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Autore: literatureonhowtolose    06/06/2013    8 recensioni
Stisaac.
La musica a palla, le folle e le bevande alcoliche non sono cose da mischiare, se si è affetti da sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Stiles si ripromise, cosciente solo per metà dei propri pensieri, che l'avrebbe tenuto a mente per esperienze future.
Qualcuno gli pizzicò un fianco; sulle prime, Stilinski pensò fosse solamente l'ennesima coppia che, senza volere, gli aveva tirato una gomitata, ma girandosi – e provocandosi in tal modo un giramento di testa non indifferente – si rese conto che una persona era in piedi, ferma, davanti a lui. E quella persona era Isaac Lahey.
«Vuoi ballare?»
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Isaac Lahey, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Teen Wolf.
Titolo: «I knew you were trouble when you walked in.»  
Pairing e personaggi: Stisaac, Stiles Stilinski e Isaac Lahey, alcuni accenni di Scott, Lydia, Allison e Danny.
Raiting: Giallo.
Warning: Slash.
Ambientazione: Seconda stagione.
Beta: Cathlan (MI PROSTRO A TE)
Ci vediamo al fondo per note varie.

«I knew you were trouble when you walked in.»

«Oh, andiamo, Danny! Porterò Scott!» esclamò Stiles, esasperato, in un ultimo debole tentativo di convincere Danny a permettergli di andare alla sua festa, quella sera.

Evidentemente, però, la sua risorsa finale riuscì a farlo succedere nel suo intento, perché Danny sembrò considerare l'opzione con attenzione.

Finalmente. Stiles le aveva provate tutte, e se quest'asso nella manica non avesse funzionato, probabilmente avrebbe abbandonato l'impresa disperata e si sarebbe limitato a spalmarsi sul letto per giocare a uno dei suoi soliti videogames in assoluta comodità. Da solo. Cosa che aveva fatto per sedici anni della sua vita. Quasi diciassette, in realtà.

«Va bene, Stiles.» acconsentì Danny, roteando gli occhi. «Ora puoi smetterla di ronzarmi intorno e urtare il mio apparato uditivo con il suono inverosimilmente stridulo della tua voce? Mi sta dando sui nervi.»

Stiles esultò interiormente, e scagliò il pugno in aria; sapeva che la cotta mostruosa che Danny nutriva per Scott l'avrebbe spinto ad accettare qualsiasi circostanza, comprendente o non comprendente Stiles.

Avrebbe voluto protestare, dire che il suo tono era più armonioso di quella di un usignolo o roba del genere – tutto ciò esagerando ulteriormente l'intonazione cigolante –, giusto per infastidire un altro po' il coetaneo. Adorava dar fastidio alla gente; la sua attitudine al farlo, però, non era cominciata volontariamente: lui era irritante di natura e, a forza di sentirselo ripetere, aveva imparato ad accettarlo e a trarne divertimento. Uno dei personaggi migliori di una delle sue saghe preferite, d'altra parte, aveva detto: Trasforma chi sei nella tua forza così non potrà mai essere la tua debolezza. Fanne un'armatura e non potrà mai essere usata contro di te1”. E lui aveva pensato che fosse un consiglio meraviglioso.

Comunque, alla fine, si limitò ad annuire e indossare un sorriso sbieco, per evitare che Danny si pentisse della concessione che gli aveva appena fatto. In fondo, avrebbe avuto ancora molto tempo per esasperarlo, a festa finita.

Batté un paio di volte una mano sulla sua spalla sinistra, gli fece l'occhiolino e sfrecciò alla ricerca del suo migliore amico dotato di zanne.

  §§§

Convincere Scott non era stato per niente facile.

Un pelo più semplice di quanto non lo fosse stato con Danny, considerato che non ci aveva messo una settimanaprobabilmente più per mancanza di tempo che per altro –, ma comunque complicato.

Dopo svariate pressioni di tutti i generi, Scott aveva acconsentito di malavoglia, a patto che Allison non avesse avuto programmi differenti; in quel caso, in poche parole, Stiles avrebbe potuto cominciare a pensare a quale gioco di ruolo mandare avanti quella sera.

