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Autore: glaenzendefrau    08/06/2013    6 recensioni
« Cosa succederà » domanda Ciel, assente, asettico « quando comincerai a invecchiare? Ti stai già guardando allo specchio, in cerca di mille minuscole imperfezioni. Ben presto ci sarà una ruga che ti correrà sopra le sopracciglia. Sì, là dove adesso ti sfiori la fronte ».
Continua senza nemmeno fermarsi per respirare.
« E ben presto altre crepe si apriranno nel tuo viso, senza che tu possa fare nulla per fermare il tuo declino. E sarai curva e i tuoi occhi saranno ciechi e i tuoi capelli bianchi. E alla fine il tuo nome sarà scarabocchiato su un pezzo di carta, poi dimenticato in una biblioteca troppo vasta. Sarai cenere » qualcosa si incrina nella voce di Ciel « cenere in un caminetto, cenere in una casa vuota».
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciel Phantomhive, Elizabeth Middleford
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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cENERE2

Titolo: Cenere
Autore: Hikari_ (~Hikari)
Fandom: Kuroshitsuji/Black Butler
Personaggi/Pairing: Ciel/Elizabeth
Genere/Avvertimenti: Malinconico, Triste
Rating: Verde
Wordcount: 2233 (OpenOffice)
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Yana Toboso. E questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Tema della settimana: Tema libero
Nda: Scritta per il Decamemanicomeron e ambientata dopo il finale della seconda stagione dell'anime. È da un sacco di tempo che non scrivo su questo fandom (e la cosa mi mancava :3) quindi non so, spero che i miei personaggi assomiglino almeno un po' agli originali XD Buona lettura!



Cenere





Elizabeth si avvicina cauta alla finestra e scosta le pesanti tende di velluto.

Solo quando la carrozza scompare dalla sua vista e il rumore degli zoccoli sull'acciottolato si acquieta tira un sospiro di sollievo.
Si guarda intorno, circospetta. Nessuna cameriera sollecita, nessuna dama di compagnia pronta a intrattenerla con scacchi o sciocchi romanzi d'amore.

Fingere un'emicrania ha avuto i suoi effetti e, dopotutto, non è neppure una menzogna. È come se qualcuno stesse bussando, insistente, nel profondo della sua testa. Fammi entrare, dice, mentre non cessa di colpirla sulle tempie.

Elizabeth agita una mano. Ma cosa sto pensando, si dice. Sprofonda in una poltrona accanto al caminetto spento e fissa le ceneri che non sono ancora state spazzate via. Le scarpe, pensa, queste scarpe sono proprio strette. Dovrei toglierle. Allunga un braccio, ma subito lo lascia cadere.

Con gli occhi chiusi, evoca la figura di suo marito. Appena prima di calcarsi il cappello sulla fronte e aprire la porta di casa, si è voltato sollecito verso di lei e, con una mano guantata, l'ha presa per il polso.

Le ha consigliato di riguardarsi. Se vuoi, resto, le ha proposto. E lei avrebbe voluto dire sì, stai qui con me, stai qui per tutto il giorno, ma non ne ha avuto il coraggio.

Elizabeth ha nascosto il tremito che aveva nella voce e gli ha risposto che no, lei si sarebbe sdraiata e si sarebbe sentita subito meglio. Cosa avrebbe detto la marchesa Laurent, non vedendolo arrivare? Gli ha raddrizzato il colletto della camicia, gli ha spazzolato con un gesto debole. Meglio che tu vada, gli ha risposto. Ha fatto scivolare nell'asola l'ultimo bottone del suo cappotto, ha sentito il suo familiare odore di tabacco mescolato all'acqua di colonia. Starò bene.

Ora, però, i tratti di suo marito – la sua mascella volitiva, i suoi occhi scuri – si fanno sempre più sfocati, sempre più distanti, sostituiti da buio e da odore di aria viziata. Vede solo una figura curva che si allontana da lei e si rimpicciolisce, si rimpicciolisce sempre più. Sta arrivando, pensa Elizabeth, senza muoversi. Anche quest'anno non mancherà all'appuntamento.

