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Autore: Engy_1    08/06/2013    1 recensioni
[yaoi]
leggevo una doujinshi, quando ho pensato "anch'io voglio scrivere qualcosa di così commuovente"... vi presento la storia di Daisuke e Kaoru.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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[*n.b. nei nomi la U non viene pronunciata (es. Daisuke si dirà Dais’ke)]
 
Avevo dedicato i miei primi diciassette anni di vita a qualcosa in cui non credevo, solo per rendere mio padre fiero del suo figlio più giovane, e forse perché non trovavo uno scopo per vivere.
Nel villaggio in cui abitavo giravano strane voci su una creatura metà umana, metà lupo, che rubava dal sacro tempio le offerte al dio Fuju. Anche se accadeva raramente, ai piccoli era vietato superare il confine per dirigersi al santuario. Appena compii gli anni e passai alla classe superiore di Kyudo (l’arte del tiro con l’arco, letteralmente “la via dell’arco”), ricevetti una carta su cui era legato uno spiritello protettore degli uomini, e mi fu chiesto di andare ogni giorno a portare le offerte, per almeno un anno. Avrei preferito mille volte allenarmi cinque ore di fila ogni santo giorno (anche se già lo facevo) piuttosto che salire in continuazione nella montagna per raggiungere il luogo consacrato.
-              Ritieni che andare da solo la prima volta sia un bene Daisuke*? – mi domandò Akemi.
-              Non sono certo io che voglio! Però non deve esserci nessuno, per non offendere Fuju.
Poche ore prima ero nel dojo per allenare corpo e mente nella sacra arte del Kyudo. Purtroppo, quel giorno, non riuscii a lavorare come avrei dovuto. È vero che avevo colpito tutti i bersagli, ma il mio cuore vibrava pensando all’incarico affidatomi. Per quanto semplice, comunque non avevo mai superato i confini del villaggio, temendo che il famigerato mostro della foresta potesse aggredirmi. Per molti anni si era pensato fosse solo una leggenda, ma quando mia madre scomparve, si cambiò radicalmente pensiero. Fu trovato il suo corpo maciullato presso  il fiume, sotto la montagna. Seguite le tracce di sangue, si giunse fino al tempio. Qualcuno credeva che fosse stato Fuju a punirla, ma la maggior parte la pensava esattamente come me: era stato il lupo a uccidere mia madre.
Mio padre mi strinse forte, pregando gli dei che potessi tornare presto a casa. Naturalmente ci voleva tempo per raggiungere il luogo, e il sentiero roccioso e il kimono non facilitavano il cammino.
Fui quasi arrivato, quando sentii un fruscio di foglie che richiamò la mia attenzione. Qualcuno stava correndo dalla mia parte. Che fosse il mostro?! Oppure un animale selvaggio?!
In un  battito di ciglia, una goffa figura scura finì addosso a me, scaraventandomi a terra. Ero troppo distante dal villaggio perché qualcuno mi sentisse. Oltretutto non avevo fatto in tempo a prendere in mano l’arco per difendermi! Quando riaprii gli occhi, da dietro le braccia che avevo posto sul volto per proteggermi, intravidi la gracile figura di un ragazzino. Doveva essere più giovane di me di pochi anni, forse uno o due. Indossava anche lui un kimono, il suo color verde muschio, a quadri. I suoi capelli biondicci e gli occhi chiari mi ricordavano le divinità dei libri di storia, e le lacrime agli occhi… quelle di un essere umano. Mi osservò stupito, tremolante.
-              Ma t-tu chi sei?! – la voce mi uscì ruvida per lo spavento. Lo vidi inspirare per potermi rispondere, ma un suono, simile al richiamo di un leone, fece raddrizzare il ragazzo davanti a me. Lo vidi alzarsi e proseguire il cammino, scomparendo dietro i cespugli.
Ero ancora confuso e scioccato. Cosa era appena capitato, neanche io lo sapevo. Qualche secondo dopo, lo stesso ragazzo, proprio da dove era scomparso, riapparve, prendendomi per mano, senza parlare, senza darmi il tempo di riprendermi, e mi trascinò via, lontano, portandomi fuori pista. Io dovevo continuare a salire, mentre lui mi stava facendo scendere da un lato della montagna. La mia mente era ancora in elaborazione delle informazioni, quando poi il giovane mi fece sedere sulle radici di un’imponente quercia. Aveva il fiato spezzato, proprio come me, ma grondava di sudore e sangue che colava dal volto e braccia. Lo guardai ancora, stupito. Sembrava essere caduto da un dirupo, eppure si reggeva ancora in piedi. Poi, schiaritami la voce, incomincia a parlare:
-              Ehi… vuoi rispondere?? – io facevo riferimento alla domanda che gli avevo posto quando ero ancora sotto di lui, ma sembrava non capire. Lo vedevo ancora tremare, ma sembrava più tranquillo di prima. Non aveva più le lacrime a solcargli gli occhi, ma le labbra vibravano. Inspirò profondamente prima di sedersi davanti a me e fermarsi a guardarmi attentamente, come se fossi un animale pregiato.