Per fortuna non dovette preoccuparsene. Allison disse che una festa sarebbe stata un buon proposito per riuscire a passare del tempo con Scott senza che i suoi genitori – specie sua madre – se ne accorgessero, e che era ciò di più vicino ad un appuntamento potessero avere, di quei tempi. Dopo averla consultata – grazie al loro fidato messaggero iperattivo che dovette fare il giro della scuola quattro volte e mezza rischiando l'infarto , Scott fu malleabile quanto il burro. Un classico.

Stiles accompagnò Scott con la sua Jeep; Allison venne insieme a Lydia, che ovviamente non si lasciò scappare l'occasione di una festa piena di gente “importante” in cui, sperando, avrebbe recuperato un po' della sua buona reputazione perduta.

Una volta dentro, i quattro si dispersero. Logicamente, Allison e Scott se ne andarono per i fatti loro; e ancor più logicamente, Lydia non degnò Stiles di uno sguardo, andando subito in cerca di qualcuno con cui ballare o anche solo sostenere una conversazione normale e, possibilmente, decente. Stiles quasi non ci rimase male. Quasi. Insomma, Lydia lo ignorava da sedici anni, duecentocinquantasei giorni, ventuno ore, quaranta minuti e ventisette secondi, un po' di tempo in più passato al di fuori del suo radar non l'avrebbe ucciso.

Però non gli avrebbe nemmeno fatto bene. Tentò di cancellare quel pensiero dalla mente con una vigorosa scrollata del capo, ma capì immediatamente che non era la cosa migliore da fare in mezzo a un centinaio di persone, con musica dal volume portato al massimo consentito che gli risuonava in tutto il corpo, e quindi si arrestò di colpo. In primo luogo, perché a continuare avrebbe rischiato di parere coglione ancora prima di aver aperto bocca, il che sarebbe stato pressoché un record personale. E in secondo luogo, perché un bel mal di testa a quel punto non glielo avrebbe tolto nessuno. Si fermò con uno scatto brusco e inspirò, guardandosi intorno per verificare che i presenti non gli stessero rivolgendo sguardi strani alla “... ma ce la fai?”; si stava creando più problemi di quanti effettivamente se ne ponessero, come al solito. Stiles, andiamo – si disse – cerca di dare un senso alla parola “normale”, per una volta nella tua stupidissima vita.

La parola normale può significare tante cose e può includere una vasta gamma di comportamenti. Ovviamente, Stiles assunse ogni atteggiamento gli fu possibile assumere, tranne quelli classificabili sotto la voce “normalità”. Cominciando con l'assumere alcolici, pur sapendo che la sua capacità di reggere l'acool equivaleva a quella di un pesce di andare in bicicletta.

Inutile dire che, a venti minuti dall'inizio della festa, era già, se non ubriaco, quantomeno brillo. Molto brillo. Diciamo più brillo-tendente-allo-sbronzo. E si chiedeva, pur con la mente annebbiata, da dove diavolo sbucassero tutti quegli alcolici, e come avessero fatto dei minorenni a procurarseli. Decise molto presto di lasciar perdere, comunque.

Non stava, apparentemente, facendo nulla di utile alla società; era probabile che dentro la sua testa fossero in atto chissà quali macchinazioni, ma si limitava a saltellare sul posto fissando un punto indefinito del pavimento mentre la gente lo urtava, intenta a ballare, e se aveva tempo lo studiava anche attentamente, cercando di capire quale fosse la sua grave malattia.

La musica a palla, le folle e le bevande alcoliche non sono cose da mischiare, se si è affetti da sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Stiles si ripromise, cosciente solo per metà dei propri pensieri, che l'avrebbe tenuto a mente per esperienze future.

Qualcuno gli pizzicò un fianco; sulle prime, Stilinski pensò fosse solamente l'ennesima coppia che, senza volere, gli aveva tirato una gomitata, ma girandosi – e provocandosi in tal modo un giramento di testa non indifferente – si rese conto che una persona era in piedi, ferma, davanti a lui. E quella persona era Isaac Lahey.

