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Autore: Anaire_Celebrindal    06/06/2013    3 recensioni
" -L’hai mai vista, Aragorn? La bianca torre di Ecthelion?-
Il viso di Aragorn si distese appena in un leggero sorriso carico di nostalgia e dolore.
-Ho visto Minas Tirith- rispose, lentamente, cercando di misurare la tristezza nella voce che lottava per emergere -tempo fa.-
Boromir continuò a parlare di trombe argentate, di battaglie gloriose, di stirpi regali, ma Aragorn non ascoltava.
Cosa poteva mai sapere quell’uomo di Gondor?
Cosa sapeva il figlio del Sovrintendente del suo dolore?"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Boromir, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Buon pomeriggio!
So che mi pentirò presto di aver pubblicato questa fanfiction perché fa leggermente schifo, ma davvero non riuscivo a resistere al pensiero, spero solo di non disgustarvi troppo. 
I personaggi appartengono interamente alla mente geniale di J.R.R. Tolkien, vi prego di non linciarmi per averli profanati con la mia indegna scrittura.
La storia segue la versione della trasposizione cinematografica ma ci sono anche citazioni dell'opera originale, perciò ci sono espliciti riferimenti al film o al libro (le parti in corsivo).
Che altro aggiungere? Non linciatemi, vi prego...
 

***


 -L’hai mai vista, Aragorn? La bianca torre di Ecthelion?-
Il viso di Aragorn si distese appena in un leggero sorriso carico di nostalgia e dolore.
 -Ho visto Minas Tirith- rispose, lentamente, cercando di misurare la tristezza nella voce che lottava per emergere -tempo fa.-
Boromir continuò a parlare di trombe argentate, di battaglie gloriose, di stirpi regali, ma Aragorn non ascoltava.
Cosa poteva mai sapere quell’uomo di Gondor?
Cosa sapeva il figlio del Sovrintendente del suo dolore?
Aragorn sorrise appena quando Boromir finì di parlare. Si allontanò da lui, si diresse lontano dai suoi compagni.
Passò accanto a Frodo, dormiente, e i suoi occhi si posarono Sam, Merry, Pipino; piccoli hobbit... Non avrebbe mai dovuto lasciare che partissero per quel viaggio.
Si allontanò, non rispose allo sguardo interrogativo di Legolas. Aveva bisogno di stare da solo.
La breve conversazione con Boromir lo aveva infastidito e gli aveva aperto l’ennesima breccia nel cuore.
Aragorn non riusciva a immaginare quali sensazioni avrebbe dovuto provare al pensiero di Minas Tirith, la Torre Bianca; vedere gli occhi del figlio del Sovrintendente che scintillavano, parlandone, gli aveva soltanto ricordato di non avvertire minimamente lo stesso entusiasmo.
Chi era lui? L’erede di Isildur? Chi era, per sentire il cuore mancare davanti al regno dei figli di Elendil?
Perché non desiderava recarsi ai cancelli della Cittadella, come Boromir aveva raccontato, in una marcia trionfale che lo avrebbe accolto come un eroe?
Sapeva di essere un esule, un Ramingo. Lo leggeva negli occhi dei suoi interlocutori. Boromir, Elrond stesso.
Aragorn non desiderava il trono di Gondor. Non desiderava la spada di Elendil.
 -... Solo tu hai il potere di brandirla.-
 -Non voglio quel potere. Non l’ho mai voluto.-
Gli parve di sentire la voce, gli occhi di Elrond perforarlo e accusarlo; gli sembrò che il figlio di Eärendil gli stesse rimproverando di non aver agito, di essersi nascosto nell’ombra.
Boromir amava Minas Tirith. Boromir era un uomo che avrebbe meritato di diventare re. Il suo viso si distendeva e i suoi occhi brillavano quando lui parlava della Torre di Ecthelion.
Aragorn non l’amava. Non pensava di desiderare un potere che disprezzava.
Non invidiava gli antichi re del passato che erano stati seduti sul trono di Gondor e di Númenor. Sentì lo sconforto avvolgerlo come un manto. Non aveva la forza di reclamare il suo titolo, la sua discendenza.
I suoi pensieri turbinanti furono riempiti dagli antichi giorni felici trascorsi a Gran Burrone; giorni di vita serena, trascorsi in assoluta incoscienza e serenità.
 
Onen i-Estel Edain, ú-chebin Estel anim...
 
Gilraen...
 