Un lieve fruscio la fa sobbalzare, ma non osa aprire gli occhi. Resta abbandonata sulla poltrona, la schiena rigida, le dita che affondano nella stoffa serica della gonna. Attende, le palpebre serrate, il cuore che batte così forte che le pare di sentirlo rimbombare per i corridoi.
Le tende frusciano.

Nessun rumore di passi, nessun colpo di tosse.

Elizabeth abbassa le spalle. Forse non verrà, si dice, mentre tende l'orecchio. Forse si è dimenticato, dopotutto.

Potrebbe alzarsi e chiedere a Laura di portare un po' di legna per il caminetto. Il sole pallido che sbuca dalle nuvole in quei giorni non fa altro che gettare ombre lunghe e sbiadite nelle stanze. Elizabeth ha un brivido: gelo, pensa. È un gelo che le penetra fin dentro le ossa, che le serpeggia sottopelle e la costringe a tirare fuori le coperte invernali dagli armadi. Non è normale, pensa, mentre si sfrega le braccia. Non è proprio normale…

Il grammofono si accende ed Elizabeth sussulta.

« Te la ricordi ancora, vero? » domanda una voce acuta.

Elizabeth annuisce lenta: sa che un paio di occhi rossi la sta scrutando attentamente, in attesa di una risposta. Quante volte l'ha ascoltata, quante volte ha temuto che quel disco si rovinasse per il troppo uso? Si sedeva nell'atrio e dondolava i piedi al ritmo della musica, mentre due pallidi fantasmi di tredicenni, bassi ed evanescenti, volteggiavano di fronte a lei.

« Certo » mormora.

Dopo il loro secondo incontro, ha cercato di dimenticarsi di quel disco. Lo ha sepolto in soffitta, là dove aveva lasciato le sue bambole, i suoi orsacchiotti e le sue scarpette basse con il cinturino. Ogni tanto si avventura sulle scale usurate da anni e anni di piedi, il respiro trattenuto, per controllare che sia ancora al suo posto.

Ieri c'era una lunga crepa che lo solcava da parte a parte e lei l'ha seguita con il dito, assorta. Ha sospirato con così tanta forza che la candela stretta tra le sue dita si è quasi spenta. Meglio così, si è detta. Meglio così, si è ripetuta, le labbra strette e le braccia serrate attorno al busto, con la cera bollente che le colava sul polso.

Eppure, quello stesso disco ora gira, gira, gira e canta il suo valzer senza alcun difetto. È come se un'intera orchestra fosse entrata nel suo salotto.

« Chiedo scusa per il mio ritardo » le dice, senza emozione, il suo ospite.

Apre gli occhi ed eccolo lì. La stessa figura esile di cinque anni fa, gli stessi vestiti – scuri come le ali dei corvi – che gli cadono senza pieghe sulle spalle. Ha la pelle così bianca che basterebbe una carezza per sporcargliela.

Ciel Phantomhive piega la testa e la scruta con i suoi occhi rossi – non si preoccupa nemmeno più di mascherarli, né di coprirli con bende o fasce. Si sfrega le dita, indugia là dove una volta l'anello della sua casata gli rotolava sulla pelle.

«Sai, Lizzie » dice, indugiando su ogni singola sillaba del nomignolo che lei ha gettato via il giorno del suo matrimonio. « Non rinuncio mai agli appuntamenti. È sconveniente » Abbassa lo sguardo verso gli stivaletti ben allacciati di Elizabeth, poi corruga la fronte.

« Sono alte » commenta. « Che strano. Mi ricordo di quando portavi quelle scarpette con il cinturino, quelle da bambina, per compiacermi e per far finta che io fossi più alto ».

Elizabeth apre la bocca – per cosa? Per dirgli che si è sbagliato? – ma lui sorride e scuote la testa. Si appoggia al caminetto e il ciuffo di capelli gli copre l'occhio con la stella.

« Da quando sono cambiato » le spiega « capisco molte più cose. Vedo il vostro inganno. Vedo la vostra debolezza. Siete così fragili... » la sua voce si assottiglia, mentre alza una mano e avvicina pollice e indice fino a quando non si sfiorano. «...posso spezzarvi con una sola parola».

