimere il mio parere. -
- Il nostro caro Bobo ha deciso di darsi una mossa con la sua bella! Con l’aiuto
e l’incoraggiamento del sottoscritto, ovvio… - spiegò il biondino, circondando
le spalle di Gabriele con il braccio. La ragazza li fissò, in silenzio,
soppesando la risposta.
- Umh…considero ogni tua scommessa, soprattutto questa, infantile… -
Gabriele sospirò, sollevato, drappeggiando l’amica di una bella tunica bianca e
due alette piumate sulla schiena, corredate da una scintillante aureola sospesa
sulla lunga chioma ramata.
- …ma potrebbe essere interessante, sai? - concluse, un sogghigno divertito che
si faceva strada sul suo volto, nella più fedele imitazione di Luca che le
avesse mai visto.
La speranza del moro crollò, e subito la tunica si tinse di rosso scuro,
accorciandosi ben sopra le ginocchia e le bianche piume delle ali caddero,
soppiantate da due ali nere, simil-pipistrello. Anche Laura aveva approvato quel
contratto a suo discapito, appoggiando l’amico.
Gabriele crollò il capo, rassegandosi. Se non provava, non poteva nemmeno sapere
se riusciva a combinare qualcosa…Era forse la sua ultima occasione di far colpo
su Cecilia.
- La sera del 25 c’è la Festa di Natale a casa di Matteo, lo sai, vero? - le
parole di Luca interruppero i suoi pensieri, richiamando la sua attenzione –
Quindi, hai cinque giorni, fino alla mezzanotte di Natale, per vincere questa
scommessa, come ti pare e piace. -
- E se vince? -
Laura era intervenuta, una domanda così sfacciata e improvvisa che spiazzò
entrambi. Luca perché non aveva considerato né previsto la partecipazione così
appassionata della giovane, Gabriele perché non si aspettava che l’amica credeva
avesse qualche speranza di vincere. Questo lo risollevò un pochino.
- Se vince… - il biondino cominciò, umettandosi le labbra - …farò anch’io la
stessa cosa che ho scommesso con Gabriele. - disse deciso, fissando il ragazzo
negli occhi color smeraldo.
Quello ricambiò lo sguardo, domandandosi se ci fosse “qualcosa” in quelle
parole, qualcosa che nemmeno Luca stesso aveva ben chiaro cosa fosse. Lo vide
rivolgere un’occhiata fugace a Laura, non visto, un’ombra brunita in quegli
occhi d’argento.
Un suono lontano, dall’ingresso della scuola, si insinuò nell’innaturale
silenzio che era sceso tra i tre.
- Andiamo…Abbiamo matematica, adesso. - rispose Laura, la voce dubbiosa,
squadrando i due amici che ancora si fissavano.
Luca indugiò, avviandosi poi in silenzio, precedendoli.
La ragazza prese per un braccio Gabriele, trattenendolo
- Ma che gli è preso? - gli sussurrò all’orecchio, seguendo la corrente di
studenti che rientravano nelle aule, per assistere alle lezioni. Il moretto
scosse la testa
- Non lo so, Lau…Dopo aver accettato questa scommessa, non credo di poter
dare risposte affidabili… -
***
So she said what’s the problem baby
What’s the problem I don't know
Well maybe I'm in love
Think about it, everytime I think about it
Can’t stop thinking ‘bout it
Counting Crows, Accidentally in Love
Il prolungato trillo della campanella che annunciava la fine delle lezioni venne accolta con sollievo da tutto l’istituto. Masse compatte di giovani dai quattordici ai diciannove anni si riversarono all’esterno del portone principale, attraversando di corsa il parco, i ritardatari che correvano a prendere l’ultimo autobus per casa.
Gabriele si mise lo zaino in spalla, aspettando Luca e Laura, impegnati in una loro solita discussione sugli appunti. Il moretto scosse la testa…
L’amico proprio non riusciva a capire che, per avere gli appunti di Laura, non bisognava usare la forza, ma l’astuzia. Avrebbe dovuto tenere qualche lezione in merito.
Cecilia e Simona uscirono dall’aula, la bionda cascata della ragazza nascosta nella morbida sciarpa bianca. Incrociò il suo sguardo e sorrise, dolcemente
- Ciao Gabriele, ciao ragazzi… ci vediamo domani - salutò con un cenno della mano.