-              Ragazzino, chi sei? – domandai ancora.
-              Io? Nessuno – non era certo la risposta che volevo, e ciò mi fece solo infuriare di più.
-              Qual è il tuo nome??
-              Nome? Cos’è? – la sua ignoranza mi colpì come un pugno sullo stomaco? Ma che domanda era?
-              Cosa? Il nome! Il tuo nome! Qual è il tuo nome?! - lo strano ragazzino continuò a guardarmi storto, come se stessi dicendo una scemenza! – Come posso spiegarti… - poi mi venne un’illuminazione. Io con me portavo sempre un oggetto che era appartenuto in vita a mia madre. Per quanto ridicolo, lei insegnava in una scuola elementare e amava tanto un vocabolario piccolo, da taschino. Lo tirai fuori dalla saccoccia e cercai il termine “nome”.
-              Cosa fai?
-              Nome: elemento linguistico che indica esseri viventi, oggetti, idee, fatti o sentimenti; nome proprio che designa individualmente una persona all’interno della famiglia a cui appartiene, o semplicemente è un termine con cui si identifica una persona! – ero soddisfatto di me stesso, ma forse avevo solo complicato la situazione. Quel ragazzino, da dove era sbucato fuori?!
-              Identificami! – aveva detto con fierezza. Il mio volto cadde sul suo. Aveva le guance rossastre, come se “essere identificato” fosse per lui un privilegio.
-              Io?
-              Si!
Lo guardai ancora. Era davvero così carino, come un piccolo animaletto.
Riflettei a lungo. Come avrei potuto chiamarlo? Manobu? Shimei? Yeijiro? Lo guardai attendere, lui che osservava intorno intorno, seguendo le farfalle e annusando i pochi fiori che crescevano là.
Si accorse che lo stavo osservando. Si girò scrutandomi. Arrossii vergognandomi. Mi ero imbambolato a guardarlo, ma la sua reazione fu con un solare sorriso che mi riscaldò il cuore. Un ondata di vento portò un delizioso profumo e mi venne in mente un nome. Semplice, che comunque gli sarebbe stato bene.
-              Potresti chiamarti Kaoru – gli dissi, volgendogli un sorriso, cosa assai rara. Da quando era morta mamma, il mio volto aveva smesso di fare qualunque smorfia.
-              No grazie.
Questa non me l’aspettavo.
-              Cosa?! Perché?! – devo essere sincero, ci ero rimasto abbastanza male.
-              Perché dovrei chiamarmi così?
-              Perché mi piace il tuo odore!
Mi tappai la bocca. Cosa avevo appena detto?!
L’altro mi guardò arrossendo ancora di più rispetto a me.
-              Va bene… allora da ora in poi io sarò Kaoru.
In giapponese kaoru vuol dire “profumo” e credo ci stesse bene con lui. Senza rendermene conto, il mio volto si era arrossato ancora di più.
Il sorriso di Kaoru mi riempì di felicità, un sentimento che era scomparso da tanto tempo dal mio cuore.
O forse stava semplicemente aspettando di uscire nel momento in cui avrei trovato la persona che mi avrebbe reso felice?
Quel giorno, le offerte che avrei dovuto portare al dio Fuju, invece, le donai a quel ragazzino che le mangiò con sazietà, felice. Parlammo a lungo del più e del meno, spiegandogli tante cose: cos’era una famiglia, degli amici, ecc.
Probabilmente lui non aveva ricevuto niente di tutto ciò.
-              È tempo che io vada – dissi a Kaoru.
Il suo volto si incupì e mi saltò addosso, abbracciandomi, come se quella fosse l’ultima volta. Mi fece tanta pena.
-              Se te ne vai, non ti vedrò più! Lo sento! – avvertii il kimono leggermente umido all’altezza della spalla, dove stava il volto di Kaoru. Non potei far altro che abbracciarlo a mia volta e stringerlo tra le mie braccia.
-              Ma cosa dici… per caso domani hai qualche impegno? – alzò il volto, scontrandosi col mio sorriso per rincuorarlo.
-              No…
-              Allora domani mi troverai qua, verso il tardo pomeriggio. Tornerò e staremo ancora insieme, ti va bene? – vidi i suoi occhi lucidi gonfiarsi di nuove lacrime. Lo avevo reso felice, lo vidi.
-              Si! – strofinò le guance su di me, per trasferirmi tutta la sua gioia.
Forse avevo appena trovato uno scopo tutto mio per vivere.
 
Quando tornai a casa, percepii la voce di mio padre severa, sgridarmi per averci messo tanto. Gli dissi che ogni volta bisognava fare il rituale per avvicinarsi al santuario, per oltrepassare il confine con lo spiritello e infine per fare le offerte e ciò richiedeva molto tempo ed energie. Naturalmente non l’avevo davvero fatto quella volta. E probabilmente non l’avrei fatto nei giorni successivi. Adesso che avevo conosciuto Kaoru, dovevo aiutarlo.
Si, era ancora uno sconosciuto da punti di vista tecnici, eppure per me, era quello con cui riuscivo ad essere me stesso, con cui potevo confidarmi, senza temere di essere tradito. Tutto ciò in poche ore.
