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Autore: Tsuki82    09/06/2013    3 recensioni
Con questa shot mi presento a tutti voi. Non ha una vera e propria ambientazione, forse ne scriverò una ff in seguito. Ad ogni modo è situata cronologicamente dopo gli eventi del manga. E' una sorta di introspezione dal punto di vista di Ryo Saeba. Chi è veramente Ryo? Cosa vuole? Leggete e scoprirete. Buona lettura. Tsuki.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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One moment in time

 

Chi sono io?

Non chiedetemelo. Non ho la risposta.

Ci penso ogni volta che sento il sibilo di un proiettile.

Mi chiedo quale sia il mio destino, per quale motivo io sia qui, a questo mondo.

 

Quando l'adrenalina sale, la tempesta nel mio cuore si placa e scatta l'altra parte di me, quella oscura, mi sembra come se io fossi una macchina, un cyborg. Un essere soprannaturale che riesce in un modo o nell'altro a cavarsela.

Divento calcolatore, in grado di percepire il pericolo, di fiutare l'aria, di sentire il rumore di un proiettile caricato in canna...

 

Cosa sono io?

 

Vivo per dare il meglio di me ogni giorno... No, non è vero!

Vivo per sopravvivere.

 

Non credo chiamereste vita la mia.

 

Circondato dalla feccia della società, sempre pronto a rischiare, attorniato da donne che si divertono con poco.

È vero che molte di loro mi amano, ma lo si può definire amore?

Una cosa che dura solo una notte, un battito di ciglia, che non porta a nulla, che non da nulla, si può chiamare amore?

 

Non so, non credo.

 

So ce posso fidarmi di me stesso, assecondando i miei bisogni, rifuggendo dalla quotidianità.

Io sono così. Sono come il leone albino, raro e particolare, affascinante anche, ma come me ce ne sono pochi al mondo.

Vorreste catturarmi?

Mettetevi in fila. Non siete i soli.

 

Giro per le strade della mia città come fossi un'ombra. Tutti mi conoscono, sanno chi sono, ma se chiedeste di me, vi direbbero che non mi hanno mai visto.

 

Affetto il loro?

No. Paura.

Temono la mia vendetta e necessitano il mio aiuto.

 

Questo è un dare e avere.

Io li proteggo dai malviventi, dai pericoli di questa società marcia, che chiede troppo a chi non può dare molto, e loro evitano di fare il mio nome.

 

Chi mi vuol trovare, sa come fare, ma sa anche che è pericoloso.

Non posso lasciar andare qualcuno che mi ha visto in viso e sa come trovarmi.

Lo devo spaventare o devo fare in modo che sia sempre in debito con me.

 

Ve lo dicevo che sono calcolatore, no?

Credete davvero che io lavori per la gloria?

Che mi faccia pagare profumatamente da gente che domani potrebbe vendermi?

Non fatemi ridere.

Sono scaltro, intraprendente, non ho paura di niente e di nessuno, so tenere a freno ogni mio bisogno.

In fin dei conti il mio è più un ruolo che altro.

 

Non posso far entrare nessuno nel mio mondo. Devo attenermi al mio essere.

Devo restare un'ombra.

 

Eppure ci sono giorni in cui desidererei una vita normale.

 

Poter girare per la città senza nessuna copertura, tenere stretta al mio fianco una donna che amo, baciarla in pubblico per far sapere che mi appartiene.

Andare al cinema, a cena e poi addormentarmi come fanno tutti gli altri.

 

La monotonia?

Ci sono volte in cui mi manca.

 

Anche se continuo a fare la parte del duro, ammetto che ogni tanto il ruolo mi sta stretto.

 

Che cosa dovrei fare?

 

Abbandonare tutto e cambiare la mia vita?

 

No. Non sarei io.

 

Io sono la tempesta che si scatena in un giorno estivo, cogliendo tutti alla sprovvista, e finisce ancor prima che si possa sollevare il naso verso il cielo. Sono la goccia d'acqua che piano piano buca la pietra. Io sono quello che si nasconde nel buio della notte, aspettando che sorga il sole.