I due non la considerarono nemmeno, lei impegnata nello stipare i libri nello zaino, lui a borbottare qualcosa al suo indirizzo, piantato a gambe larghe e braccia incrociate davanti alla ragazza.
Il moretto, invece, avrebbe voluto rispondere, ma in quel momento il suo stomaco sembrava stesse facendo le più sfrenate capriole, degne di qualsiasi saltimbanco che si rispetti. Gli uscì solo un suono soffocato, richiamante più che altro una convulsione.
Cecilia sembrò perplessa, mentre Simona lo guardava come se fosse una sottospecie di scarafaggio troppo cresciuto. No, peggio, si disse, uno scarafaggio ridotto in poltiglia…
Quando sentì i passi delle due ragazze spegnersi nel corridoio, desiderò ardentemente accasciarsi sul banco, oppure impiccarsi al soffitto seduta stante, era ancora indeciso sulle due opzioni. Forse, la seconda era decisamente più onorevole.
- Allora vai al diavolo! - una voce brusca interruppe le sue fantasie suicide – Chi li vuole i tuoi appunti?! -
Evidentemente, la lite era degenerata, come al solito. E in quel mentre, puntuale come una formula omerica, non poteva che arrivare il “contrattacco” di Laura.
La giovane lo guardò, furiosa. Si piazzò la cartella sulle spalle, allacciandosi alla meglio i bottoni del cappotto, e uscendo a passo di marcia dall’aula, segna degnare di uno sguardo né l’uno, né l’altro.
Gabriele sospirò.
La donne, tutte uguali. Mai che urlino o chiariscano il motivo, ma stai certo che metteranno il broncio fino alla fine dei secoli, e anche oltre. Anche se Laura, molto spesso, faceva egregiamente tutte le cose sopraccitate…e anche di peggio…
Luca, rabbuiato, si buttò lo spallaccio dello zaino sulla spalla destra, raggiungendo Gabriele sulla soglia della porta, che ancora lo stava attendendo. Il moro aprì bocca e fece per parlare
- Sai… -
- Non dire niente. - lo seccò il biondino, mentre ormai erano arrivati all’uscita e si inoltravano nel parco che circondava l’edificio. Erano sempre gli ultimi ad uscire, evitando in questo modo tutta la calca urlante.
Prendevano l’autobus insieme, anche se abitavano in due zone della città abbastanza diverse. Laura, invece, tornava a casa a piedi, soprattutto quando litigavano, cioè quasi sempre…
Ma chi prendeva l’autobus n° 34 delle 13.54 aveva un privilegio che tutti gli studenti del liceo avrebbero voluto possedere. E coloro che lo avevano, si impegnavano a difenderlo con le unghie e con i denti, anche a cazzotti se necessario.
Infatti, proprio mentre stavano aspettando il mezzo alla fermata, la videro. Arrivava dalla scuola, accompagnata da un giovanotto alto e moro, che le teneva un braccio piantato saldamente intorno alla vita, con fare possessivo. Ma, anche con questa clausola, potevano comunque ammirarla…
Alessia.
In ogni scuola, da che mondo e mondo, c’è ne una simile. Colei che ha l’assurda capacità di attirare verso di sé ogni sguardo maschile presente, l’eterna e algida “reginetta” del liceo, sempre impeccabile, gonna corta e tacchi alti, sempre quel sorriso stereotipato da concorso di bellezza, ma capace di far girare la testa ad ogni ragazzo nei dintorni.
La fanciulla in questione aveva lisci capelli biondo chiaro, che scendevano in onde sinuose lungo tutta la schiena, catturando ogni raggio del poco sole presente. Occhi azzurro ghiaccio, nasino piccolo e leggermente all’insù, fisico mozzafiato, messo in risalto da un maglioncino bianco con lo scollo a V, di morbida lana, che le lasciava scoperto parte del ventre piatto. Sopra portava un aderente giacca nera, corta fino alla vita. Certamente, anche il suo attuale ragazzo, non l’ultimo di una lunga precedente serie, non riusciva bene a capacitarsi della fortuna che aveva a stringere tra le sue braccia l’oggetto dei desideri di ogni maschio liceale; lo dimostrava il fatto che, invece che fissare davanti a sé, continuava a contemplare la giovane, rischiando di andare a sbattere contro la pensilina della fermata dell’autobus, che stavano attendendo.
Gabriele la fissò, abbastanza discreto, mentre si avvinghiava al collo del suo fidanzato, la corta gonna che le saliva sulle cosce magre. Scrutò Luca, con la coda dell’occhio, imbarazzato dallo sguardo che stava rivolgendo alla ragazza…Non lasciava nulla da intendere, come del resto quello degli altri.