Elizabeth non risponde. C'è una sola domanda che preme sulla punta della sua lingua, ansiosa di uscire. Chi sei? si dice, muta, mentre Ciel le si avvicina e si inchina. Chi sei?

« Ma non ti voglio annoiare troppo » le dice, compito ed educato come sempre, con quel sorriso dolente dipinto sulla faccia. Un gesto noncurante della mano e le scarpe giacciono accanto ai piedi nudi e bianchi e indifesi di Elizabeth. « Bisogna rispettare la tradizione, no? ».

« Sì » risponde Elizabeth, nonostante tutto, in lei, sembri gridare no. Vuole afferrarlo per un braccio, scuoterlo, chiedergli perché è rimasto sempre lo stesso, perché ha tredici anni da cinque anni, perché continua a riapparire il giorno della sua morte, perché, perché.

Tuttavia, si alza. Il tappeto, ispido, le solletica le piante dei piedi. Ciel la attira a sé, le cinge la vita. Il valzer termina e ricomincia, incurante del bambino e della ragazza che, in silenzio dondolano lenti al centro della stanza.

Le guance di Elizabeth sono in fiamme, eppure il suo intero corpo non cessa di tremare. Sei anche tu un corvo, Ciel, pensa, mentre cerca la verità nel volto affilato e inespressivo del suo antico e fidanzato. Come quello che ti seguiva, fedele come se fosse stato la tua ombra. Come quello che si appollaiava sul tuo braccio e ti allacciava le scarpe la mattina.

« Cosa sei diventato? » gli osa chiedere, per la prima volta in cinque anni. Non riceve risposta. Ciel le getta una fugace occhiata, poi la fa volteggiare. La stretta intorno alla sua schiena sembra più serrata, quando riprendono a danzare. Elizabeth trasalisce, quando il suo tallone colpisce il pavimento gelido. Con un gesto fluido, Ciel si china in avanti. Elizabeth manda un breve oh! di sorpresa, perde l'equilibrio e si trova sorretta da un paio di braccia che dovrebbero essere troppo sottili per trattenerla.

« La proposta dell'anno scorso è ancora valida, se desideri » le ricorda, calmo. Il disco si ferma con uno scricchiolio, ma Ciel raddrizza Elizabeth con una gentile pressione delle dita e continua imperterrito a farla piroettare « Non credo tu l'abbia dimenticata » dice. «Certe cose non si dimenticano, non è forse così? ».

Di colpo, Elizabeth è orribilmente consapevole del fatto che il suo cuore sta pompando sangue. I polmoni si gonfiano di aria viziata e poi si rilassano. Ha le gambe molli. Come può averlo scordato? L'offerta è sempre con lei. Può pretendere di scordarla, può far finta che non esista, può relegarla in un angolo remoto della sua mente. Eppure, la notte, quando suo marito scivola nel sonno e si rannicchia accanto a lei, eccola spuntare, eccola dondolare sotto il suo naso come una lama mortale.

« Io... » Il resto della frase si spegne.

« Avevi promesso di darmi una risposta definitiva ». Ciel la lascia andare e le volta le spalle, le dita intrecciate dietro la schiena rigida. « Lo avevi promesso, Lizzie ». Per un attimo, la voce irritata rompe la maschera di ghiaccio e Ciel torna a essere il vecchio Ciel, il bambino che annaspava sotto un nome troppo importante per lui. Il bambino che si aggrappava sempre a quel diavolo di maggiordomo.

« Lo so » dice Elizabeth. È così piccolo. Così terribile, con quella giacca lucida e perfetta, ma così piccolo. Trae un profondo sospiro. Visto di spalle, non le incute più timore. Si morde il labbro. Tentenna. Non può più temporeggiare.

« Non posso » dice, piano.

Ciel piega la testa da un lato, senza voltarsi né commentare. Si staglia immobile nella luce fredda del pomeriggio. Cosa aspetta?, si chiede Elizabeth, mentre il silenzio si allunga sgradevole intorno a loro.