 

Potreste dire di avermi visto, ma non ne sarete mai sicuri.

 

Vivo per dare il meglio di me. Ogni giorno.

Per andare avanti, continuando il cammino tortuoso che mi sono scelto...

No, non è vero, non me lo sono scelto.

Se avessi voluto, sarei potuto scappare da quella giungla, ma sapevo fin da allora che dovevo un favore a chi mi aveva salvato.

 

L'ho già detto, no?

La vita è un dare e avere.

Loro mi salvarono, trasformandomi in un soldato, e io, in cambio, ho salvato loro altrettante volte.

 

Sono entrato nella spirale di mia iniziativa eppure adesso...

 

Adesso ne ho paura.

 

Non sono una macchina, sono un uomo.

Invecchio anch'io, benché non voglia ammetterlo.

E ora i miei bisogni sono cambiati.

 

Me ne sto seduto sul letto, facendo il punto della situazione.

 

Ho scampato la morte da quando ero piccolo, aiutato gli altri per pagarmi i debiti, corso in ogni dove per cercare qualcosa.

 

Posso avere un momento anche per me?

Solo un momento per essere sicuro di non aver dimenticato nulla, di non aver tralasciato niente...

 

Ci penso.

Più lo faccio, più il campanello d'allarme nella mia testa suona.

 

Cos'ho dimenticato?

 

Un oggetto?

 

No, la mia phyton è sempre con me...

 

Un ricordo?

 

Difficile dimenticare quando vivi una vita come la mia.

 

Una persona?

 

 

Qualcosa scatta nella mia testa.

 

È questo che ho dimenticato?

 

Mi viene da ridere.

Come posso aver dimenticato qualcuno?

 

Giro per la città stringendomi nel mio pastrano.

Tiro su il colletto.

Mi fermo.

Accendo una sigaretta.

Il fumo acre mi raschia la gola.

Devo smettere, forse domani.

Infilo le mani in tasca, mordendo il filtro...

Davvero un brutto vizio, questo. Ma poco male. Non spero certo di vivere fino a duemila anni. Per carità!

Riprendo a camminare, sogghignando.

In questi momenti, quando il dubbio mi assale, non posso stare fermo in casa a non far nulla, devo muovermi.

È come se accendessi il motore della mia vita.

Le strade sono deserte. Vorrei ben vedere!

È davvero molto tardi ed anche i locali notturni stanno chiudendo.

Forse tra poco sorgerà un nuovo sole.

Mi importa davvero?

No!

Quello che ho dimenticato è più importante.

Scendo una scalinata, giro a sinistra, so dove sto andando?

No, ma che importa?

Altri duecento metri.

Entro in un vicolo a destra.

Buio come la mia anima.

Cammino.

Non c'è altro da fare in fondo.

Il vicolo buio si rischiara della luce dei lampioni e finalmente arrivo.

Mi fermo.

Davanti a me c'è solo un parco, grande e immerso nella semi oscurità.

Il campanello nella mia testa suona più forte.

Un odore familiare mi attrae.

È come un richiamo. Un urlo nel silenzio.

Lo seguo.

Tanto non ho niente di meglio da fare.

Arrivo al centro del parco.

Vedo una panchina. Ne percepisco la presenza per via del riverbero di luce di un lampione.

 

“Ci hai messo una vita!” dice una voce.

 

Mi blocco.

D'istinto armo la phyton e la punto alla schiena di chi ha parlato.

 

“Non c'è bisogno di farsi prendere dal panico.”

 

La voce è calma e gentile.

Non è pericolosa, ma chissà perché il mio istinto mi dice di fare attenzione.

 

“Ci conosciamo?” domando, sedendomi e riponendo l'arma.

 

“Tu non sai chi sono io, ma io conosco te.”

 

Il campanello d'allarme si fa insistente.

 

“Ti piace la città?” mi chiede questa persona.

 

Non mi volto a guardala. So che è una donna. Il profumo e la voce bastavano a farmelo capire.