«Posso chiederti che cosa stai facendo?» esordì, le sopracciglia aggrottate e un sorriso sghembo. Il suo tono di voce era alto, quasi urlato, perché altrimenti non sarebbe riuscito a farsi sentire sopra al frastuono.

«No.» rispose Stiles, lasciandogli a stento il tempo di terminare la frase. No? Da dove gli era uscita? Tutti sanno che “no” non è una delle opzioni possibili per rispondere a domande del genere.

Isaac rise, prima di dire: «Okay.»

Stiles spalancò gli occhi; non si sarebbe aspettato una reazione del genere davanti alla sua infinita stupidità, amplificata in qualche modo dal coca malibù che si era appena scolato. Oltretutto, a lui, il coca malibù faceva schifo.

Era nervoso, infatti cominciò a mordersi il labbro inferiore. Isaac non era suo amico, né tanto meno lo era di Scott. Stava nel branco di Derek, e ciò che stava facendo Derek in quel periodo non era giusto, secondo il suo migliore amico. Stiles si chiese se, per caso, i suoi pensieri non venissero influenzati troppo da ciò che Scott riteneva sicuro e buono, ma scacciò subito l'idea. Non fare lo stronzo, Stiles – si disse – nemmeno tu pensi che stia facendo le cose più sensate fra tutte le cose sensate. In ogni caso non era Derek il punto, in quel momento. Doveva decidere cosa aspettarsi da Isaac Lahey e capire se scappare a gambe levate o starsene lì, preferibilmente continuando a saltellare sul posto, cosa che lo rilassava.

«Non devi avere paura di me.»

Cacchio.

Siles odiava i lupi mannari e i loro super sensi. Li odiava con tutto il cuore. Avrebbe potuto versarsi addosso il contenuto di tutte le bottiglie di vodka presenti in quel posto, e Isaac sarebbe lo stesso riuscito a sentire il timore che provava nei suoi confronti, oltre all'inconfondibile puzzo di alcolici. Chissà che odore ha, la paura – si chiese Stiles.

«Non è stato Derek a mandarmi.»

Al sentire quelle parole, Stiles si rilassò leggermente. Le spalle, che non si era accorto di aver alzato, tornarono nella loro posizione abituale. Un piccolo sospiro fuoriuscì dalla sua bocca.

«Non sei più loquace, di solito?» domandò Isaac, facendosi scivolare le mani dentro alle tasche dei jeans a vita bassa.

Stiles lo osservò con attenzione per la prima volta nella vita. Alto, capelli biondo cenere dai ricci perfetti – proprio come nelle pubblicità –, occhi d'un azzurro ghiacciato, mascella pronunciata, bel fisico. Un secondo prima era impegnato ad apprezzare fin troppo il suo aspetto e il secondo successivo si stava chiedendo perché l'aspetto di un ragazzo gli pareva fin troppo apprezzabile. Non aveva mai realmente pensato al proprio orientamento sessuale, siccome aveva passato dietro a Lydia tutto il tempo che riusciva a ricordarsi, però guardando Isaac si chiese se, per caso, non avesse trovato qualche altro ragazzo carino, prima di quel momento. Avrebbe davvero voluto ricordare qualcuno in particolare, ma l'espressione con la quale Isaac lo stava guardando non gli permetteva di concentrarsi su molto altro. La sua nuca era leggermente inclinata verso sinistra, le labbra dischiuse e gli occhi assottigliati; aspettava una risposta che Stiles non riusciva a dargli. E Stiles Stilinski sapeva sempre come rispondere, a meno che non si trattasse di un compito di chimica.

«Vuoi una domanda di riserva?» chiese Isaac.

Stiles si limitò a sbattere le palpebre. Non riuscì nemmeno ad annuire, e si sentì possibilmente più idiota di quanto Harris, con il suo squallido odio immotivato verso di lui, non gli avesse mai fatto credere di essere.

«E va bene.» si arrese Isaac, abbassando per un attimo lo sguardo. «Vuoi ballare?»

Quella volta, a Stiles, il responso uscì senza che nemmeno ci pensasse, cosa che probabilmente fu perfino peggio dei silenzi precedenti.

«Con te?»

