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Autore: Neko no Yume    07/06/2013    4 recensioni
Fronte occidentale, la Marna a pochi chilometri e il frastuono degli eserciti che rimbomba ovunque.
Un respiro appena accennato e tremolante sotto una divisa tedesca, nemica.
Probabilmente i militari che presidiavano il suo ospedale l'avrebbero finito seduta stante, ma Sharon non era arrivata fin lì per mietere vite.

Poi, la mattina.
(wwi storical au; il titolo potrebbe o no essere una semi-citazione letteraria)
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sharon Ransworth, Xerxes Break
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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L'aria profumava.
Era gelida, tersa e carica di odori speziati, proprio come avrebbe dovuto essere in un giorno di dicembre inoltrato come quello.
E risuonava di mille rumori diversi: risate, voci concitate in lingue a lei sconosciute, passi per le strade sotto la finestra del suo appartamento.
A Sharon sfuggì un sospiro nel rendersi conto che, nonostante fossero già passati due anni da quando la guerra era finita, non era ancora riuscita ad abituarsi alla quotidianità della sua nuova vita.
Non le sembrava possibile di poter trascorrere una giornata senza dover sciacquarsi via il sangue dalle mani o senza le raffiche delle mitragliette nelle orecchie.
Eppure a Ginevra la tranquillità regnava sovrana sulla sua esistenza, sull'esistenza di tutti.
Un familiare odore di dopobarba le arrivò alle narici e la donna si voltò verso la sua provenienza, incontrando lo sguardo sorridente di Reim.
"Ben svegliata!" la salutò il suo coinquilino, per poi porgerle una tazza fumante in cui aveva versato del tè.
Lei lo ringraziò con un gesto del capo e bevve un sorso dell'infuso, ottimo come qualsiasi cosa preparata dall'uomo.
"Tra pochi giorni è Natale," commentò distrattamente.
"Già."
Era strano come ancora nessuno dei due fosse riuscito a capacitarsi del fatto che la guerra avesse concesso loro la possibilità di festeggiare qualcosa.
"Oggi vado al centro a comprare qualche decorazione," proseguì Sharon tra un sorso e l'altro, con una calma surreale come la loro situazione. "Ti va di accompagnarmi e passare per San Pietro?"
La cattedrale di San Pietro aveva sempre esercitato un certo fascino su entrambi, sin dalla prima volta che avevano messo piede in città.
Sebbene fossero entrambi atei (un effetto collaterale del campo, probabilmente), vi si recavano spesso.
A volte si limitavano a sedersi in disparte su qualche panca, lasciando riposare gli occhi sulle pareti di marmo grigio e le orecchie con il mormorio senza tempo e senza fine del prete.
Più raramente salivano la rampa di scale della torre sino ad arrivare al terrazzo in cima alla struttura, sul quale restavano a contemplare dall'alto il luogo che aveva accolto le loro anime distrutte dai bombardamenti finché non perdevano la sensibilità in più parti del corpo per il freddo impietoso.
"Perché no, magari distribuiranno vin brulé sul sagrato come l'anno scorso," acconsentì Reim, per poi allungare una mano a scompigliarle i capelli prima di sparire in cucina.
Il loro rapporto si era sempre limitato a simili piccoli gesti di affetto da quando, dopo l'evacuazione del loro ospedale, si erano ritrovati sulla stessa ambulanza e, più tardi, alla stessa stazione senza avere la più pallida idea di cosa fare o dove andare.
Avevano entrambi le loro famiglie ad attenderli in Inghilterra, ma erano troppo carichi di stanchezza e cicatrici per farvi ritorno, specialmente col clima di tensione che si continuava a respirare anche a guerra conclusa.
Nessuno dei due avrebbe saputo spiegare cosa li avesse spinti a guardarsi negli occhi e salire in silenzio sul primo treno diretto a Ginevra, assieme.
Forse erano le voci sull'inviolabile neutralità della Svizzera, voci che promettevano finalmente la pace.
O forse era il ricordo delle parole di un tedesco che entrambi non riuscivano a dimenticare, la speranza che anche lui fosse riuscito a trasferirsi lì come desiderava.