Quando feci ritorno al villaggio, nel volto era ricomparsa la solita tetra maschera di ghiaccio che indossavo da molti anni. Eppure dentro di me bruciavo come un giovane fuoco, continuamente rinnovato dal ricordo di Kaoru. Santo cielo, che sensazione gradevole. Mi faceva sentire vivo come non mai!
In camera mia invece poi stare tranquillo e riflettere. Forse stavo sbagliando. Mi cambiai per andare a letto, quando vidi intorno al mio collo una collana con una pietra bianca. Era davvero bellissima.
“Te la do! Tienila tu! È un mio regalo!” mi aveva detto quel piccoletto. Toccarla, sapere che era mia, fu come sapere che avevo trovato qualcuno.
Il giorno successivo, dedicai tutta la mattina all’allenamento nel dojo, così da avere il restante giorno libero. Spiegai a mio padre che il saggio mi aveva consigliato di eseguire anche altri preghiere, in onore dei defunti: ciò stava a significare che avrei avuto più tempo per stare con il ragazzino.
-          Anche oggi quindi andrai? – domandò mio fratello maggiore.
-          Devo andare tutti i giorni per quest’anno.
-          E credi di farcela?
-          Certo! Devo! –non avevo mai scelto di andare a fare i sacrifici al dio, ma ero immensamente grato a chi mi aveva designato per questo incarico.
Intrapresi il sentiero, salendo frettolosamente la montagna, impaziente di incontrarlo. Avevo pregato il dio Suke, il dio dell’aiuto, di portare sostegno al mio giovane amico.
Amico… riflettendoci, Kaoru era davvero un amico? Voglio dire…  era solo un amico?
Quando giunsi sotto le radici della quercia, ero solo. Non era ancora arrivato. Approfittai di quel tempo per riprendere fiato. Una stanchezza infinita comparve senza preavviso, costringendo i miei occhi a chiudersi e riposare… Magari questa volta avrei sognato qualcosa di diverso.
 
Percepii un dolce calore accarezzarmi i capelli. Mi ricordò la volta in cui mi rintanai nel futon di mia madre, perché avevo paura dei tuoni e lei, con estrema dolcezza, mi pettinava  la chioma color carbone.
“Tesoro…” mi disse nel sogno “Io sono sempre qua con te…” mamma non andare per favore “Sarò sempre con te…” mamma aspetta “E qualsiasi cosa tu decida, avrai sempre il mio appoggio” mi diede un bacio nella palpebra dell’occhio  e ciò mi ridestò.
Mi trovavo sulle ginocchia di Kaoru! E quello che mi era sembrato un bacio di mamma, in realtà era di quel ragazzino, che mi aveva appena sciugato una lacrima.
Mi alzai frettolosamente, portando una mano sulla fronte. Quel sogno aveva riaperto una profonda ferita nel mio animo, un taglio che continua a sanguinare…
-          Perdonami se ti ho svegliato. Quando ti ho visto dormire, ho pensato saresti stato meglio sdraiato, poi hai pianto… - la sua voce era bassa, come se si sentisse in colpa per qualcosa che non aveva fatto. Mi asciugai gli occhi e ritrovando me stesso, mi voltai.
-          Non hai fatto alcunché di male, tranquillo. Ti ringrazio di esserti preoccupato per me – mi avvicinai e gli accarezzai la capigliatura. Quel giorno, i suoi capelli biondi splendevano come grano sotto i pochi raggi di sole che passavano tra le folte chiome degli alberi. Mi guardò, ritrovando il sorriso.
Era quello il volto che volevo sempre vedere. Mi riempiva di armonia e tranquillità.
Oggi gli portai alcuni piatti tipici del mio villaggio, sperando che gli piacesse anche la tempura di verdure. Vidi che non lo gradiva molto, eppure mi sorride ancora e lo mangiò, ingoiando boccone dopo boccone. Lo invitai a lasciarne se non gli piaceva, eppure insisteva nel dire che gli piaceva. Il volto parlava da solo, ma non continuai a commentare.
Anche quel giorno passammo diverse ore a chiacchierare di molte cose. Aveva ricordato perfettamente gli insegnamenti del giorno precedente.
Dopo poco però, la situazione di fece pesante.
-          Nello stesso giorno di ieri del prossimo anno, smetterò di venire – gli rivelai. La mia carica di “portatore dei sacrifici” durava solo 365 giorni. L’avrei voluto prolungare, ma ciò non era possibile.
-          Vuol dire che poi non verrai più? – vidi il suo volto incupirsi. Proprio come a me, non gli piaceva l’idea di non potersi più vedere.
-          Bhe ecco… dall’anno prossimo sarà più difficile venire. Quando la mia carica sarà terminata, quacun altro mi sostituirà. Magari puoi fare amicizia con quella persona – ma non potei finire. Kaoru si era posato sul mio petto, come se volesse piangere. Invece non fu così.
-          No mai. Voglio stare solo con te!
Per chi sa quale motivo, quelle parole mi riempirono di una gioia immensa.
  
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