 

“Abbastanza...”

 

“Ma non ci metteresti le tende!” conclude con stizza al mio posto.

 

Sorrido.

Sono davvero così prevedibile?

 

“Chi sei?” chiedo con perplessità.

Potrebbe anche essere un killer parecchio esperto, ma è impossibile che sappia tutto di me. Qualche carta da giocare ce l'ho ancora.

 

“La tua coscienza...” dice, poi scoppia a ridere.

Chi diavolo è?

 

“Sono solo qualcuno che per te non è nessuno.” risponde, ritrovando la serietà.

 

Rifletto.

Strano ma vero, mi sento a mio agio.

Come se avessi ritrovato un posto a cui appartenere.

 

“Ti sei divertito in questi cinque mesi?” mi domanda a bruciapelo.

 

Adesso mi volto. Chi è lei per sapere che cosa ho fatto in questi cinque mesi?

Si gira verso di me.

Incrocio uno sguardo birichino ma fiducioso, di un colore nocciola intenso. Fa quasi male guardarla negli occhi.

I capelli sono corti e rossicci, la bocca è carnosa.

Una bella donna, non c'è che dire, eppure qualcosa mi dice che non cadrà ai miei piedi solo perché le sorrido.

 

“Più o meno.” faccio io, fingendomi stanco e sbadigliando.

 

“Sempre il solito, eh? Tieni per te tutto il divertimento.”

 

Che strano!

Mi viene da ridere.

 

“Che fai in giro di notte?” mi domanda ancora.

 

“E tu?” chiedo, “Che fai da sola in questo posto buio?”

 

“Aspetto!”

 

“Cosa?”

 

Resta in silenzio un attimo, contemplando il buio.

 

“Aspetto che torni da me?”

 

“Chi?”

 

Sono incuriosito e infastidito.

Chi è l'imbecille che fa aspettare così una donna?

 

“L'uomo che amo.”

 

A bruciapelo ammette la sua verità.

 

“E non sei stanca di aspettare?”

 

“No!”

 

Una risposta sicura e forte.

Questa donna ha carattere, così tanto da lasciarmi interdetto.

 

“Non è meglio dimenticare un uomo che ti fa aspettare così?”

 

Si volta e mi sorride. Il suo sguardo è pieno di speranza. Persino io riesco a riconoscerlo.

Mi fa male al petto e non so perché.

 

“Non lo potrei dimenticare neppure se lo volessi. È parte di me. È il mio passato, il mio presente e il mio futuro. È il sangue che mi scorre nelle vene, il battito del cuore, il vuoto nella testa e la mia stessa pelle. È la mia anima. Non potrei mai dimenticarmi di lui, sarebbe come dimenticarmi di me.”

 

Resto senza fiato.

Non ho speranza con una come lei.

È troppo innamorata perché io possa far breccia nel suo cuore e farle dimenticare l'amore.

Sorrido, ma so già che è un sorriso triste.

Mi alzo e le poggio una mano sulla spalla.

 

“Vedrai che tornerà presto!” le dico, ma in verità non ci credo affatto.

 

Lei mi fissa con tenerezza.

 

“Ne sono certa. Io mi fido sempre di lui, anche se ho spesso paura di perderlo. Ma mi ha fatto una promessa e sono certa che la manterrà, a costo della sua stessa vita.”

 

Che donna tutta d'un pezzo!

Ce ne fossero di più come lei!

Beato quell'uomo che non sa quale grande dono gli ha regalato il mondo.

Mi volto e mi incammino di nuovo.

Sento il sussurro della sua voce portato dal vento.

“Torna presto R...”

Il nome del suo uomo si perde nel buio.

Sono troppo lontano per sentire bene.

Sciocco imbecille che ancora non vai da lei...

Rischi che si stanchi di aspettarti e vada via con un altro.

Chissà perché ho l'impressione, anzi la certezza, che in questo momento stia piangendo.

È come se lo sapessi istintivamente.

Con le lacrime agli occhi potrebbe credere di ritrovarti nel volto di un altro...