Sharon ricordava che i primi tempi non si era data pace; consultava giornali, documenti, inserzioni, veterani come loro che avessero potuto darle qualche notizia tangibile sulla sorte di Xerxes, solo per tornare a casa ogni volta più sfinita e scoraggiata.
Nessuno sembrava avere la più pallida idea di chi fosse Xerxes Break: solo lei e Reim ne conservavano la memoria, Reim che ogni sera la accoglieva in un abbraccio che era un'ancora di salvezza.
A poco a poco, un tentativo fallito dopo l'altro, una notte passata rannicchiata contro il petto del medico alla volta, aveva imparato a relegare il soldato straniero in un angolo della sua mente dove non faceva troppo male e aveva scoperto di amare la città in cui si erano ritrovati.
Ginevra era una capitale dove si mescolavano tre anime di uno stesso paese in una Babele di italiani, tedeschi e francesi, tutti indaffarati e tutti al loro posto.
Aveva un lago che in inverno ghiacciava assieme al parco circostante, una cattedrale da cui si potevano vedere le montagne innevate, un susseguirsi di edifici austeri e pittoreschi al tempo stesso.
A loro piaceva.
Ai loro fantasmi, liberi di confondersi nel caos multietnico che li circondava e di dissolversi come neve al sole, piaceva.
A lui sarebbe piaciuta.
Ma quella era una prospettiva a cui ormai lei aveva imparato a rinunciare.

"Allora, che decorazioni vorresti comprare?"
Camminavano a braccetto per le ampie strade del centro di Ginevra, al momento brulicanti di venditori, banchetti e persone come loro che si affrettavano a occuparsi delle ultime compere.
Sharon arricciò le labbra con espressione pensierosa, poi indicò una bancarella dai colori sgargianti poco più in là.
"Qualche pallina di vetro per l'albero, ne abbiamo così poche," commentò come se fosse stata la più grave mancanza che un essere umano avesse mai potuto compiere mentre trascinava Reim verso il banco rivestito in velluto rosso scintillante di manufatti in vetro soffiato, smaltato e colorato.
Si concesse alcuni lunghi istanti di pura e semplice meraviglia davanti a un tale spettacolo, perfettamente consapevole di sembrare una bambina.
Non che le importasse, in realtà.
Quei due anni di relativa pace alla fine erano riusciti a convincerla che aveva tutto il diritto di tornare a stupirsi per le piccole cose, anche perché l'alternativa era chiudersi in se stessa come tanti veterani carichi di incubi che aveva conosciuto.
Il suo coinquilino si era concesso la stessa libertà ed entrambi contemplavano a bocca aperta la merce della bancarella, senza la minima vergogna.
Lei fu la prima a riscuotersi e si affrettò a rivolgere un saluto al proprietario, un francese dai baffi così folti da sembrare una spazzola.
L'uomo le indicò con dita che sembravano salsicce arrostite un set di palline dai colori pastello e accanto dei cervi in vetro soffiato completi di una pinza metallica per appenderli alle fronde dell'albero.
Erano splendide, ma Sharon cercò lo sguardo di Reim prima di decidere.
Il medico si aggiustò gli occhiali sul naso con aria falsamente scettica, per poi cedere ai suoi occhi supplicanti e acconsentire all'acquisto con un cenno del capo.
Pochi minuti dopo la borsa della donna era appesantita da un pacchetto carico di decorazioni natalizie avvolte in un nido di ovatta e carta straccia per evitare che si incrinassero.
"Missione compiuta?" si informò il dottor Lunettes.
Lei annuì fischiettando e gli rivolse un sorriso raggiante che sorprese entrambi.
Si sorprendevano sempre quando uno dei due riusciva a sorridere per davvero.
Camminarono in silenzio per un po', poi il vicolo che avevano imboccato sfociò nella piccola piazza che faceva da sagrato alla cattedrale.
San Pietro era quasi buffa a vedersi da fuori, il campanile verdastro che svettava nel cielo senza c'entrare assolutamente nulla col resto (o almeno così era sempre sembraro a loro due) dell'architettura della chiesa.
