Dedicata a Mary_Jordan, scrittrice, lettrice, boss, ma
soprattutto amica.
Grazie.
Il dolore e l’angelo
House:
“Ragazzina! Te l’ho già detto, smettila!”
Cameron: “Di chiederti come stai o di guardarti?”
House: “Entrambe le cose, mi stai dando fastidio!”
Cameron: “Sai il mio spirito di crocerossina indomita vuole aiutarti. Forse se
mi dici cosa provi, il dolore potrebbe diminuire.”
House: “Non dire stupidaggini!”
House si stringeva la coscia con entrambe le mani, la fronte era imperlata dal
sudore e se lo sguardo potesse uccidere avrebbe ucciso l’immunologa molte
volte.
Cameron: “Ci sono studi decisamente prestigiosi e condotti con una metodologia
rigorosa, che sostengono che se il dolore viene condiviso con qualcuno questo
diminuisce e il malato diminuisce spontaneamente l’uso di antidolorifici.”
House: “Anche tu adesso? E va bene, sono un drogato di Vicodin, ma mi serve per
lavorare.”
Cameron: “Io non voglio togliertelo, abbiamo chiaramente visto cosa combini
quando sei in astinenza, sei più equilibrato con il Vicodin. Dicevo solamente
che magari se ne parli con qualcuno potresti stare meglio.”
House: “E con chi?”
Cameron: “Con la crocerossina che hai di fronte che vuole prendersi i mali di
tutto il mondo sulle sue spalle!” – Disse stizzita.
House: “E perché dovrei parlarne con te?”
Cameron: “Perché in questa stanza ci siamo solo io e te e a me va di
ascoltarti.”
House: “Sei dannatamente testarda!”
Cameron: “Lo so!” – Disse sorridendo mentre si sedeva sul poggia piedi davanti
a lui.
House: “Se ti parlo del mio dolore poi la smetterai di chiedermi come sto?”
Cameron: “Forse, dipende da quanto sarai convincente!”
House: “Te l’ho mai detto quanto rompi ragazzina?”
Lei lo guardò sorridendo, lui un lungo sospiro.
House si accomodò meglio sulla poltrona, strinse la coscia con entrambi le mani
e la guardò negli occhi: “Dio! Il dolore! Quel dolore che ti da alla testa, che
ti oscura i pensieri e non ti permette di concentrarti su nulla e vorresti toglierlo,
strapparti la carne, i nervi, le ossa, per poter stare meglio, anche solo per
cinque minuti. Quel dolore che ti sorprende la notte, che ti fa svegliare di
soprassalto e ti chiedi se ci sarà mai qualcosa che lo farà passare. Quel
dolore che ti prende di giorno mentre stai facendo una cosa qualsiasi come
mangiare, e te lo impedisce perché lo stomaco improvvisamente sembra
direttamente collegato con il dolore. Per un qualsiasi dolore prendi di tutto
perché scompaia, perché ti permetta di riprendere il controllo sulla tua vita,
o almeno sul tuo corpo. Ti fai di tutto perché il dolore scompaia. Ti picchi in
un altro punto per dirottare l’attenzione del cervello altrove, ma non ci
riesci, quel maledetto dolore è così forte e insistente che ti fa dondolare su
te stesso come nella speranza di lasciarlo dietro di se, ma lui è sempre lì, ti
raggiunge, ti massacra, ti fa battere i pungi sulla scrivania e non ti permette
nemmeno di urlarlo fuori perché non hai più il controllo su te stesso. Per un
istante o due sembra ridursi, ma poi ti aggredisce di nuovo con maggiore
intensità e allora ricominci a colpirti con più vigore e disperazione. Le tue
unghie affondano nella carne, ma non provocano abbastanza dolore per distrarre
il cervello da quel dolore ed è quello il momento in cui cominci a sbattere la
testa contro il muro, seguendo il ritmo del dolore che sembra crescere a
dismisura. E per ogni volta che la testa sbatte contro il muro, proprio in
quell’attimo, il cervello si dimentica dell’altro dolore, ma ogni volta che la
testa non colpisce più il muro il dolore torna a farsi sentire prepotentemente.