Era certo di aver fatto una domanda stupida, ma era ciò che genuinamente si stava chiedendo. Perché lui non aveva voglia di ballare, ma se avesse dovuto farlo con Isaac sarebbe stato un altro paio di maniche. Sbuffò, pensando a come cinque minuti prima stava tentando di capire se fidarsi o no di lui. Il fatto strano è che ancora non ci era arrivato, ma stava brutalmente ignorando il campanello d'allarme che continuava a risuonargli in testa.

«Sì, beh, era quella l'idea.» ammise Isaac, tendendo una mano nella sua direzione.

«Oh mio Dio.» mormorò Stiles, certo che con quel baccano Isaac non sarebbe stato in grado di sentirlo.

Esitante, allungò a sua volta il braccio e strinse la mano del riccio, che iniziò a trascinarlo verso il centro della mischia.

Stiles non era mai stato ad una festa, escludendo, logicamente, quelle a cui partecipò negli anni fra l'asilo e le elementari, coi capellini di cartone a righe colorate, i palloncini e la torta con la panna. E anche lì, le occasioni furono limitate.

Non c'è bisogno di puntualizzare, allora, quanto fu complicato per lui tentare di capire cosa cavolo i sedicenni intendessero come “modo giusto di ballare”. I loro passi consistevano nel saltellare – cosa semplice per lui, dato che in ogni caso lo stava già facendo da più o meno un'ora –, strusciarsi l'uno sull'altro – cosa che gli sembrava decisamente fuori questione –, e sollevare una mano in aria ogni tanto senza apparente motivo – cosa che non avrebbe fatto semplicemente perché gli pareva stupida.

Isaac sembrava a suo agio, nella pista. Muoversi gli veniva naturale, e Stiles avrebbe disperatamente voluto essere in grado di imitarlo. Si sentiva fuori posto, come se Finstock si fosse di colpo deciso a piazzarlo sul campo da Lacrosse.

Avvertì il braccio di Isaac avvolgerglisi al fianco, la mano poggiata alla base della sua schiena, e rabbrividì. In un riflesso involontario si aggrappò alla spalla del riccio, ma lasciò che il braccio gli scivolasse nuovamente lungo il fianco quasi subito. Probabilmente Isaac stava fiutando il suo imbarazzo, e Stiles si maledì mentalmente per il suo comportamento da dodicenne isterica. Diamine, stavano solo ballando. Isaac era letteralmente appiccicato a lui, e tutti quei buoni propositi sul non strusciarsi di poco prima stavano per andare a farsi friggere insieme ai neuroni di Stiles, già deboli per via dell'alcool, però stavano comunque solo ballando.

L'effetto che quel goccio di troppo stava facendo a Stiles non era ciò che si sarebbe aspettato. Non stava male, né gli veniva da ridere o da fare qualsiasi cosa venga da fare alle persone quando esagerano con le bevande alcoliche; però, in qualche modo, tutto al di fuori di Isaac gli appariva confuso.

Era come se stesse usando una macchina fotografica senza riuscire a mettere a fuoco la scena in maniera adeguata. Isaac si vedeva chiaramente, ma lo sfondo – insieme alle persone che lo popolavano – era sfocato e mosso. Sbatté le palpebre svariate volte, ma non riuscì a migliorare la situazione.

A dieci minuti dall'inizio di quel loro strano contatto, Stiles iniziò a sentirsi meglio. Ormai aveva imparato a muoversi insieme al coetaneo, e non riusciva a smettere di far scorrere gli occhi su ogni centimetro della sua figura longilinea, studiandone i particolari più minuti. Era davvero bello; si stupì di non essersene reso conto prima. Non riusciva a capire come Lydia avesse potuto per così tanto tempo oscurare quel peculiare tipo di fascino. Stiles si rimproverò per non aver mai osservato con più attenzione chi lo circondava.

A volte i loro sguardi si incontravano, ma Stiles non riusciva a leggere nessuna emozione dentro a quelle iridi ghiacciate; non era mai stato bravo con quelle cose, non sapeva guardare nell'anima degli altri. D'altro canto, era convinto che Isaac avesse catturato ogni sua più flebile sensazione. Quel ragazzo gli sembrava molto più capace di lui, e non era certo fosse dovuto alla sua parte lupesca. Isaac, semplicemente, sapeva come e dove guardare. Poi fece una cosa che Stiles non capì; si avvicinò ulteriormente a lui, i loro corpi ormai aderenti l'uno all'altro, e infilò la testa nell'incavo del collo dell'umano.