La verità è che ha persino immaginato di dirgli di sì. Avrebbe potuto cedere, annuire e prendere la mano che lui le ha porto per cinque volte. Avrebbe potuto abbandonare le scarpe sul tappeto – non ne avrebbe più avuto bisogno per il resto della sua esistenza. Eppure…

« Cosa succederà » domanda Ciel, assente, asettico « quando comincerai a invecchiare? Ti stai già guardando allo specchio, in cerca di mille minuscole imperfezioni. Ben presto ci sarà una ruga che ti correrà sopra le sopracciglia. Sì, là dove adesso ti sfiori la fronte ». Continua senza nemmeno fermarsi per respirare. « E ben presto altre crepe si apriranno nel tuo viso, senza che tu possa fare nulla per fermare il tuo declino. E sarai curva e i tuoi occhi saranno ciechi e i tuoi capelli bianchi. E alla fine il tuo nome sarà scarabocchiato su un pezzo di carta, poi dimenticato in una biblioteca troppo vasta. Sarai cenere » Qualcosa si incrina nella voce di Ciel « cenere in un caminetto, cenere in una casa vuota». Stringe il pugno ed Elizabeth si rende conto che tutti e due, ormai, sono arrivati all'orlo di un precipizio. Guarda verso Ciel, guarda verso il basso, ma vede solo buio.

« Ma non è tutto perduto, non ancora » esclama Ciel. Si gira di scatto, un lampo azzurro nello sguardo. «Potresti cambiare idea, Lizzie. Lascia indietro il tuo corpo: ti abbandonerà, prima o poi. Ti abbandonerà, e non mi vedrai più tornare ». Elizabeth non si muove e qualcosa si spacca del tutto nell'espressione di Ciel. I tratti del suo volto sembrano sciogliersi e lui abbassa la testa, si copre con le mani, come a volerli rimettere al suo posto. « Per favore ».

Elizabeth manda un sospiro liquido, poi deglutisce. Non piangerò. Non oggi. Si accomoda sulla poltrona, si infila di nuovo le scarpe, le allaccia con cura, si rialza un po' vacillante. Si avvicina, titubante. Sfiora il braccio di Ciel. Lo costringe, lenta, ad abbassare le dita; si sforza di sostenere la sua espressione rossa e vuota.

Elizabeth gli scosta una ciocca di capelli dalla fronte. Io ti amavo così tanto, pensa. Ma ora c'è una stella impressa nella tua iride e le vene nel tuo collo non pulsano più. Hai seguito il tuo maggiordomo. Ora il tuo cuore è bruciato e la cenere volteggia nel tuo corpo svuotato. Io, mio marito, i miei camerieri: noi respiriamo, vivremo e moriremo. E va bene così. È giusto così. Ma tu... tu sei diventato un altro. Come se tu fossi caduto in un precipizio, come se fossi annegato sul fondo del mare.

E io non posso seguirti.

A Elizabeth manca la voce, eppure Ciel capisce comunque. Scosta la mano, le passa accanto senza guardarla. Si dirige verso la finestra, la spalanca, salta leggero sul davanzale.

« Ciel ».

Continua a rigirarsi un anello immaginario tra le dita, sulle sue unghie livide. La bocca si piega, amara.
Elizabeth, di colpo, prova il folle desiderio di non lasciarlo andare. Vuole richiamarlo indietro, vuole inseguirlo, inseguirlo come quando, a tredici anni, abbandonava ricevimenti e feste e si perdeva nella folla. Bastava un sussurro del suo maggiordomo perché lui le sfuggisse dalle braccia e, mormorando una scusa, corresse via.

« Ci rivedremo? » chiede – e non sa chi stia parlando realmente, se la ragazza sollevata o la bambina in rosa che trattiene le lacrime in un angolo.

Ciel sorride, ma a fatica. È come se una forza invisibile gli stesse sigillando le labbra e lui non riuscisse a contrastarla. Eppure, per un attimo la stella sbiadisce e le unghie tornano color carne.

« Io lo spero ancora » le risponde, prima di saltare.





   
 
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