Quelle parole amare risaltavano sottili e luminose anche dopo molti anni; sulla tomba di sua madre, ferendo come acciaio e fuoco.
 
No, Aragorn non avrebbe permesso che altri sacrificassero la vita, gioia e libertà che possedevano per donare a lui speranza.
Speranza... che cos’era la speranza?
Estel...
Dalla memoria emersero come rintocchi di campane le voci cristalline degli elfi che chiamavano il suo nome... ma quello non era il suo nome: Estel era il nome di un bambino felice e spensierato.
Aragorn non poteva rispondere a chi lo chiamava Estel.
La speranza era il desiderio di sopravvivere alla guerra.
La speranza era guardare le stelle e non voler distogliere lo sguardo, era un pensiero per Arwen, prima che tutto iniziasse o finisse...
Aragorn sapeva davvero cos’era la speranza?
 
 -Non ho nulla di più prezioso da dare dei doni che avete già.-
 
Aragorn pensò a lungo alla frase rivoltagli da Galadriel, mentre affondava ritmicamente il remo ai fianchi della barca leggera, con spruzzi e scrosci nell’acqua grigia dell’Anduin.
I doni che avete già...
Non avrebbe dovuto lasciare che Arwen rinunciasse all’immortalità. Non poteva.
C’erano troppe cose che Aragorn avrebbe dovuto fare e non aveva fatto.
Quale altro dovere da compiere? Quale altra eredità lasciata dalla sua stirpe?
                                                                                                  
Legolas davanti, Gimli dietro.
Il ritmo della corsa era incalzante, ma non era per quello che il respiro di Aragorn si spezzava spesso.
Voleva restare solo, aveva bisogno di restare solo, ma non poteva.
Gli hobbit. Merry, Pipino... erano stati catturati da Saruman.
Boromir... era morto.
Frodo e Sam erano andati a Mordor, da soli.
La Compagnia aveva fallito. Lui aveva fallito.
Aveva sempre saputo che dopo l’addio di Gandalf ogni speranza sarebbe stata perduta.
Estel...
Non era quello il suo nome.
Che cos’era la speranza? 
Non era riuscito a proteggere Frodo, a salvare Boromir, Merry, Pipino.
L’unica strada che gli rimaneva, l’ultima azione da compiere prima che tutto fosse consegnato nelle mani del destino, si trovava ai piedi dell’Albero Bianco.
 
 -Dicono che non c’è speranza... -
Aragorn incontrò lo sguardo del ragazzino. Dodici, tredici anni al massimo. Pronto per la battaglia.
Lui aveva paura.
Certo che aveva paura, per Elbereth.
Tre centinaia di soldati contro diecimila Uruk-hai.
La difesa del fosso di Helm era un’impresa disperata. Persino il più ottimista avrebbe visto le proprie ragioni vacillare.
 -C’è sempre speranza.-
Estel...
Avrebbe risposto al richiamo della speranza?
 
 -Attendi il mio arrivo alla prima luce del quinto giorno. All’alba, guarda a est.-
Esisteva una luce, allora. Esisteva ancora un debole appiglio per coloro che avevano perso la fiducia.
La battaglia al Fosso di Helm era stata vinta, ma Aragorn non aveva ancora trovato pace.
Una sola cosa gli restava da fare: da troppo tempo non pensava, da troppo tempo non gli tornava alla mente il vero scopo del suo viaggio.
La sua strada ormai era dritta verso Minas Tirith, senza altri ostacoli. Era giunto il momento di spiccare la corsa, dello scatto finale prima dello scontro.
Aragorn voleva che il suo ultimo viaggio si concludesse in fretta, con la sua vittoria o con la sua morte.
All’ombra della Cittadella di Gondor, avrebbe comunque riposato.
 
 -Andúril, fiamma dell’Occidente, forgiata dai frammenti di Narsil.-
 -Metti da parte il Ramingo. Diventa ciò che sei nato per essere.-
Ciò che era nato per essere...
...Aragorn era nato per essere Estel.
 
Alte navi ed alti re,
tre volte tre.
Che portaron da terre sommerse
oltre il mare in tempesta?
Sette stelle e sette pietre
E un albero bianco.
 
La polvere si sollevava sotto gli zoccoli dei cavalli, mentre gli stendardi ondeggiavano appena, abbandonati sulle aste delle bandiere.
Non c’era vento.
Aragorn volse lo sguardo a Minas Tirith per l’ultima volta. Gli parve di avvertire lo sguardo di Éowyn penetrare le mura delle Case di Guarigione e seguire i suoi passi, in silenzio.
Scacciò quel pensiero.
 