- Ale, ci verresti a fare un giro con me? - chiese un ragazzotto dai corti capelli castani, facendosi avanti spavaldo. La giovane lo degnò di un’occhiata al vetriolo, disgustata, precedendo il fidanzato nella risposta
- Sparisci, non vedi che sono occupata? -
Gabriele e Luca ridacchiarono, cercando di trattenersi. Altra caratteristica di queste “reginette di bellezza” era l’immancabile presenza di un carattere decisamente insopportabile, accompagnato dalla non meno importante presenza di una lingua appuntita e velenosa. L’arma perfetta, per liquidare i numerosi pretendenti…
La bella Alessia era di un anno più grande di Gabriele e frequentava anch’essa l’indirizzo classico. Non gli aveva mai rivolto la parola, e il giovane si sarebbe stupito del contrario. Le ragazze come *quella* non sapevano nemmeno che lui esistesse, figurarsi intrattenere una conversazione…Tuttavia, incrociò il suo sguardo e la giovane lo salutò, con un educato cenno della mano dalle unghie lunghe.
Dieci paia di occhi, compresi quelli di Luca, si voltarono verso di lui, trafiggendolo, alcuni increduli, altri solo invidiosi. Gabriele si sentì leggermente osservato…
Fortunatamente, arrivò l’autobus, salvandolo da quella situazione. Alessia e il suo fidanzato salirono a bordo, senza che prima, quest’ultimo, lanciasse un’occhiata ammonitrice al suo indirizzo. Gabriele vide tutti i ragazzi e le ragazza salire a bordo, indugiando. Si sentiva un gladiatore in procinto di gettarsi nell’arena, pronto a lottare con le belve feroci.
Trattenne Luca per la manica
- Meglio se andiamo a piedi, che ne dici? - sussurrò, mentre l’autista li fissava, spazientito, aspettando che salissero. Il biondino lo guardò, scettico. Poi sospirò, facendo cenno all’uomo che li stava attendendo di andare. Le porte si richiusero e il pullman partì, senza trattenersi oltre.
- Cavolo, Bo, sono quasi le due! - sbottò Luca, stravaccandosi sulla panchina sotto la fermata – Mi spieghi che ti è preso? E inoltre… - si interruppe, fissandolo da sotto in su con i suoi occhi grigi – Com’è che conosci Alessia, me lo spieghi? -
Gabriele scosse la testa
- Mica la conosco… - si giustificò – Non mi aveva mai nemmeno rivolto la parola. - concluse, irritato dallo sguardo indagatore dell’amico.
Luca rise.
- Non ti sto accusando, tranquillo… - rispose – Solo che, mi sarei come minimo offeso se, qualora la conoscessi, non mi avessi mai presentato una sventola del genere… -
Gabriele inarcò un sopracciglio. Quel ragazzo non cambiava mai…
- Lu, io devo proprio andare - cominciò il moretto, mettendosi le mani in tasca – Sono già in ritardo…Tu che fai? -
Luca non si alzò, appoggiandosi allo schienale
- Aspetto il prossimo bus, tanto non ho fretta… - rispose, la voce indolente e strascicata.
- Come vuoi… - concluse Gabriele, facendo per avviarsi.
- Aspetta… - Luca lo richiamò. Il moretto si voltò, ricambiando lo sguardo
- Si? -
Luca si sporse, leggermente piegato in avanti, unendo le mani davanti a sé, tra le ginocchia. Stranamente, evitava il suo sguardo
- Secondo te, Laura… - s’interruppe, come se desiderasse che Gabriele lo fermasse. Ma questo incalzò
- …Laura? -
Luca sospirò, passandosi una mano nei riccioli d’oro scuro
- No, niente…Lascia stare, ok? - sorrise, quel suo solito sorriso impertinente.
Il moretto inarcò un sopracciglio, accennando un sorrisetto
- D’accordo, allora, ci vediamo. -
- Ciao… -
Si salutarono, nel loro solito modo svogliato, come se a nessuno dei due importasse qualcosa.
Gabriele si avviò, lasciandosi l’amico alle spalle, con la strana sensazione che il giovane volesse dirgli qualcosa, ma che si stesse trattenendo. Ma, arrivato ormai alla fine della via, quando girò l’angolo, si convinse di essersi sbagliato.