Stiles si immobilizzò. Sulle prime credette che anche Isaac fosse fermo, ma poi sentì. Lo stava annusando.

Stiles riteneva di essere abituato ai lupi mannari e al loro comportamento, ma a Scott – grazie al cielo – non era mai venuto in mente di mettersi ad annusargli la pelle senza una motivazione valida. Pensò che, in effetti, da parte del suo migliore amico sarebbe stato ridicolo, ma ciò che gli stava facendo Isaac non lo era affatto. Anzi, gli piaceva. Era un po' come se il riccio stesse facendo del suo meglio per cogliere ogni più delicata sfumatura della sua fragranza, in modo da non potersela mai dimenticare.

Stiles buttò la testa all'indietro, per fare più spazio ad Isaac, che strusciò la punta del naso contro la sua gola; poi, quasi impercettibilmente, cominciò a baciarla. La fortuna di Stiles fu che Isaac lo stava ancora tenendo stretto, perché altrimenti era certo che sarebbe caduto. Le gambe, infatti, gli erano cedute non appena il tipo di contatto fra lui e Isaac era cambiato.

Nessuno aveva mai baciato Stiles, tolti, ovviamente, parenti vari. Non aveva idea, perciò, di quanto delle semplici labbra potessero bruciare a contatto con la cute. Si aggrappò con entrambe le mani alla maglia di Isaac, mentre i suoi baci diventavano via via meno delicati, più umidi. Si fermò a succhiare un lembo di pelle proprio di fianco al pomo d'Adamo, e Stiles si sentì andare in fiamme. Provava un caldo allucinante, e la cosa assurda era che voleva sentirne di più. Aveva un uragano di emozioni all'altezza del petto che stava spazzando via tutto il resto; le uniche cose di cui era consapevole erano se stesso e Isaac. Non sentiva neanche più la musica.

Il lupo salì verso la mascella di Stiles e si allontanò di poco da lui, che grugnì il suo disappunto. Ma quando conficcò le sue iridi azzurre come il cielo in quelle dorate dell'altro, Stiles ci vide una richiesta muta: gli stava domandando il permesso per andare oltre. E Stiles voleva darglielo. Annuì talmente piano da rendersene a stento conto, ma evidentemente il riccio captò il movimento, perché tornò ad avvicinarsi pericolosamente al suo viso. E ciò che successe dopo, fu il momento più bello di tutta la serata, se non della vita intera dell'umano.

Stiles non avrebbe mai pensato che tali sensazioni esistessero. Era convinto che non sarebbero bastate tutte le gradazioni di colore al mondo per descrivere ciò che stava provando. Le labbra di Isaac sulle sue gli parevano la cosa più giusta in tutto quanto l'universo, come quando finalmente riesci a incastrare due pezzi di un puzzle difficili da collocare e ti sembra che tutto il resto a quel punto sia infinitamente semplice. La morbidezza che fin'ora gli aveva accarezzato con dolcezza il collo si era spostata sulle sue labbra immacolate, che mai nessuno prima aveva sfiorato. La lingua di Isaac premette sulla bocca serrata di Stiles, che la dischiuse, lasciandola entrare. Non sapeva quel che stava facendo, ma seguiva i movimenti lenti del riccio e la faccenda sembrava andare bene. Davvero più che bene. Isaac sapeva di cannella, e quel sapore pizzicava la lingua di Stiles facendolo impazzire. Non aveva un'idea precisa di ciò che voleva, ma ne voleva ancora. Desiderava solo che quello che stava succedendo non finisse mai. Era chiedere troppo? A lui non sembrava.