Una sensazione spiacevole mi assale.

Riesco a immaginarla, abbracciata a non so chi e mi fa male il petto.

Una fitta allo stomaco... Qualcosa di inaspettato.

La gola si secca.

Sono nel vicolo buio di prima.

Devo reggermi alla parete se non voglio cadere carponi.

Mi sento sfinito, sfibrato, privo di ogni volontà.

Respiro a fatica, lo stomaco si rigira su se stesso, la mente si svuota.

Una scossa nella testa e sono a terra.

È come se mi avesse colpito un proiettile...

Aspetta...

Aspetta...

Chi sono io?

Che cosa ci faccio qui?

Il dolore scema, piano, lentamente, lasciando il posto a...

Mi rimetto in cammino.

Torno indietro, ne ho bisogno.

Lei è ancora lì, su quella panchina.

Mi avvicino e mi siedo di nuovo.

 

“Sei tornato!”

Mi dice con un sorriso sulle labbra.

Non rispondo.

Ogni parola è vana.

Le afferro una mano che teneva sul ventre.

Intreccio le mie dita alle sue.

È una cosa stupida.

Da ragazzini.

Ma è essenziale.

Poggia la sua testa sulla mia spalla.

I capelli mi solleticano la guancia.

Solo un momento.

 

Give me one moment in time.
When I'm racing with destiny.
Then in that one moment in time.
I will be, I will be free.

Dammi un momento nel tempo.

Quando sto correndo con il destino.

Allora in quel momento nel tempo.

Io sarò, io sarò libero.

 

“Ci hai messo tanto, lo sai? Stavo per stancarmi!” mi dice con stizza.

Ridacchio nervoso.

So bene di aver rischiato.

 

Che cosa potrei dirle?

Mi dispiace?

Grazie per avermi aspettato?

Non è da me.

Posso solo stringerle più forte la mano e osservare il cielo.

 

Il nero della notte si tinge di violetto dorato.

So che si riflette nei suoi occhi, senza bisogno di guardarla.

Aspetto.

Lei lo ha già fatto a lungo, adesso tocca a me.

Devo aspettare.

Quando il sole sarà alto, andremo a fare colazione da Umibozu.

Ma stavolta sarà un po' diverso.

 

Mi sono chiesto troppe volte in questi ultimi mesi chi ero e cosa volevo.

Adesso ho trovato le risposte.

E sono tutte racchiuse in questa esile mano stretta nella mia.

Stavolta non la lascerò andare.

Camminerò tenendola per mano.

Fiero e lieto di averla con me.

Tornerò con lei nel nostro appartamento e getterò via ogni dubbio, maschera o paranoia che mi ha assillato fino a oggi.

Poi...

Poi sarò finalmente libero.

Libero di essere vero.

Di vivere per vivere, non per sopravvivere.

Di amare. Desiderare e sognare.

 

Non metterò via la mia fidata phyton.

Mi ha protetto... Ci ha protetti.

Ma non stringerò più soltanto lei.

 

Aspetto ancora un po'.

Il sole fa capolino all'orizzonte.

 

“Hai fame?” mi domanda.

 

Mi viene da ridere.

Lo sapevo che voleva andare a fare colazione da Umibozu.

Sorrido e accenno un sì.

Slaccia la presa delle mani e si alza.

Il terreno sotto ai miei piedi sembra franare, ma non ne ho paura.

L'afferrò per la vita, prima che possa fare un passo lontano da me.

L'avvicino, incastrandola tra le mie gambe, mentre sono ancora seduto.

Mi alzo quasi di scatto.

La fronteggio.

Mi sorride.

E ormai è fatta.

Addio maschera!

È un secondo e le nostre labbra si toccano.

Ho un capogiro.

Ogni ricordo degli ultimi mesi affolla la mia mente, poi sparisce tutto.

Ciò che resta è solo il sapore delle sue labbra sulle mie.

 

Vi chiederete chi sono...

Ancora non ne sono sicuro.

Forse una macchina, un cyborg...

O forse...

Solo un momento nel tempo.



 

  
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