Attraversavano i Campi del Pelennor, si dirigevano a Mordor. Dovevano fare in modo che lo sguardo di Sauron si distogliesse dal Monte Fato, per non rendere vana la missione di Frodo e Sam.
Stavano andando a portare speranza.
Estel...
Quello era il suo nome.
Aveva fatto ciò che doveva, brandiva la spada di Elendil, si era recato ai Sentieri dei Morti e aveva guarito i feriti della battaglia con l’athelas, rivelando le sue doti da guaritore. 
Cos’altro gli era rimasto da fare?
Esauriti i suoi doveri, di cosa era fatta la sua vita?
Faticava a immaginare un futuro lontano dalla polvere presso i Cancelli del Morannon.
Niente più guerra, niente più Estel.
Arwen non era partita per i Porti Grigi. Non avrebbe raggiunto la sua gente a Valinor.
Se lui avesse fallito... che ne sarebbe stato di Undómiel?
 
 -Figli di Gondor, di Rohan, fratelli miei... -
Il ritmo delle sue parole era scandito solo dagli zoccoli del cavallo. Nessun rumore, nessun ostacolo, come sempre.
Sembrava quasi che persino gli orchi avessero arrestato l’avanzata per ascoltare l’ultimo discorso prima che i soldati di Gondor, di Rohan, che lui chiamava fratelli, venissero uccisi.
Per cosa?
Estel...
Frodo era morto. Era tutto finito. Cosa avrebbe fatto Sauron, una volta recuperato l’Anello?
Estel...
Dovevano combattere per non voltare le spalle. Dovevano rimanere in piedi per non cadere, cadere per non fuggire.
Estel...
Attraverso la nebbia fitta degli anni e l’immensa distanza del tempo, Aragorn sentiva le voci cristalline degli elfi risuonare come rintocchi di campane ed emergere dal vago sottofondo di rumori piacevoli e delicati; il fruscio delle foglie, il cinguettio degli usignoli, lo scroscio del fiume.
 
Onen i-Estel Edain, ú-chebin Estel anim.
 
Minas Tirith...
Aragorn avrebbe voluto ascoltare le parole di Boromir, studiare la scintilla nei suoi occhi, l’emozione nella sua voce, per capire di cosa parlava davvero quando narrava di bellezza, gloria, trombe argentate.
L’albero bianco era fiorito di nuovo, Sauron era stato sconfitto.
Elessar aveva preso in moglie Undómiel il giorno di Mezza Estate.
Estel?
No, non più Estel.
A cosa serviva il ricordo carico di malinconia dei tempi antichi? A quale scopo ricordare le voci del Popolo delle Stelle, se Aragorn aveva accanto a sé la Stella più luminosa?
Avrebbe voluto aver ascoltato Boromir, per sapere se la gioia che lui provava alla vista della Torre di Ecthelion era la stessa del figlio del Sovrintendente, la stessa di molti altri.
La stessa dei figli di Elendil, ogniqualvolta tornavano alla Cittadella dopo essersene allontanati.
 
Estel...
 
Onen i-Estel Edain...
 
Alte navi ed alti re.
 

Le sette stelle erano risorte, le pietre delle sette rimaste, ritrovate, l'Albero bianco prosperava, insieme al ricordo di tempi dimenticati. Cosa era rimasto tra i flutti turbinanti del mare in tempesta? Quali altre meraviglie erano ancora sepolte tra le rovine di Númenor, nelle profondità dell’oceano?
Nessuna avrebbe potuto eguagliare la bellezza di Minas Anor, le sue centinaia di torri bianche come la neve, torri che scintillavano al sole, svettando sulla pianura, come calotte di ghiaccio sulle vette delle montagne.
Peccato che fosse troppo tardi affinché Boromir sapesse che Aragorn aveva capito. 


***

Si accettano commenti e critiche (soprattutto quelle) costruttive, spero di non aver suscitato la vostra ira funesta e non aver insultato le opere del Professore con questa misera One-shot che potevo risparmiarmi di scrivere.
Grazie in anticipo a tutti quelli che leggeranno senza uccidermi e a quelli che leggeranno E mi uccideranno, perché risparmierei la fatica di suicidarmi. 
Prendo congedo prima di suicidarmi davvero. 
Auguro a tutti una buona estate! Ne approfitterò per farvi cadere i capelli con un'altra delle mie schifezze.

Anairë

   
 
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