Fece scivolare le mani dietro al collo di isaac, si arpionò ai suoi bellissimi riccioli biondi, soffici come la seta, e prese l'iniziativa per la prima volta nella serata; si scostò a malincuore dalla bocca gonfia di baci dell'altro, che gemette sommessamente per l'interruzione improvvisa, e cominciò a mordere la linea squadrata e ben definita della sua mascella. Isaac mugolò. In un angolo remoto della sua mente, Stiles riuscì persino a pensare a quanto fosse contraddittorio mordere un lupo mannaro, ma non rimase affatto sorpreso da quanto poco una riflessione del genere riuscisse ad importare in quel momento. Quando cominciò a scendere verso il collo, baciando, leccando e mordendo tutta la pelle disponibile e cercando di imitare ciò che Isaac aveva fatto a lui in precedenza, sentì la stretta del lupo farsi più resistente; era così schiacciato contro di lui da riuscire a stento a respirare, e gli sarebbe andato bene se non avesse sentito provenire dal fondo della sua gola un basso ringhio fin troppo allarmante per i suoi gusti. Si era completamente dimenticato dello scarso autocontrollo dei lupi mannari da poco trasformati. Si allontanò bruscamente solo per vedere un bagliore giallo brillante comparire e scomparire quasi immediatamente dalle iridi di Isaac, che mollò la presa che stava esercitando su di lui e andò a sbattere contro un ragazzo intento a ballare.

La consapevolezza di avere delle gambe colpì Stiles insieme a quella di essere in mezzo a una folla di gente che si dimenava a ritmo di musica spazzatura dal volume assordante. Fu come se la bolla nel quale lui e Isaac si erano rinchiusi fosse esplosa contro uno spigolo, e tutto il mondo ci si fosse rovesciato all'interno. Stiles dovette resistere alla tentazione di tapparsi le orecchie per il fastidio, e quando incontrò nuovamente gli occhi del coetaneo notò quanto fosse sconvolto. Era vero che Stiles non era bravo a leggere le emozioni, ma lo spavento di Isaac era così palese che avrebbe dovuto essere cieco per non notarlo; e gli faceva così pena. Appariva chiaro che non si era reso conto di quanto la situazione gli stesse sfuggendo di mano, ed era estremamente preoccupato per ciò che avrebbe potuto fare se Stiles non si fosse accorto del cambiamento imminente. Si guardò le mani in cerca di artigli, ma erano ancora dotate di normali unghie da essere umano. Ci era mancato davvero poco. E, in fondo, era stata colpa di Stiles, o almeno era quello che Stiles stesso credeva. Se non avesse esagerato...

«E' meglio che vada.»

Isaac lo disse talmente piano che Stiles non avrebbe capito nulla se non avesse letto il labiale. Aprì la bocca per ribattere, perché francamente avrebbe preferito che rimanesse e che trovassero un modo per parlare di ciò che era successo. Ma poi pensò che era meglio lasciarlo andare; dovevano calmarsi tutti e due.

Annuì, cercando di sostenere il suo sguardo solo per ritrovarsi a fissare il pavimento un istante dopo. Ora che tutto stava sfumando via, mille domande si stavano affollando nella mente di Stiles, e lo stomaco cominciava a fargli male per il rimorso. Il peso della situazione assurda gli si era posato sulle spalle in un sol colpo, e sentiva come se un numero imprecisato di massi di considerevoli dimensioni stessero schiacciando la sua anima, privandola della propria consueta libertà. Sembrava che qualcuno gli stesse prendendo a martellate le tempie, e ora che il sapore di cannella che caratterizzava Isaac stava scomparendo dalle sue papille gustative, quello dell'alcool ingerito prima – più difficile da cancellare – stava tornando a farsi sentire. Gli bruciavano gli occhi; li puntò sulla figura di Isaac, che si stava allontanando e veniva man mano inghiottita dalla folla, e si accorse che ogni cosa che guardavano era innaturalmente sfocata.

Stava piangendo.

 §§§


Stiles era appoggiato alla portiera della sua amata Jeep. Si era allontanato dalla mischia non appena la situazione era andata per il verso sbagliato, e stava ancora cercando di capire come avessero fatto lui e Isaac ad arrivare a una simile circostanza. Si era calmato rispetto a poco prima, ma il suo umore era altalenante e grigio. Sospirò pesantemente. Di solito non permetteva nemmeno a se stesso di usare la sua Jeep come superficie alla quale accostarsi, perché lo riteneva un uso improprio per un oggetto tanto bello, ma il quel momento non riusciva a curarsene.