La cosa terrificante è che il dolore fisico è solo tuo, non lo puoi
condividere, non puoi darne un pezzetto agli altri, no il dolore è l’unica cosa
che a questo mondo sia solo tua. Con gli altri puoi condividere la tua
maleducazione, l’irritazione, la cattiveria che ti nasce dal fondo del cuore
quando una persona pretende di sapere come stai, che ti fa domande inutili,
magari chiedendoti se hai dolore o addirittura dove. Non si vede? Se non si
vede meglio, non mi interessa che altre persone oltre a me stesso sappiano dove
io provo dolore, perché il dolore è solo mio. Se ora ti colpissi con il mio
bastone per farti sentire il mio dolore che cosa ne ricaveremmo? Niente! O
meglio tu proveresti dolore per nulla e io non ne proverei di meno. Invece, il
sollievo dal dolore quello posso condividerlo, con una parola gentile, con un
sorriso, con una lode, ma ormai sono così sulla difensiva che non sono di buon
umore nemmeno quando posso esserlo sul serio. Il dolore è ancora lì, ma si sta
allontanando. Non è più necessario sbattere la testa contro al muro fino a
farla sanguinare, il dolore si sta ritirando, ma quello prova ancora a fare
qualche assalto che ti sorprende, perché hai abbassato le difese per un attimo.
La mente ricomincia a riempirsi di pensieri e giuri a te stesso di non arrivare
mai più a provare quel dolore, lo vuoi prevenire. Come? Strategia. Basta
calcolare ogni quanto quel maledetto si farà risentire, il tempo di azione
della roba che ti prendi per farlo passare, ma il dolore è un imbroglione e non
segue le regole dalla matematica o della statistica. Torna prima, torna più
forte, torna diverso e manda i tuoi piani in fumo e si ricomincia tutto da
capo.”
House si ritrovò con il fiatone e si sorprese di se stesso, aveva detto proprio
quello che pensava e l’aveva scaraventato addosso a Cameron tutto d’un fiato.
Lei lo guardava con gli occhi lucidi, prossimi al pianto.
House: “E adesso non piangere! Sei stata tu ad insistere!”
Cameron chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e poi lo guardò sorridendo
dicendogli: “Grazie!”
House: “Grazie per cosa?”
Cameron: “Per avermi detto che cosa si può condividere nel dolore.”
House: “Ma mi ascolti ragazzina quando parlo?”
Cameron: “Sempre!”
House: “E allora?”
Cameron: “Hai detto che le uniche cose che si possono condividere nel dolore
sono la maleducazione, l’irritazione e la cattiveria, mentre quando il dolore
se ne va puoi condividere il sollievo dicendo una buona parola o lodando
qualcuno.”
House fece una smorfia. – “Sei un diavolo di donna!”
Cameron: “Bisogna dire che è un miglioramento.”
House: “Miglioramento?”
Cameron: “Da ragazzina a donna… sono cresciuta!” – Disse con un’aria maliziosa.
House: “Adesso non montarti la testa!”
Cameron: “Non l’ho mai fatto, non vedo perché devo farlo proprio ora.”
Lui rimase fermo. Occhi negli occhi. Lei se ne accorse e sorrise, lui invece si
mantenne serio.
Cameron “Ora devo andare.”
House: “Dove?”
Cameron: “Al pronto soccorso. Grazie ancora.” – Glielo disse mentre si alzava.
Quando fu sulla porta si voltò e gli disse: “Mi sembra che il dolore sia
diminuito, è da un po’ che non ti stritoli la coscia. Ciao House!” – E
scomparve dalla sua vista.
Lui sorrise: “Diavolo di una donna, è peggio di un tornado e la cosa peggiore è
che ha ragione.”
Si alzò dalla sua poltrona e si diresse alla scrivania. Controllò le sue
playlist dell’ipod e scelse un artista per lui decisamente insolito Ben Harper.
Mentre l’arpeggio della chitarra di Ben Harper si diffondevano per la stanza
lui, House, cominciò a canticchiarla:
“Waiting on
an angel
one to carry me home
hope you come to see me soon
cause I don't want to go alone
I don't want to go alone
Now angel won't you come by me
angel hear my plea
take my hand lift me up
so that I can fly with thee
so that I can fly with thee
And I'm waiting on an angel
and I know it won't be long
to find myself a resting place
in my angel's arms
[…]”
House: “Diavolo
di una donna!” – Disse sorridendo.