Reim le tenne aperta la pesante porta in legno scuro mentre entrambi sgattaiolavano all'interno, poi la seguì verso una panca vuota nelle ultime file.
Faceva troppo freddo per pensare di salire fino al belvedere e i due si limitarono per un tacito accordo a restare seduti l'uno accanto all'altra nella penombra della cattedrale, mentre i loro occhi si abituavano con lentezza all'assenza della luce accecante della mattinata e le parole cantilenanti della liturgia lavavano via le loro paure come un tempo la Marna lavava via le macchie dal grembiule di Sharon.
Fu lei a notarlo per prima.
Teneva gli occhi socchiusi e il capo abbandonato contro la spalla dell'amico, ma era ancora abbastanza vigile da accorgersi che qualcun altro era appena entrato.
Lo sconosciuto si fermò incerto dopo aver fatto pochi passi lungo il corridoio e la donna assunse un'espressione nostalgica: dalla sua posizione riusciva a vedergli solo le scarpe e parte delle gambe, eppure era pronta a scommettere che il nuovo arrivato avesse avuto in volto lo stesso sconcerto che aveva provato lei due anni prima nell'entrare a San Pietro per la prima volta.
Uno sconcerto immerso in un'atmosfera talmente quieta da sembrare fuori dal tempo, fuori dall'universo intero.
Per quanto potesse sembrare strano, un sentimento simile era capace di far venire le lacrime agli occhi a chiunque fosse vissuto al fronte e il modo in cui il visitatore dalle scarpe eleganti sembrava ancora esitare le lasciava intuire che anche lui doveva essere reduce da un passato simile al suo.
Dovette passare un altro minuto abbondante prima che gli occhi di Sharon cogliessero finalmente un movimento delle gambe dell'uomo, dirette a passi timorosi verso la stella ala della cattedrale dove si trovavano loro.
Le seguì per pura curiosità, finché il loro percorso non si arrestò bruscamente proprio accanto alla panca sulla quale era seduta lei.
Le punte delle scarpe erano rivolte verso di lei, quindi stava probabilmente guardando nella sua direzione.
Si sollevò con uno sbuffo dalla spalla di Reim, che si voltò incuriosito, poi alzò lo sguardo verso l'alto e incontrò il viso che aveva cercato di cancellare dai propri ricordi per i precedenti due anni.
"...Fräulein?"
I capelli innaturalmente chiari brillavano nell'atmosfera immobile della cattedrale, un ciuffo più lungo degli altri lasciava intravedere una frastagliata cicatrice sull'occhio sinistro, quello destro era rosso e fisso su di lei.
Non avrebbe saputo dire per quanto sarebbe stata capace di fissarlo, incapace di dire una parola o formulare un pensiero coerente, ma svenne ancor prima di porsi la domanda.









Yu's corner.
Buenas dias, bella gente!
Eccoci qui col sesto capitolo e, diamine, che cambio di atmosfera che c'è stato.
Non ve l'aspettavate, eh? Eeeeeh?
Okay, la smetto di fare la simpatica.
Ad ogni modo, sono passati due anni dagli avvenimenti dei capitoli precedenti e al momento ci troviamo nel 1920.
Nel caso ve lo stiate chiedendo, sì, sono stata a Ginevra qualche anno fa e l'ho adorata nel modo più assoluto.
E ora è tempo di un annuncio importante... Il prossimo sarà al 99% l'ultimo della serie (lo so, sono negata a scrivere cose lunghe), ma non so quando sarò in grado di postarlo.
Ho gli esami di maturità che iniziano tra due settimane e tantissime cose da studiare/preparare/aiutononloso, quindi è probabile che dovrete aspettare un bel più del solito per conoscere la fine di questa storia.
Ma non temete, non vi lascerò col fiato sospeso per sempre!
Detto questo, mi auguro che questo capitolo vi sia piaciuto e vi mando tutto il mio affetto e amore.
Bye bye,
Yu.
  
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