Era deluso da quanto successo, e persisteva in lui la convinzione di aver sbagliato qualcosa, anche se in fondo sapeva che il rischiato mutamento di Isaac non aveva nulla a che fare con il modo in cui Stiles aveva fatto ciò che aveva fatto, quanto con l'atto in sé. Un sorrisino gli spuntò sulle labbra malgrado tutto, perché se Isaac aveva perso il controllo probabilmente significava che era sensibile al suo tocco; però si premurò di farsi scomparire immediatamente la piccola curva dal viso, dato che ciò che era derivato da quell'audacia non era stato affatto piacevole. Fissò gli occhi sul pavimento, mentre lasciava scivolare le mani all'interno delle tasche della felpa più grossa di lui.

«Hey.»

Stiles non fu in grado di capire la cosa che lo colpì prima e maggiormente: se la voce di Isaac o la sua persona, che d'improvviso si era parata davanti a lui e lo stava inchiodando all'auto azzurra. Il pensiero dei lupi mannari e della loro fissazione per le drammatiche entrate in scena, condite con un pizzico di super velocità, lo fece sbuffare.

«... Hey.» rispose, l'incertezza ad incrinargli la voce.

Ora che si trovava di nuovo di fronte a quello strano ragazzo dai ricci biondi e gli occhi profondi, segnati da una vita difficile e da continue tempeste d'emozioni che Stiles faceva fatica a decifrare, gli venne da chiedersi cosa accidenti avessero combinato, e come avessero fatto a combinarlo. In che modo erano passati dal conoscersi a stento al cercare di ripulire i proprio pensieri e sentimenti riguardo all'altro per riuscire ad osservarli con maggior chiarezza?

«A proposito di quello che è successo poco fa...» cominciò Isaac, esitante.

«Già, ecco, cosa...» lo interruppe Stiles, per poi chiudere di scatto la bocca, accortosi dell'indiscrezione compiuta. «Scusa. Continua.»

Isaac rimase a guardarlo per un po'. Stiles si sentiva le sue iridi fredde posate addosso. Tentò di scostarsi da lui, ma il riccio glielo impedì bloccandolo per le braccia.

«Mi dispiace.» disse, infine, spiazzando Stiles che spalancò gli occhi e fece nuovamente aderire la schiena contro la superficie fredda della portiera, sorpreso. «Non è stata colpa tua.»

Stiles davvero non poteva sapere se Isaac avesse fiutato il suo rimorso o se semplicemente quell'ultimo trasparisse così tanto da essere palese, ma gli fu grato per quelle parole; lo tranquillizzarono e lo aiutarono a smaltire gran parte dell'ansia. Un briciolo di essa, però, continuava a galleggiargli nel petto, e non credeva se ne sarebbe andata tanto presto. Stiles ancora non sapeva cosa fossero lui e Isaac, né cosa avrebbero fatto da quel momento in poi, e questo lo turbava.

Prima che potesse fare domande o iniziare un discorso, però, Isaac si piegò su di lui e lo baciò. Fu un bacio casto, un leggero tocco di labbra, ma durò più a lungo di quanto Stiles si sarebbe aspettato; nel frattempo il lupo aveva lasciato liberi i polsi di Stilinski, il quale ne aveva subito approfittato per portare le mani dietro al suo collo e farle affondare nei suoi ricci morbidi.

Un colpo di tosse finto e sforzato portò i due a separarsi per scoprirne la fonte, e quando Stiles notò Scott a pochi metri da loro, con il volto colorato dall'espressione più imbarazzata che gli avesse mai visto sfoggiare, considerò molto seriamente la possibilità di mettersi a scavare una buca proprio nel punto in cui si trovava per buttarcisi dentro seguito da qualche tonnellata di terra.

Allontanò Isaac con una spinta, mettendoci più forza di quanta realmente avrebbe voluto usarne e facendolo quasi cadere, colto alla sprovvista. Quando si accorse della nota di rimprovero sul suo sguardo gli venne l'impulso di scusarsi, ma lo represse perché aveva cose peggiori di cui occuparsi, momentaneamente. Come per esempio il suo migliore amico guardone.

«In macchina, subito, corri e taci.» scandì.

Scott non mosse un muscolo.

«In macchina, Scott!» strillò, agitando le braccia in aria.

Questa volta McCall corse verso la Jeep, visibilmente allarmato, e ci si fiondò dentro.

Dire che Stiles era rosso quanto un peperone era talmente riduttivo da risultare ridicolo; era più simile a un semaforo, in effetti.

Si girò verso la portiera e iniziò ad armeggiare con la maniglia, ma le mani gli tremavano e la chiave non sembrava voler collaborare e infilarsi nel maledetto buco. Sentì Isaac ridacchiare, e l'impulso di tirargli un pugno lo colpì con una tale forza da convincerlo a farlo, quasi. Ma proprio mentre decideva se girarsi verso di lui e avventarglisi contro o no, il riccio si avvicinò al suo collo e lo baciò esattamente nel punto in cui aveva lasciato il segno violaceo del suo passaggio in precedenza. Stiles sussultò e fu scosso da un tremito, e un attimo dopo Isaac se n'era andato.

Se n'era andato, e basta.

Si ripromise che l'avrebbe cercato ovunque, nei giorni seguenti, per prenderlo a schiaffi e discutere con lui della situazione. Più per prenderlo a schiaffi, in realtà.

Ma prima avrebbe dovuto spiegare quanto successo al suo migliore amico, e spiegare a qualcuno qualcosa che non si ha nemmeno personalmente capito a fondo è terribilmente difficile.

Considerate le capacità di comprensione di Scott McCall, poi.

Stiles tirò un paio di testate al finestrino, prima di decidersi a entrare.

«Oh mio Dio.» ringhiò a denti stretti.
_____________________________________________________________

[1Riferimento a “Game of Thrones”, una celebre serie di libri da cui è stato anche tratto un telefilm che adoro. La frase è stata detta, di preciso, da Tyrion Lannister. E siccome Stiles è un nerdaccio, ho pensato ci stesse bene che leggesse qualcosa del genere, ecco.

Angolo a trecentosessanta gradi.
Non ho davvero idea di cosa dire su questa storia. Prima di tutto, sono convinta che nessuno la leggerà perché andiamo - tutto il mondo shippa Sterek, almeno in Italia. E non dico sia sbagliato, d'altra parte li shippo anche io, ma ecco... sono una Multishipper, e da brava Multishipper ho deciso che in Teen Wolf è impossibile avere una coppia fissa e preferita(....). E mi viene da piangere MA TRALASCIAMO VI PREGO. Torniamo alla storia. Era da un po' che volevo scrivere una Stisaac, mi è venuta quest'idea e ho colto l'opportunità al volo, nonostante sia una cosa campata in aria al massimo. Adoro entrambi i personaggi, sono i miei preferiti, e spero di non aver fatto un disastro con le caratterizzazioni perché è un punto su cui sono sempre molto insicura. Stiles è me, teoricamente, quindi spero di averci beccato almeno con lui. Boh.
Niente, per il resto direi che non c'è niente da spiegare. Ah- sì, questa storia è ambientata logicamente nella seconda serie, tra la trasformazione di Isaac e l'inizio delle varie ricerche sul Kanima. Mi sono figurata fosse un momento transitorio in cui ancora il problema non era troppo accentuato, e ho deciso che Danny avrebbe dato una festa perché mi serviva una festa(...). Grazie Danny(...). E ovviamente, gli immancabili "Oh mio Dio" di Stiles spiattellati ovunque. E il titolo è tratto dalla canzone di Taylor Swift (o Swiffer, come amo chiamarla) "I knew you were trouble". Bene- fine, parlo sempre troppo. Grazie mille per aver letto fin qua, grazie in anticipo per le recensioni e le varie cose lì di EFP(.....) e vi voglio bene, popolo -CICALE(...).- ♥
P.s: ODIO lo spazio fra le righe e EFP  si ostina ad appiopparmelo, mi incazzo come un'ape.

  
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